Diana Vreeland. La regina dello stile.

Nasceva oggi il personaggio più eclettico e rivoluzionario della moda. Unica, ironica come nessuna, visionaria, folle. Diana Dalziel poi Vreeland (cognome del marito) nasce a Parigi il 29 luglio del 1903. La madre, la socialite Emily Key Hoffman, vanta una parentela con George Washington e con Pauline de Rothschild.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, la famiglia si trasferisce a New York, dove la giovane Diana fa il suo debutto in società nel 1922, comparendo -quasi una premonizione del suo imminente futuro- su Vogue proprio per l’occasione.
Due anni più tardi, il primo marzo 1924, sposa il banchiere Thomas Reed Vreeland, da cui avrà due figli.


Diana


La coppia si trasferisce per un periodo a Londra. Qui Diana apre una boutique che annovera tra le clienti Wallis Simpson. Frequenti sono i viaggi di Diana a Parigi, dove conosce Coco Chanel, nel 1926. Nel 1935 il lavoro del marito li riporta nella Grande Mela.


Diana


L’anno successivo, il 1936, segna l’inizio del mito di Diana Vreeland. Notata per il suo stile nel vestire da Carmel Snow, lungimirante fashion editor di Harper’s Bazaar, le viene proposta una rubrica all’interno del magazine. Nasce così “Why don’t you…?”, la rubrica che fece conoscere al mondo l’ironica Diana.


Diana


Deliziosamente sopra le righe, in bilico tra l’umorismo più sottile e certa leziosità femminile che mai passerà di moda, Vreeland gioca coi suoi lettori, consigliando loro, tra le altre cose, di “tappezzare le camere da letto dei loro figli di stampe tratte dagli atlanti geografici, affinché essi non crescano con un punto di vista provinciale”, o di “esaltare il biondo naturale dei loro capelli lavandoli con lo champagne”.


Diana


Lasciare carta bianca al suo genio fu certamente mossa vincente per la Snow, che di certo contribuì alla creazione di un mito. Diana Vreeland fu talent scout ante litteram. Innumerevoli sono i volti che scoprì, da Lauren Bacall a Marisa Berenson, da Twiggy a Loulou de la Falaise e ancora Penelope Tree, Jane Shrimpton, Veruschka von Lehndorff, Edie Sedgwick.


Diana


Affiancata come nuova fashion editor di Harper’s Bazaar da fotografi del calibro di Richard Avedon, Louise Dahl-Wolfe, Alexey Brodovitch, nel 1962 passò a Vogue: qui ricoprì l’incarico di editor-in-chief dal 1963 al 1971. Pochi anni, se vogliamo, ma durante i quali avvenne una vera e propria rivoluzione culturale. Diana Vreeland è forse la donna che ha maggiormente influenzato l’arte visiva e la cultura visiva del secolo scorso. Non solo una semplice fashion editor ma la protagonista di una vera e propria rivoluzione che ha interessato il panorama culturale in toto. Addentrarsi negli anni Sessanta, i fatidici Swinging Sixties, il decennio in assoluto più rivoluzionario, con una guida così progressista, era garanzia di successo.


Diana


Sopra le righe, certa che “troppo buon gusto fosse noioso e che un pizzico di cattivo gusto serviva a dare un po’ di sapore”, Diana Vreeland odiava le convenzioni e le vecchie ideologie legate allo stile. Il cognome da nubile, Dalziel, in gaelico antico “Io oso”, è già un programma. Celebri, le sue frasi, che ci aprono nuove prospettive.


Diana


Come quando si espresse sul bikini, che definì “l’invenzione più importante dai tempi della bomba atomica”. Una iron lady della moda, granitica e rivoluzionaria. Nel 1965 veniva annoverata dalla Hall of Fame tra le donne meglio vestite al mondo.


