Patti Smith: la sacerdotessa del rock spegne 70 candeline

Spegne oggi 70 candeline Patti Smith, cantante e poetessa statunitense e icona musicale. Un carisma unico, intriso di suggestioni bohémien e una voce che, dagli anni Settanta ad oggi, non ha mai smesso di ammaliare. Maudite quanto basta per affascinare, Patti Smith è stata tra le protagoniste del proto-punk e della New Wave.

Inserita dalla rivista Rolling Stone al quarantasettesimo posto nella classifica dei 100 migliori artisti di tutti i tempi, camaleontica e ribelle, la sacerdotessa del rock ha attraversato indenne le mode e i tempi, ergendosi a profetessa, sibilla dall’aura mistica che, già nei lontani anni Sessanta, era proiettata in un futuro ancora incerto, che con la sua musica ha contribuito a concretizzare. Bellezza androgina, il suo amore per la poesia trascende gli angusti confini della nativa Chicago e la porta, ancora giovanissima, a New York. Icona punk, conferì alla musica rock suggestioni prese a prestito da quegli stessi poeti che amava tanto.

Patricia Lee Smith è nata a Chicago il 30 dicembre 1946, un lunedì come tanti, se non fosse per la bufera di neve che sconvolge la cittadina statunitense. Sua madre Beverly Smith era una cantante jazz che per sopravvivere aveva dovuto accantonare le proprie ambizioni lavorando come cameriera, mentre il padre Grant Smith era un macchinista negli impianti Honeywell. Prima di quattro figli, Patti trascorre la sua infanzia in povertà, sullo sfondo di un’America perbenista e bigotta. A quattordici anni la giovane è alta 1,75 cm per neanche 50 chili: presa in giro dai compagni di scuola per quel suo fisico pelle ed ossa, disegna, balla e scrive poesie, mentre trova un primo lavoro in fabbrica.

Patti Smith è nata a Chicago il 30 dicembre 1946
Patti Smith è nata a Chicago il 30 dicembre 1946


Patti Smith in uno scatto di Robert Mapplethorpe, 1987
Patti Smith in uno scatto di Robert Mapplethorpe, 1987


Uno scatto di Mapplethorpe risalente al 1975
Uno scatto di Mapplethorpe risalente al 1975


Patti Smith in una foto di Edie Steiner, 1976
Patti Smith in una foto di Edie Steiner, 1976


Appena diciannovenne, nel 1966 Patti resta incinta: il padre del figlio che porta in grembo è un diciassettenne. Troppo immaturo per assumersi le responsabilità di un figlio, il giovane non viene neanche coinvolto da Patti, che nell’anniversario del bombardamento di Guernica partorisce una bambina e la dà in adozione. Sola e senza lavoro, la giovane non può provvedere al mantenimento della figlia: lei, che sognava di diventare insegnante, viene allontanata dal college di Glassboro, New Jersey, e si ritrova senza una meta. “Decisi che non sarei tornata in fabbrica né a scuola. Sarei diventata un’artista. Avrei dimostrato il mio valore”. “Anche se non ho mai messo in dubbio che me ne sarei separata, ho imparato che concedere una vita e poi abbandonarla non è così facile”, dirà a proposito della decisione di abbandonare la bambina. Patti trova rifugio nella poesia, soprattutto nei versi dell’amato Rimbaud.

Nel 1967 decide di partire per New York, con una valigia scozzese gialla e rossa contenente qualche vestito e pochi ricordi. “Nessuno mi stava aspettando, tutto mi aspettava”, ricorderà così il suo arrivo nella Grande Mela. Alcuni suoi amici studiano al Pratt Institute, celebre scuola di arte e design di Brooklyn. Patti spera possano introdurla nel loro ambiente. Ma quando arriva in quella che dovrebbe essere casa loro, trova solo un ragazzo che dorme su un letto in ferro: riccioli bruni e collana di perline sul petto nudo, il ragazzo le sorride dolcemente ma Patti fugge da lì senza chiedergli nemmeno il suo nome. Il ragazzo è Robert Mapplethorpe: i due divideranno la casa e la vita. Ancora ignari del futuro che li attende e del rispettivo successo che otterranno -Patti nella musica e Robert nella fotografia- vivranno un rapporto che travalica l’amore e l’amicizia: anime complementari unite dai medesimi ideali, i due resteranno uniti per il resto della vita.


