Il caso di Juan Thompson e The Intercept

Ci sono due cose positive che sono successe nel giornalismo – nel mondo dell’informazione in generale – in questo inizio di anno. Ed entrambe queste buone notizie vengono dall’apporto del web e dei new media. La rete come ripeto spesso non è onnipotente, non salverà il mondo da sola, e non è un surrogato o “un altro canale” dei vecchi media. Ha delle peculiarità sue. E quando queste sono positive – come in questo caso – fanno bene anche ai vecchi media, in una commistione utile e migliorativa.

Il primo caso riguarda The Intercept, testata giornalistica lanciata nel 2014 da Glenn Greenwald (il giornalista che per primo raccolse e pubblicò il materiale di Snowden per the Guardian), Laura Poitras e Jeremy Scahill, dedicata al giornalismo di inchiesta con questo slogan “crediamo che il giornalismo debba portare trasparenza e responsabilità sia per potenti istituzioni governative sia per le aziende, e nostri giornalisti hanno la libertà editoriale e supporto legale per perseguire questa missione.”


Betsy Reed (capo redattore) il 2 febbraio ha pubblicato questa nota “The Intercept ha recentemente scoperto “un modello di inganno” nelle azioni di un membro della redazione. Il dipendente, Juan Thompson, era un nostro reporter dal novembre 2014 fino al mese scorso. Thompson ha costruito diverse citazioni nei suoi articoli e ha creato account di posta elettronica falsi che ha usato per impersonare altre persone, uno dei quali era un account Gmail a mio nome. Un’indagine ha rilevato tre casi in cui citazioni sono state attribuite a persone che hanno detto che non erano stati intervistati.In altri casi, le citazioni sono state attribuite a persone che non siamo riusciti a raggiungere, che non riuscivano a ricordare di aver parlato con lui, o la cui identità non può essere confermata. Nelle sue inchieste Thompson ha anche usato citazioni che non possiamo verificare da parte di persone senza nome che egli sosteneva di aver incontrato in occasione di eventi pubblici. Thompson ha fatto di tutto per ingannare i suoi redattori, anche la creazione di un account di posta elettronica per impersonare una fonte e mentire sui suoi metodi di rendicontazione. Abbiamo pubblicato le correzioni e redatto delle note ai pezzi in oggetto, e pubblicheremo ulteriori correzioni se ci identificheremo ulteriori problemi. Stiamo ritrattando una storia nella sua interezza. Abbiamo deciso di non rimuovere i messaggi, ma li abbiamo etichettati come “ritrattato” o “corretto”, sulla base dei nostri risultati. Abbiamo aggiunto le note di storie con le citazioni non confermate.


Ci scusiamo con i soggetti degli articoli, con le persone che sono state erroneamente citate e con voi, i nostri lettori. Thompson ha scritto per lo più brevi articoli su fatti di cronaca e di giustizia penale. Molti di questi articoli richiamano pubblicamente fonti disponibili e sono accurati, altri contengono materiale originale che sono stati verificati. Thompson ha ammesso la creazione di account di posta elettronica falsi e e di aver artefatto i messaggi. Egli non ha collaborato alla revisione. The Intercept si rammarica profondamente per questa situazione. In definitiva, io sono responsabile per tutto ciò che pubblichiamo. Il modo migliore che abbiamo per mantenere la fiducia dei lettori è quello di riconoscere e correggere questi errori, e di concentrarci sulla produzione del giornalismo di cui siamo orgogliosi.”


Cosa c’entra questa nota – su una vicenda che poteva riguardare qualiasi testata di qualsiasi natura – con il web? C’entra con la seconda buona notizia, questa volta e per una volta in casa nostra.
Era il 12 gennaio quando Anna Masera (mia amica, lo dico a scanso di equivoci per evitare che qualcuno possa dire “eh, ne parla bene ma non lo dice”) scriveva e comunicava attraverso i social network “Da oggi La Stampa mi ha incaricato di ricoprire il ruolo di “Public Editor”.
È una posizione nuova nel panorama del giornalismo italiano, e sono orgogliosa che il mio giornale la sperimenti per primo, fra i grandi giornali italiani, dopo aver sperimentato con me per primo il ruolo di “Social Media Editor”. Sarò al servizio del pubblico, la comunità di lettori-utenti, la vostra garante all’insegna della trasparenza e la vostra tramite con il giornale, su tutte le sue piattaforme.
Sarò “ombudswoman” (il termine “ombudsman” deriva da un ufficio di garanzia costituzionale istituito in Svezia nel 1809 e che significa letteralmente «uomo che funge da tramite»).