Diana


Clamorosamente licenziata da Vogue (ebbene sì, incredibile ma vero!), nel 1971 le venne affidato l’incarico di curatrice dell’Istituto di Costume del Metropolitan Museum of Art. Nel 1984 ultimò la sua autobiografia, “D.V.” e morì nel 1989 per un attacco cardiaco.


Diana


Nel settembre 2011 venne creato il sito a lei dedicato, mentre il suo impero viene oggi curato dal nipote Alexander Vreeland, che lo scorso anno le ha dedicato delle fragranze. Nel settembre 2011 é uscito invece il documentario The Eye has to Travel, a cura di Lisa Immordino Vreeland, moglie di Alexander.

IL GRANO E LA GRAMIGNA

«Perché» – si chiedeva il “rivoluzionario” Martin Lutero nella prima metà del Cinquecento – «le bambine cominciano a camminare e a parlare prima dei maschi?». E, in un probabile sghignazzo generale, rispondeva: «Perché la gramigna cresce sempre più in fretta del frumento!».

Ma abbiamo solo l’imbarazzo della scelta.

Se un rivoluzionario si esprimeva così, il “conservatore” San Giovanni Crisostomo, nel 380 d. C., aveva dichiarato: «Che altro è la donna se non un nemico per l’amicizia, una punizione del cosmo, un male necessario, ecc.».

Uno potrebbe pensare: forse è il cristianesimo a produrre una tale mentalità?

Macché!

Sentite Pitagora, sei secoli prima di Cristo: «Esiste un principio di bene che ha creato l’ordine, la luce e l’uomo e un principio di male che ha creato il caos, le tenebre e la donna».


IL GRANO E LA GRAMIGNA


Un altro potrebbe obiettare: ma si tratta del pensiero di tanti secoli fa!

Magari!

Sentite cosa scriveva il 7 febbraio 1915 (dunque non nei secoli bui dell’alto medio evo) il liberale e modernista New York Times, circa la proposta di un suffragio universale aperto anche alle donne: «Accordare il suffragio alle donne ripugna all’istinto che affonda le sue radici nell’ordine naturale. È contrario alla ragione umana, spregia gli insegnamenti dell’esperienza e le ammonizioni del senso comune».

Come si diceva, abbiamo solo l’imbarazzo della scelta.

Presso tutti i popoli, culture e religioni esiste un “giudizio” sulla realtà femminile che possiamo senza dubbio chiamare “pre-giudizio”. Anche in quelle condizioni nelle quali la dignità della donna viene affermata senza eccezione (ad esempio nella tradizione cristiana, secondo la quale anche la donna è creata a immagine e somiglianza di Dio ed è stata salvata da Gesù Cristo), non di meno si afferma una marcata differenziazione di compiti, di funzioni, di ruoli: in sostanza, all’uomo si riconosce un ruolo pubblico, mentre alle donne una funzione riservata all’ambito privato.


Questo atteggiamento di fondo, che attraversa praticamente tutta la storia dell’umanità, è riassumibile in un proverbio estone: «La casa è il mondo della donna; il mondo è la casa dell’uomo».

Identificando periodi storici più precisi, focalizzare meglio la questione dei pregiudizi (anzi, del pregiudizio: si tratta, infatti, di una mentalità globale) nei confronti delle donne. Considerando, ad esempio, il ventennio fascista in Italia, è possibile cercare di comprendere la condizione delle donne italiane nella loro reale situazione e non solo alla luce delle proclamazioni politiche più o meno realizzate. Anche in quella vicenda storica, infatti, non mancarono forme di pregiudizio antifemminile, che andrebbero analizzate in chiave psico-sociologica, non ideologica.


