Jane Birkin contro Hermès. La diva rinnega la borsa che porta il suo nome

Divorzio storico tra Jane Birkin ed Hermès. L’attrice e modella inglese è stata recentemente al centro di una polemica, dopo aver rilasciato alcune dichiarazioni in cui chiedeva apertamente alla maison francese di togliere il suo nome dalla celebre borsa.

Alla base di tale appello ci sarebbe la causa ambientalista sposata dalla Birkin, la quale ha aderito ad una protesta più generale: ad innescare la miccia sarebbe stato il video diffuso dalla PETA, People for the Ethical Treatments of Animals, celebre istituzione di tutela degli animali, in cui si denunciavano le atroci crudeltà subite dai rettili destinati a diventare pellami.

Successivamente l’attore Joaquin Phoenix avrebbe lanciato una petizione per boicottare i capi di abbigliamento fatti con pellami esotici, a cui la Birkin avrebbe aderito.




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La celebre Birkin Bag fu ideata trentuno anni fa, nel 1984. Si narra che l’idea venne al direttore di Hermès dell’epoca, Jean-Louis Dumas, su un volo Parigi-Londra, in cui si trovò seduto accanto alla diva. La borsa della Birkin, strapiena, cadde, rovesciando l’intero contenuto sul pavimento. Ciò indusse Dumas a dedicarle un omaggio, creando appositamente per lei la Birkin Bag.



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Capiente, pratica e funzionale, ma allo stesso tempo estremamente chic, la Birkin Bag ha segnato un’epoca. Sogno proibito di ogni fashion victim che si rispetti nonché oggetto di culto per intenditori, la Birkin di Hermès è uno dei pezzi più esclusivi e costosi al mondo.
It bag evergreen, declinata in svariati colori e materiali, ha contribuito non poco a decretare il mito di Jane Birkin e ad iscriverla tra le icone di stile mondiali degli ultimi tempi.



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Look acqua e sapone, tomboy ante litteram, Jane Birkin ha incarnato lo stile di un’epoca, gli anni Sessanta e Settanta. In costante bilico tra innocenza e malizia, il suo stile nel vestire è divenuto leggenda. Famosa la sua predilezione per sensualissimi look vedo-non vedo, meglio se in tricot o pizzo trasparente. Bellissima anche senza un filo di trucco e in jeans e mocassini, la frangetta sbarazzina sui lunghi capelli e una fotogenia che ha incantato almeno due generazioni.




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Sensualissima nella sua love story scandalosa con il genio Gainsbourg, grazie alla quale conquistò i rotocalchi e le copertine di mezzo mondo.



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La maison più chic d’Europa le ha dedicato un oggetto di culto divenuto celebre. Oggi però la diva sembra aver dimenticato tutto questo, sebbene in nome di una valida causa, quale è quella animalista. Resta solo da chiedersi come mai non ci abbia pensato prima. Je t’aime, moi non plus, è proprio il caso di dire.

“CAPRI” BY PASSAVINTI, UN MARE DI FASCINO

La trasparenza di un mare blu cristallino, il “giallo” calore di un raggio di sole, riflettono uno scenario paradisiaco ricco di stupore e di emozione.
Capri è Capri.
Un luogo dove il tempo si è fermato alla magia di effetti luminosi ricolmi di cultura, arte, storia e… paesaggio.

Qualcosa di unico e di speciale, ritratto a meraviglia nell’esclusiva collezione con dedica speciale realizzata da Passavinti.
Un gioiello di creatività e un prezioso made in Italy che fonde ad arte tradizione e innovazione, in un geniale mix di forme classiche e materiali di tendenza.
Braccialetti, ciondoli, collane e pendenti della favolosa linea “Capri” raccontano il tributo nella perfezione dei tratti, nell’impressione dei colori, nel sentimento dei bagliori.
A disegnare quella femminilità estrosa che raccoglie la grande eredità di un passato nobile e la trasforma “per incantesimo” nello chic fresco e metropolitano dei nostri giorni.
La firma è Passavinti, Firenze.

Pendenti, anelli, ciondoli, sautoir della più grande tradizione orafa fiorentina sono il cast d’autore di “Tartan“, collezione gioiello griffata Passavinti 1970.
Una “trama” icona di classe ed eleganza, tra forme accattivanti e design esclusivi, accarezza bronzo e galvaniche in oro 18kt con la preziosa e minuziosa tecnica della microfusione e smalti a fuoco madreperlati.
Il risultato finale è una miscela sorprendente di emozioni e sentimenti che assumono i contorni di una nuova femminilità, ricca di charme e naturalezza.

Un esercizio di quello stile artigianale “Made in Italy” di cui Passavinti Firenze 1970 è massima espressione, in quelle sue creazioni uniche e inimitabili, simbolo di un fascino che non ha tempo e non ha età.



