Ingres a Milano. Un viaggio tra Neoclassicismo e Romanticismo a Palazzo Reale

La grande stagione del primo ‘800 è la protagonista della nuova mostra ospitata a Palazzo Reale di Milano.

Jean Auguste Dominique Ingres e la vita artistica al tempo di Napoleone è il titolo completo della mostra che si tiene, dal 12 marzo al 23 giugno, nelle sale del piano nobile del Palazzo di Piazza Duomo. Promossa dal Comune di Milano, in collaborazione con Palazzo Reale, Civita Mostre e Musei, l’esposizione è curata da Florence Viguier-Dutheil, direttrice del Museo dedicato all’artista a Montauban, in Occitania, dove l’artista nacque nel 1780. La collaborazione con il museo di Montauban è molto importante, dal momento che Ingres, al momento della sua morte, a Parigi, nel 1867, lasciò un corpus di circa 4500 disegni alla città natale, e così iniziò a formarsi quella che è la collezione permanente, poi arricchitasi di numerosi dipinti di Ingres e dei suoi allievi.

Ingres Jean-Auguste-Dominique (1780-1867). Paris, musée d'Orsay. RF2521.
Ingres Jean-Auguste-Dominique (1780-1867). Paris, musée d’Orsay. RF2521.


La mostra di Palazzo Reale, con i suoi circa 150 pezzi, tra tele, statue e disegni, non è un racconto biografico sulla vita di Ingres ma un percorso all’interno dell’epopea napoleonica nelle Arti e un dialogo, continuo, tra Francia e Italia, sempre legato alla figura di quel Napoleone Bonaparte che, da generale semisconosciuto figlio degli ideali della Rivoluzione, varcò le Alpi per la prima volta nel 1796 per sconfiggere gli Austriaci e instaurare le Repubbliche che si rifacevano all’esperienza politica transalpina, ma anche di quel Napoleone che, nel 1805, già incoronato Re dei Francesi, si fece anche fregiare del titolo di monarca d’Italia nel Duomo di Milano, deludendo le speranze di chi vedeva, in lui, non un imperatore figlio del potere assoluto, ma un liberale in grado di scacciare i vecchi regimi. Non si tratta certo di una mostra sulla figura di Napoleone, ma di un excursus artistico che, sicuramente, ha coinvolto la sua persona, come mecenate e come fonte d’ispirazione.

Jean Auguste Dominique Ingres, Dormeuse, 1820 circa, Londra, Victoria and Albert Museum
Jean Auguste Dominique Ingres, Dormeuse, 1820 circa, Londra, Victoria and Albert Museum


La mostra intende anche essere un nuovo, e più focalizzato, punto di vista sul Neoclassicismo, allontanandolo dalla visione e dal pessimo giudizio critico che il nuovo stile ricevette già in epoca romantica. Il Neoclassicismo venne inteso come qualcosa di totalmente purista, freddo e lontano dalla sensibilità umana, e solo come un fenomeno artistico meramente estetico ed estetizzante, mirante alla celebrazione del Bello ideale, incarnato nella Classicità greco-romana. Da quello che emerge in mostra, invece, è possibile cogliere un’altra sfumatura, ovvero un’anticipazione del nascente Romanticismo, in alcune opere oniriche e notturne, come Il Sogno di Ossian di Ingres, in cui il bardo celtico, già romantico per scelta tematica, vede, nel sonno, le anime dei Morti, un oltretomba virgiliano fatto di eroi e Dee totalmente tratte dalla Classicità, come provano la presenza di armature achee e pose da statue ellenistiche. Il Neoclassicismo, però, seppe anche anticipare l’attenzione romantica al paesaggio e al dato naturale, come provato dai dipinti, quasi cronachisti, di Nicolas Taunay, che raffigurano la traversata delle Alpi da parte di Napoleone, in cui la Natura è avvolta nella sua bellezza sublime.

Il punto di partenza del percorso è Jacques Louis David. Ingres fu il suo allievo più famoso e nel suo atelier parigino giunse nel 1797. Testimonianza base di questa prima fase della sua carriera sono i due Torsi maschili con cui il giovane Ingres  vinse i primi premi, che iniziarono a valergli la fama pittorica. Affiancate alle opere del giovane Ingres e a un uomo di spalle di David, frutto di ricordi romani, degne di nota sono anche quelle di un altro grande distruttore dell’estetica rococò e tardobarocca, ovvero François Xavier Fabre, come prova la sua Susanna e i vecchioni, tema barocco per antonomasia, ma, ora, affrontato con una più spiccata attenzione all’episodio della violenza verso la donna e con una maggiore propensione al sentimento.

