Biennale Arte Venezia 2015: gli artisti promossi e bocciati

Nella città più romantica al mondo si svolge l’evento d’arte internazionale più atteso dell’anno: la Biennale Arte di Venezia.
Okwui Enwezor, curatore, critico d’arte, giornalista e scrittore nigeriano, nonché direttore dell’Hauns Der Kunst di Monaco di Baviera, firma questa 56esima edizione, presieduta da Paolo Baratta.

Il tema della mostra è ‘All the World’s Futures‘, (tutti i futuri del mondo) , un tema che vuole porre l’accento sulle crisi sociali e geopolitiche del nostro secolo; l’idea è quella di mettere in scena, sull’enorme parco che si affaccia alla laguna, tutto il potenziale degli artisti che “hanno qualcosa da dire” sui “futuri del mondo” attraverso l’arte. Ma prima di parlarne è doveroso fare una riflessione – Cos’è l’arte e cosa esprime?

L’arte non esprime sentimenti che l’artista prova, ma sentimenti che l’artista conosce – è per lo stesso motivo che l’osservatore rimane toccato e colpito – come usiamo dire – da alcune opere ed altre invece passano inosservate. Pensiamo alla sindrome di Stendhal – “Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere”-. Queste le parole dello scrittore Stendhal dopo il suo Grand Tour a Firenze e gli effetti al cospetto di opere d’arte di straordinaria bellezza. E’ provato che la sindrome viene riscontrata solo su persone con un alto livello di istruzione, questo per dire che solo“conoscendone la bellezza” e solo avendola veduta, la si può percepire.  Allo stesso modo se un’opera ci ispira un senso di tristezza o dolore, vorrà dire che quel genere di dolore lo abbiamo già provato in vita. In fondo l’arte tocca la sensibilità umana, l’esperienza vitale di un individuo, i suoi sensi più reconditi.

I sentimenti che interessano la gente hanno delle recinzioni di tempo e luogo, sono i sentimenti della nostra cultura, sono quello che ora, in questo istante viviamo, sono l’attualità. Interessante quindi mischiarle queste culture, come fa la Biennale di Venezia in fatto di Arte oppure Expo Milano in fatto di cibo; entriamo in questo modo in contatto con altri sentimenti, altri individui, altri temi, e allora veniamo contagiati da altre bellezze, dall’arte polinesiana, da quella asiatica e così via, ed è un’educazione al bello anche questa, attraverso immagine e immaginazione.

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Andiamo a vedere nel dettaglio cosa e come hanno espresso la loro idea di arte gli artisti di diverse nazioni presenti alla Biennale Arte Venezia.

Si entra in uno spazio che potrebbe sembrare un’ enorme vasca per i pesci, di quelli d’allevamento, oppure delle mini-piscine per bambini; nel Padiglione dell’Isola Tuvalu, ospite per la seconda volta alla Biennale, il tema invece è tutt’altro che giocoso. L’artista taiwanese Vincent J.F. Huang (1971), è sempre impegnato nella denuncia dei cambiamenti climatici che si manifestano con l’aumento dei livelli dei mari e delle temperature, con conseguente rischio a danno di Tuvalu, già in serio pericolo. Lo spettatore prende parte a quest’inizio di catastrofe, egli stesso tra i mari, immerso in un’ambiente nebuloso, costretto a fare attenzione ad ogni passo, perché in alcuni punti il livello di acqua si alza e copre gli stretti lembi di terra. Un’installazione ambientale diretta, nelle forme e nel linguaggio.

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Vincent J.F. Huang


L’artista Katharina Grosse crea un’installazione che avvolge l’intero ambiente architettonico, drappeggi colorati, rocce, sabbia, quasi delle catene montuose che ricordano le Danxia Mountain della Cina, le meraviglie color arcobaleno, ma lo fa con un’effetto meno sorprendente di quanto ci si potesse aspettare, cartoni rotti e torri di ferro, il caos totale lascia molti dubbi.

Ninfee” di spade create da Adel Abdessemed riempiono il giardino illuminato dai neon di Bruce Nauman, parole si alternano tra “guerra” e “pace” , “amore” e “odio”, “vita” e “morte” ; un silenzio onirico rotto dai passanti che inciampano tra le spade facendole cadere: l’illusione che quelle ninfee fossero fiori! Il paradosso!