PASSAVINTI FIRENZE 1970, RITORNO… AL FUTURO

Non esistono arti più importanti di altre, se mai esistono artigiani più bravi di altri.
In questa sintesi si racchiude il succo del “Made in Italy”, firma d’autore in cima ai desideri di chi ci guarda oltre confine.
Lungi dal sottrarsi a questo nobile dna Passavinti 1970, storico marchio fiorentino di quell’arte orafa riconosciutaci come massima espressione nel mondo del lusso.
Un sogno, quello del brand toscano, concretizzatosi grazie al suo fondatore, Romano Passavinti, mirabile maestro nel dare forma a un gioiello ricco di stile, carattere, creatività e manifattura.
Una tradizione raccolta nel 2011 da Reali srl, società costituita da tre giovani imprenditori, Mirco Zoppini, Danilo Caccetta, Mauro Di Mario.

Personalità che hanno saputo rispettare i canoni straordinari di un attento e prezioso lavoro, proiettandoli in un affascinante “terzo millennio” del gioiello.

Una brillante miscela di ieri, oggi, domani che forgia collezioni sorprendenti, uniche ed esclusive, ricche di classico e di tendenza.

Jackie Kennedy, First Lady di eleganza

Quando si parla di eleganza non si può non citate Jacqueline Kennedy, celebre First Lady del più discusso Presidente degli Stati Uniti d’America nonché insuperabile icona di stile.

Classe 1929, segno zodiacale Leone, Jacqueline Lee Bouvier divenne la First Lady per antonomasia. Un mito intramontabile, coi suoi tailleurini bon ton e il peso del ruolo che le era stato imposto.

Donna volitiva, forte e ambiziosa, Jacqueline nacque in una famiglia dell’alta società newyorkese. Provetta cavallerizza, fece la sua prima esperienza lavorativa come giornalista per il Washington Times-Herald, che le affidò il compito di intervistare alcuni tra i personaggi più noti dell’ambiente politico statunitense.

Jackie Kennedy in Oleg Cassini
Jackie Kennedy in Oleg Cassini



Da qui l’incontro con il futuro Presidente John Fitzgerald Kennedy, che sposò il 12 settembre 1953 e da cui ebbe quattro figli. Prese il suo ruolo di First Lady molto seriamente, cercando di fornire un’immagine di sé e della sua famiglia che rasentasse la perfezione.

Jackie Kennedy in Oleg Cassini
Jackie Kennedy in Oleg Cassini




Nell’immaginario collettivo lei è la First Lady per antonomasia. Sempre perfetta, uno stile discreto: l’immancabile filo di perle al collo, i cappellini, i colori pastello e la sobria eleganza negli abiti confezionati per lei da Oleg Cassini, Chanel e Valentino.



Abito Valentino
Abito Valentino
Bozzetto creato per Jackie Kennedy da Valentino
Bozzetto creato per Jackie Kennedy da Valentino

Tailleur Chanel
Tailleur Chanel




Coraggiosa e piena di regale contegno sia di fronte ai presunti tradimenti del marito -tra i quali si sospettava una liaison con Marilyn Monroe, la donna più esplosiva d’America- pagò tutto quel che ottenne, fino a quando le tinte pastello del suo tailleur Chanel si tinsero di sangue.

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È una donna disperata quella che tenta di salvare il marito dal suo brutale assassinio, avvenuto proprio davanti ai suoi occhi. La parabola di un sogno che sembra andare in frantumi, finché, come una fenice, rinasce dalle proprie ceneri, convolando in seconde -quantomai discusse- nozze con l’armatore greco Aristotele Onassis.

I famosi sandali Capri, da lei sdoganati
I famosi sandali Capri, da lei sdoganati
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Jackie Onassis e Valentino Garavani a Capri

A Capri con la borsa dedicatole da Gucci, la Jackie O'
A Capri con la borsa dedicatole da Gucci, la Jackie O’


Da First Lady a Jackie O’. Questo è il periodo in cui la donna incontra il mito. L’icona di stile- tra i trend da lei lanciati i famosi sandali Capri, i pantaloni bianchi a metà polpaccio, il caftano e l’immancabile borsa Jackie O’che Gucci le intitolò. Una signora dello stile.

Zandra Rhodes, la principessa del punk

Nel panorama degli anni Sessanta-Settanta diversi furono i personaggi che maggiormente hanno contribuito a rivoluzionare il costume e la moda. Protagonista assoluta, nella Swinging London di quegli anni, fu Zandra Rhodes.

Nata nel Kent nel 1940, fu iniziata alla magia della moda dalla madre, lettrice presso il Medway College of Art, scuola frequentata da Zandra, che decide di specializzarsi nello studio delle stampe tessili. Le sue prime stampe vennero però considerate troppo ardimentose per l’epoca. Fu così che la giovane Zandra decise di creare un proprio marchio, divenendo leader indiscussa nella creazione di capi stampati.