Jean Auguste Dominique Ingres, Torso d'uomo, 1799, Montauban, Musee Ingres
Jean Auguste Dominique Ingres, Torso d’uomo, 1799, Montauban, Musee Ingres


 

Jacques Louis David, Nudo detto Patroclo, 1780, Cherbourg, Museo Thomas Henry
Jacques Louis David, Nudo detto Patroclo, 1780, Cherbourg, Museo Thomas Henry


A seguire, una sezione è dedicata al ritratto, in cui Ingres eccelse e iniziò a specializzarsi non appena aprì un suo atelier autonomo. Si tratta di istantanee che colgono lo sguardo del protagonista, ma anche i suoi aspetti più fisiognomici, lontani dal gioco galante del ritratto settecentesco di Boucher e Fragonard. Tra questi, spiccano il ritratto fatto al ventcinquenne Ingres all’opera dalla sua fidanzata di allora, Julie Forestier, ma anche quello, del maestro, di Paul Lemoyne. Compaiono, poi, anche scene di ritrattistica ufficiale, condita, però, di un tocco già trasognato, come prova la Principessa di Lichtenstein di Elisabeth Vigee-Lebrun, che trasforma la nobildonna austriaca in una dea in volo verso la gloria, mescolando elementi neoclassici (il vestito e la trasposizione con la mitologia classica) e romantici (lo “streben” verso l’infinito). Forestier e Vigee-Lebrun sono due nomi importanti perché furono, tra le prime donne della Storia dell’Arte, a essere considerate maestre di Pittura e non più casi isolati in un mondo ancora prevalentemente maschile, come lo erano state, in passato, Artemisia Gentileschi, Lavinia Fontana e Rosalba Carriera.

La sezione successiva è dedicata al rapporto tra i primi temi romantici e il mito classico. La dicotomia segnò anche Ingres prima di entrare in rapporto con Napoleone Bonaparte. In questa sezione, degna di nota è la scena dal Guglielmo Tell dipinta da Vincent, già frutto dello storicismo romantico, affiancata al Sogno di Endimione di un’altra grande pittrice, simbolo di emancipazione, ovvero Anne-Louis Girodet Troison, che dipinse una scena ancora neoclassica ma carica di un erotismo straordinario nel meraviglioso nudo della ragazza, che pare, anch’esso, già romantico.

La figura centrale di Napoleone, è introdotta dal capolavoro del pittore di Montauban, quel Sogno di Ossian dipinto nel 1813 per la camera da letto del Bonaparte. La grandiosa tela si trovava nel soffitto della stanza per esplicita richiesta del generale, che amava i Canti di Ossian, un poema epico gaelico che, nel fervore storicista del primo ‘800, trovò ampio spazio nella Cultura dell’epoca, come prova la traduzione italiana di Cesarotti, e che Napoleone stesso considerava una base per il suo pensiero, tanto da portarsi una copia dell’opera, tradotta in francese, in battaglia. L’attenzione, a questo punto, si sposta prima sulla campagna d’Italia, del 1796, la cui testimonianza sono le raffigurazioni del passaggio alpino del Bonaparte di Taunay, e, poi, sull’arrivo di Napoleone a Milano, con il meraviglioso ritratto eseguito da Andrea Appiani nel 1796-98, in cui sono riassunte tutte le speranze che gli Italiani riponevano in lui in quanto simbolo della liberazione dal giogo austriaco al Nord e spagnolo a Napoli: basti osservare la sua spada, la cui elsa è avvolta da un ramoscello d’ulivo. Il messaggio è molto chiaro: Napoleone porterà, con una campagna bellica, la pace in Italia. Sappiamo tutti che non sarà così, perché Bonaparte avrebbe piazzato sui vari troni d’Italia parenti e generali a lui fedeli, come Murat a Napoli, deludendo le speranze liberali e unitarie degli intellettuali e degli artisti italiani, da Foscolo a Canova e allo stesso Appiani. Nonostante ciò, Milano, con Napoleone re d’Italia, sarebbe divenuta, nei primi anni dell’800, una seconda Parigi, una vera capitale politica e culturale, con personaggi di spicco, come Canova, presenti in città accanto a una generazione d’oro di artisti milanesi, come Appiani e Bossi, e di architetti come Cagnola e Cantoni. Non a caso, dopo essere stato incoronato re dei Francesi a Notre-Dame, Napoleone volle una seconda cerimonia in Duomo a Milano, in cui si proclamò Re d’Italia e Imperatore. Era il 1805, e quel momento Ingres lo seppe cogliere. L’anno successivo il maestro francese realizzò il suo secondo capolavoro, il Napoleone sul trono imperiale. Un’opera lontanissima da quel ritratto liberale che ne face Appiani! Napoleone, sguardo fisso e freddo sull’osservatore, abbigliato di broccati ed ermellino, come un qualsiasi “dux”, siede sul trono mentre regge due scettri, di cui uno è quello imperiale di Carlo Magno. Ai suoi piedi, un tappeto tessuto con il disegno di un’aquila imperiale. Si tratta di simboli di un potere assoluto, e per molti aspetti sacrale, come provato dallo schienale del trono, quasi a forma di aureola. Tra i due estremi temporali, il ritratto di Appiani e quello di Ingres, però, si colloca una grande epopea celebrativa esemplificata dai busti di Canova e Monti, in cui Napoleone è raffigurato come Giulio Cesare, o dalle incisioni di Andrea Appiani che riproducono il fregio da lui dipinto nel salone di Palazzo Reale e distrutto dalle bombe nel 1943, dedicato alle imprese belliche di Napoleone in Italia, in Francia e in Egitto. Degna di nota è anche la figura di Giovanni Battista Sommariva, commerciante di Lodi che, grazie a Napoleone e al suo lavoro a Milano, poté divenire conte e creare, nel suo palazzo, una grandiosa collezione di dipinti dell’epoca, anche di Ingres, di cui ci restano delle riproduzioni in miniatura, simili ai cammei romani, oggi custodite alla Pinacoteca di Brera.