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Danxia Mountain della Cina / installazione di Katharina Grosse


Maestose, dignitose per definizione, la coppia di Fenici sospese sull’acqua al posto delle galee della Repubblica di Venezia, dell’artista Xu Bing, un augurio alla rinascita, a risorgere dalle proprie ceneri così come fa l’uccello mitologico egizio. Sculture lunghe 30 metri ciascuna, interamente realizzate riciclando materiali di scarto prodotti dai cantieri edili di Pechino, un progetto che ama il territorio e rida’ significato all’ambiente. Non solo mito, la spiritualità arriva anche con lo Stato del Vaticano – per il secondo anno presente alla Biennale – che espone al centro del padiglione un albero completamente realizzato con interiora di animali. A voi giudicare.

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Hiwa K – “The bell”


L’Arsenale è un campo minato, fatto di bombe, guerre, cannoni, motoseghe, carri armati, ma una voce, un rintocco di pace arriva dall’opera di Hiwa K, artista iracheno. “The bell” è una campana costruita con la fusione di resti di bombe, i metalli vengono raccolti e poi sciolti per creare un simbolo di pace. Tra il vociare dei giornalisti e dei passanti, una donna suona la campana e il silenzio si staglia in commozione. Il suono diviene presa di coscienza, qualche lacrima scende.

qui il video:


Mimmo Paladino, pittore, scultore, incisore tra i principali esponenti della Transavanguardia Italiana, pensa ad un’installazione in cui la memoria torna sotto forma di numeri, forme bidimensionali e volumetriche, simili a geroglifici, interrotti da un presenza statuaria, l’uomo, che sorregge elementi naturali – probabilmente una nuova reinterpretazione dell’uomo vitruviano.

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Mimmo Paladino


Si passa tra gli spazi cubici del Padiglione Italia, da un artista all’altro, e in Jannis Kounellis si ha come un flash back del passato storico, cupo nell’atmosfera e nei colori, giacche nere cadono dalla rigidità dei binari come i deportati di guerra dai letti di Auschwitz. L’arte è anche questo, interpretazione e capovolgimento del messaggio e dell’intento, perché in fondo i loro scandagli, smuovono l’indifferenza.

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Jannis Kounellis


Numerosi gli eventi collaterali in occasione della Biennale d’Arte, tra le più prestigiose e in tema con l’atmosfera della laguna, Becoming Marni, l’esposizione curata da Stefano Rabolli Pansera – architetto e fondatore dell’agenzia curatoriale Beyond Entropy Ltd con la supervisione di Carolina Castiglioni. Nell’esclusiva location solitamente chiusa al pubblico, l’ Abbazia di San Gregorio diventa casa e dimora di 100 sculture in legno realizzate dall’ artista brasiliano autodidatta Véio. Rami secchi a cui l’artista dona il soffio della vita, vivono la casa veneziana in veste di cani, tori, uomini, uccelli fantastici grazie all’uso audace e giocoso del colore.

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“Becoming Marni” presso l’Abbazia di San Gregorio di Venezia


Véio raccoglie pezzi di legno, ciocchi e rami che trova lungo il fiume e dopo una lavorazione di scorticatura, rasatura e colorazione, spunta la nuova fisicità di questi esseri in(animati).
All’interno dell’Abbazia di San Gregorio è stato ricreato un piccolo chiostro che ospita il laboratorio dell’artista, per ricerare lo stesso heimat del suo piccolo villaggio di Nossa Senhora da Loria, nel nord-est del Brasile. Becoming Marni è l’esempio di come arte e moda siano inseparabili.