Tra il 1966 e il 1967, insieme a Sylvia Ayton, un’amica conosciuta al college, Zandra aprì a Londra il suo primo negozio, The Fulham Road Clothes Shop. Protagonista assoluto di questo piccolo gioiello nel cuore della Swinging London era il colore, declinato in ogni tipo di stampa.

Un modello Zandra Rhodes
Un modello Zandra Rhodes


Le particolari stampe,  tipiche del brand
Le particolari stampe, tipiche del brand



Omaggio alla designer
Omaggio alla designer


Le stampe simbolo di un'epoca
Le stampe simbolo di un’epoca


Stampe da tutte le culture del mondo
Stampe da tutte le culture del mondo



Grande conoscitrice di svariate culture ed etnie, Zandra traeva ispirazione dall’Africa, per le stampe batik, dal Messico, dal Giappone e dall’Estremo Oriente. In poco tempo il suo negozio divenne punto di riferimento per un sottobosco di giovani che volevano ribellarsi alla cultura dominante e che cercavano anche attraverso la moda un mezzo di riscatto per affermare la propria libertà.


Rivoluzione dei favolosi Swinging Sixties
Rivoluzione dei favolosi Swinging Sixties


Uno stile unico
Uno stile unico



Nel 1969 portò la propria collezione a New York, dove conquistò Diana Vreeland che la recensì su Vogue US. Nel 1977 fu la prima designer a creare una collezione punk.


Un ritratto della designer, icona dello stile punk
Un ritratto della designer, icona dello stile punk


Foto degli anni Settanta
Foto degli anni Settanta


Un altro scatto sempre risalente ai primi anni Settanta
Un altro scatto sempre risalente ai primi anni Settanta


Lei stessa divenne un simbolo: capelli rosa shocking, trucco pesante, spille da balia cucite in ogni outfit, Zandra Rhodes ottenne presto l’appellativo di “Principessa del Punk”.

L'attrice Natalie Wood indossa una creazione di Zandra Rhodes, foto di Gianni Penati
L’attrice Natalie Wood indossa una creazione di Zandra Rhodes, foto di Gianni Penati


Anjelica Huston in Zandra Rhodes per Vogue UK, settembre 1971, foto di David Bailey


Penelope Tree in Zandra Rhodes
Penelope Tree in Zandra Rhodes


Pat Cleveland in Zandra Rhodes
Pat Cleveland in Zandra Rhodes


Inizia il clamore, posano indossando le sue creazioni Bianca Jagger, Anjelica Huston, Penelope Tree. Crea nuovi capi appositamente per Freddie Mercury e i Queen, per Debbie Harry, Kylie Minogue, Jackie Onassis, Lady Diana, Liz Taylor, e ancora Sarah Jessica Parker e Paris Hilton.

Bianca Jagger in Zandra Rhodes per il Sunday Times Magazine, 1972
Bianca Jagger in Zandra Rhodes per il Sunday Times Magazine, 1972


Bianca Jagger in Zandra Rhodes per il Sunday Times Magazine, 1972
Bianca Jagger in Zandra Rhodes per il Sunday Times Magazine, 1972


Ancora la Jagger per il Sunday Times Magazine, 1972
Ancora la Jagger per il Sunday Times Magazine, 1972


Harper's Bazaar Maggio 1976
Harper’s Bazaar Maggio 1976


Oggi Zandra Rhodes è curatrice del Fashion and Textile Museum di Londra. Nel 1997 è stata insignita del titolo di Commander of British Empire. Nel 2005 la galleria Carla Sozzani le ha dedicato una retrospettiva sul suo lavoro. Attualmente la Rhodes si dedica alla creazione di gioielli e di una linea di make up.

Uno scatto recente delle collezioni Zandra Rhodes
Uno scatto recente delle collezioni Zandra Rhodes


Il mito continua fino ad oggi
Il mito continua fino ad oggi

DESANINETEENSEVENTYTWO – COLLEZIONE AUTUNNO/INVERNO 2015/16

Oscar Wilde disse “ O si è un’opera d’arte o la si indossa”, e niente è più glamour e di tendenza dell’aver su di sé questa sensazione. E’ con questa attitudine che il marchio DESANINETEENSEVENTYTWO crea le proprie collezioni:

1/4 di arte, un pizzico di design, uno sguardo alla pittura, un tocco di fashion icon e il gioco è fatto: bags evergreen e di tendenza che sono più di semplici borse.

Il successo di DESA viene da lontano ed ha basi solide e profonde: la ricerca dei materiali grezzi e dell’eleganza che ha contraddistinto i nostri tempi, si mescolano all’eccellenza delle loro concerie per dar vita a un prodotto che riassume in un nome tradizionalità, lusso e originalità.

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DESA crea per la stagione autunno-inverno 2015/16  una collezione ispirata all’attrice Romy Schneider, una figura di estrema bellezza, dalla profonda e drammatica complessità. Nascono le novità assolute ROMY bag, LADY bag, sempre accompagnate dalle iconiche FOUR, SEVEN e TWENTYTWO.