Jean Auguste Dominique Ingres, Il sogno di Ossian, 1813, Montauban, Musee Ingres
Jean Auguste Dominique Ingres, Il sogno di Ossian, 1813, Montauban, Musee Ingres


 

Jean Auguste Dominique Ingres, Napoleone sul trono imperiale, 1806, Parigi, Museo delle Armi
Jean Auguste Dominique Ingres, Napoleone sul trono imperiale, 1806, Parigi, Museo delle Armi


 

Adele Chavasseau d'Haudebert da Andrea Appiani, Venere che accarezza Amore, miniatura, Milano, Pinacoteca di Brera
Adele Chavasseau d’Haudebert da Andrea Appiani, Venere che accarezza Amore, miniatura, Milano, Pinacoteca di Brera


Ingres fu affascinato da Napoleone ma ancora di più da un altro personaggio che fece la Storia: Raffaello. Il pittore francese giunse a Roma nel 1806, per rimanervi vent’anni a inseguire il suo ideale di perfezione legata al mito dell’Urbinate. Lui stesso si definiva quasi figlio artistico di Raffaello e l’ultima parte della mostra ne è la migliore prova. Il suo ideale di bellezza era un canone fisso, come provato dal ritratto che Ingres fece al padre, anch’egli pittore, a cinquant’anni, ma ringiovanendolo secondo i canoni estetici puristi del primo raffaellismo, o quello dello scultore fiorentino Lorenzo Bartolini. Ingres, in Italia, fu anche affascinato dalla bellezza delle ragazze e delle donne della Penisola: in vari disegni ebbe modo di studiare quegli elementi che, delle italiane, affascinarono molti artisti nordici che ebbero modo di effettuare il Grand Tour. Tra questi spicca quello della donna, molto in carne, quasi abbondante ma straordinariamente sensuale, con tre braccia, che sembra riprendere le figure femminili di Tiziano e Veronese. Dipinse, inoltre, in Italia, molte figure femminili nelle fattezze di Odalische, come quella celeberrima per la scarsa verosimiglianza anatomica legata alle tre vertebre in più e al seno troppo a contatto con l’ascella.

Jean Auguste Dominique Ingres, Grande Odalisca, 1830, New York, Metropolitan Museum of Art
Jean Auguste Dominique Ingres, Grande Odalisca, 1830, New York, Metropolitan Museum of Art


 

Jean Auguste Dominique Ingres, Donna con tre braccia Montauban, Musee Ingres
Jean Auguste Dominique Ingres, Donna con tre braccia Montauban, Musee Ingres


 

Jean Auguste Dominique Ingres, Copia dell'autoritratto di Raffaello, 1820-24, Montauban, Musee Ingres
Jean Auguste Dominique Ingres, Copia dell’autoritratto di Raffaello, 1820-24, Montauban, Musee Ingres


Il finale è tutto giocato sull’ammirazione, quasi maniacale, di Ingres per Raffaello. L’ultima sala, infatti, ruota intorno a tale venerazione e ad alcune opere che ne sono testimonianza, da quella simbolica che raffigura il Sanzio con la sua modella preferita, la Fornarina, fino alla Morte di Leonardo da Vinci e all’opera più raffaellesca di Ingres, ovvero la pala d’altare raffigurante Cristo che consegna le chiavi a San Pietro, destinata a una Cappella presso Trinità dei Monti a Roma, eseguita nel 1820, e alla copia del ritratto di Raffaello, che Ingres stesso destinò a Montauban, quasi a dichiarare che il nuovo genio della Pittura francese fosse nato in Occitania.

