Genius, il film sul più grande editore di tutti i tempi

Genius non è solo un film sul grande scrittore Thomas Wolfe o sul grande editore Maxwell Perkins, Genius è un film che parla di una grande amicizia, quella di una penna eccellente che ha ispirato scrittori della Beat Generation come Kerouac e del primo grande editor degli autori, lo scopritore di Hemingway, Fitzgerald, Wolfe e Caldwell.

Cos’è l’amicizia se non la scoperta di avere al mondo qualcuno con cui poter parlare la stessa lingua, un’anima simile che può comprendere i tuoi umori, assecondare i tuoi gusti ed esaltarli, scoprire in te le qualità più nascoste ed elogiarle, uno spirito neutro a cui poter confidare i tuoi più intimi segreti e gli stessi occhi con cui guardare le luci di un palazzo che si accendono la notte, commuovendosi per l’immensità e la potenza della vita?

E’ questo il tipo di amicizia che ha legato due grandi uomini del ‘900, in un’America fatta di sogni e speranze, di grandi autori distrutti, di vite spentesi troppo presto.

Se il genio sregolato di Thomas Wolfe non aveva mai avuto alcun amico al di fuori del suo editore, Perkins era invece noto per la sua cordialità e l’affabilità con cui trattava i suoi protetti; un legame nato sull’onda della voracità della parola. Wolfe sempre con la penna in mano a scrivere fiumi di righe, Perkins totalmente dedito al mestiere e dentro le storie che andava via via leggendo, tanto da dimenticarsi di togliere il cappello a tavola.

Chi ha aiutato l’altro? Wolfe ha dato a Perkins un grande libro da vendere, Perkins ha dato a Wolfe una carriera, la realizzazione di un sogno, la visione d’insieme che sono i libri sul mercato, fatti non solo di un unico pugno, ma della maestria di una figura che sta nel backstage, per l’appunto l’editore. Un editore che taglia, che lima, che strappa parole che hanno fatto male nel venir fuori, che “arrivano dalle budella” come dice lo scrittore nel film di Michael Grandage, ma che grazie al rimodernamento di un professionista, diventano dei bestseller.

Genius è un bel film, non solo per l’eccellenza attoriale di Colin Firth (Max Perkins), che ha anche il dono di avere un viso amabile, ma perchè ci ricorda che esistevano (ne esistono oggi? Forse un paio) ancora degli editori interessati all’arte, alla letteratura, alla forza della parola, alla speranza che un libro potesse cambiare i pensieri, e modellare le anime oggi domani e nei secoli a venire. Oggi le grandi case editrici si sono date al gossip e all’influencer marketing. Cosa insegnamo, cosa impariamo, cosa ci rimane di tutta questa carta straccia? Dove sono i nuovi Roth, le piccole Plath?



Genius è un film del 2016 diretto da Michael Grandage
con Colin Firth, Jude Law e Nicole Kidman

Cosa dice la riforma dell’editoria e dell’informazione?

Questo è il quadro del mondo dell’informazione in cui ci troviamo. [Il nuovo mondo dell’informazione]
E in questo quadro si inserisce il progetto di riforma del governo, che riguarda l’intero settore.


Rampi (relatore della legge delega) concorda con la necessità di « arrivare in fretta all’approvazione perché è una legge che il settore, fortemente provato dalla crisi, aspetta da anni. Crediamo di aver svolto un bel lavoro, arrivando a un testo che riguarda tutto il sistema: dalle agenzie ai piccoli e grandi editori, oltre alle tv e al sistema di distribuzione».
Anche in considerazione del fatto che ci sono alcune scadenze, in particolare per il rinnovo del Consiglio dell’Ordine dei giornalisti, oggetto di una nuova disciplina e per promulgare i decreti attuativi in materia di assegnazione dei contributi: «Il governo ha otto mesi di tempo per i decreti attuativi, ma – avverte Rampi – bisognerebbe fare in fretta e tentare di approvarli entro la fine dell’anno».


L’art. 1 istituisce il Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione, con le risorse statali già destinate all’editoria e all’emittenza locale, con un contributo di solidarietà a carico delle società concessionarie di raccolta pubblicitaria e per una parte, fino a un massimo di cento milioni, dalle maggiori entrate del canone Rai. Sono ammesse al finanziamento le cooperative di giornalisti, gli enti senza fini di lucro, le imprese editrici espressione delle minoranze linguistiche, i periodici per non vedenti, le associazioni per i consumatori, i giornali in lingua italiana diffusi all’estero.