Ma senza l’estro e l’artigianalità che rendono il brand  produttore “leader” in Turchia nella creazione di accessori in pelle, non poteva nascere ANDROGENE, la serie al passo con i tempi dove i prodotti diventano unisex.

Protagonisti quindi il lusso dei materiali: Nappa Lux, Struzzo, il Camoscio, la Pelliccia e la pelle elaborata “Cervo” che riconfermano il DNA sofisticato e made in Turkey, eccellenza assoluta nei prodotti di lusso evergreen.

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Il cacao, l’Ebony e il Poison compaiono sulle bags come su di una tela, un dipinto di Josef Albers, pittore tedesco che ha omaggiato per anni il disegno geometrico creando effetti di ambiguità e lasciando alla percezione spazi interpretativi. Così anche DESA si mostra come marchio di alta gamma, il cui background si scopre arte, design, architettura, storia, non solo moda. Ed è proprio nel design di Charlotte Perriand che si fan strada le forme delle bags, nel suo patch armonioso, tono su tono, uniforme, e nella contemporaneità eterna di chi progetta come visionario.

DESA è presente in oltre 30 prestigiose Boutique considerate grandi “connoisseurs” della creatività ed il lusso come Excelsior, Antonioli, Degli Effetti, Silvia Bini, LuisaViaRoma.

Saint Laurent, sarà di nuovo Haute Couture

Rivoluzione in casa Saint Laurent. Dopo anni di prêt-à-porter si torna all’Haute Couture. Hedi Slimane, dal 2012 a capo della direzione creativa dello storico brand francese, ha appena presentato le prime foto della nuova campagna pubblicitaria dell’esclusiva “ligne privée”. Una collezione che travalica l’haute couture: la linea si presenta come il ritorno ad una sartorialità ormai estinta.



Ahn Duong in Yves Saint Laurent Haute Couture P/E 1986
Ahn Duong in Yves Saint Laurent Haute Couture P/E 1986


Non ci sarà alcuna sfilata ma a beneficiare delle esclusive creazioni sarà una ristretta élite di celebrities, principalmente attori e musicisti. Si tratterà di capi sia maschili che femminili, sia da giorno che da sera.



Yves Saint Laurent Haute Couture 1992
Yves Saint Laurent Haute Couture 1992


Slimane, già dall’età di ventisette anni direttore creativo della linea YSL Rive Gauche nonché pupillo di Pierre Bergé, nel 2012 assunse le redini della maison cambiandone anche il nome, non senza una lunga scia di polemiche da parte dei “puristi”. Dopo aver radicalmente cambiato lo stile che caratterizzava la maison francese, conferendogli un’allure più moderna e metropolitana, ora si torna alle origini.

Karen Mulder in Yves Saint Laurent Haute Couture, Parigi 20 luglio 1994
Karen Mulder in Yves Saint Laurent Haute Couture, Parigi 20 luglio 1994
Yves Saint Laurent Haute Couture A/I 1990
Yves Saint Laurent Haute Couture A/I 1990

YSL Haute Couture, P/E 1994
YSL Haute Couture, P/E 1994




Le collezioni Haute Couture di Yves Saint Laurent hanno fatto storia: impossibile non ricordare le top models, da Carla Bruni a Claudia Schiffer e ancora Karen Mulder fino ad una prorompente Laetitia Casta in versione botticelliana.

Laetitia Casta, YSL Haute Couture, P/E 1999
Laetitia Casta, YSL Haute Couture, P/E 1999
Esther Cañadas in YSL Haute Couture P/E 1999
Esther Cañadas in YSL Haute Couture P/E 1999
Carla Bruni, Yves Saint Laurent Haute Couture, 2002
Carla Bruni, Yves Saint Laurent Haute Couture, 2002

Una giovanissima Naomi Campbell in passerella per YSL Haute Couture, 1987
Una giovanissima Naomi Campbell in passerella per YSL Haute Couture, 1987




Uno stile inconfondibile, che conferiva ad ogni donna un’aria da diva. Sofisticata, in lunghi guanti di raso e sfarzosi abiti da sera, o misteriosa, il volto nascosto sotto eleganti cappelli e tailleur dalla linea perfetta.

YSL Haute Couture, A/I 1995
YSL Haute Couture, A/I 1995
YSL Haute Couture A/I 1976
YSL Haute Couture A/I 1976
P/E 1990
P/E 1990
P/E 1993
P/E 1993
A/I 1990
A/I 1990

1986
1986


L’opulenza e lo charme di un’epoca felice della moda internazionale. Innumerevoli le muse di monsieur Yves, da Loulou de la Falaise a Catherine Deneuve.