Jean Auguste Dominique Ingres, Raffaello e la Fornarina, 1848, Columbus Museum of Art
Jean Auguste Dominique Ingres, Raffaello e la Fornarina, 1848, Columbus Museum of Art


 

Jean Auguste Dominique Ingres, La morte di Leonardo da Vinci, 1818, Parigi, Petit Palais
Jean Auguste Dominique Ingres, La morte di Leonardo da Vinci, 1818, Parigi, Petit Palais


Jean Auguste Dominique Ingres e la vita artistica al tempo di Napoleone
Palazzo Reale, Piazza Duomo 12, Milano
Orari: lunedì 14.30 – 19.30
martedì, mercoledì, venerdì e domenica: 9.30 – 19.30
giovedì e sabato: 9.30 – 22.30
Biglietti: Open 16,00 €, normale 14,00 €, ridotto 12,00 €
Info: https://www.mostraingres.it/

La magia del Romanticismo in mostra a Milano

Romanticismo è una parola che evoca, in tutti noi, grande suggestione, perché ci ricorda episodi epici della nostra Storia o suggestioni letterarie di grandi eroi e di storie d’amore. Ora, a questo fenomeno, è dedicata una grande mostra a Milano.

Il Romanticismo è il protagonista della mostra, curata dal professor Ferdinando Mazzocca, che, tra le due sedi delle Gallerie d’Italia e del vicino Museo Poldi Pezzoli, intende indagare e mettere in evidenza l’apporto italiano a questo fenomeno internazionale, non solo artistico, ma anche letterario e filosofico. Dal 26 ottobre 2018 al 17 marzo 2019, le due sedi museali ospitano circa duecento opere, tra Pittura e Scultura, soprattutto di artisti italiani, ma con apporti anche francesi e tedeschi, che sono testimonianza di quanto l’Italia divenne un centro di sviluppo del dibattito sul ruolo degli Intellettuali e degli Artisti nella nuova società, figlia della Rivoluzione Francese, ma in decisa controtendenza rispetto a essa. La nostra Penisola poté godere di questo ruolo grazie alle correnti di pensiero francesi e tedesche che, mediate dai rapporti che i Savoia e gli Asburgo avevano oltralpe, giunsero anche a Torino, a Milano e in Veneto, per poi espandersi a Roma e a Napoli, segnando gli sviluppi culturali e politici del nostro Paese. Varie delle opere esposte in mostra non sono mai state nel nostro Paese, ed è per questo motivo che la mostra milanese rappresenta un’occasione eccezionale.

Giuseppe Pietro Bagetti, Sacra di San Michele, 1825-30, Torino, Palazzo Reale
Giuseppe Pietro Bagetti, Sacra di San Michele, 1825-30, Torino, Palazzo Reale


Storicamente il Romanticismo ha due estremi temporali. La data d’inizio di questo fenomeno è il 1815, anno in cui, a Vienna, Inghilterra, Francia, Russia, Austria-Ungheria e Prussia si misero a un tavolo per ristabilire l’Ancien Regime, l’ordine monarchico abbattuto dalla Rivoluzione e dalle conquiste napoleoniche, mentre quella finale è il 1848, quando l’Europa venne sconvolta da moti borghesi, esattamente come lo era stato quanto visto nel 1789 in Francia, che decretarono la seconda fine delle monarchie assolute e sancirono la nascita degli Stati liberali.

Giuseppe Pietro Bagetti, Notturno con effetto di luna, 1820-30, Torino, Palazzo Reale
Giuseppe Pietro Bagetti, Notturno con effetto di luna, 1820-30, Torino, Palazzo Reale