Il web ha come tipicità la velocità e l’interazione. 
Se la velocità è il suo punto di forza nella pubblicazione di notizie rispetto a tutti gli altri media (televisione compresa), l’interazione – spesso individuale, anche quando i visitatori raggiungono grandi cifre – diventa il suo “punto di rallentamento”.
Necessita di risorse, anche umane, dedicate alla cura, alla ricezione dei messaggi, alla risposta se dovuta. E in qualche caso anche al “rimettere mano” alle notizie, per migliorarle, correggerle, cassarle, approfondirle.
Queste due notizie vanno in questa direzione, recependo quelle cose che il web può offrire per migliorare ed integrare l’offerta informativa, che non dobbiamo dimenticare è quello che ci rende in definitiva liberi, perchè consapevoli.
Sono due esempi da esportare ed imitare (per gli altri) e da seguire ed osservare con attenzione (per tutti).

Roberto Cavalli: vintage e barocco contaminano la collezione di Peter Dundas

Esotica e selvaggia. Vintage e barocca. Tante ispirazioni, un unico obiettivo: riconfermare l’immagine della maison Roberto Cavalli pur affidando la direzione creativa a Peter Dundas.

Silhouette anni settanta invadono maxi capispalla con manicotti e revers in pelliccia, trousers a vita alta e pellicce multicolor voluminose.

Lunghe cappe austere ricamate con fili d’oro che rilevano eleganti segni barocchi. Immancabile il jeans: tessuto tanto amato da Roberto Cavalli e riproposto per la collezione autunno/inverno 16-17 con pantaloni, over coats e camicie.

Abiti caftano in velluto abbinate a stivali in pitone, lunghe sciarpe che fluttuano generosamente nell’aria che nascondo appena le generose e sensuali scollature degli abiti e delle camicie lasciate sbottonate.

Ruches, plissettature, trasparenze audaci che mostrano una lingerie casta. Abiti da sera leggeri come piuma, impalpabili e couture, elaborati ma allo stesso tempo semplici da abbinare.

La rivalutazione del velluto, presente ovunque: su abiti, pantaloni, tailleur, cappotti over, blousons.

La palette di colori è variopinta, forte, importante. Non manca il gold su dettagli ed abiti da sera fascianti, il viola accesso, il verde, il nero. Nessun romanticismo, tanta avventura.

Peter Dundas, al suo ritorno nella maison italiana, ha elaborato una collezione vera, androgina, sontuosa, incarnando totalmente l’estro creativo di Cavalli.

 

(fonte Madame Figaro)
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I migliori backstage di Milano Moda Donna: Genny

Fluttuanti gazzelle e bagliori di luce presentano la donna anni ’20 di Genny.
D-Art la racconta grazie ai suoi Speciali backstage della Moda Donna Autunno-Inverno 2016/2017.


Josephine Baker e i ruggenti anni dell’Art Decò incontrano la sensuale plasticità della fotografia newtoniana per la donna Genny Autunno/Inverno 2016/2017.
Le modelle fluttuano sulla passerella come luminescenti ballerine di Charleston indossando volumi che non segnano la figura ma consentono di volteggiare avvolte in soffici tessuti iridescenti.






I capispalla e gli eleganti tailleur, con pantaloni a vita alta, sono accompagnati da lunghi abiti sui quali è riprodotto graficamente il leitmotiv della collezione: la piuma. Come elementi decorativo, invece, vengono scelti i ricami di paillettes effetto madreperla e le frange in vernice.
L’accessorio dalle geometrie pulite è assoluto protagonista grazie alle tridimensionali clutch in plexiglass e alle calzature bicolor in vernice e pelle specchiata. L’allure passionale e esuberante delle icone cosmopolite del brand, attente allo stile delle grandi dive del passato, non passerà inosservata.








