Velier e Billecart-Salmon, disobbedienti a Identità Golose 2024

Velier e Billecart-Salmon, disobbedienti a Identità Golose 2024

Il distributore genovese e la maison di Champagne hanno portato abbinamenti e idee audaci nei laboratori del Congresso di Alta Cucina più importante d’Italia

Dal 9 all’11 marzo si è svolta al Mico di Milano la 19esima edizione di Identità Golose, il Congresso internazionale di alta cucina, pasticceria, mixology e servizio di sala. Il tema scelto per il 2024 era “Non esiste innovazione senza disobbedienza”, un tema molto caro a Velier che, assieme a Champagne Billecart-Salmon, ha convintamente rinnovato l’impegno a fianco di Identità Golose come Main Sponsor. Ecco i momenti salienti di questa edizione:

Identità di Pizza

Nella giornata di sabato 9 marzo Billecart-Salmon è stato protagonista negli showcooking di Identità di Pizza. Billecart Rosè sans Année e Blanc de Blanc sans année, presentati da Antoine Roland-Billecart in persona (sesta generazione oggi a capo della maison), sono stati abbinati in maniera insolita e “disobbediente” alle creazioni di sette grandi maestri pizzaioli. Se fino a qualche anno fa accostare pizza e champagne era considerato un gesto eretico, oggi gli addetti ai lavori si sono definitivamente convinti della bontà di questo matrimonio. Ciò che resta da fare nei prossimi anni è l’enorme lavoro di comunicazione di questa opportunità agli amanti della pizza, sia essa napoletana, contemporanea o gourmet. Ad ogni modo ciò che si è visto a Identità di Pizza 2024 ha dimostrato una volta di più che quando due tradizioni nobili si incontrano, sono in grado di stabilire nuove connessioni e suggestioni, elevandosi a vicenda.

I maestri pizzaioli presenti:

Irina Steccanella – Irina Trattoria Pizzeria 

Antonio Pappalardo – La Cascina dei Sapori

Francesco Capece – Confine Pizza e Cantina 

Davide Longoni – Panificio Davide Longoni

Vincenzo Capuano – Pizzeria Vincenzo Capuano 

Giuseppe Cutraro – Peppe Pizzeria 

Ciro Salvo – 50 Kalò di Ciro Salvo 

Identità Vegetali

Lunedì 11 marzo è stata invece la volta di Identità Vegetali, con sei chef affermati a proporre la loro visione del mondo vegetale nel piatto. Velier ha invece selezionato dal suo catalogo alcuni dei migliori distillati e liquori al mondo, per farli dialogare “a tutto pasto” con la cucina vegetariana. È stato Angelo Canessa, Mixology Manager di Velier, a portare in tavola una proposta eclettica, sia nelle temperature di servizio che nelle dosi (da poche gocce diluite in acqua, alla mixology alla bevuta liscia). Una serie di abbinamenti concettuali, prima ancora che sensoriali, partendo dall’assunto comune che oggi innovare, avere una visione sul futuro, significa paradossalmente ancorarsi a valori antichi, in distilleria come in cucina: artigianalità, autenticità, comprensione e rispetto del mondo naturale.

Chef presenti e gli abbinamenti:

  • Davide Caranchini, Materia ristorante con Calvados Christian Drouin (distillato a base di mela)
  • Tiziana Cappiello, Il Balcone con Tequila Fortaleza (distillato a base di agave)
  • Francesco Vincenzi, Franceschetta 58 con Chartreuse (liquore a base di erbe)
  • Ariel Hagen, Borgo Santo Pietro Saporium con The Balvenie Scotch Whisky (distillato a base di orzo)
  • Michele Cobuzzi Chef, Anima – Milano Verticale UNA Esperienze con Clairin e J. Bally (distillati a base di canna da zucchero)
  • Riccardo Monco e Alessandro Comasina, Enoteca Pinchiorri con Gin Engine (distillato a base di ginepro, salvia e limone)

Champagne Billecart Salmon & Riso Vignola

La cornice di Identità Golose è stata inoltre propizia anche per mettere in pratica una collaborazione stimolante tra la grande maison francese e Riso Vignola, due aziende familiari dalla storia secolare. Durante i tre giorni di fiera, sei chef hanno interpretato varie tipologie di riso dell’azienda alessandrina, servite assieme ai migliori champagne Billecart-Salmon.