Si parlava del fascismo. E non a caso. Tra tutti gli infiniti periodi della vicenda umana, questo capitolo della storia d’Italia è un periodo facilmente identificabile, con una data di nascita e una di morte. È, inoltre, abbastanza lontano nel tempo, così da permettere una lettura critica dei fatti e delle loro motivazioni; ma è ancora abbastanza vicina da suscitare un interesse non di tipo “archeologico”, bensì vivo e vitale. È un momento paradigmatico di tutta un’epoca storica: il fascismo, infatti, nato in Italia, ben presto si “esportò” in altre nazioni, europee e non. Infine, al di là del fenomeno storicamente datato, non si deve trascurare la presenza di una “mentalità fascista” che lo precede e lo segue. Forse anche sul piano del ruolo femminile interessarsi al fascismo può costituire un valido modello di valutazione di alcuni pregiudizi, dai quali faticosamente la società contemporanea cerca di prendere le distanze.

Trend estate 2015 – tutti pazzi per il crochet

Trend indiscusso dell’estate 2015, il crochet (o uncinetto, che dir si voglia) spopola ovunque: dai bikini ai copricostumi in spiaggia fino agli abiti da sera e agli accessori. Bianco, per esaltare al massimo l’abbronzatura, o nero, in versione sexy, il crochet esalta come pochi altri capi il corpo femminile.

Ma vediamo la storia di questo fashion trend.

Il termine crochet deriva dal francese antico “crochet”, equivalente del termine tedesco “croc”, entrambi significanti “uncino”. Le prime tracce della particolare lavorazione crochet si attestano nel diciannovesimo secolo. Il crochet fa la sua prima apparizione su un magazine femminile olandese, Pénélopé, nel 1824.

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abito in crochet bianco


Jane Birkin fu una spassionata fan dei capi fatti con l’uncinetto, nelle sue uscite ufficiali e persino per il suo matrimonio con Serge Gainsbourg.

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Jane Birkin


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Jane Birkin e Serge Gainsbourg


La malizia del nude look e il candore virginale del bianco si mixano alla perfezione, mentre il nero è perfetto per la sera, per un effetto super sexy.

TWIN-SET Simona Barbieri
TWIN-SET Simona Barbieri


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abito in crochet a colori


I colori invece creano geometrie perfette per la stagione estiva, come si è visto anche sulle passerelle di Valentino, che propone tinte pastello perfette per romantici capi lavorati a maglia.

Valentino P/E 2015
Valentino P/E 2015


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Emilio Pucci P/E 2015




Emilio Pucci è un habitué del crochet, tanto che abitualmente nelle collezioni primaverili fa sfilare capi lavorati all’uncinetto; in questa estate 2015 non si smentisce, proponendo gilet finemente decorati, che conferiscono un dettaglio gipsy anche al look più semplice.
Il crochet, la riscoperta di un hobby che un tempo era considerato prerogativa delle nonne e che oggi acquisisce un nuovo charme.
Un evergreen che non passerà mai di moda.

Peter Beard. Quando la moda è safari.

Talent scout di modelle del calibro di Iman, conoscitore ed amante dell’Africa, scrittore e saggista nonché artista visionario, Peter Beard è uno dei personaggi più affascinanti e carismatici della fotografia di moda.

Nato nel 1938 a New York, laureato presso l’università di Yale, i primi viaggi nel continente africano risalgono al 1955 e al 1960. Innamorato dell’Africa, coi suoi colori e le sue suggestioni, Beard diverrà uno degli artisti più capaci di esaltarne la bellezza. Trasferitosi in Kenya dopo la laurea, divenne amico di Karen Blixen. Grazie alla sua arte fotografica la moda ha iniziato ad esaltare le indescrivibili bellezze offerte dalle location del continente africano.

Firma del calendario Pirelli del 2009, un’edizione unica ambientata in Botswana, i suoi scatti sono un connubio di arte e natura. Immagini forti, che sembrano in movimento e donne ritratte nel loro lato più selvaggio, come feline pronte ad attaccare, indomite ribelli forti della propria sensualità.

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Calendario Pirelli 2009, Botswana. Modella Daria Werbowy

Un occhio ed un gusto unico, capace di esaltare la ricercata eleganza e al contempo la naturale bellezza, celebri sono gli scatti con Veruschka e la stessa Iman. Altre collaborazioni celebri furono con Andy Wahrol, Truman Capote e Francis Bacon.