Fashion editor: Alessia Caliendo
Video: Christian Michele Michelsanti
Photo: Matteo di Pippo

Blugirl: femminilità eclettica e sensualità sussurrata a Milano

Fresca e meravigliosa come un giardino fiorito, la collezione autunno/inverno 16-17 firmata da Anna Molinari e presentata oggi durante la Milano Fashion Week, è l’elogio al romanticismo e alla purezza.

Blugirl è ormai da tempo il binomio perfetto fra fanciullezza e sussurrata sensualità; non a caso gli abiti  proposti in passerella mostrano il dualismo femme fatale/ironia adolescenziale in modo assoluto.

Il colletto in stile vittoriano, amabilmente si sposa con gli abiti eterei e leggerissimi come sottane sensuali e piccanti, abbinate con culottes della nonna che rendono florida, una stuzzicante e veemente  immaginazione.

Una femminilità eclettica, potenziata da maxi dress fiorati e sottogonne in primo piano. La collezione sfrutta la sovrapposizione dei capi e l’abbinamento tra impalpabilità della seta e la durezza della pelle di pitone, per elargire la gradevolezza della donna.

I ricami decorano e movimentano tessuti fluidi e nascondo velatamente le generosità della donna.

Effetti sparkling total black su un long dress quasi lotta visivamente con l’abito da sera in pizzo e tulle tempestato da micro pois.

La palette di colori è variopinta ma predomina il nero, seguito dal rosa e dal bianco.

 

(fonte Madame Figaro)
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La valchiria di Fausto Puglisi incanta la Milano Fashion Week

Protagonista indiscusso della prima giornata della Milano Fashion Week è stato Fausto Puglisi, che si riconferma come una delle personalità più forti del fashion biz.

Istrionico, barocco e geniale, l’universo creativo dello stilista trae nuova linfa vitale dal carattere già evidenziato nelle ultime collezioni. La donna che calca la passerella è una guerriera in colori fluo e spacchi vertiginosi. Una femminilità ribelle, quasi esplosiva, caratterizza l’Autunno/Inverno 2016-2017 di Fausto Puglisi, che non teme la falcata più seducente e felina di questa valchiria metropolitana.

Elementi sporty-chic si sposano mirabilmente a suggestioni che sembrano provenire direttamente dallo streetstyle. Bicromie accese ed elementi grafici si snodano su gonne, maxi cardigan, maglie a righe e gonne da cheerleader. Mosaici e quadretti ritornano come fil rouge a caratterizzare una collezione che trae ancora una volta spunto da certo barocco siciliano unito a suggestioni classiche. Si respira un’aria da Antica Grecia negli abiti peplo, coniugati in chiave rock, come anche nei calzari da gladiatore.

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Photo by Giovanni Giannoni/WWD
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Fiocchi si snodano su abiti impalpabili dagli spacchi audaci. Minigonne impreziosite da stelle e decorazioni barocche vengono indossate su anfibi: è così che Bianca Balti, nuova musa dello stilista, attraversa la passerella. La diva rock di Puglisi sembra provenire dalle spiagge californiane, o dal più esclusivo party in piscina di una villa hollywoodiana.

La palette cromatica attraversa colori fluo, in primis rosa, viola, rosso, tocchi di azzurro e righe. Tra i materiali usati spicca la pelle nei leggings e nei dettagli di capispalla che cedono alla tentazione di borchie e pietre preziose, mentre maestosi sono gli arabeschi cromatici che si disegnano su gonne e maglie a listini e blocchi di colore.


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N°21 sfila tra patchwork e sovrapposizioni

N°21 sfila tra patchwork e sovrapposizioni

Ha sfilato oggi nella prima giornata della Milano Fashion Week la collezione Autunno/Inverno 2016-2017 di N°21. L’estro creativo di Alessandro Dell’Acqua non si smentisce e propone una sfilata ricca di suggestioni.