Ancora Carla Bruni in passerella per YSL Haute Couture
Ancora Carla Bruni in passerella per YSL Haute Couture
Renée Simonsen in Yves Saint Laurent Haute Couture P/E 1988, L'Officiel Paris, foto di Micheal Zeppetello
Renée Simonsen in Yves Saint Laurent Haute Couture P/E 1988, L’Officiel Paris, foto di Micheal Zeppetello
Catherine Deneuve in YSL Haute Couture, 1969
Catherine Deneuve in YSL Haute Couture, 1969

Collezione P/E 1988
Collezione P/E 1988


Auspichiamo che tale arte possa ritornare, dalle gloriose vestigia del passato di casa Saint Laurent.

L’arte fotografica di Louise Dahl-Wolfe

Ci sono fotografie che travalicano gli stessi confini dell’industria del fashion per abbracciare invece un concetto molto più universale, quello dell’arte.

È sicuramente il caso delle foto di Louise Dahl-Wolfe, che tradiscono un’intrinseca perfezione che merita di essere conosciuta ed approfondita.

Louise Emma Augusta Dahl nasce il 19 novembre 1895 a San Francisco da genitori emigrati negli Stati Uniti della Norvegia. Nel 1914 iniziò i suoi studi presso la California School of Fine Arts (oggi San Francisco Institute of Art). Per i sei anni seguenti ampliò gli orizzonti dello studio della fotografia apprendendo nozioni di anatomia e pittura.

Natalie in cappotto Grès, Kairouan, Tunisia, 1950
Natalie in cappotto Grès, Kairouan, Tunisia, 1950
Tunisia, 1950
Tunisia, 1950

Deserto del Mojave, California, Harper's Bazaar, maggio 1948
Deserto del Mojave, California, Harper’s Bazaar, maggio 1948




Successivamente studiò Design ed architettura presso la prestigiosa Columbia University. Nel 1928 convolò a nozze con lo scultore Meyer Wolfe, che allestì i set di molte delle sue foto più famose.

La sua arte fotografica, estremamente all’avanguardia per l’epoca, vedeva una predilezione per la luce naturale e le location esterne come pure per la ritrattistica. Furono ritratti da lei personaggi celebri, da Mae West al poeta W. H. Auden, da Cecil Beaton ad Orson Welles.

Jessica Taft, Trinidad, 1957
Jessica Taft, Trinidad, 1957
Mary Sykes, Escambron Beach Club, Porto Rico, Harper's Bazaar Dicembre 1938
Mary Sykes, Escambron Beach Club, Porto Rico, Harper’s Bazaar Dicembre 1938

Jean Patchett a Granada, Spagna, 1953
Jean Patchett a Granada, Spagna, 1953




Braccio destro di Diana Vreeland nella redazione del celebre magazine Harper’s Bazaar, è sua la foto di copertina del numero di marzo 1943, che vede una ancora acerba Lauren Bacall, appena scoperta dal lungimirante occhio della Vreeland. Tra le sue modelle preferite Mary Jane Russell, che si stima compaia nel trenta per cento dell’intero patrimonio fotografico lasciatoci da Louise Dahl-Wolfe.

La fotografa influenzò le opere di Richard Avedon e Irving Penn. Uno dei suoi assistenti fu il celebre fotografo Milton H. Greene, famoso per avere immortalato Marilyn Monroe.

Evelyn Tripp a Gioia del Colle, Puglia. 1955
Evelyn Tripp a Gioia del Colle, Puglia. 1955
1956
1956

Uno scatto per Harper's Bazaar, 1947
Uno scatto per Harper’s Bazaar, 1947




La Dahl-Wolfe lavorò per Harper’s Bazaar dal 1936 al 1958, membro dello staff composto da Carmel Snow (editor), Alexey Brodovitch (Art director) e la già citata Diana Vreeland come fashion editor. Immenso è il patrimonio prodotto: 86 copertine, 600 foto a colori ed innumerevoli scatti in bianco e nero.

Tantissimi furono i viaggi di lavoro, che testimoniano ancora una volta l’importanza che la location -meglio se esotica- rivestiva secondo la Dahl-Wolfe. Molte sono le fotografie in cui protagonista è la carta geografica: una mappa, nascosta in un angolo del set o in mano alla modella, sia che indossasse sontuosi abiti da sera o semplici costumi da bagno. Quasi un talismano, o un monito a ricordare quanta eleganza ci sia nell’apprendere nuove culture e nel visitare nuovi angoli del pianeta.

Harper's Bazaar, Agosto 1949
Harper’s Bazaar, Agosto 1949
Jean Patchett con mappa, Granada, Spagna, 1953
Jean Patchett con mappa, Granada, Spagna, 1953
Ritorna la mappa, "firma" della fotografa
Mary Jane Russell, una delle modelle più amate dalla fotografa
Ancora Mary Jane Russell
Ancora Mary Jane Russell

Ritorna la carta geografica
Ritorna la carta geografica, “firma” della Dahl-Wolfe




Dal 1958 fino al suo ritiro, due anni più tardi, lavorò per Vogue, Sports Illustrated e altri magazine. Morì di polmonite nel 1989. Dieci anni dopo, nel 1999, la sua opera fu raccolta in un documentario dal titolo “Louise Dahl-Wolfe: Painting with Light”. Ed è proprio così, i suoi scatti ricordano spesso dei ritratti, sapientemente creati grazie ad un uso magistrale della luce. Quel che più colpisce è la modernità di certi suoi scatti, semplici eppure di grande effetto.