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le opere dello scultore Vèio


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Biennale Arte Venezia 2015: viaggio nei padiglioni tra verità e finzione

Vi siete mai chiesti che cos’è l’arte? Avete trovato una risposta? Probabilmente è la domanda che l’uomo si pone sin dagli albori, dalle famose pitture delle caverne.
Oggi più che mai si discute sul valore dell’arte, forse perché l’arte moderna, così come viene chiamata, ha cambiato in modo sconcertante il significato che essa aveva portato sulla terra dall’alto, visto che gli artisti si dicono “uomini toccati dalle mani di dio”.
L’arte cambia e si evolve con i tempi, sente l’urgenza di esprimere delle ideologie, vuole essere voce di un mondo sociale, spaccare dei movimenti politici; ma cosa crea? Cosa lascia? Cosa realmente cambia? Sono domande così cattedrali che nessuno probabilmente troverà mai una risposta, quel che rimane è il dubbio, e l’arte in questo senso diventa fede. Così come la vecchina che in vita ha lamentato i suoi dolori, oggi la si può vedere china sui ginocchi ruvidi a pregare, tra le navate di una chiesa, perché sente l’arrivo della sua ora; prega un dio che non ha mai visto, prega l’impalpabile, prega la sua speranza. La fede diviene l’ultima spiaggia, qualcosa a cui aggrapparsi, una necessità – l’arte fa lo stesso.

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L’artista parla attraverso le forme espressive per dare vita a un sentimento umano, l’amore, la melanconia, la tristezza, la gioia e così via, sia egli musicista, pittore, scultore, perfomer, crea delle opere classificabili come “buone” e “cattive”, come già fece Aristotele definendole “perfette” e “imperfette” – ma in che modo possiamo classificarle?
A un Rembrandt, un Caravaggio, un Vermeer, si riconoscono l’abilità tecnica, lo studio, l’autoespressione, il tratto, la funzione, ma all’arte contemporanea o a quella nuova forma di arte “concettuale”, tutto questo molto spesso manca. Perché in molte di queste opere contemporaneo-concettuali mancherà una continuità storica, mancherà una vera motivazione, una commissione (la maggior parte delle volte), la critica, e saranno opere per lo più astratte, inconcrete, incongruenti, che cercano di girare le loro motivazioni intorno alle ribellioni di natura sociale, così come un cane gira su se stesso cercando di mordersi la coda.

In questa 56ma edizione di Biennale Arte Venezia, sono presenti diversi esemplari.
Il padiglione Messico è una camera o(scura) adornata di alte pareti che vorrebbe rappresentare il rapporto uomo-natura, despoti-sudditi, dominio-schiavitù; intorno: il nulla – come quello che lascia, fruscelli e corsi d’acqua di sottofondo a parte.

Sulla soglia del padiglione Emirati Arabi Uniti ci si aspetta lo sfarzo dell’arte, i massimi sistemi matematici, e invece ci si ritrova in un luogo dimenticato giusto il tempo di attraversarlo.

Sospiro di sollievo al Padiglione Turchia con l’opera “Respiro”. Un’istallazione dell’artista Sarkis di Instanbul, consistente in 2 grandi arcobaleni al neon site-specific, riflessi in due grandi specchi con le impronte fatte da 7 bambini, che dividono la sala espositiva. 36  vetrate colorate mostrano fotografie e immagini talvolta autobiografiche: una giovane donna in abito rosso, il giornalista assassinato Hrant Dink, la tomba del genitore di Sarkis. Uno spazio immenso dove perdersi per poi ritrovarsi – senza poter sfuggire dinnanzi alla “Corte dello specchio” e di fronte ad un pubblico che “guarda”. Una musica suona per tutta la durata della mostra, la composizione è di Jacopo Baboni-Schilingi che si basa sulla rappresentazione dell’arcobaleno usando 7 colori come sistema di partizione; il 7 come numero che torna, la presenza costante della matematica, fantasma presente in tutte le arti.

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“Respiro” di Sarkis


Si chiama Codice Italia il padiglione di casa nostra curato da Vincenzo Trione, che ha selezionato 15 artisti tra cui Vanessa Beecroft, voce dello scenario internazionale, che ha creato un giardino segreto di marmo: donne dalle diverse forme e fattezze, posano per l’occhio voyerista dello spettatore, in fila per spiare da una piccola fessura la nudità di questi statuari corpi.