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Personaggio chiave della fotografia, i suoi scatti ampliano la mera definizione di fotografia di moda per abbracciare invece un’arte a trecentosessanta gradi.

Immagini come patchwork al confine tra arte visiva e reportage, scorci da cartolina e un occhio che si riconosce anche quando travalica il continente africano. Una personalità capace di ammaliare. Come i suoi diari fotografici, vere perle da custodire gelosamente.

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Il pregiudizio

Analizzando la società e le sue dinamiche, si nota che i pregiudizi si verificano nel contatto tra gruppi o membri di gruppi differenti (ad esempio i pregiudizi razzisti ed etnici, non di rado legati alla questione degli atteggiamenti prevalenti nei confronti delle minoranze) o nello stesso gruppo sociale (quali i pregiudizi tra classi, categorie e generazioni). A questa seconda tipologia sono riconducibili i pregiudizi basati sul sesso.


«Nell’ambito dei rapporti fra i gruppi, il pregiudizio è un atteggiamento che predispone un individuo a pensare, percepire, sentire e agire in modi favorevoli od ostili verso un gruppo o verso i suoi singoli membri».



Il pregiudizio


È la definizione classica del pregiudizio, formulata da P. F. Secord – C. W. Backman nel volume Psicologia sociale, edito da il Mulino di Bologna nel 1971. In sostanza, i componenti di un determinato gruppo vengono interpretati globalmente come portatori di valori o disvalori diversi da quelli posseduti dagli altri. In questo processo, in maniera più o meno consapevole, si identificano alcune note distintive, che vengono enfatizzate e, spesso, considerate fuori dai reali contesti, al punto da assolutizzarle.


Queste note, poi, si caricano di un contenuto emotivo, ben al di là della loro reale portata: la paura, ad esempio, è una di quelle reazioni tipiche in presenza di caratteristiche ritenute di per sé pericolose, senza che si sia adeguatamente riflettuto in modo razionale né tanto meno che se ne sia fatta diretta esperienza.

Il pregiudizio, tuttavia, non è di per sé un atteggiamento negativo. Esso, anzi, può rivestirsi di un’atmosfera favorevole: ciò che lo definisce, dunque, non è la sfumatura negativa, ma l’assenza di una motivazione che lo giustifichi.

L’atteggiamento pregiudizievole, tuttavia, viene considerato soprattutto nelle sue valenze negative e di solito sfocia nella discriminazione: ad alcuni individui vengono negati certi privilegi o diritti di cui godono gli altri membri della società.


Alla base del comportamento pregiudiziale, si rileva una teoria dei valori. Non va dimenticato, infatti, che le situazioni concrete che danno origine a pregiudizi sono piuttosto rare, mentre ciò che è estremamente frequente è la continuità del pregiudizio stesso. Il pregiudizio, cioè, trova abbondante e facile alimento nel conformismo personale e sociale.

Nella nascita e nella durata di un pregiudizio un ruolo non secondario va riconosciuto alleader di un gruppo. Questi, infatti, per giungere al potere e per mantenerlo e consolidarlo non può non condividere i valori del suo ambiente; anzi, nei confronti di questi, si pone come un simbolo e una sintesi, quasi un’«icona» del suo tempo e della sua società.


Naturalmente le immagini, simboliche e reali, degli atteggiamenti discriminatori ritornano con un’enorme forza pedagogica nelle realtà istituzionali, quali la famiglia, la Chiesa e la scuola, come pure nei mass-media: arte, letteratura, stampa, radio, cinema e televisione contribuiscono enormemente al perpetuarsi di modelli e di espressioni pregiudiziali. In questo, l’influenza degli intellettuali è fuori dubbio.