All’interno di questo contesto si colloca la vicenda artistica e culturale del Romanticismo. Verrebbe da chiedersi “cosa è stato il Romanticismo?”. Darne una definizione è molto difficile e complesso, perché questo fenomeno ha avuto diverse sfaccettature a seconda del Paese in cui si è sviluppato, ma ha anche accentuato, per la prima volta, sforzi internazionali di collaborazione tra le Arti. Il Romanticismo, nelle Arti, prese le mosse dalla contestazione del primato razionalista del Neoclassico, affermatosi sotto Napoleone, e dalla rivalutazione del Medioevo, periodo considerato “oscuro” nel Seicento e nel Settecento, sulla spinta dell’iperbole barocca e del decorativismo trionfale rococò. Vennero rivalutate le forme artistiche medievali, archi a sesti acuti, volte ogivali e quant’altro, con una particolare predilezione per il Gotico. Non a caso, i primi fenomeni pre-romantici vennero dall’Inghilterra, dove l’architettura gotica non si era mai spenta del tutto, con le poesie di Thomas Gray e le incisioni di William Blake, in cui si mescolavano elementi onirici al recupero dell’architettura gotica e delle rovine delle antiche abbazie della campagna inglese. Anche in Germania, Caspar David Friedrich dipinse paesaggi mozzafiato della sua Greifswald, con tramonti eccezionali e occasioni di meditazione all’interno di rovine gotiche. In area tedesca, si coniò il termine Sturm und drang, ovvero quel tentativo titanico di raggiungere l’infinito attraverso la Natura ed, elemento nuovo, il sentimento. Il Romanticismo fu l’epoca dei Sentimenti, e, non a caso, l’amore fu il primo a essere rivalutato, all’interno di poesie e romanzi dedicati a tali temi.

Massimo D'Azeglio, Lo studio del pittore a Napoli, 1827 ca., Torino, GAM
Massimo D’Azeglio, Lo studio del pittore a Napoli, 1827 ca., Torino, GAM


Anche in Italia si rivalutò il Medioevo dopo la grande epoca barocca e neoclassica, che produsse geni da Bernini a Pietro da Cortona, da Tiepolo a Canova. Con un elemento in più: la Politica. Rivalutazione del Medioevo significava riprendere il periodo glorioso dell’epoca dei Comuni, in cui le città italiane si amministrarono da sole, liberandosi dai gioghi dei potenti stranieri. Quindi, per i Romantici nostrani, rivalutare il Medioevo significava lottare per liberare il Paese, e rendere l’Italia, come scrisse Mazzini “unica e indivisibile”, sotto una sola bandiera, contro i dominatori austriaci, contro il Papa e contro i Borbone al Sud. La rivalutazione italiana del Medioevo avvenne in chiave architettonica, specie nel Triveneto, con le opere di Selvatico (la chiesa di San Pietro a Trento) e Jappelli (il Caffè Pedrocchi a Padova), ma anche attraverso la Letteratura, con i romanzi e le opere teatrali, tra gli altri, di Manzoni, Tommaso Grossi e Giovanni Berchet, tutti attivi nella capitale romantica che fu la Milano austriaca del Primo Ottocento. L’elemento che, forse, caratterizzò maggiormente il Romanticismo italiano fu lo Storicismo: i nostri artisti assorbirono le caratteristiche delle tendenze estere, rivestendole, però, nella maggior parte dei casi, da patine di revival storico. Nacquero così le figure di Renzo e Lucia alla base dei Promessi Sposi, ma anche molte delle scene dipinte da Hayez e Molteni, nonché i grandi libretti per le opere, musicate, più tardi, da Verdi e Rossini. Anche in Italia i sentimenti entrarono nello scenario artistico e culturale, e l’amore fu il principale: ne divennero simboli i due amanti danteschi Paolo e Francesca, oppure Romeo e Giulietta ritratti da Hayez sullo sfondo di una Verona fiabesca.

Salvatore Fergola, Notturno a Capri, 1848, Napoli, Museo della Certosa di San Martino
Salvatore Fergola, Notturno a Capri, 1848, Napoli, Museo della Certosa di San Martino


Senza queste coordinate risulta difficile orientarsi in mostra. L’esposizione prende le mosse dalla rivalutazione della Natura e della realtà di Friedrich, con tre opere mai viste in Italia, affiancate ad altre, realistiche ma interiorizzate, del veronese Carlo Canella e di un giovane Massimo D’Azeglio, che, più tardi, sarebbe diventato genero di Manzoni, nonché uno dei patrioti padri dell’Unità d’Italia. Lo stesso D’Azeglio, insieme a Bagetti, rappresenta la sezione successiva, dedicata ai paesaggi piemontesi, dalla Natura incontaminata ma anche, dalle suggestioni britanniche, vista l’attrazione per i fenomeni atmosferici mediata dalla teoria del sublime di Blake. Tali elementi caratterizzano anche i paesaggi della terza sezione, opere di scuola lombarda, di artisti come il bergamasco Marco Gozzi, dal taglio scenografico e drammatico, ma anche dai colori intensi e scintillanti dei vigneti di Franciacorta ritratti dal genovese Giuseppe Bisi. Segue una parte dedicata alla notte, non più tenebrosa come la intendeva la pittura barocca erede di Caravaggio, ma come elemento onirico e di attrazione verso l’ignoto e l’infinito, come provano le vedute di Bagetti, del veneto Ippolito Caffi e del napoletano Salvatore Fergola. Un’altra sezione è dedicata a Napoli e al suo scenario unico al Mondo, al suo Golfo e al Vesuvio che domina la città e ne definisce lo scenario: vi sono esposte opere prevalentemente di artisti locali, come Fergola o Giacinto Gigante, o di stranieri come Pitloo o Scedrin, in cui venne immortalata la “Grande Bellezza” di una città e di un territorio unico al Mondo.