Gli chef presenti:

  • Lucrezia Giletti e Luca Pellegrini – Ristorante Condividere
  • Stefano Callegari – Trapizzino
  • Martino Leone – Ristorante Ristorantino 
  • Davide Di Fabio – Ristorante Dalla Gioconda
  • Marco Moroni – Ristorante White Marmot
  • Ariel Hagen e Giulio Izzo – Trattoria Sull’Albero Borgo Santo Pietro

About Billecart-Salmon

Fondata nel 1818 a Mareuil-sur-Ay, nella Marna, la Maison Billecart-Salmon nasce dal matrimonio tra Nicolas François Billecart ed Elisabeth Salmon: un’unione tra famiglie che ancora oggi, dopo sette generazioni, rimane fedele all’impegno di privilegiare la qualità e puntare all’eccellenza nella produzione dello champagne tra i più riconosciuti e apprezzati al mondo. Lo champagne della Maison è il frutto del savoir-faire dei suoi uomini, che si prendono cura di una tenuta di 100 ettari

Le uve provengono da 40 cru della Champagne, piantati su una superficie totale di 200 ettari, 15 dei quali sono coltivati seguendo il disciplinare biologico. Gran parte delle uve per la vinificazione è coltivata in un raggio di 20 chilometri intorno al comune di Épernay, un territorio che si estende tra la Montagna di Reims, la Côte des Blancs e la Valle della Marna, in cui coesistono i grand cru di Pinot Noir, Chardonnay e Pinot Meunier. Presso la Maison, il 75% delle uve è Premier cru o Grand cru, vale a dire le più alte classificazioni possibili per la produzione.

Billecart-Salmon usa metodi di vinificazione ancestrali, combinando quindi le tecniche più antiche con le più avanzate tecnologie enologiche. Negli anni ’50, la Maison è stata la prima a introdurre la tecnica della sfecciatura a freddo e l’utilizzo di tini in acciaio inox per una fermentazione più lunga a bassa temperatura. I lieviti utilizzati sono selezionati da un ceppo isolato, seguendo dunque un metodo che non ha eguali nel mondo dello champagne. La tinaia utilizza principalmente 80 tini termoregolati di piccole dimensioni, che consentono di osservare la tracciabilità dei vitigni e delle parcelle. Questo tipo di vinificazione cru per cru e vitigno per vitigno, oltre a garantire una tracciabilità costante, consente di preservare tutte le peculiarità del terroir. Le vinificazioni avvengono invece rigorosamente secondo tradizione, in piccoli fusti di legno da cinquanta ettolitri.

Le cantine di gesso della Maison sono state scavate nel 1840, e dal XIX secolo i loro 2,8 chilometri di corridoi ospitano 24 foudre e 400 botti, ognuna delle quali è stata selezionata e prodotta con cura, per valorizzare la ricchezza e la complessità aromatica dei vini. L’80% di umidità e una temperatura costante tra gli 11° e i 12° tutto l’anno permettono una conservazione ottimale dei vini.

Con il passare del tempo, i vini si affermano e diventano più intensi. Acquistano la finezza, l’equilibrio e l’eleganza che contraddistinguono gli champagne della Maison. Gli champagne non millesimati raggiungono la piena maturazione dopo tre o quattro anni, ovvero dopo un periodo due volte superiore rispetto alla norma prevista dalla denominazione. Le cuvée millesimate, invece, pazientano per dieci anni prima di maturare completamente. Lasciare che il tempo faccia il suo lavoro: questa è la grandezza dello champagne Billecart-Salmon.