In una tale descrizione del fenomeno del pregiudizio, non va tralasciata la funzione esercitata dagli individui. È, infatti, proprio nei singoli che il pregiudizio si manifesta più concretamente. La ricca varietà degli individui fa sì che essi evidenzino varie tipologie nella generazione e nella gestione dei pregiudizi: così, ad esempio, persone più abituate all’ordine e alla trasparenza manifestano atteggiamenti di fastidio e di discriminazione più frequenti in presenza di situazioni caotiche e fluttuanti di altri. Il pregiudizio, perciò, soddisfa anche dei bisogni espressi dai singoli, quali il bisogno di appartenenza e di sicurezza.

Profondamente incisiva appare la presenza o meno di una coscienza religiosa. Addirittura gli studiosi precedentemente citati hanno osservato che


«per quanto attiene ai processi psicologici individuali, la diversità di credenze è un fattore determinante del pregiudizio e della discriminazione più importante dell’appartenenza a un gruppo etnico o a una razza. In altri termini, un individuo è più propenso a disprezzare un altro individuo se egli crede che quest’ultimo abbia credenze diverse dalle sue».


E che dire delle ideologie? Rilevante è il loro contributo nella strutturazione di un pregiudizio: se, ad esempio, si ritiene che le persone di colore non siano “umani”, è chiaro che si negheranno loro alcuni diritti propri dell’uomo.

Il pregiudizio, inoltre, è una distorsione della percezione della realtà, come pure dell’apprendimento, della memoria e della riflessione. Esso ci rende da una parte chiusi alle novità, dall’altra suggestionabili di fronte alle esperienze, ci consolida nelle prevenzioni e negli errori, ci prospetta soluzioni stereotipate e spesso irrazionali, ci esonera dallo sforzo intellettuale ed etico e ci conferma negli automatismi.

“Choripan” la mostra personale di Mariano Franzetti

Mariano Franzetti

“Choripan”

Mostra Personale

dal 3 al 20 settembre 2015

Il 3 settembre 2015 alle 15,00 apre al pubblico presso lo Spazio Sanremo | 5Vie a Milano la mostra Choripan con 20 opere, di cui la maggior parte inedite, realizzate da Mariano Franzetti, a cura di Elisa Ajelli.
Il percorso espositivo propone ai visitatori una visione molto personale dell’autore sui temi dell’Expo relativi alla nutrizione e allo stretto rapporto tra il popolo italiano e argentino, in considerazione del fatto che più della metà delle persone residenti in Argentina ha origini italiane.

Di questa comunione di origini l’artista Mariano Franzetti è testimone e interprete ideale, avendo vissuto tra Italia e Argentina, stabilendosi poi a Milano, città che ospita l’Esposizione Universale.

Il significato di nutrizione nelle opere dell’autore assume un senso molto lato, riferendosi anche alla rinascita culturale dell’Argentina dopo le note vicissitudini socio-economiche e alla stretta similitudine del proprio percorso culturale, pur se con qualche decennio di ritardo, con un’analoga evoluzione del nostro paese.

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La nutrizione cui fa riferimento l’artista parte certamente dal fatto che l’Argentina è uno dei più grandi esportatori di prodotti agricoli e zootecnici nel mondo. L’autore tuttavia non prescinde dalla necessità dell’essere umano di alimentare la propria esistenza oltre i bisogni primari: la comunanza di valori, la condivisione dei momenti salienti del quotidiano (come nella serie di opere Iconoclast) ma anche il bisogno di riscatto costituito dall’identificazione con i supereroi contemporanei, che siano essi rappresentati da esponenti del mondo dello sport, dal macho decadente o dagli sgargianti piatti tipici delle tradizioni di entrambi i paesi (da qui il titolo della mostra: Choripan è un piatto tipico argentino consumato per strada) imprescindibili nei luoghi comuni presenti nel quotidiano di ogni argentino o italiano, ritratti con ironia, enfasi e stile neopop nelle opere della serie Groncho.