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Vanessa Beecroft


Torna alla memoria, in tema con la richiesta del padiglione, Marzia Migliora, con un’opera custodita in uno strano armadio colmo di pannocchie. Al di là dell’armadio, si può vedere riflessa l’installazione, un’antico ricordo della cascina di suo padre, il processo dell’arte come valore umano, sentimentale, come espressione della realtà.

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Marzia Migliora


Ma solo con Claudio Parmiggiani, classe ’43, tocchiamo l’essenza del pensiero dell’artista sull’arte e sull’animo umano. L’imponenza di un’ àncora che distrugge una parete di vetro, elemento fragile, riducendo parte di essa in piccoli frammenti lasciati a terra. Partendo dal presupposto che un’opera non ha bisogno di essere interpretata, perché si rischia di sminuirla, svilirne la bellezza – un’opera non ha bisogno di definizioni e parole ma dovrebbe raccontare una vita senza doverla scrivere e codificare attraverso sistemi, regole e termini – ecco partendo da questa linea, possiamo però dire che in Parmiggiani, respiriamo verità, la drammaticità della vita. Il suo archivio della memoria è fatto di richiami culturali e alchemici, come l’incisione di Albrecht Dürer, Melencolia (1514), probabilmente l’opera più densa di riferimenti esoterici in assoluto.


Due ragazze sui 25, di fiori vestite, dalla gonne a ruota, dai foulard a pois, saltellanti come dei folletti usciti da una fiaba, fermano Claudio Parmiggiani, un uomo di 72 anni, per fargli qualche domanda. La prima che sento, nascosta e in punta di piedi, in religioso silenzio, è “Perché Melencolia”? E lui le guarda, con estrema dolcezza, senza rispondere, come farebbe un padre alla propria figlia di 6 anni quando inizia con “Papà, come nascono i bambini?
E come glielo spieghi?

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Claudio Parmiggiani

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Incisione di Albrecht Dürer, Melencolia – 1524

Domenico Cioffi collezione autunno/inverno 2015/16

Simboli, riferimenti artistici e richiami a scenari di fantascienza per la nuova collezione FW 2015/2016 di DOMENICO CIOFFI.

Il designer partenopeo sceglie la sua terra questa volta: il Vesuvio fa da cornice alla nuova collezione VOLCANO, un paesaggio surreale che volutamente ricorda l’opera vesuvian di Andy Warhol.

Vulcanici i colori, il nero dell’ ossidiana, il bianco sulfureo, il rosso della lava, tre elementi che si combinano in incastri originali e geometrie grafiche e spigolose rievocando le opere di Morandini e gli effetti psichedelici digitali dei video di White Stripes. Anche i materiali, sempre più sperimentali, alternano sensazioni di caldo freddo, lucido opaco, morbido rigido.

Un gioco di opposti riflesso nelle muse ispiratrici della collezione, che ricordano le nuove eroine dei film di fantascienza, guerriere neoromantiche che indossano divise di pelle, gonne in vernice, e sfoggiano abitini in taffetà decorati da colli arricciati o rouches sulle spalle.

 

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Ellen von Unwerth fotografa gli chef italiani per L’Uomo Vogue

Ellen von Unwert, la nota fotografa che immortala l’erotismo e fa del voyerismo la sua firma, stupisce per il servizio sugli chef italiani. Lo shooting è stato pubblicato su L’Uomo Vogue e ritrae i più grandi chef stellati, che ci rendono orgogliosi di appartenere a questa terra.

Sono i “ritratti della salute”, direbbero le nostre nonne, da Antonio Cannavacciuolo, Chef Patron del ristorante Hotel Villa Crespi, ora impegnatissimo in programmi televisivi dedicati alla cucina, a Carlo Cracco, chef dell’omonimo ristorante milanese, che cavalca l’onda del successo grazie al seguitissimo Master Chef Italia e parodiato da numerosi comici.

Giocosi e divertenti nelle immagini che li ritraggono insieme, ogni chef si presta poi per il singolo ritratto che forse ha un’unica pecca: la scelta del bianco e nero. Ananas, insalata, zucchine, radicchio, pomodori, caffè, privi del loro splendido colore; perché i preziosi frutti della terra, che tutto il mondo ci invidia, non hanno di buono solo il gusto, ma la bellezza e il piacere degli occhi.