Il patchwork diviene fashion trend incontrastato della prossima stagione invernale, per sovrapposizioni ardite ed inediti giochi cromatici. Le stampe regnano in inediti contrasti che rivelano una sapiente cura per il dettaglio e la voglia di sperimentare.

L’animalier viene rivisitato per cocoon coat che uniscono il bon ton anni Sessanta alla grinta di una donna che strizza l’occhio al punk. Le maglie sono over e cadono dolcemente sulla silhouette, in un mood rilassato e casual, che fa delle proporzioni oversize il nuovo must have.

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(Foto Madame Figaro)
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(Foto Madame Figaro)
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(Foto Madame Figaro)
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(Foto Madame Figaro)

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(Foto Madame Figaro)


Il tartan predomina nella seconda parte del défilé, riproposto in versione contemporanea, sia in rosso che in giallo. Le cromie sono ardite, i capi strutturati e morbidi, in contrasto tra loro, mentre i pattern floreali sembrano predominare, in inusuali patchwork che uniscono lunghi abiti dall’allure femminile a soffici maxi cardigan. I colori sono vitaminici, mentre le stampe si rivelano protagoniste assolute, come quelle raffiguranti le palme su spiagge californiane, tra suggestioni Nineties che profumano di California. Particolare attenzione è riservata agli accessori, come le calze ricamate e i sandali in pailletts e mini borchie.


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La cowgirl di Fay sfila alla Milano Fashion Week

Grinko, tra romanticismo punk ed echi orientali

Belief+Doubt=Sanity: il titolo della sfilata di Grinko, che ha inaugurato la settimana della moda di Milano 2016, è un invito al ragionevole dubbio, a scardinare i dogmi e mettere in discussione le certezze. Lo stilista russo presenta una collezione autunno inverno 2016-17 dai toni crepuscolari e dalle atmosfere surreali. L’ispirazione proviene dal punk degli anni ’80 e dal neoromanticismo, dalla sua terra d’origine e dal Giappone. Da qui i grafismi orientali, le cinture obi e l’elemento del Goldenfish, che in un gioco tridimensionale domina l’intera collezione, ricamato su abiti, maglioni, gonne e pantaloni.

 

 

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In questa sfilata di Milano Moda Donna la palette scelta dal designer si estende dai neri ai grigi, dal verde inglese al blu oltremare, senza dimenticare le sfumature pastello del giallo e del rosa sempre presenti nelle sue collezioni. Abiti a balze e felpe urban, scarpe basse e borse-zainetto. Per il prossimo autunno inverno, ai tagli sartoriali e ai volumi futuristici si aggiunge una ricercata selezione di tessuti. Il pizzo crochet è stato disegnato personalmente da Sergei Grinko e reso più contemporaneo dai dettagli bondage. Un utilizzo sapiente del broccato crea soluzioni originali di tridimensionalità mentre la maglieria, realizzata in una tecnica innovativa, è in motivi jacquard complessi ma leggerissimi. L’impalpabile tulle e il morbido velluto completano la gamma di sensazioni di questo viaggio introspettivo, in cui il dubbio è l’unica certezza.

Ph. Carlo Pantaleo

La cowgirl di Fay sfila alla Milano Fashion Week

Ha sfilato nel pomeriggio la collezione Autunno/Inverno 2016-2017 di Fay. La Milano Fashion Week si apre nel segno della femminilità, con un défilé ricco di suggestioni e spunti.

Si respira una femminilità nuova in casa Fay: stampe floreali impreziosiscono mini abiti in impalpabile georgette di seta arricchiti da ruches, per un nuovo romanticismo. Prevalgono suggestioni Seventies, per una inedita cowgirl che calca la passerella tra frange, stivali texani e montoni.

Tommaso Aquilani e Roberto Rimondi dichiarano di essersi ispirati all’America per una collezione che si pone come un’ode alla vita country e ad un effortlessy chic che si arricchisce di spunti etnici. Stampe azteche e ispirazioni Navajo arricchiscono maglioni oversize che fanno da miniabiti, mentre i capispalla rimandano allo stile marinère e al military chic.