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Oltre ad opere pittoriche, l’esposizione consta di sculture e installazioni multimediali che propongono una similitudine tra la storia mediatica italiana e argentina e conferiscono, attraverso un’efficace simultaneità, un adeguato parallelismo tra tradizione e modernità espressiva.

La mostra vuole essere una riflessione ora ironica, ora poetica, circa il tentativo dell’essere umano di trovare nuove strade di affermazione attraverso la condivisione e la coltivazione dei rapporti umani.

Queste tematiche non sfuggono all’occhio apparentemente beffardo dell’artista, in realtà profondamente attento e sensibile ai mutamenti socio-culturali dei popoli di cui la sua vita rappresenta una sintesi ineffabile e la ricerca stilistica di un nuovo umanesimo contemporaneo.

La mostra gode del sostegno del Consolato dell’Argentina, della Direzione del padiglione Argentina presso EXPO, di Expoincittà, e dell’Associazione 5Vie di Milano che tutela e promuove la zona più antica della città attraverso la promozione di eventi culturali e artistici.

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Info:

• Dal 3 settembre al 20 settembre 2015
• Apertura al pubblico: 3 settembre dalle 15
• Spazio Sanremo | 5Vie, via Fosse Ardeatine (angolo via Zecca Vecchia) Milano
• Preview per la stampa: 3 settembre dalle 12 alle 15
• A cura di Elisa Ajelli
• Orari: dal lunedi al venerdi 10-19 | sabato e domenica 15-18
• Cocktail e presentazione catalogo 15 settembre dalle 18,30 (su invito)
• Enti sostenitori: Consolato dell’Argentina, Direzione del padiglione Argentina presso EXPO, Expoincittà, Associazione 5Vie Milano.
• Relazioni con la stampa: s2bpress Milano

Mariano Franzetti

Mariano Franzetti nasce in Argentina, a Rafaela, nel 1978, abbandona gli studi di architettura, iniziati a Cordoba, per trasferirsi a Buenos Aires e dedicarsi completamente alla sua passione, la pittura, che coltivava fin da piccolo studiando i pittori rinascimentali e l’arte in generale. Sperimenta in maniera autonoma diverse tecniche, catturando le immagini dalla realtà che viveva nel quartiere di San Telmo. Inizia a vendere i suoi primi quadri agli ospiti del piccolo albergo dove alloggiava, per mantenersi e continuare ad esercitare la sua pittura senza mai abbandonare il sogno di trasferirsi in Italia. Migra in Italia nelle Marche nel 2004 ed inizia subito a lavorare come artista in collaborazione con un laboratorio di architettura ed interior design.
Dal 2005 realizza mostre personali e collettive, tra cui alcune importanti a livello istituzionale, in Italia, a Buenos Aires, in Grecia e in altri paesi europei. Vince numerosi premi d’arte e riconoscimenti internazionali, scrivono di lui alcuni tra i più noti critici, storici ed esponenti del mondo artistico. Nel 2010 approda a Milano con un’esposizione al Salone Internazionale del Mobile-Design Week e la sua creatività versatile viene notata nel campo della moda e del design con i quali realizza progetti in qualità direttore artistico, fashion consultant e scenografo: i suoi lavori sono pubblicati costantemente da testate come Vogue International, NakedButSafe-New York ed altre.
Attualmente vive ed opera tra le Marche, Milano e Buenos Aires.

Ossie Clark, il vintage che incanta

Nato a Warrington, nel Ceshire, nel 1942, Raymond Clark era il più giovane di sei figli. Trasferitosi con la famiglia ad Oswaldtwistle durante la guerra, prese da questa località il nome Ossie.

Versatile fin dall’infanzia, confezionava vestiti per i suoi nipoti e costumi da bagno per le ragazze del vicinato, esercitandosi sulle bambole. Fervente lettore di Vogue e Harper’s Bazaar, ad appena tredici anni iniziò a studiare architettura, esperienza che si rivelò determinante nella sua futura carriera di stilista, come egli stesso dichiarò più avanti, giacché gli permise di capire le basi delle proporzioni e dei volumi.