In sostanza – sempre tenendo conto del quadro descritto – la legge di riforma dell’editoria periodica non mette un euro in più per finanziare né l’editoria in sé (poco male) né per traghettare un settore fondamentale come quello dell’informazione verso “innovazione e pluralismo”.
Quello che fa semmai è spostare risorse in un unico fondo, cogestito per competenze tra MEF e Presidenza del Consiglio.
Questo fondo avrà meno risorse provenienti dalla fiscalità generale e più risorse dirette, ad esempio tramite “maggiori entrate del canone Rai”.
Intanto, come aveva già chiarito Festuccia su La Stampa, chi pensava che con la riforma del sistema di pagamento del canone (tendenzialmente verso l’evasione zero) sarebbero arrivate più risorse al servizio pubblico si sbaglia di grosso. Ma va anche ricordato che quelle risorse sono tecnicamente già impegnate.
“La legge di stabilità, infatti, “consegnata” dal governo ai senatori di Palazzo Madama sancisce che del gettito recuperato dall’evasione del canone Rai nelle casse di viale Mazzini non entrerà nemmeno un euro. Neanche un soldo degli oltre 450milioni stimati dal recupero dell’imposta nelle bolletta elettrica. La manovra finanziaria per il 2016 prevede, infatti, (articolo 10, comma 8) che le eventuali maggiori entrate rispetto alle previsioni di bilancio (circa un miliardo 730milioni) andranno in un apposito fondo dello Stato per la riduzione della pressione fiscale.”


In relazione sempre al canone va citato anche quanto ha ricordato Beppe Lopez sul Fatto “il ricavato del canone va sì, in effetti, alla Rai ma solo in base a una ripartizione del monte-risorse complessive del settore – determinata dalle normative ad personam, a cominciare dalla Gasparri – che consente a Mediaset di incassare tutta la pubblicità che vuole e può, e alla Rai appunto di incassare il canone e, con un tetto, la pubblicità. In sostanza, il canone va così al ‘sistema’ e, indirettamente, anche agli altri soggetti del sistema, a cominciare da Mediaset, che non a caso ha sempre registrato ricavi (con la pubblicità) complessivamente equivalenti quando più alti di quelli complessivi della Rai (canone più pubblicità). Anche nel 2012 Mediaset si è così accaparrato il 63% dell’intero mercato pubblicitario televisivo, vale a dire miliardi 2,048 e la Rai solo il 21%, vale a dire 680 milioni. Situazione che prevede, appunto, che ad essa vada in compenso il miliardo e mezzo annuale del canone. Con tutto questo non si vuol dire che il canone sia bello e giusto. O che la Rai sia il migliore dei servizi pubblici radiotelevisivi. Ma più semplicemente, perché si sappia e si tenga presente, che con quel canone non paghiamo solo per la ricezione dei programmi Rai ma ci abboniamo ‘alla televisione’ nel suo complesso, e che di esso ha beneficiato in tutti questi anni e continua a beneficiare di fatto la Tv di Berlusconi.”
Va anche ricordato che il canone non è un fondo che la Rai può utilizzare come liberamente crede; tra gli obblighi di legge deve finanziare prodotti audiovisivi e cinematografia nazionale, e negli anni ha creato quell’infrastruttura di ponti e ripetitori che – in quanto servizio pubblico – deve offrire sul mercato anche ai suoi concorrenti.
Decisamente un bel risparmio per loro: pagare a RaiWay un piccolo canone invece di dover sostenere ex novo un enorme investimento infrastrutturale e doverne anche pagare i costi di manutenzione e aggiornamento.


Quindi, da una “epocale legge di riforma” dell’editoria e dell’informazione, forse la prima cosa che manca davvero è una riforma radicale di un sistema che non sta in piedi, ed in cui la Rai viene penalizzata non potendo essere “libera di operare sul mercato” e in cui non potrà beneficiare di un solo euro dell’evasione recuperata.
E forse in questo senso va anche il tetto massimo degli stipendi ai dirigenti. Se la Rai deve competere con Mediaset e Sky verrebbe da chiedersi i loro dirigenti, omologhi per ruolo, quanto guadagnino, perché mettere un tetto è un sistema “grazioso” per allontanare chi produce e vale di più verso il sistema privato. Semmai ben altro sarebbe stato chiedere ai dirigenti “altrettanta produttività”, esattamente secondo i parametri delle concorrenti private.


