Antonio Marras fa sfilare il cinema alla Milano Fashion Week

LIGHTS, CAMERA, ACTION!
Antonio Marras, a Spring Summer 2024 movie

“Everything I learned I learned from the movies.

Tutto quello che ho imparato l’ho imparato dai film.”

(Audrey Hepburn)


La prima sfilata che vidi, molti anni fa, era di Antonio Marras, sentivo in lontananza cavalcare, un rombo di cavalli che arrivavano non vedevo da dove, era il suono potente del primo fashion show della mia vita. Piansi per la commozione, d’altronde ero una ragazzina, il mondo della moda era ancora un sogno, così algido e chiuso, poi l’ho conosciuto come addetta ai lavori, e la magia è svanita. Ma quell’emozione, quella polverina che tutto avvolge come in una favola, Antonio Marras continua a regalarmela. Perchè? Perchè non è solo uno stilista, è un poeta, un pittore, un artista, un pensatore, ma soprattutto un uomo che mette in luce i nervi, li scopre senza paura delle conseguenze.

Lights, Camera, Action non sarà un semplice fashion show, lo vedo dall’allestimento, una Porsche Speedster del ’57, rossa brillante, un letto con lenzuola inamidate, un grande sofà azzurro Tiepolo accanto ad un carrellino degli alcolici, preziosi servizi da tè in porcellana, candelabri d’argento, un disco dei The Platters, “My Prayer”, e tutto uno staff pronto a girare un film, cameraman, sceneggiatore, regista, suggeritore, comparse, attori. Manca solo la protagonista: la diva!

Vittoria Marisa Schiaparelli Berenson, nipote della nota stilista surrealista, tra le modelle più pagate di sempre, e attrice cinematografica che iniziò la carriera nel ’70 con “La morte a Venezia” di Luchino Visconti interpretando l’elegantissima signora von Aschenbach, è quella diva.

Sulla passerella va in scena “Boom“, il meraviglioso film interpretato dalla regina dagli occhi purple, Liz Taylor, in quella casa da sogno a picco sul mare, sulla scogliera di Capo Caccia, vicino ad Alghero, luogo di Marras che ricorda:

Quando, nel 1967, ad Alghero è sbarcata la troupe di Joseph Losey alla ricerca di un set ideale, io avevo sei anni ma mi ricordo, eccome se mi ricordo. E con il tempo il film, le star, gli avvenimenti, le comparse del luogo, i pettegolezzi, i tentativi di rapimento, il mega yacht Kalizma della coppia stellare con cani, bambini, cuochi, capitani e marinai al seguito, i gioielli di Bulgari della Diva, gli abiti realizzati apposta dall’Atelier Tiziano da un giovane Karl Lagerfeld, copricapi di Alexander da Parigi, il cibo fatto arrivare direttamente da Londra con l’aereo ogni giorno, il tanto alcool, le liti fra i due protagonisti, la falesia di 186 metri di Capo Caccia e la villa bianca stratosferica a picco sul mare che, agitato, continua a sbattere sugli scogli e il vento, hanno assunto un’aurea di mito.

Io uso la moda per raccontare e l’ho imparato andando al cinema.
Il cinema, fonte inesauribile di storie, di sogni, di mood, di personaggi, di costumi, di set, di racconti di esistenze eccezionali o di straordinaria normalità. Il cinema è indispensabile compagno di vita. E ancora di più per me, per il lavoro che mi sono ritrovato a fare. Io, onnivoro di cinema, ho trascorso la mia adolescenza seduto tra il Selva e il Miramare di Alghero vedendo e rivedendo in loop film che ancora ora fanno parte del mio vissuto.


Come Liz, la Berenson indossa un copricapo scintillante che le dona regalità, kimono dai disegni Hokusaiani, che solo la maestria di Marras può accostare a pizzi e merletti; hanno le maniche lunghe come si addicono alle donne impegnate del Giappone; lo staff è in trepidante attesa della diva, che cerca di ammansire con complimenti e frasi sdolcinate.

A sfilare, caftani dai rimandi orientali, fiori e broccati, long dress di seta che sembrano impalpabili e pronti a volare con una folata di vento; il macramè, il vichy, il pied de poule, sono quel pot-pourri delicato e così aggraziatamente antico, che anche se pensato per essere indossato oggi, conserva un fascino e una personalità di un capo ricco di storia.


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