Seta stampata nei mini dress con colletti gioiello, mentre frange e cinture con fibbia sono gli accessori cardine di una donna forte, perfetta cowboy in gonnella. Suede e pelle predominano tra i materiali usati, mentre tacchi alti iperfemminili si alternano agli stivali texani.

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Photo by Davide Maestri/WWD
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Il mood è strong ma senza perdere di vista una femminilità che profuma di country: il punto vita viene sapientemente esaltato mediante cinture, mentre lunghi abiti dal sapore folk in nuance delicate costellate di fiori di campo fanno capolino sotto ai montoni e ai capispalla. Il denim viene impreziosito e profilato in montone, mentre la lana predomina su capi in grigio melange, perfetto passepartout per affrontare il più rigido degli inverni.


(Foto copertina Madame Figaro)

In fondo al cuore

Spesso nella vita un incontro totalmente casuale può cambiare definitivamente le sorti della propria esistenza, condizionandola radicalmente, sia nel bene che nel male. Il film d’animazione Anomalisa è incentrato proprio su tale concetto. Un’opera estremamente interessante e dai molteplici spunti riflessivi, adatta anche ad un pubblico adulto, diretta da Charlie Kaufman, con la collaborazione di Duke Johnson. Scopriamone il contenuto.



La trama è molto semplice e lineare. Michael Stone è uno stimato padre di famiglia, nonché noto autore del best seller “Come posso aiutarti ad aiutarli?”. In occasione di una conferenza, soggiorna presso l’Hotel Fregoli di Cincinnati, dove, dopo aver rivisto una donna con cui undici prima aveva avuto una relazione, incontra per puro caso Lisa Hesselman, giunta in città in compagnia di un’amica per assistere alla conferenza. La scintilla tra i due non tarderà a scoccare…



Una scena tratta dal film
Una scena tratta dal film



Distribuito nelle sale cinematografiche italiane dalla Universal Pictures a partire da giovedì 25 febbraio, Anomalisa è un cartone animato diretto dal regista statunitense Charlie Kaufman, noto per le sceneggiature di Confessioni di una mente pericolosa e Se mi lasci ti cancello. Dopo aver debuttato dietro la macchina da presa con Synecdoche, New York nel 2008, questa sua seconda e nuova fatica si caratterizza per un uso smodato della stop motion, nonché per la riproposizione sul grande schermo della parabola di due esistenze ingabbiate dalla solitudine e dall’ordinarietà che cercano di resettare la loro vita per poter costruirne una nuova cogliendo l’occasione offerta dal destino.



Sotto la parvenza animata delle maschere facciali dei pupazzi si cela un vago sentore di non umanità. Ma ciò che non passo certo inosservato è che tutti i personaggi, eccezion fatta per Michael, abbiano la medesima voce maschile, indipendentemente dal fatto che siano uomini o donne.



Quando successivamente entra in scena Lisa, ecco che finalmente è possibile ascoltare l’unica ugola femminile dell’opera. Tale scelta può essere dettata da due fattori: dalla disumanizzazione del mondo dei pupazzi oppure dalla messa in evidenza dell’unicità del possibile “autentico amore”.



Michael Stone e Lisa Hesselman
Michael Stone e Lisa Hesselman



Analizzando più profondamente il film, la scelta di Michael di alloggiare al Fregoli Hotel non è affatto casuale. La storia del teatro, infatti, narra di come Leopoldo Fregoli sia stato, non solo un grande imitatore, ma anche e soprattutto un abilissimo trasformista che ha calpestato i palcoscenici di tutto il mondo. Tuttavia, forse non tutti sanno che dal suo nome deriva una sindrome psichiatrica in cui il paziente in questione si sente letteralmente perseguitato da una singola persona che, a causa del suo delirio, assume le sembianze di tutti coloro che lo circondano non perdendolo mai di vista.