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La New York di fine anni Sessanta è crocevia di mondi e tendenze: qui si incontrano il rock & roll e il beat, il punk e il glam, in club come il Max’s Kansas City come nel mondo underground del CBGB. Patti scandaglia ogni libreria alla ricerca di un impiego: i libri sono il suo buen retiro, l’unico posto in cui si senta a suo agio. La ragazza non ha un soldo in tasca e vive per strada, dormendo dove capita, che si tratti dei vagoni della metropolitana o degli androni dei palazzi. Sognatrice e idealista, si nutre solo di parole e dei versi dei suoi amati poeti: accanto a Rimbaud, la giovane è ossessionata da Sylvia Plath. Spirituale e testarda, l’artista si è autodefinita “una semplice operaia delle parole”.

Proprio quando sta per arrendersi, è il fato a salvarla: Patti è disperata, vorrebbe tornare a casa a Chicago, ma non ha nemmeno i soldi per comprare il biglietto e sarà solo il fortuito ritrovamento di una borsetta dentro una cabina telefonica a permetterle di restare a New York. Patti, che ringrazierà per sempre quella sconosciuta benefattrice -come dichiara lei stessa in “Just Kids”, sua autobiografia edita da Feltrinelli, libro vincitore del National Book Award per la saggistica nel 2010- trova lavoro come cassiera in una delle librerie della catena Brentano, sulla Quinta Strada: qui vende gioielli etnici e manufatti d’artigianato. Quando un uomo molto più anziano le propone di salire a casa sua, la giovane viene salvata ancora una volta dal destino: “Mi guardai in giro con disperazione, incapace di rispondere a quella proposta, quando scorsi un giovane avvicinarsi. Fu come se uno squarcio di futuro si fosse aperto”. Il giovane bruno che fingerà di essere il suo ragazzo è ancora una volta Robert Mapplethorpe: da quel momento i due saranno inseparabili.

Patti Smith e Robert Mapplethorpe a Coney Island, 1969
Patti Smith e Robert Mapplethorpe a Coney Island, 1969


L'artista in uno scatto di Bruce Weber, anni Novanta
L’artista in uno scatto di Bruce Weber, anni Novanta


Patti Smith, foto di Judy Linn, 1969
Patti Smith, foto di Judy Linn, 1969


Patti recita poesie al Mercer Arts Center del Village, lavora inoltre come giornalista musicale e vola a Parigi sulle orme di Rimbaud e Verlaine. Nel 1975 nasce il Patti Smith Group: insieme a Lenny Kaye mette insieme una band di musicisti e dà vita ad uno spettacolo in cui unisce poesia e rock, dando ufficialmente inizio alla corrente New Wave della musica, che la vede come sua vestale. Arriva quindi Horses, il primo disco: la foto di copertina, che la immortala in camicia bianca maschile, è stata scattata da Mapplethorpe. “Io avevo in mente il mio aspetto. Lui aveva in mente la luce. Ancora oggi, quando la guardo, non vedo me stessa. Vedo noi”, ricorderà di quella giornata. L’obiettivo di Mapplethorpe, genio trasgressivo, scandirà ogni momento della vita dell’artista. Quando nel 1989 il fotografo muore, per complicanze dovute all’AIDS, per Patti è la fine di un’epoca: “Quando morì mi chiamò Edward. Il fratello minore di Robert. Diceva di avergli dato un ultimo bacio da parte mia, come mi aveva promesso. Sono rimasta immobile, paralizzata; poi, lentamente, come in sogno sono tornata alla sedia. In quel momento Tosca attaccava la grande aria Vissi d’arte. ‘Vissi d’arte, vissi d’amore’. Ho chiuso gli occhi e intrecciato le mani. La provvidenza aveva decretato che in quel modo gli avrei detto addio”.

Oltre ad essere considerata un’icona mondiale della musica rock, Patti Smith nel corso degli anni si è anche imposta come icona di stile: il suo stile apparentemente trasandato, all’insegna dell’effortlessy-chic, l’ha resa uno dei volti più amati dai fotografi di moda. Ad immortalarla, oltre a Mapplethorpe, anche Richard Avedon, Annie Leibovitz e Bruce Weber, solo per citarne alcuni. Quel suo fisico androgino ed esile (il ventre le si squarciò durante la prima gravidanza) e la personalità eclettica fin dagli esordi la resero una it girl ante litteram. Ancora oggi, alla veneranda età di 70 primavere, l’artista mostra fieramente un volto privo di ritocchi e un’eleganza degna di nota: rimandi grunge e suggestioni boho-chic caratterizzano il suo stile, dai capelli, sapientemente lasciati sale e pepe, alle giacche maschili indossate sopra i jeans, Patti Smith ha davvero molto da insegnare.