Nel 2023 Velier e Billecart-Salmon hanno celebrato i 50 anni di collaborazione con un’edizione speciale, un Blanc de Blancs 2010 presentato con un’etichetta speciale e un logo appositamente studiato per l’occasione.

“La cuvée Blanc de Blancs 2010 è stata selezionata dalla famiglia Billecart per celebrare l’anniversario dei 50 anni della nostra relazione”, ha dichiarato Mathieu Roland-Billecart, Chief Executive Officer della Maison. “È composta dai migliori grand cru della Côte des Blancs, e ha trascorso oltre 10 anni nelle nostre cantine secolari per svelare tutta l’eleganza dei grandi champagne. In un mondo in cui le relazioni a lungo termine si fanno sempre più rare, siamo fieri del legame che abbiamo creato con la famiglia Gargano, che valorizza gli champagne Billecart-Salmon in tutta Italia”.

DISOBBEDIENZA alla nuova edizione di “Identità Golose”

Il tema della 19a edizione di Identità Golose a Milano è l’idea dell’innovazione derivata dalla disobbedienza. E di fatto l’aria di novità che si respira all’interno della fiera riguarda numerosi aspetti del settore gastronomico.

Lo spirito innovativo emerge dagli accostamenti desueti offerti dallo chef Thomas Turchi di Divine Creazioni. Questi infatti rovescia su un raviolo alla carbonara del caffè con panna, o racchiude in un semifreddo alla pera uno scrigno alla cacio e pepe. Oppure l’atteggiamento disobbediente si manifesta in una comunicazione trivial-pop come quella del Forno Brisa di Bologna, che scrive sulle bags “Fanciullo la dieta” oppure “Legalize Marinara”. 

D’altronde alcuni giovani hanno dimostrato di avere una lettura lucida riguardante la reputazione attuale della cucina italiana. A tal proposito è interessante l’opinione di Lorenzo, 25 anni, che lavora con la propria famiglia nel Caseificio Gennari di Collecchio in provincia di Parma. Dopo aver vissuto un’esperienza in Francia, il settore della ristorazione parigino possiede “un’ottima capacità di presentarsi, ma poca sostanza.” Mentre quello italiano è esattamente il contrario. Tuttavia sostiene che “negli ambienti di lusso l’eccessiva formalità non è ciò il cliente va cercando oggi. La gente non va fuori per mangiare ma per vivere un’esperienza piacevole. E anche il turista medio cerca la sostanza italiana e il sorriso.”

Anche la volontà di sottrarsi in modo indisciplinato agli standard qualitativi della produzione è stato un leitmotiv della fiera. Ad esempio il Caseificio Sorì, con sede a Roccamonfina in provincia di Caserta, produce personalmente il proprio lievito madre e prodotti caseari per realizzare pizze dalla straordinaria leggerezza. O ancora l’organizzazione pugliese Spirito Contadino, Valore alla Terra, con il lavoro di contadini autoctoni, produce verdure benefiche certificate per piatti di eccellente pregio nutrizionale ed etico.

Oltre ad interrogare e visitare gli stand, c’è stata l’occasione di partecipare agli eventi pomeridiani intitolati Identità Vegetali e realizzati in collaborazione con Velier, la tradizionale azienda genovese di importazione di vini e liquori che ha come portavoce il Mixology Manager Angelo Canessa. In questa serie di conferenze, i grandi chef dei ristoranti stellati si sono raccontati sottolineando in cosa consistesse la loro disobbedienza culinaria, e preparando per il pubblico assaggi di alcuni piatti dei loro menù.