Va infine menzionato un punto presente nella delega, ovvero che il finanziamento non potrà essere superiore al 50% dei ricavi. Premesso che parliamo di un settore in crisi, e che i finanziamenti dovrebbero andare a cooperative e soggetti no-profit, se consideriamo che sino al 2015 il parametro erano i costi, tecnicamente si tratta di dimezzare il contributo. Il che può anche essere una scelta politica ed economica – basta dichiararlo – ma mal si concilia con il concetto di “fondo per l’innovazione”, che invece dovrebbe prevedere un contributo specifico a questo scopo, e non parametrato secondo criteri “non di scopo”.
Peggio se parliamo di fondo “per il pluralismo”. Dimezzare il contributo ai piccoli giornali di fatto significa avvantaggiare i grandi gruppi, che nella peggiore delle ipotesi potranno acquisire testate locali a prezzi di saldo, nella migliore faranno fuori gratis ogni possibile concorrenza sul territorio.


Tutto questo sul solo articolo 1. 
Perché di fatto i restanti articoli sono deleghe al Governo – nello specifico Luca Lotti che ha la delega per materia – a presentare un disegno di legge “per ridefinire la disciplina del sostegno pubblico per il settore dell’editoria e dell’emittenza locale, per riordinare la disciplina pensionistica dei giornalisti, che dovrà allinearsi con la disciplina generale, e per razionalizzare composizione e competenze del Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti.” (art 2).
L’art. 3, detta disposizioni per il riordino dei contributi alle imprese editrici; l’art. 4 introduce un riferimento all’equo compenso dei giornalisti; l’art.5 punisce l’esercizio abusivo della professione di giornalista; l’art. 6 detta nuove disposizioni per la vendita dei giornali, prevedendo la liberalizzazione degli orari e dei punti vendita.


In pratica ridefinire la disciplina del sostegno pubblico per il settore dell’editoria e dell’emittenza locale, significa una nuova regolamentazione del fondo di cui all’art.1. Semmai prevedendo un contributo a scalare nel tempo e finanziando la digitalizzazione. Quindi più fondi al web di cooperative di giornalisti ed enti senza fini di lucro.
In pratica riordinare la disciplina pensionistica dei giornalisti, che dovra’ allinearsi con la disciplina generale, significa un’insieme di norme che – di fatto – dovrebbe portare non solo a uniformare le età di pensionamento ma anche i modi e le forme e l’entità delle pensioni, sino all’incorporazione dell’INPGI in INPS. Almeno, questo potrebbe essere, e dipenderà dal disegno di legge.
Infine razionalizzare composizione e competenze del Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti.
E qui non si comprende bene in che modo un Governo possa entrare nel merito di “quanti” (e quindi quali) e in che modo, forma e percentuali debbano essere i membri del consiglio di un ordine professionale autonomo. Né si comprende se sia prevista o in previsione un’attribuzione di poteri sanzionatori “veri” nei confronti delle violazioni – ad esempio – del codice deontologico, nè quali ripercussioni e valenza giuridica queste sanzioni possano avere.
E mentre l’articolo 6 sostanzialmente parla delle edicole, ma niente dice su realtà in cui di fatto la distribuzione intermedia (tra distributore nazione ed edicole) è in regime di monopolio. Peggio, non interviene nemmeno per riordinare tutte le “clausole transitorie” e le sperimentazioni diffusionali che si sono accumulate in quarant’anni.
Questo significa che si, l’edicolante può avere orari più flessibili, ma continuerà ad essere obbligato a “acquistare comunque” un tot di copie dei grandi giornali (anche se non le vende), dovrà comunque – se vuole gli allegati – pagarli tutti senza reso, dovrà accettare localmente che il distributore unico gli imponga di fatto fatturati minimi sugli editori “che dice lui”, eccetera.
E questo a discapito del pluralismo, dell’informazione, e della condizione per cui tutti dovrebbero essere messi nelle stesse condizioni di competere.


Il migliore articolo resta il 5.
Art. 5.(Esercizio della professione di giornalista)
1. L’articolo 45 della legge 3 febbraio 1963, n. 69, è sostituito dal seguente:
«Nessuno può assumere il titolo né esercitare la professione di giornalista, se non è iscritto nell’elenco dei professionisti ovvero in quello dei pubblicisti dell’albo istituito presso l’Ordine regionale o interregionale competente. La violazione della disposizione del primo periodo è punita a norma degli articoli 348 e 498 del codice penale, ove il fatto non costituisca un reato più grave».
Ora, passi “l’attribuirsi il titolo”, ma nel 2016, nell’era del web, in questo tempo in cui tutti di fatto sono “creatori di contenuti” e le piattaforme social sono di fatto “strumenti di pubblicazione e diffusione di contenuti”, e in un tempo in cui puoi aprire un blog e aggiornarlo tutti i giorni, gratis e in pochi click (e qualche volta anche nel più completo anonimato) esattamente la legge cosa intende per “esercitare la professione di giornalista”.
Significa che se scrivo su un giornale, se pubblico su un sito che è registrato come testata periodica online, ove mai venissi pagato, starei esercitando abusivamente la professione di giornalista, per il solo fatto di non essere iscritto all’Ordine?
Vorrei capirlo, e saperlo, perché questa è praticamente l’unica norma in approvazione definitiva, che non attende la legge delega, e non attende regolamenti attuativi.