Prima alla Scala: lo stile, questo sconosciuto

È l’evento culturale più glamour e prestigioso, fulcro della tradizione italiana per antonomasia: in un Teatro alla Scala blindatissimo causa allarme attentati lo scorso 7 dicembre si è svolta la consueta Prima. Quest’anno è toccato alla Giovanna d’Arco di Giuseppe Verdi.

Il tempio della lirica, addobbato con dei gigli bianchi in omaggio alle vittime dell’attentato che ha avuto luogo a Parigi lo scorso 13 novembre, si è aperto al pubblico per un evento che da tradizione non smette di appassionare. Grande successo e ben undici minuti di applausi per Anna Netrebko, Francesco Meli e Devid Cecconi, protagonisti della rappresentazione di quest’anno, insieme a Riccardo Chailly, che ha diretto magistralmente l’Orchestra.

Con biglietti che hanno sfiorato la cifra record di 2.500 euro, la Prima alla Scala si riconferma come l’evento più esclusivo di Milano: appuntamento da non perdere assolutamente, sia per la crême che per le celebrities desiderose di apparire ad ogni costo, in barba agli allarmismi. Come di consueto largo a pellicce, gioielli vistosi, smoking passepartout. Ma la classe sembra essere ancora una volta la grande assente, tranne rare eccezioni. Non convince Agnese Landini Renzi: la professoressa non brilla in fatto di stile e neppure l’abito in pizzo nero disegnato per lei da Ermanno Scervino riesce nell’ardua impresa di conferire femminilità alla First Lady italiana. Nude look e appeal sofisticato per l’abito monospalla dalle preziose lavorazioni in pizzo: ma il sex appeal resta la grande incognita.

Mood tirolese tra maxi gonna in raso verde en pendant con inedito papillon e bolero in pelliccia dello stessa nuance: è apparsa così Daniela Santanchè, a fianco del compagno Alessandro Sallusti. La sua è stata la mise che in assoluto ha destato più clamore da parte dei media, che non hanno perso occasione di criticarne il look alquanto improbabile. La parlamentare dal canto suo si difende strenuamente e cita il designer reo di aver scelto per lei il bizzarro outfit: trattasi di Diego Dossola, titolare della boutique Ultrachic, di Milano. Lo stilista, classe 1975, originario di Vimercate, è titolare insieme alla socia Viola Baragiola, della boutique sita nel cuore di Milano: il piccolo atelier propone capi ironici e divertenti, ma la mise sfoggiata dalla Santanchè non convince assolutamente.





Certamente nella Prima alla Scala non ritroviamo più nulla o quasi del glamour che caratterizzava tale evento nei tempi andati: e se la massima del “less is more” non ha mai trovato grande seguito tra le attempate signore del foyer, convinte da sempre che la mera ostentazione sia sinonimo di stile, è pur vero che ormai le vestigia di un tempo sono solo un ricordo lontano: per rendersene conto basta osservare nel parterre una Efe Bal in Roberto Cavalli con scollatura hot, intenta ad auspicare il ritorno alle case chiuse e la solita Valeria Marini, che punta tutto sul sandalo in vista, tra un’esplosione di botox e glitter all over. Sabina Negri, ex compagna del ministro Calderoli, sfila in un improbabile abito da dark lady: completano il look una serie di tatuaggi che inneggerebbero a suo dire alle religioni monoteiste, simbolo di pace in tempo di guerra. Risaliamo la china del bon ton con Giovanna Salza, moglie di Corrado Passera, che sfoggia un abito nero profilato di viola con annessa mantella, mise funzionale a nascondere le forme arrotondate dalla gravidanza. Nel parterre della serata evento anche couturier storici come Renato Balestra e Raffaella Curiel.

Spiccano come perle rare in questo ambaradan Nathalie Dompè, aggraziata come poche in un Valentino dalle suggestioni surrealiste, e Margareth Madè in Armani: l’attrice è stata la più fotografata della serata, insieme al nuovo fidanzato, il collega Giuseppe Zeno, anche lui vestito Giorgio Armani. Total look white e consueta classe per l’etoile Carla Fracci ed eleganza d’altri tempi per Roberto Bolle.

Vincitrice morale della serata Patti Smith: la diva della musica New Wave sfida l’etichetta e il bigottismo imperante sfoggiando con ammirevole nonchalance un berretto di lana, tailleur pantaloni e anfibi dal mood country. In un tripudio di botox il suo viso marcato da qualche ruga e i lunghi capelli lasciati grigi incarnano la classe di chi non ha nulla da dimostrare e ci impartiscono una grande lezione di stile. Meditate.


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