A tal proposito il ristorante Saporium di Borgo San Pietro in Toscana, con il team del suo executive chef Ariel Hagen, ha illustrato la propria realtà, della quale il ristorante è solo una piccola parte. Infatti a Saporium fanno capo orti, pollai, stalle, cioccolaterie, un laboratorio di fermentazione e centoventi ettari di coltivazione, dei quali undici di agricoltura biologica. Lo chef afferma di seguire il più possibile il principio del biologico, che consiste nel rispettare l’ambiente anziché manipolarlo. Il menù La stagione che non c’è di Saporium si basa su dieci portate che variano a seconda del periodo dell’anno. Esiste infatti una progettazione del raccolto e dei piatti, ma che risponde alle condizioni climatiche e ai ritmi della natura. 

Uno dei tre assaggi preparati per Identità Vegetali ha come ingrediente principale delle lumachine. Per la preparazione è stata disposta alla base una crema di bieta che conferisse mineralità, vino bianco a crudo per un tocco di acidità, trifoglio, acetosa, sanguigna, olio al prezzemolo, all’erba cipollina, e punte di menta. Accompagna il piatto una bevanda a base di mela, sambuco e melissa.

Dopo Saporium di Borgo San Pietro, è stato ospite il team del pugliese Michele Cobuzzi, resident chef del ristorante Anima dell’Hotel Milano Verticale. In uno dei due piatti proposti, questi ha ripreso la tradizione della propria terra natale preparando un raviolo di pasta di panzerotto fritto riutilizzando gli avanzi delle materie prime. Infatti l’interno del raviolo è a base di verza e soffritto di scarti vegetali. La pasta di panzerotto inoltre proviene dal mulino Casillo che riesce a conservare il germe di grano, la parte più preziosa del chicco, con proprietà antiossidanti. Questa è stata per molto tempo scartata poiché difficile da conservare, ma il mulino Casillo è riuscito a recuperarla donando vantaggi ai professionisti del settore e ai consumatori.

Come accompagnamento a questo piatto, Angelo Canessa di Velier, ha proposto il rum Clairin, prodotto ad Haiti usando puro succo di canna da zucchero della varietà Hawaii con aggiunta di erbe locali, tra le quali anice e citronella.

Per l’ultimo appuntamento del pomeriggio è stata ospite l’Enoteca Pinchiorri, sita a Firenze, che ha raccontato i piatti del menù Terra Madre. Questo si basa su ciò che si può tirare fuori dalla terra rispettando le condizioni ambientali. Il piatto preparato dai due chef Riccardo Monco e Alessandro Della Tommasina è stato un brillante accostamento di lumachine di semola di grano di duro con succo di rabarbaro. In questo modo la parte dolce della pasta viene contrastata da quella acida del succo. Viene aggiunto poi del gelato di cavolo viola fermentato, e gocce di pino marittimo per una nota balsamica. Non avendo la pasta alcun condimento, il gelato funge così da salsa.

Come accompagnamento, Angelo Canessa, ha proposto un Dry Martini composto dal gin italiano biologico piemontese Engine che riprende l’acidità del rabarbaro e da un vermouth secco Vergano in assonanza con la parte botanica del vino.

E’ intervenuto anche Alessandro Tomberli, maître e direttore di sala, spiegando di non avere la pretesa di fornire degli abbinamenti perfetti o di dettare le regole del mangiare o bere bene, piuttosto seguire i gusti e le esigenze del cliente, seppur vegetariano, che desidera abbinare un classico rosso a delle verdure, anziché seguire delle regole non scritte sull’accostamento delle carne.  Inoltre attraverso un suggestivo viaggio immaginario dalle Azzorre all’Argentina, e dal Sud Africa al Cile ha descritto alcuni dei vini più caratteristici della selezionatissima e rifornitissima cantina dell’Enoteca Pinchiorri.