Atmosfere esotiche in molti dei suoi scatti, come questo, del 1950
Atmosfere esotiche in molti dei suoi scatti, come questo, del 1950
Scatto per Harper's Bazaar
Scatto per Harper’s Bazaar
Ancora Harper's Bazaar
Ancora Harper’s Bazaar
Scatto molto raro, per Harper's Bazaar Maggio 1946
Scatto molto raro, per Harper’s Bazaar Maggio 1946
Editoriale moda per Harper's Bazaar con le carte da gioco, Agosto 1953
Editoriale moda per Harper’s Bazaar con le carte da gioco, Agosto 1953
Un'altra foto tratta dallo stesso editoriale
Un’altra foto tratta dallo stesso editoriale
Una delle tante cover per Harper's Bazaar
Una delle tante cover per Harper’s Bazaar
L'incredibile modernità nell'uso della luce
L’incredibile modernità nell’uso della luce
Lady Margaret Strickland con turbante, 1938
Lady Margaret Strickland con turbante, 1938

Suzy Brewster, Miami, Florida, 1941
Suzy Brewster, Miami, Florida, 1941




Una donna dalla personalità molto forte, che lasciò il suo posto nella redazione di Harper’s Bazaar quando alla Vreeland subentrò un nuovo fashion editor, che tentò -senza successo- di cambiare lo stile delle sue foto. I suoi scatti restano ancora oggi un insuperato capolavoro di stile. Per veri intenditori.

Ideologia fascista e questione femminile

La cultura dominante nel periodo fascista in che considerazione tenne la donna? Alcune componenti culturali, già presenti nella lunga storia dell’Italia divisa e nei primi decenni dell’Italia unita, trovarono in questo periodo una formulazione teorica e un’espressione pratica più precisa. Tali componenti sono principalmente il nazionalismo, il razzismo euna certa tendenza all’aggressività e all’arroganza che sfociò in una prassi e in una politica bellicistica.


Il progetto educativo del fascismo, anche perché radicato in una solida tradizione, contribuì a produrre, a difendere e a sviluppare delle convinzioni e degli stati emozionali tanto nelle singole persone quanto nel pensiero collettivo, che si manifestarono in atteggiamenti imitativi e in linguaggi e comportamenti generalmente condivisi.


Ideologia fascista e questione femminile


L’ideologia fascista veniva a innestarsi su un ceppo già ricco di pregiudizi, insieme con indubbi aspetti positivi. Una già diffusa misoginia trovava nuovo vigore nel fascismo e nei suoi simboli: in sostanza la donna si definisce con ruolo subalterno in rapporto all’uomo, del quale è di volta in volta madre, sposa, sorella, figlia e le sue funzioni biologiche e sociali trovano il loro coronamento nella maternità. Le stesse organizzazioni femminili che erano a favore del regime, con i loro corsi di educazione politica o d’indottrinamento, riproponevano un modello imperante al quale contribuiva in misura di non poco peso la convinta adesione delle stesse donne. Obbedienza, spirito di servizio, spiritualità, sacrificio, abnegazione: queste e altre “virtù femminili” costituirono il leit-motiv di un’intera generazione di donne. Con le esperienze belliche, poi, un tale modello si arricchì ulteriormente, con la proposta della donna madre di soldati, la donna vedova, la donna che piange i morti caduti per la grandezza della patria. In un mare di buoni propositi e in un oceano di retorica, la concreta discriminazione della donna e, a volte, la sua emarginazione dalla vita sociale occupava pochissimo spazio nell’azione politica e nell’opinione pubblica.


Un preciso “luogo” di osservazione della condizione della donna nel ventennio fascista può essere la stampa popolare femminile.


Questo tipo di stampa era, sì, soggetto a censure, ma non a un controllo puntiglioso e capillare come avveniva per i quotidiani. Pertanto queste pubblicazioni sono in grado di offrirci certamente il “dogma fascista” con i suoi modelli precisi, ma non sono esclusi anche interessanti squarci di vita concreta, articolati e complessi elementi di dissonanza rispetto alla visione tradizionale, coraggiosi anche se parziali tentativi di problematicizzare la contemporaneità. Insomma, le sfumature che ogni storia porta con sé.


Proprio in quel periodo queste testate fecero registrare un notevole e contribuirono non poco alla formazione culturale delle donne, risultando, non di rado, fresche testimonianze del vissuto femminile dell’epoca. Settimanali, mensili, riviste di varietà e di moda, rotocalchi entrano nelle case delle italiane e tendono a diffondersi. Questo tipo di stampa contribuì in modo significativo alla “fabbrica del consenso”.