Mondadori acquista Banzai Media e diventa il primo editore digitale in Italia

Ieri è stata una giornata storica per l’editoria italiana: siglato l’accordo milionario tra Arnoldo Mondadori Editore e Banzai per l’acquisto della divisione media della società. La casa editrice di Segrate ha acquisito così network come Pianetadonna, Giallozafferano, Studenti.it, Mypersonaltrainer, per un pubblico totale di 17,1 milioni di utenti unici, che si aggiungono agli 8,9 del gruppo Mondadori e che gli permettono di diventare il maggior editore italiano anche nel digitale. «Siamo particolarmente orgogliosi di aver raggiunto un altro importante traguardo nel piano di sviluppo di Mondadori dopo l’operazione Rizzoli Libri – afferma Ernesto Mauri, amministratore delegato del Gruppo Mondadoriche ci consolida nella posizione di primo gruppo editoriale italiano. In questi mesi stiamo vivendo una nuova fase di crescita, finalizzata all’ulteriore rafforzamento delle nostre attività strategiche: i libri e i magazine».


Banzai ha ceduto il suo comparto media – ad eccezione del settore news di cui fanno parte ilPost e Giornalettismo – per 41 milioni di euro più altri 4 earn-out, ovvero premi che verranno pagati al raggiungimento di obiettivi futuriLa società può così concentrarsi sull’attività di e-commerce, che cresce esponenzialmente in Italia come rivela l’amministratore delegato di Banzai Pietro Scott Jovane. «Banzai si concentra sull’e-commerce – afferma – la nostra strategia viene ulteriormente rafforzata dai proventi della cessione di Banzai media holding. Dotiamo quindi il nostro gruppo e-commerce di risorse determinanti per accelerare la crescita, anche alla luce degli incoraggianti dati di sviluppo del mercato del commercio elettronico che in Italia è atteso crescere nei prossimi cinque anni, sopra la media di Francia, Regno Unito e Germania». E intanto Mondadori assume la leadership indiscussa nei verticali women, food, wellness, confermandosi maggior gruppo editoriale d’Italia. La casa editrice di Marina Berlusconi si prepara a una fase di cambiamento, con un’evidente attenzione verso il pubblico digitale. «Oggi – prosegue Mauri – abbiamo concluso un’operazione che ci darà un deciso impulso nel digitale, indispensabile per far evolvere i nostri magazine. L’acquisizione di Banzai Media Holding ci permette di accelerare il processo di trasformazione del nostro Gruppo».

Addio ad Edmonde Charles-Roux, biografa di Chanel

Il giornalismo di moda perde una delle sue firme più autorevoli: si è spenta a Marsiglia, all’età di 95 anni, Edmonde Charles-Roux. Pioniera della comunicazione di moda e costume e scrittrice di fama mondiale, Edmonde Charles-Roux è stata una storica editor di Vogue Paris ed uno dei padri fondatori della rivista Elle.

Un’infanzia trascorsa tra Roma e Praga, a seguito del padre, François Charles-Roux, ambasciatore membro dell’ Institut de France e ultimo presidente della Compagnia del Canale di Suez, la Seconda Guerra Mondiale la vide servire la patria come infermiera volontaria, prima di prender parte alla Resistenza. Decorata con la Croce di guerra, riceverà anche la Legion d’Onore.

La carriera di Edmonde inizia nel 1946, quando la giovane fu assunta dalla neonata rivista Elle, di cui divenne in breve la firma più celebre. Nel 1950 passò a Vogue Paris, la Bibbia della Moda, assumendo quattro anni più tardi, nel 1954, il prestigioso incarico di editor-in-chief. Talent scout ante litteram, mise in luce il talento di fotografi del calibro di Irving Penn e Guy Bourdin, contribuendo col suo lavoro alla fama di Christian DiorYves Saint Laurent ed Emanuel Ungaro. Nel 1966 fu cacciata da Vogue, con l’accusa di aver messo in copertina una modella di colore, all’epoca fatto scandaloso. Nello stesso anno esordì come scrittrice, con il celebre romanzo Oublier Palerme (tradotto in italiano da Rizzoli col titolo di Dimenticare Palermo), da cui nel 1989 Francesco Rosi trasse l’omonimo film. Quest’opera le valse il Prix Goncourt, uno dei premi letterari più prestigiosi.