Chef stellati Michelin: intervista a Fabrizio Tesse

Tra i dannati nei gironi danteschi, troviamo i golosi, i peccatori di gola, ma quanti di noi ne farebbero parte?
Tra gli artisti baciati dalla mano del Signore, troviamo un numero indefinito di “golosi“, alcuni dei quali legati a delle particolari ricette di cui non potevano fare a meno. Dalì, ad esempio, andava ghiotto per le uova fritte e i ricci di mare, che consumava sul pane tostato; si dice che il suo dessert preferito fosse la botifarra dolça, un salume catalano dall’impasto dolce con carne di maiale, cannella e zucchero.

Cézanne invece, il pittore francese noto per le sue nature morte, era amante dell’anatra alle olive, mentre Garibaldi amava i prodotti locali e semplici, come il pane e il pecorino, accompagnati da fave fresche.

Il genio italiano Leonardo Da Vinci era vegetariano e il suo piatto prediletto era il minestrone – Mens sana in corpore sano – e il grande compositore viennese Mozart, data la nazionalità, si leccava i baffi con la schnitzel viennese, servita con patate fritte e una spruzzata di limone.

Alcuni di loro avevano dei cuochi professionisti che conoscevano a memoria i loro gusti e le loro preferenze, se anche voi siete dei golosi e avete voglia di farvi coccolare, esiste un luogo, sulle sponde del Lago d’Orta, dove i vostri sensi si lasceranno cullare dai sapori e le vostre richieste verranno soddisfatte; questo luogo si chiama “Locanda di Orta“.

Una stella Michelin arrivata nel 2015 dietro la guida dello chef Fabrizio Tesse, la “Locanda di Orta” vanta una location d’eccezione in uno dei borghi più belli d’Italia.

Fabrizio Tesse, milanese di nascita, sous-chef  di Antonino Cannavacciuolo a Villa Crespi, cresce nell’entroterra ligure in mezzo alle donne della famiglia. I suoi ricordi più vivi sono legati alla cucina, dove  la nonna e le zie lo coinvolgevano facendolo giocare, dove i profumi che si sono impressi nella sua mente sono quelli “del timo, del coniglio alla ligure, quello caratterizzato dall’oliva taggiasca, una sorta di brasato cotto al vapore nelle adorate pentole in coccio”.

“Cucinavo per gioco, avevo circa 5 anni e le donne di casa dovevano badare a me; l’unico modo per tenermi buono era farmi cucinare insieme a loro. La domenica era totalmente dedicata alla cucina, i preparativi iniziavano la mattina presto, erano tutti affaccendati in qualcosa tranne gli uomini, a tavola, in attesa dei piatti. Nonostante questa scena, la mia famiglia era matriarcale”.

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insalata di mare


La tua esperienza a fianco di Antonino Cannavacciuolo ha segnato molto il tuo percorso professionale?

Lavoravo come sous-chef di Cannavacciuolo a Villa Crespi nel 2003, quando arrivò la prima stella e nel 2007 quando arrivò la seconda, ma la mia necessità di approfondire mi ha spinto fino in Spagna, in pieno fermento della cucina basca. Tutto il mondo ne parlava, mi trovavo a San Sebastian, dove erano ubicati 4 ristoranti stellati – un numero significativo; la scelta spagnola verso la cucina molecolare fu del tutto azzeccata: quando non hai grosse tradizioni culinarie, te le devi inventare!

In questo caso conta la tecnica. Ma quanto è importante nella tua cucina? 

La tecnica è importantissima quando serve a valorizzare un prodotto, non a stravolgerlo. La cucina molecolare spesso è esasperazione.
La mia cucina è legata ai codici di gusto, sapori che hai memorizzato nell’infanzia e che ti portano, quando assaggi un piatto, a distinguere il pomodoro, il limone, codici semplici. La mia è un’attività commerciale, non di intrattenimento.


I piatti che presenti sono molto spesso rimandi all’arte astratta, alla tecnica pollockiana del dripping…

Cerco di far combaciare codice di gusto ed estetica. Anche la presentazione di un piatto è importante: è come avere una donna bella ed intelligente, il massimo a cui aspirare!