«Creature di virile ardimento, ma di squisita femminilità»: questa espressione, proposta da Vittoria de Grazia, riassume con singolare efficacia la visione che il regime ebbe delle donne e che propose attraverso gli strumenti della cultura e del consenso sociale.


Il fascismo si distinse per un irrigidimento del nazionalismo, sia come “naturale” compimento della spinta risorgimentale sia in opposizione ai due grandi movimenti politico-culturali che in quegli anni si andavano diffondendo, cioè il socialismo e il cattolicesimo, ambedue contrassegnati da un’evidente impronta internazionalistica, mentre fortemente in crisi appariva il liberalismo.


La struttura mentale specifica della stagione fascista presentò un’evidente connotazione nazionalistica, maturata da Mussolini già nel periodo dell’interventismo in vista del primo conflitto mondiale, che trovò la sua manifestazione ufficiale nel cosiddetto Discorso dell’Ascensione, pronunziato da lui il 26 maggio 1927: questa data costituisce un punto di svolta nella sua visione e nella sua politica. Nelle parole del leader fascista la questione demografica veniva posta in primo piano, con la proclamazione di uno scopo ideale da raggiungere, cioè «massimo di natalità, minimo di mortalità», perché «il regresso delle nascite attenta in un primo tempo alla potenza dei popoli e in successivi tempi li conduce alla morte». Lo sviluppo demografico, pertanto, veniva prospettato in chiave esplicitamente nazionalistica. Naturalmente le donne non erano soltanto vittime più o meno consapevoli di queste strutture mentali; ma esse stesse, a varia misura, le condividevano.


Quale risonanza ebbe sulla stampa femminile questa impostazione nazionalistica della cultura fascista?


Va notato, anzitutto, che non sempre e non da tutte le donne veniva condivisa una simile mentalità. La rivista Almanacco della donna italiana, ad esempio, che fu pubblicata per oltre venti anni, non accettò mai l’idea del primato della donna casalinga sempre disponibile a rimanere incinta per «dare figli alla patria» e anzi rivendicò il ruolo delle intellettuali e di quante operavano al di fuori delle mura domestiche. Su quelle pagine, perciò, apparvero i profili di artisti, letterate, poetesse, pubbliciste, giornaliste e professioniste varie. Così pure non di rado furono presentate, con caratteristiche positive, non solo autrici italiane e tedesche o spagnole, per parlare di regimi abbastanza simili, ma anche francesi, inglesi, russe e nordeuropee.


Altre pubblicazioni, invece, seguirono fedelmente se non pedissequamente il cammino del fascismo, con le sue trasformazioni e i suoi adattamenti. Emblematico, in questo senso, è il caso di Italianissima, rivista culturale nata nel 1924: se nei primi numeri affrontava con vigore la questione del suffragio femminile, a partire dal 1926 si allineò completamente alle posizioni ufficiali del partito.

Wang lascia Balenciaga

Si rincorrevano voci già da tempo ma ora pare sia ufficiale: secondo fonti molto vicine alla maison, Alexander Wang starebbe per lasciare la direzione di Balenciaga. Il giovane designer, da due anni a capo della direzione creativa dello storico marchio francese, si appresterebbe a lasciare il suo incarico.

Raramente uno stilista ha diviso tanto gli esperti di moda. C’era chi lo adorava e chi invece non riusciva proprio a capirlo. Forse lo stile iper funzionale e minimalista del designer americano poteva apparire lontano da un brand che, fin dagli albori, aveva puntato tutto su un concetto classico di stile.

Classe 1983, nato in California da genitori originari di Taiwan, Wang era direttore creativo di Balenciaga dallo scorso 2013. Secondo le indiscrezioni, il gruppo Kering di François Pinault, proprietario del brand, non sarebbe intenzionato a rinnovare il contratto allo stilista.

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Always Loyal, ovvero il trionfo del soldato

Muscolosi, sexy, affascinanti, menomati: ecco come possiamo introdurre i modelli che, per una volta, hanno scelto di farsi ritrarre dal fotografo californiano Micheal Stokes.

Sono tutti ex soldati e soldatesse statunitensi che hanno abbandonato le armi e le vesti per mostrare i loro corpi leggermente modificati a causa delle gravi conseguenze che comporta la scelta di arruolarsi: le bombe dell’Afghanistan, gli agguati durante la Guerra del Golfo, gli attacchi a sorpresa e gli orripilanti kamikaze non sono solo notizie da tg serale ma dei chiari ed evidenti segni impressi su gambe, braccia, anime.

Negli Stati Uniti i reduci di guerra sono considerati dei veri e propri eroi, persone da osannare sebbene, dietro la scelta di un semplice arruolamento, vi sono ragioni disparate che spesso non rietrano nella vocazione di diventare soldato a favore della patria. Alcuni imbracciano un’arma per scampare alla vita da strada, per avere un posto sicuro, per guadagnare abbastanza e far vivere degnamente una famiglia, per pagare il college a qualcuno. E i risultati di questo sacrificio spesso li si porta poi addosso.