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Si iscrisse poi al Regional College of Art di Manchester (oggi Manchester Metropolitan University) ed in questo periodo conobbe la sua futura moglie nonché partner di lavoro, Celia Birtwell. La coppia si trasferì poi a Londra, in un piccolo appartamento a Notting Hill, e qui Ossie si laureò presso il Royal College of Art nel 1965.

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Nell’agosto dello stesso anno una sua creazione comparve per la prima volta su Vogue. Influenzato dalla Pop Art e dalle atmosfere di Hollywood, il primo negozio a vendere le sue creazioni fu Woollands 21.

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L’anno seguente, nel 1966, iniziò la collaborazione tra Ossie e Celia (sposata tre anni dopo), che diede vita ad una collezione indimenticabile, con le stampe disegnate da quest’ultima, lavoro commissionatole da Alice Pollock, titolare dell’esclusiva boutique Quorum. In breve tempo le creazioni di Ossie Clark, così particolari ed uniche per la moda dell’epoca, spopolarono non solo nella Swinging London, di cui fu protagonista assoluto, ma anche a New York e Londra.

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Tra i suoi fan troviamo Mick Jagger, Liza Minnelli e Marianne Faithfull.

I capi di Clark hanno influenzato diversi designer dagli anni Sessanta fino ai nostri giorni, come Anna Sui, Tom Ford e Yves Saint Laurent.

Celebri sono le foto di David Bailey che hanno visto, tra le tante muse, Jane Birkin e la stessa Celia Birtwell come modelle. Il fascino senza tempo della Swinging London continua ad appassionare: numerosissime sono oggi le boutique specializzate in capi vintage che vendono le creazioni di Ossie Clark, che hanno ormai assunto un valore inestimabile.

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Matrimonio e look da favola per Beatrice Borromeo, neo sposa di Pierre Casiraghi

Si sono appena conclusi i festeggiamenti, a Monaco, per le nozze più attese dell’anno, che hanno visto il terzogenito di casa Grimaldi, Pierre Casiraghi, unirsi in matrimonio alla contessina Beatrice Borromeo.

Giovani, biondi, belli e blasonati: c’erano tutti gli ingredienti perché questo fosse atteso da mesi come l’evento dell’anno. E le attese non sono state di certo deluse. Mondanità, jet set internazionale e atmosfere bucoliche hanno contribuito a rendere l’evento indimenticabile. Protagonista assoluto è stato il vestito della neo sposa. La sofisticata eleganza di Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli per Valentino hanno ancora una volta fatto sognare: una cascata di fiori rosa antico, una lunga gonna in chiffon di seta tempestata di decorazioni applicate rappresentanti fiori e, a suggellare la perfezione del tutto, una coroncina di fiori en pendant con il bouquet di fiori bianchi e spighe di grano che la sposa stringeva tra le mani.

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Un tripudio di giovinezza ed innocenza, a metà tra il boho chic di ispirazione hippie e suggestioni romantiche,Valentino ha saputo rendere omaggio alla fresca bellezza della Borromeo, che appare quasi botticelliana in questa mise.

I due stilisti, a capo della maison dal 2008, hanno diffuso i bozzetti del vestito, in perfetto stile Valentino Haute Couture.

I novelli sposi hanno lasciato Palazzo Grimaldi, sede della cerimonia, a bordo di una Bentley bianca. Il rito civile, che sarà seguito il mese prossimo da quello religioso, si è concluso con un picnic, in linea con il mood provenzale già suggerito dal look dei due neo sposini. La freschezza si unisce al glamour, in un matrimonio blindatissimo che ha visto, tra gli invitati, il giornalista Marco Travaglio, collega della Borromeo ad Annozero e al Fatto Quotidiano, e Peter Gomez.