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piccola composizione di frutta con cioccolato bianco e banana


Tema chilometro zero

Un limite mentale! Per quale motivo se trovo interessante un ingrediente non posso utilizzarlo?
Ad esempio in questo piatto abbiamo dello yuzu, succo di agrume giapponese, del caviale  – che arriva dalla Francia –  e dei gamberi di Mazara del Vallo. Chi sostiene il chilometro zero ha una mentalità conservatrice che non funziona più, se si guarda ad uno sviluppo.


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insalata di pasta mantecata con succo di agrume giapponese yuzu – con crudo di gamberi e caviale


Quanta importanza hanno i sapori nella tua vita? 

Il cibo è prima di tutto la mia passione. Mi ritengo molto fortunato perché come diceva Confucio “Fai ciò che ami e non lavorerai un solo giorno della tua vita”.

Ma se sono arrivato a questi risultati, lo devo anzitutto alla mia famiglia, che mi ha sempre appoggiato e mi ha permesso di studiare e viaggiare, quando ancora non ero indipendente.

Il lavoro dello chef è sì passione, ma anche sacrificio.

Nella vita privata sei un uomo che cucina? 

Mai. Appena posso riposo. Se invito degli ospiti, lascio cucinare loro, io al massimo mi butto in una pasta alle 4 del mattino.

Da cliente quali ristoranti frequenti? 

Mi relaziono con ristoranti al mio pari livello o livelli superiori – questo a scopo formativo.


La locanda di Orta oltre alla sala gourmet, dispone anche di una bistrot sul terrazzo con una bellissima vista del lago…

La terrazza bistrot è un ambiente più rilassante, sia per il cliente che per gli addetti ai lavori, è una scelta atta ad allargare la fetta di mercato, un menu dai prezzi più abbordabili, musica lounge, tendenzialmente con una clientela più giovane o frequentata da quella abituale che per una sera vuole godersi il panorama.

Esistono quindi 2 cucine distinte alla “Locanda di Orta”, quella adiacente il terrazzo bistrot e una al piano sottostante. In estate io passo la vita in ascensore !

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vista lago dal terrazzo “Locanda di Orta”


Quanto il tuo successo è merito e quanto fato?

Un insieme di questi elementi direi, è merito perché mi porto alle spalle sacrifici e anni di esperienza e poi sono convinto che più ci si crede, più la fortuna arriva.

La stella alla “Locanda di Orta” è arrivata nel 2015, qual è il prossimo obiettivo?

Rimanere su questo target, con una clientela di livello.

Cosa offri ai clienti della “Locanda di Orta”?

La possibilità di personalizzare il menu. Capita ai frequentatori fedeli, conosco i loro gusti e le loro preferenze, quindi diventa stimolante per me fargli assaggiare piatti nuovi, è un modo per confrontarsi e relazionarsi in maniera diretta. Per me rimane un grande stimolo ed è un plus apprezzatissimo.

Un consiglio che daresti a chi inizia il tuo mestiere ? 

Farlo sempre con passione perché senza quest’ingrediente è faticoso. E con spirito di sacrificio, perché arriveranno anche le delusioni e le difficoltà, ma chi ha talento va avanti, vince il buono, perché in fondo è questo il nostro mestiere: dedicarci agli altri !

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lombatina di agnello cotto al rosa nel sale grosso, abbinato a salsa di liquirizia e albicocche candite




La “Locanda di Orta” si trova in Via Olina 18 ad Orta San Giulio (NO)



FabrizioTesse
lo chef Fabrizio Tesse


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Locanda di Orta


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crème brûlée di foie gras


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Locanda di Orta


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il benvenuto: panzanella toscana con carpaccio di capesante e caviale


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Locanda di Orta


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meringa – rocher al cocco – gelatina di pere – pastafrolla con mousse al cioccolato e lampone



(foto @ Miriam De Nicolo’)

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