Uno dei primi modelli ad essere stato fotografato è Alex Minsky, che ha perso una gamba nel 2009 a seguito dello scoppio di una bomba, in Afghanistan. Da qui, una serie di scatti concatenati che sul web hanno riscosso così tanto successo da aver spinto Micheal Stokes ad aprire una pagina su Kickstarter per raccogliere fondi e pubblicare un libro su questo tema.

Ci fai sentire dei veri uomini” gli ha confessato qualcuno di loro e a ben guardare le immagini, pare che la menomazione sia in realtà un semplice difetto di fotografia.

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(foto: vanityfair.it)

Il ritorno della Divina Alessandra Ferri all’Auditorium Parco della Musica

Il ritorno della Divina Alessandra Ferri, domani a Roma, all’Auditorium Parco della Musica
Foto di Lucas Chilczuk

Se la Divina Alessandra Ferri, ritorna a danzare, dopo il suo addio alle scene, risalente a qualche anno, bisogna accorrere, senza pensarci su due volte. Perché sarà un evento irripetibile, perché è cosi difficile rinunciare a vedere danzare una della maggiori ballerine del nostro tempo, stella del Royal Ballet di Londra, dell’American Ballet Theatre di New York e de La Scala di Milano, musa di grandi coreografi come Kenneth McMillan, interprete senza eguali di ruoli drammatici.

“Ho visto danzare Mikhail Baryshnikov a 65 anni ed ho trovato il coraggio di tornare sulle scene”. Mai intuizione fu più giusta. Alessandra è di nuovo sulle scene, per riabbracciare il suo pubblico.

“Mi sembra di portare bellezza nel mondo, come se fosse la mia missione”

La Ferri, torna a Roma domani, 30 luglio, nella Cavea dell’Auditorium Parco della Musica Roma con lo spettacolo Evolution organizzato dal geniale e talentuoso Daniele Cipriani, in collaborazione con Fondazione Musica per Roma, uno spettacolo intenso e sfaccettato che ci mostrerà una nuova Alessandra.

“Mi sono lasciata alle spalle Giulietta, Manon, Giselle. Ora voglio affrontare ruoli nuovi che appartengano all’Alessandra di oggi”

Il ritorno della Divina Alessandra Ferri, domani a Roma, all’Auditorium Parco della Musica
Foto di Lucas Chilczuk

Ad accompagnarla in questo nuova avventura ci sarà Herman Cornejo, primo ballerino dell’American Ballet Theatre e alcuni acclamati danzatori provenienti da compagnie classiche e moderne di punta: Tobin del Cuore (Lar Lubovitch Dance Company), Craig Hall (New York City Ballet) e Daniel Proietto (Russell Maliphant Company), Jonathan Alsberry, William Briscoe e Jonathan Fredrickson, artisti molto diversi tra di loro, eppure tutti profondamente uniti dalla medesima visione della danza.

La Ferri è una delle stelle della danza italiana più amate nel mondo. E’ una star assoluta, la sua personalità e il suo talento fanno di lei una ballerina unica e rara. Lei non è l’erede di nessuna étoile del passato, lei è Alessandra Ferri, che ha impresso un suo stile nella storia della danza, di ieri, oggi e domani.

Qualche anno fa decise di abbandonare le scene. Mai notizia fu accolta con tristezza dai ballettomani e non. Tutti accorsero ad ammirarla nei suoi ultimi spettacoli e una sera di circa otto anni fa, infatti, tutti ricordano le lacrime al viso e un sor­riso rico­no­scente verso il suo pub­blico. Eravamo in estasi al Tea­tro alla Scala di Milano, Alessandra dava l’addio alle scene insieme all’amico e collega Roberto Bolle, con uno dei uno dei ruoli più strazianti della sua car­riera, La Dame aux Camé­lias di John Neu­meier, sto­ria d’amore e morte, una di quelle parti che esigono talento, personalità, sensibilità, interpretazione.

Il mondo della danza perdeva una delle sue stelle più luminose, una diva controvoglia, una donna dal carattere tenace e carismatico.

Voleva dedicarsi alle figlie adolescenti e all’allora marito Fabrizio Ferri. Tutto era così umanamente comprensibile, ma il pubblico rimase, attonito e triste, comunque! E’ cosi difficile lasciar andare via le stelle.

“Quando smisi avevo capito che un capitolo era terminato per me. Ho avuto una fase di lutto. Poi un’altra, di sollievo. Mi sono occupata delle mie bambine, ho curato aspetti della vita che erano stati secondari rispetto alla carriera. E poi all’improvviso, ho cominciato a soffocare. Non era la scena, non era il pubblico, era proprio il ballare, il bisogno di vibrare, quello che mi mancava”.

Bentornata Alessandra!!

 

Foto in copertina di Lucas Chilczuk