Edmonde Charles-Roux ritratta da Irving Penn
Edmonde Charles-Roux in un celebre scatto di Irving Penn


Seguì la biografia di mademoiselle Coco Chanel, donna che da sempre affascinava Edmonde. È il 1974 quando la giornalista pubblica L’Irrégulière ou mon itinéraire Chanel: della celebre stilista Edmonde amava soprattutto la libertà e l’emancipazione, gli stessi elementi che oggi il ministro francese della cultura, Fleur Pellerin, esalta in lei. Nel 2004 un nuovo volume dedicato a Chanel, dal titolo Le Temps Chanel. Presidente dell’Académie Goncourt dal 2002 al 2014, Edmonde era vedova dell’ex ministro dell’Interno Gaston Deferre, del governo Mitterand. Definita da Didier Grumbach, ex presidente della Federazione della della moda francese, come “la gran dama della moda” e ammirata universalmente per la sua cultura e il suo stile, Bernard Henry Lévy ha detto di lei: “Che stile! Che allure!”. “Per me, la moda non è mai stata una cosa frivola”, scriveva la giornalista nel lontano 1967. Un concetto che fa riflettere, soprattutto se a dirlo era una donna di tale cultura. I funerali di Edmonde Charles-Roux sono stati celebrati oggi nella sua Marsiglia.

Più libri più liberi, la fiera nazionale della piccola e media editoria

Giunta ormai alla sua quattordicesima edizione e promossa dall’AIE – Associazione italiana editori, la Fiera nazionale della piccola e media editoria “Più libri,più liberi” è diventata ormai un appuntamento imperdibile dell’inverno romano per parlare dello stato di salute e delle cifre dell’editoria italiana, delle recenti pubblicazioni, di nuovi progetti editoriali, e di come avvicinare sempre di più i libri alle persone. La fiera, in scena dal 4 all’8 dicembre presso il Palazzo dei Congressi dell’Eur di Roma, sarà ancora una volta un spazio privilegiato, un osservatorio sulla varietà della produzione editoriale italiana. Quest’anno il foltissimo programma della cinque giorni che, avrà più di 300 eventi nelle 8 sale adibite, si snoda ogni giorno su una parola-chiave diversa che trainerà il pubblico e gli addetti ai lavori verso la situazione libraria nostrana.

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I temi che fanno da “copertine” alle varie giornate saranno Concentrazioni, Valore, Innovazione, Autore e Collaborazioni, per ricordare che i cambiamenti e le trasformazioni del panorama editoriale italiano non sono eventi singoli e scollegati, ma una serie di trasformazioni concatenate che influenzano tutti gli ambiti della catena editoriale.



I dibattiti saranno di fatto grandi occasioni per discutere sulla ricerca di nuovi autori, anche in contesti internazionali, sulla necessità da parte delle piccole realtà di emergere anche attraverso un uso sapiente dell’innovazione sia per quanto riguarda i processi produttivi che i modelli di business. La fiera inoltre offrirà ai visitatori la possibilità di incontrare gli autori italiani e stranieri più amati dal pubblico, nuove promesse letterari internazionali, intellettuali, saggisti, fumettisti, youtubers, e non solo, tutti presenti per interagire con il pubblico attraverso tavole rotonde, presentazioni editoriali, laboratori per ragazzi, conferenze, reading, e spettacoli.

Una manifestazione basata su un approccio trasversale che riunisce mondi che sembrano lontani ma tutti accomunati da un filo comune: l’amore per i libri. Tra i protagonisti italiani troveremo Erri De Luca, che proporrà un discorso sulla libertà di parola, l’amatissimo autore delle avventure del Commissario Montalbano, Andrea Camilleri, e ancora Niccolò Ammaniti, Dacia Maraini, Marco Balzano (Premio Campiello 2015), Ascanio Celestini, e moltissimi altri. 


L’evento al suo interno tra le numerose iniziative, celebrerà attraverso una serie di omaggi e approfondimenti i quarant’ anni dalla scomparsa di Pierpaolo Pasolini, scrittore e regista visionario ed eclettico, una delle figure più influenti e indimenticabili della scena culturale italiana.Un evento che come ogni anno si offre come ponte e luogo di incontro tra le imprese editoriali e il pubblico, come momento di riflessione per gli studiosi su un medium, il libro, che ogni volta sembra sul punto di svanire a favore di supporti digitali, ma che alla fine continua ad attrarre e a sostenere come un amico fidato le persone nella loro piccola quotidianità.