E allora quel rosso El Greco del pomodoro, il giallo miele dell’ananas e della sua meravigliosa cresta verde che s’innalza tronfia, il violaceo radicchio, così trendy nelle sue sfumature dal rosso a righe bianche, e il nostro caffè napoletano con quella deliziosa schiuma color nocciola che fa “risveglio”, perché nasconderli??? Perché privarli della loro magnificenza?

E allora, cara Ellen, pitta i visi delle belle donzelle, ma prenota una tavolozza anche quando stai a tavola!

Cividini autunno/inverno 2015/16

Cividini, leader della maglieria e della lavorazione dei filati, sfila virtuoso come un Glenn Gould al pianoforte.

In occasione della Milano Moda Donna, presenta la sua collezione autunno/inverno 2015/16, un racconto che passa dai più sofisticati capi di maglia, frutto di una preziosa lavorazione artigianale, ai più urban look dove aleggiano comodi e leggeri abiti in lana.

E’ quindi la maglia la protagonista indiscussa di questa collezione, regina sotto i gilet lunghi trapuntati con strato di tricot in supergeelong o accostato a parka con il cuore di cashmere high gauge.

La donna Cividini è una donna multitasking, super impegnata, che indossa bag capienti e stivaletti bassi in vernice nera con dettaglio metallo della cerniera. Una donna busy ma che non rinuncia alle tendenze e alla ricerca dei dettagli. Super trendy con il gilet di visone, alternato da strisce di visone e fettucce di lana o con il cappotto over size con le maniche in tricot.

Artigianalità, design e fantasie, sulle apparizioni di colore viola, il colore del mistero, che sbocciano in cappotti a lavorazione double o su jacquar di lana con disegno floreale in rilevo; fiori che hanno i colori militari, per una guerriera della pace, abbinati a buste in coordinato.

Di grande tendenza per l’autunno/inverno 2015/16 i cappotti a vestaglia, arricchiti dalla sartorialità Cividini di un largo bordo a balzine bicolori in merino.

Guarda le foto della sfilata CIVIDINI:

 

(foto Camera della Moda)

Autunno-Inverno 2015/16 con i capi 070ST

La collezione FW 2015/2016 di 070ST riscopre il lato ludico della femminilità in un gioco che alterna linee giovani e tessuti metropolitani a capi dall’allure classico.

Da un lato troviamo le stampe leopardo accoppiate a tessuti grigi in lana su modelli ampi, forme aeree a pipistrello che rievocano il mondo punk degli anni ’80. Dall’altro capi reversibili, sobri sul davanti e con inserti di casentino colorato e con tessuti tecnici e trapuntati sul retro.

Il parka si arricchisce di stampe etniche agugliate e dettagli in pelliccia usati come passamaneria da sciamano.

 

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E’ il blu il colore dell’estate

Gli accessori dell’ estate si tingono di blu, in tutte le sfumature marine, cosi come la moda mare.

Manurina sceglie il celeste per la borsa a mano da giorno e il blu per la pochette da sera in cocco.

Salar opta per un blu di persia per il secchiello intrecciato e l’ormai inconfondibile Juni, da combinare con la salopette in jeans da vera fashionista di CAROLINA WYSER.

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Fabio Rusconi e Cinti lo propongono per ballerine e sandali.



Interpretazione gipsy per la collana di CINTI con frange e strass.


Frange ma in una versione corta anche per JOSHUA FENU che le affianca a simpatiche pantofole ricamo pappagallo.


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Trasparenze celesti per le lenti di EYEPETIZER e i dettagli degli occhiali a gatto di MICHEL HENAU.


Optical effect bianco / blu per il trench di Landi Fancy reversibile cosi come il giubbino in nylon.


Sfumature di blu anche per i preziosi caftani in lino e cotone dai ricami preziosi di Laura Manara e per i bordi dei costumi in piquet di MISS BEE.


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La donna-ballerina di Christian Pellizzari

E’ dalle stanze da ballo che compare, sulle punte, la donna Christian Pellizzari.