Se si volesse adottare questa chiave di lettura, Anomalisa potrebbe rappresentare una piccola perla cinematografica nell’ambito dei film d’animazione. A questo proposito, come non citare la scena della colazione mattutina in hotel, un’autentica gemma di scrittura, costituita da un armonico duetto fra tragedia ed ironia.



Michael Stone in volo...
Michael Stone in volo…



In fase di doppiaggio notiamo la presenza dell’attore britannico David Thewlis (di cui ricordiamo le sue opere più recenti, Regression, Legend e Macbeth) e dell’attrice americana Jennifer Jason Leigh (famosa per film quali Georgia, Miami Blues, America oggi e Mrs. Parker e il circolo vizioso) rispettivamente per le voci di Michael Stone e Lisa Hesselman.



Infine, ricordiamo che Anomalisa è stato presentato in concorso alla 72° Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia nel 2015.

L’ineffabile Di Battista e le unioni civili

“Allora, Unioni Civili, facciamo un po’ di chiarezza, perchè il PD ha fatto un “casino” incredibile negli ultimi giorni”.
Comincia così un video di 6 minuti in cui Alessandro Di Battista “spiega” con lavagna e pennarelli – come in un corso aziendale ma rivolto a bambini di scuola elementare – in cui il parlamentare “dovrebbe” parlare quantomeno ai suoi elettori delle Unioni Civili.
Ebbene in 6 minuti e 9 secondi riesce a nominare:


⁃ 28 volte pd / partito democratico
⁃ 9 volte Fiducia
⁃ 9 volte Renzi
⁃ 7 volte Lega
⁃ 7 volte Cirinnà
⁃ 5 volte M5S
⁃ 3 volte Forza Italia
⁃ 2 volte “partito di maggioranza” (non assoluta ndr)
⁃ 2 volte Centro Destra
⁃ 2 volte PCI (che non esiste più dal 1991 ndr)
⁃ 1 volta Napolitano (sic)


Ma soprattutto riesce incredibilmente a nominare UNA sola volta la sigla LGBT (per dire che dovrebbero protestare con il PD) e non una sola volta “gay, lesbiche, trans”. Non una sola volta i diritti dei bambini, non una le famiglie (arcobaleno e non). Non una il tanto discusso tema della “step child adoption”.


Ora, se lo scopo era chiarire qualcosa sulle Unioni Civili è chiaro che invece l’intento era altro.
E visto che “sognamo” una politica se non “all’americana” quantomenno anglosassone, ai fact-checking dovremmo cominciare a farci l’abitudine, e non vederli come un atto ostile. Specie se i video online restano e tutti possono vederli.
Non c’è un solo momento del video di Di Battista in cui chiarisca la posizione dei 5 Stelle, se non per dire che loro la legge l’avrebbero votata così com’è – il che non spiega ad esempio la questione del “voto secondo coscienza” comunicata da Grillo.
Non c’è un solo momento in cui Di Battista – quando afferma che il Governo avrebbe potuto porre la questione di fiducia – ha chiarito se in questo caso ad esempio “pur di votare la legge” avrebbe votato la fiducia al Governo, oppure se pur di votare contro Renzi avrebbe votato no (pur essendo a favore della legge così com’è).


Si lamenta infine Di Battista che con il “canguro” non ci sarebbe stato dibattito parlamentare, e tuttavia preferirebbe quasi la questione di fiducia che avrebbe lo stesso risultato. Se non forse uno peggiore: far venir meno quella famosa “libertà di coscienza” che hanno invocato in molti votando articolo per articolo.
Se Di Battista voleva fare chiarezza, non ha reso un bel servizio in questa direzione.
Se voleva dire cose ovvie, che sono sotto gli occhi di tutti, e cioè che il Pd ha varie anime interne e su certi temi ha divisioni anche profonde, non serviva la lavagna.
Se voleva attaccare il Pd come male assoluto, ci è riuscito poco e male, perchè quello che ha detto non solo è debole rispetto a quello che sta avvenendo e che viene raccontato meglio dalla cronaca, ma anche perchè la sua posizione e quella del suo partito non sono per nulla alternative nè risolutive.
Qualche suggerimento per la prossima volta:


⁃ stare più sul tema: la parola che scrivi in grande al centro è l’argomento del discorso, e per lui evidentemente il tema era PD.
⁃ la camicia, specie se chiara, meglio bianca, è più efficace
⁃ la luce (molto) meno sparata in faccia
⁃ sei solo davanti a una telecamera, non hai bisogno di urlare: le persone comprendono meglio un messaggio calmo e caldo
⁃ i pennarelli: meglio se nuovi e che non sbiadiscano se scrivi in orizzontale
⁃ il rosso serve per evidenziare e sottolineare, non per scrivere “un’altra posizione” (per quello esistono il verde, il nero…)



Lo capisco che Rocco Casalino come responsabile nazionale comunicazione e che la fidanzata di Di Maio non sono proprio il massimo, anche se entrambi li paghiamo profumatamente noi, ma Benzi (che lavora sempre alla Casaleggio) queste cose le sa bene.
Basta chiedere a lui.

Beatrice b. e Filippa Lagerbäck assieme per ridare la vista a trecento mamme africane

Morena Bragagnolo, designer del brand Beatrice.b e Filippa Lagerbäck, insieme al Lions Club International e CBM Italia Onlus a sostegno di trecento mamme africane non vedenti.

La limted edition composta da cinquecento t-shirt e presentata nella storica villa Contarini di Piazzola sul Brenta (PD), ha permesso di raccogliere fondi che verranno utilizzati per coprire interamente il costo delle operazioni che permetteranno il recupero della vista a trecento mamme cieche del continente africano.

In questa intervista esclusiva, Morena Bragagnolo ci svela l’importanza del progetto e i suoi obiettivi.

 

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Questo nobile iniziativa ha visto anche la partecipazione di Filippa Lagerbäck: quanto è stato importante il suo contributo?

Filippa Lagerbäck è stata di vitale importanza durante tutto il periodo di organizzazione dell’evento. Fin da subito ha partecipato attivamente alla ideazione delle t-shirt, cercando di creare un prodotto che non fosse semplicemente una t-shirt basica, ma un prodotto che parlasse veramente dell’Africa. Filippa crede in questa causa, ha visto con i suoi occhi i benefici che CBM Onlus sta portando alle donne africane, per questo è così presente, così disponile e felice di mettersi in gioco e di dare tutta sé stessa per aiutare chi ne ha davvero bisogno.

 

Come potremmo muoverci in futuro per aiutare concretamente questa popolazione?

Il modo più efficace per aiutare questa popolazione è sicuramente dare supporto alle associazioni, come CBM Onlus, che combattono ogni giorno per portare una speranza e una vita dignitosa in Africa. “Insieme per fare di più”, è questo il motto di questa associazione e in effetti penso che lavorare insieme per un obiettivo comune dia molti più risultati.

 

Filippa Lagerbäck indossa una t-shirt che permetterà di ridare la vista ad una mamma africana
Filippa Lagerbäck indossa una t-shirt che permetterà di ridare la vista ad una mamma africana

 

 

 

Il Charity event è stato un grande successo, come avete accolto tanto consenso?

Abbiamo raccolto un così grande consenso grazie, innanzitutto, a tutto il lavoro di comunicazione che ha informato gli ospiti della doppia natura dell’evento: l’aiuto verso le mamme africane e la moda con la presentazione della collezione A/I 2016-17 del nostro brand Beatrice.b. Ovviamente il fashion event ha dato la possibilità di raggiungere molti consensi, grazie ai numerosi clienti del brand che hanno poi partecipato all’iniziativa di beneficienza.

 

Pensi ci possa essere in futuro un nuovo progetto a sostegno del popolo africano?

Noi come azienda saremo ben felici di promuovere, in futuro, nuove iniziative a sostegno del popolo africano. Questa esperienza ci ha insegnato che donare anche solo ciò che a noi può sembrare poco, in realtà, può servire per ridare dignità e speranza all’Africa.

 

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