Salvatore Fergola, Tifone nel Golfo di Procida, 1842, Napoli, Palazzo Reale
Salvatore Fergola, Tifone nel Golfo di Procida, 1842, Napoli, Palazzo Reale


Dalla veduta di esterni si passa a quella di interni, molto contigua alla scena di genere ereditata dal Settecento e dalle prove veneziane dei Guardi e dei Longhi. Per i romantici, la veduta di interni divenne racconto realistico di vita vissuta all’interno di edifici e monumenti storici: è nata in questo modo la “Pittura Urbana” che, specie a Milano, tendeva a rappresentare scene quotidiane all’interno delle chiese della città. In mostra, sono testimonianze di questa fase le prove del bresciano Angelo Inganni e del piemontese Giovanni Migliara, che raffigurarono l’interno del Duomo di Milano pullulante di gente, secondo un’ottica civile di rivalutazione del nostro passato. Sempre all’interno di questo filone, si collocano le vedute dei Navigli, elemento caratterizzante di Milano, dello stesso Inganni, affiancate a scene di vita sui canali di Venezia e sulla Senna a Parigi, dipinte da Bisi, Canella e Caffi.

Caspar David Friedrich, Il sognatore, 1835, San Pietroburgo, Ermitage
Caspar David Friedrich, Il sognatore, 1835, San Pietroburgo, Ermitage


 

Caspar David Friedrich, Finestra sul parco, 1836-37, San Pietroburgo, Ermitage
Caspar David Friedrich, Finestra sul parco, 1836-37, San Pietroburgo, Ermitage


La passione per la Storia emerge nella successiva sezione dedicata ai Promessi Sposi. Alessandro Manzoni emerge come simbolo del Romanticismo per antonomasia, con il suo mix culturale di rivalutazione del Medioevo (evidente nella tragedia Adelchi), spirito cattolico e impeto per un’Italia unita. Di ritratti di Manzoni ne sono esposti tre, il più famoso e solenne di Hayez e quelli pensierosi e trasognati di Massimo D’Azeglio e di Giuseppe Molteni, accanto a opere che raffigurano i personaggi del romanzo manzoniano, tra cui spicca la bellissima Lucia di Eliseo Sala. Uno dei generi più significativi della Pittura romantica fu il ritratto, a cui è dedicata la sezione successiva; i nomi di spicco di tale genere sono Hayez e Molteni, insieme agli scultori Vincenzo Vela e Alessandro Puttinati. I loro ritratti non sono più pura ufficialità, come lo erano quelli settecenteschi di Reynolds o di Batoni, ma diventano specchi di sentimento, di interiorità, come prova la Contessa Teresa Zumali Marsili di Hayez, figura tutt’altro che ideale ma che manifesta forte personalità, oltre che un pizzico di malinconia. Alla donna, e in particolare al nudo femminile, preferito, per sensualità, a quello maschile, è dedicata la sezione apposita, in cui spicca la Schiava dell’Harem di Hayez, dallo sguardo distaccato, accanto all’Orgia di Torquato della Torre, opera di intento moralistico, come prova il teschio in basso, ma anche di forte carica erotica. Il trait d’union con la sezione dedicata alla Pittura sacra è la fantastica Meditazione di Hayez, in cui l’elemento erotico, espresso dai capelli corvini e dai seni candidi, si fonde con lo sguardo malinconico e con il volto rigato dalle lacrime di Maria, simbolo di una nuova visione, più umana e meno canonica, della scena sacra. Sul campo del sacro si mosse Manzoni, a definire una nuova visione della Fede e della Provvidenza, ma anche gli artisti romantici seppero rivalutare le scene “da chiesa” e bibliche in un’ottica meno ieratica e più sentimentale, come provano le quattro versioni dell’Educazione della Vergine di Trecourt, Carnovali, Coghetti e De Albertis. In quest’ottica di umanità, i Romantici seppero dare dignità agli ultimi, al proletariato urbano, il cui riscatto sarebbe stata una delle basi filosofiche e antropologiche della seconda metà del XIX secolo: la miglior prova di ciò sono i ritratti degli Spazzacamini di Molteni, neri di fuliggine ma profondamente umani, quanto gli altezzosi aristocratici ritratti dallo stesso e da Hayez.