Grande attesa anche per i look delle invitate, tra cui spicca la bellissima Charlotte Casiraghi, in un abito bianco e rosso Missoni.

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Buon compleanno african girl

Iman


Iman celebra i suoi 60 anni da eclettica, poliglotta e intraprendente super modella.


Icona globale della moda per oltre 40 anni, di cui metà passati accanto al camaleontico David Bowie, Iman raggiunge il suo sessantenario.

E lo fa in grande stile, con il noto sorriso che accompagna la fisionomia androgina e selvaggia che ha fatto impazzire le più grandi maison del mondo.
Scoperta nel 1975 dal fotografo di moda Peter Beard, divenne prima la musa di Yves Saint Laurent, poi di Calvin Klein, Donna Karan, Escada, Kenzo, Revlon, Tommy Hilfiger, Valentino e Versace.
Conquistatrice instancabile delle più “blasonate” copertine del mondo, grazie alla sua vivace cultura da figlia di un ex ambasciatore, e con in tasca una laurea in scienze politiche, è stata in grado di reinventarsi diventando imprenditrice di successo.
Suo,
infatti, il brand IMAN Cosmetics dedicato alle donne di colore.
E di Bowie cosa dice? Al loro primo incontro non era affatto intenzionata ad avere una relazione con il genio musicale.


D-Art le rende omaggio con gli scatti della storia che la ritraggono.


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CINTI: COLLEZIONE F/W 15/16

L’individualismo farà tendenza per il prossimo autunno inverno 2015. Osare con audacia, sperimentare, pensare in grande.

La moda ci aiuterà ad esprimere noi stessi, mostrando lo spirito del momento e questo si riflette da un lato in uno stile sobrio e mascolino, dall’altro diventa espressione pura di femminilità che da spazio a luci e bagliori, stampe farfalla e pattern animalier.

La collezione di Cinti attraversa queste sfere cavalcando gli anni’70 e un rinnovato stile neo-hippy, riproponendo gli ’80 con creepers punk rock per finire negli anni 20 e 30, dove accessori scintillanti trasformano ogni donna in una vera e propria diva.

PER L’ESTATE 2015 INVICTA LANCIA UNA NUOVA CAPSULE DI OCCHIALI DA SOLE

REALIZZATI IN COLLABORAZIONE CON ITALIA INDEPENDENT, I DUE MODELLI SONO IN VENDITA NEL CANALE ABBIGLIAMENTO DISTRIBUITI DA FACIB SPA

Stile e tecnologia, mix di texture e due colori da sempre molto amati: il blu e il rosso. Sono gli elementi che caratterizzano la nuova capsule di occhiali da sole Invicta per l’estate 2015.

Una tradizione che continua e si rinnova e che vede il brand protagonista del settore degli occhiali sin dagli anni ’80-’90 quando i suoi “Glacier” venivano indossati da alpinisti e sciatori per le loro escursioni in montagna.

Dagli anni 2000 in poi gli occhiali Invicta diventano protagonisti non solo nello sport ma anche nel tempo libero, con modelli studiati appositamente per essere indossati tutti giorni.

Realizzati in collaborazione con Italia Independent, i nuovi occhiali da sole di Invicta per l’estate 2015 sono in vendita nel solo canale abbigliamento distribuiti da Facib SpA.

La collezione è composta da due modelli, IS 009 (da donna) e IS 014 (unisex), ciascuno dei quali dominato dai colori blu e rosso, da sempre i più amati in casa Invicta.
Sono entrambi realizzati in materiale polimerico ad alta resistenza e flessibilità, dotato di terminali animati per un fitting perfetto. Le strisce sulle aste ricordano il tema tipico degli zaini più celebri realizzati da Invicta fin dai primi anni ’90 del secolo scorso.
Le lenti sono sfumate, di colore grigio, e all’interno dell’asta di sinistra la dicitura “UNIQUE EDITION FOR INVICTA” completa la personalizzazione del prodotto.

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