Riconosciamo nelle forme, nelle geometrie degli abiti, la compostezza e il rigore di una ballerina di danza classica, la stessa grazia che accompagna i gesti nella morbidezza di una comoda felpa e nell’ampiezza delle gonne a ruota.

In occasione della Milano Moda Donna 2015, il brand Christian Pellizzari ha presentato la sua collezione autunno/inverno 2015/16, in cui vediamo i capi roteare su manichini in stile carillon. Danzano lenti e piroettano come una ballerina contemporanea, che mescola tessuti e stili come solo una donna di carattere sa fare.

Passa dalla trasparenza degli abiti in pizzo, estremamente femminili, ai completi gessati dal taglio maschile; da texture strutturate e morbide, a lane intrecciate a mano e impreziosite da ricami.

 

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Contrapposizioni forti per Christian Pellizzari, che si lascia contaminare anche dalla natura, creature fiabesche ispirano i preziosi abiti da sera, apparizioni dalle onde del mare, sirene danzanti indossano gonne strutturate con crinoline abbinate a fluide bluse in seta. Abiti da cocktail dai colori del profondo oceano e di tutte le sue immense sfumature, si sposano con blazer maschili doppiopetto.

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Per il giorno, in attesa delle argentee luci della sera, la donna Christian Pellizzari indossa comode felpe over sopra gonne che mostrano le gambe, completi portafoglio di seta e tweed e completi di flanella grigi gessati.
Un total look innovativo, inaspettato, frizzante, ma che non dimentica l’essenza femminile ed elegante di ogni donna.

DESA NINETEENSEVENTYTWO Collezione Autunno/Inverno 2015/16

E’ l’eleganza e la classe di una delle attrici più belle del cinema, che ispirano la collezione autunno/inverno 2015/16 di DESA NINETEENSEVENTYTWO, e porta il nome di Romy Schneider.

Una collezione presentata in occasione della Milano Moda Donna, caratterizzata da dettagli d’intrecci fatti a mano nella tradizione della cultura Ottomana. Una serie con delle grandi novità: ROMY bag e LADY bag.

Da sempre attento al dettaglio, il brand DESA NINETEENSEVENTYTWO è riconosciuto come produttore leaderin Turchia nella creazione di prodotti in pelle di altissima qualità.
Le borse DESA sono l’oggetto del desiderio di una donna sofisticata, esigente e che rifiuta le etichette. Il prodotto DESA è timeless ma innovativo, tecniche tradizionali di manifattura vengono utilizzate insieme a quelle d’ultima generazione, dando vita a un prodotto unico e riconoscibile.

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I colori e le geometrie di questa collezione prendono ispirazione dai dipinti di Josef Albers e dal design di Charlotte Perriand.
Oltre alle iconiche FOUR, SEVEN e TWENTYTWO, è stata aggiunta una ciliegina sulla torta: la bag ANDROGENE, una borsa al passo coi tempi, che non ama le definizioni, misteriosa, un prodotto unisex portabile quindi sia dall’uomo che dalla donna.

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Protagonisti assoluti i materiali: Nappa Lux, Struzzo, Camoscio; Pelliccia e Pelle elaborata “Cervo”.

Burak Celet, Amministratore delegato di Desa:

“L’italia è uno dei mercati più importanti nel contesto dell’industria della Moda a livello globale, essendo generatore di grandi talenti, creatività e grandi marchi. Per questo è stata la nostra prima scelta all’ora di presentare il macchio DESA NINETEENSEVENTYWO al mondo. Oltre a 30 prestigiose boutique considerate grandi “connoisseurs” della creatività ed il lusso come Excelsior, Antonioli, Degli Effetti, Silvia Bini, LuisaViaRoma, hanno subito abbracciato il nostro marchio. Questa è la seconda volta presentiamo la nostra collezione nel contesto Calendario ufficiale della Milano Moda Donna, sede chiave per noi nello sviluppo del marchio. Siamo convinti che la nostra presenza nei migliori punti vendita in Italia, Corea del Sud, Svizzera, Stati Uniti, Giappone e il nostro show-room di Parigi, ci permetterà di introdurre NINE SEVENTYTWO ai ricercatori di un prodotto di lusso d’eccellenza a temporale”.

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(foto Miriam De Nicolò)