Francesco Hayez, La Meditazione, 1851, Verona, Galleria d'Arte Moderna
Francesco Hayez, La Meditazione, 1851, Verona, Galleria d’Arte Moderna


 

Francesco Hayez, Ritratto della contessa Teresa Zumali Marsili con il figlio Giuseppe, 1833, Lodi, Museo Civico
Francesco Hayez, Ritratto della contessa Teresa Zumali Marsili con il figlio Giuseppe, 1833, Lodi, Museo Civico


 

Francesco Hayez, L'Innominato, 1845, Collezione Privata
Francesco Hayez, L’Innominato, 1845, Collezione Privata


 

Eliseo Sala, Lucia Mondella guarda dalla finestra se ritorna il suo fidanzato nel giorno stabilito per le nozze, 1843, Collezione Privata
Eliseo Sala, Lucia Mondella guarda dalla finestra se ritorna il suo fidanzato nel giorno stabilito per le nozze, 1843, Collezione Privata


L’ultima sezione è dedicata alla Pittura di Storia, tema romantico per antonomasia, in cui spiccano eroi simbolo della lotta sentimentale (Romeo e Giulietta) e per la libertà politica (Caterina Cornaro) ritratti da Hayez accanto ad altre figure, come il patriota greco Marco Botzaris, ritratto da Lipparini, Riccardino Langosco, di Pasquale Massacra, o Francesco Ferrucci, immortalato da De Albertis, le cui scene di martirio prefigurano il sacrificio che ogni uomo doveva essere disposto a fare per combattere l’oppressore, cacciarlo e realizzare il sogno dell’Unità d’Italia.

Francesco Podesti, Il Tasso declama la "Gerusalemme liberata" alla Corte estense, 1831-34, Ancona, Pinacoteca Civica
Francesco Podesti, Il Tasso declama la “Gerusalemme liberata” alla Corte estense, 1831-34, Ancona, Pinacoteca Civica


L’appendice, al Museo Poldi Pezzoli, ruota intorno alla figura dell’artista, ma si ricollega alla Pittura di Storia attraverso raffigurazioni di grandi italiani, come Torquato Tasso, Francesco Petrarca e Raffaello, opere del marchigiano Francesco Podesti e del ligure Gaetano Gandolfi, che sono, sì, scene in costume, frutto di storicismo, ma anche racconti di gloria di qualcuno che, in passato, aveva reso onore al nostro Paese con i suoi servigi letterari e artistici. Capolavoro di Luigi Mussini è il Trionfo della Libertà, opera manifesto e simbolo del Romanticismo, con tutti i grandi dell’umanità, da Platone a Dante, da Colombo a Galileo, in adorazione davanti al simulacro che rappresenta l’ideale romantico per eccellenza, il cammino verso il progresso. Sono, poi, esposti, alcuni autoritratti, da quello eroico e già bohemien del romagnolo Tommaso Minardi nel suo studio a quello tra amici di un beffardo Hayez, insieme a quelli curiosi di Guardabassi, con un pappagallo e del bolognese Guardassoni con una delle prime raffigurazioni dello strumento che avrebbe posto la parola fine a questo genere pittorico: una macchina fotografica.

Francesco Hayez, Autoritratto in un gruppo di amici, 1827, Milano, Museo Poldi Pezzoli
Francesco Hayez, Autoritratto in un gruppo di amici, 1827, Milano, Museo Poldi Pezzoli


Concludono la mostra le raffigurazioni dei moti del 1848, tra cui spicca, per crudezza e commovente semplicità, la Trasteverina colpita da una bomba di Gerolamo Induno, opera di denuncia degli orrori della guerra, che, già allora, indignava e raccoglieva, anche tra gli artisti, impeti pacifisti.

Giuseppe Molteni, Un ragazzetto venditore di latte con una capra, 1837, Collezione Privata
Giuseppe Molteni, Un ragazzetto venditore di latte con una capra, 1837, Collezione Privata


 

Giuseppe Molteni, Ritratto della contessina Anna Pallavicino Trivulzio, 1848, Milano, Museo Poldi Pezzoli
Giuseppe Molteni, Ritratto della contessina Anna Pallavicino Trivulzio, 1848, Milano, Museo Poldi Pezzoli


Romanticismo
Gallerie d’Italia, Piazza della Scala 6, 20121 Milano – Museo Poldi Pezzoli, Via Manzoni 12, 20121 Milano
Orari: Gallerie d’Italia, 9.30-19.30 (giovedì fino alle 22.30, lunedì chiuso); Museo Poldi Pezzoli, 10.00-18.00 (giovedì fino alle 22.30, martedì chiuso)
Biglietti: 10,00 € accesso a una sola mostra; 7,00 € accesso alla seconda previa presentazione del biglietto della prima
Info: http://www.gallerieditalia.com/it/milano/mostra-romanticismo/

MILANO FASHION WEEK: VIVETTA, ROMANTICISMO IN PILLOLE

Se prediligete i look androgini e non amate perdervi in fronzoli e vezzi, astenetevi da quest’articolo. Era stata scelta lo scorso anno da Re Giorgio Armani per sfilare nel suo Armani Teatro; ora si riconferma come una delle designer più originali del panorama italiano. Lei è Vivetta Ponti, in arte Vivetta: non una neofita della moda, dal momento che le sue creazioni -dallo stile sofisticato e delicato- sono da anni in vendita nelle più prestigiose boutique del mondo, come la parigina Colette.

La designer umbra, classe 1977 e una lunga esperienza alle spalle in brand del calibro di Roberto Cavalli e Daniele Alessandrini, propone una full immersion nella femminilità più autentica con un tocco di chic parisien e tanta ironia per una collezione raffinata e fresca. Suggestioni anni Cinquanta nei volumi, in particolare nelle gonne a ruota, negli occhiali da diva e nei colori, dal rosa baby al light blue; omaggiano invece i Sixties gli abitini a trapezio declinati in delicate stampe vichy.

Fil rouge della collezione il gatto: gatti piacioni stesi sul divano fanno capolino dagli angoli di uno shift dress per inedite suggestioni surrealiste di sofisticata eleganza, o diventano inconsapevoli protagonisti di cammei dal sapore antico. Un tocco di romanticismo nei cigni innamorati, che ricordano i celebri disegni di Peynet, come anche nei fiorellini che tempestano abitini e gonne.

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Una collezione che trae spunto dagli scatti del fotografo dei divi, Slim Aarons, esimio rappresentante del jet set internazionale a cavallo tra gli anni Cinquanta e i Settanta. Indimenticabili le sue foto con i divi all’epoca più famosi intenti a sorseggiare cocktail a bordo piscina nelle loro ville hollywoodiane, che sprizzavano glamour da tuti i pori. Omaggi allo stile neoclassico di residenze come quella di C.Z.Guest vengono sapientemente riposti nei capi profilati con stampe che ricordano i fregi dei monumenti ellenistici.

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Sofisticata la scelta dei materiali usati: prevalgono il popeline, il crêpe de Chine e l’organza di seta. Dettagli iperfemminili negli abiti con gonna a ruota, nei fiocchi e nell’immancabile colletto, segno distintivo della maison. Per uno stile delizioso.

(Foto Madame Figaro)


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MILANO FASHION WEEK: ETRO, IL NUOVO LIBERTY

Romanticismo e suggestioni Liberty protagonisti della sfilata Etro, nell’ambito della Milan Fashion Week.

Un défilé caratterizzato da note dolci e delicate, per lunghi abiti a stampa floreale, nelle tonalità del rosa e del cipria. Margherite, le note profumate del mughetto e deliziose stampe bucoliche per capi che evocano suggestioni retrò.

Spunti botticelliani e mood folk per una collezione Primavera/Estate 2016 che prende spunto, per quanto concerne la palette cromatica, da certa tappezzeria pregiata di ispirazione Liberty: poesia, candore e memorie fanciullesche si coniugano in un mix di grande suggestione, per una collezione che ci riporta indietro nei nostri ricordi infantili.

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Abiti come tutù, nastri e scarpette da ballerina per lunghe gonne dal tessuto impalpabile e leggero. Mood bohemien per gli abiti lunghi di ispirazione Seventies, con il paisley che la fa da padrone. Ma è un Seventies rivisitato in chiave romantica, con tulle e lustrini, per una donna iperfemminile, quasi una ninfa silvestre dalle suggestioni Preraffaellite.

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Toni dégradé, maniche a kimono e nastri che impreziosiscono pantaloni leggeri. Etro riscopre la propria tradizione riuscendo mirabilmente a rinnovarsi. La sua donna è una principessa balcanica, con gioielli vintage e ruches, gilet e sovrapposizioni inedite di grande impatto stilistico. Il mood fiabesco si rivela vincente, per una Venere contemporanea.

(Foto Madame Figaro)


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