Emilio Pucci, il principe delle stampe

Ci sono nomi che, oltre ad aver reso la moda italiana famosa in tutto il mondo, le hanno conferito una magia ed uno charme talmente unici ed irripetibili da essere ricordati in eterno. La storia di Emilio Pucci è ricca di nobiltà e di avventura, sullo sfondo di una Firenze patrizia fino alla conquista degli States e all’affermazione della maison italiana nel mondo.

Emilio Pucci, marchese di Barsento, nacque a Napoli il 20 novembre 1914 dalla nobile famiglia fiorentina dei Pucci. Provetto sciatore, nel 1934 viene selezionato dalla squadra nazionale olimpica italiana di sci e partecipa alle Olimpiadi invernali del 1936.

Il giovane Emilio coltiva la passione per lo sci e per la pittura. Dopo aver vinto una borsa di studio presso il Reed College, nell’Oregon, dove avrebbe dovuto continuare i suoi allenamenti nello sci, sorprende tutti disegnando l’uniforme della squadra. I suoi primi bozzetti nascono così, in modo del tutto spontaneo e casuale, ma rivelano un genio ed un estro sorprendenti.

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Mirella Petteni in turbante, tunica e pantaloni di seta Emilio Pucci, fotografata da Gian Paolo Barbieri, Primavera/Estate 1967
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Diana in pigiama palazzo Emilio Pucci, foto di Gian Paolo Barbieri, 1967
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Emilio Pucci, marchese di Barsento, nacque a Napoli il 20 novembre 1914 dalla nobile famiglia fiorentina dei Pucci


Dopo aver concluso un master in scienze sociali negli States, l’eclettico aristocratico non torna in Italia ma si imbarca su una vecchia nave e parte per un improvvisato giro del mondo, impresa che paga cara al suo rientro in patria, dove viene accusato dalle autorità militari di renitenza alla leva.

Prima di avvicinarsi alla moda il marchese fu un grande sportivo: dopo essersi arruolato nella Regia Aeronautica nel 1938, lavorò come istruttore di sci al Sestriere. Rientrato nella sua Firenze, avviene l’incontro che segna la sua vita, con la moda, di cui l’inconsapevole designer cambierà il corso. Anche in questo campo, la fortuna di Emilio Pucci proviene ancora una volta dal mondo dello sport, oltre che da un indescrivibile talento come disegnatore di bozzetti: dopo aver creato, quasi per gioco, una tenuta da sci per un’amica, nel 1947, viene immortalato con quest’ultima dalla fotografa di moda Toni Frissell sul numero di dicembre di Harper’s Bazaar. Quella tuta da sci improvvisata dai colori fluo colpisce l’attenzione dei media e diventa must have ante litteram della moda invernale.

L’aristocratico dal gusto innato viene incoraggiato dall’inaspettato successo a proseguire sulla strada della moda: è Capri la location scelta per aprire la sua prima boutique, nel 1950. La personalità e l’originalità pagano sempre, e quei colori brillanti su stampe dai motivi così particolari rappresentano fin da subito qualcosa di assolutamente inedito nel panorama della moda italiana e mondiale. Pioniere della moda italiana e perspicace trendsetter, il marchese partecipa l’anno seguente, nel febbraio del 1951, alla prima sfilata di moda mai organizzata in Italia, realizzata grazie a Giovanni Battista Giorgini a Firenze, nella mirabile location di Villa Torrigiani.

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Diane in Emilio Pucci Primavera/Estate 1968, foto di Gian Paolo Barbieri
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Diane in Emilio Pucci Primavera/Estate 1968, foto di Gian Paolo Barbieri
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Diane in Emilio Pucci Primavera/Estate 1968, foto di Gian Paolo Barbieri
Pigiama palazzo Emilio Pucci, foto di Henry Clarke, 1965
Pigiama palazzo Emilio Pucci, foto di Henry Clarke, 1965
Astrid Heeren in tuta da sci Emilio Pucci fotografata da Peter Beard per Vogue, 1964
Astrid Heeren in tuta da sci Emilio Pucci fotografata da Peter Beard per Vogue, 1964

Emilio Pucci sul set di uno shooting, foto di David Lees, 1964
Emilio Pucci sul set di uno shooting, foto di David Lees, 1964


Emilio Pucci si impone in brevissimo tempo come uno dei protagonisti più amati delle passerelle fiorentine. Le sue creazioni, dalle fantasie optical e dalle cromie esplosive, unite alla cura nella scelta di tessuti pregiati, sdoganano in breve lo stilista anche all’estero: “The Prince of Prints”, il principe delle stampe, è il nome assegnatogli dalla stampa anglosassone. Nel 1954 avviene una prima consacrazione ufficiale in America, con l’assegnazione del prestigioso Neiman-Marcus Award. Mentre la moda guarda sempre più a Parigi, all’Haute Couture di nomi come Christian Dior e al suo New Look dal gusto classico, Emilio Pucci crea una nuova concezione dello stile, che privilegia la comodità e le stampe.

Capostipite di quello che oggi viene chiamato Sportswear, la libertà sembra essere ciò che più gli preme, per capi drappeggiati e morbidi in tessuti come la seta, l’organza, la gabardine e la mussoline. Definito da Giovanni Sartori “un grande cavaliere antico”, Pucci scglie come suo quartier generale per la sua casa di moda Palazzo Pucci in via de’ Pucci: è la sua Firenze ad ispirarlo, e l’antico palazzo nobiliare è ancora oggi sede della maison. Suggestive e pregne di un gusto indimenticabile, le foto scattate sul tetto del palazzo di famiglia, forse simbolo per antonomasia del gusto del marchese e della sua visione dell’eleganza. Innumerevoli saranno le modelle ad indossare capi Emilio Pucci: celebri le foto scattate da Henry Clarke e Gian Paolo Barbieri, con modelle del calibro di Marisa Berenson e Benedetta Barzini, solo per citarne alcune. Tute dal sapore etnico, pigiama palazzo che ricordano l’Oriente, e ancora turbanti e dettagli che profumano di terre lontane: lo stile Emilio Pucci affascina con un mix di storia e ricercatezza, per capi sofisticati come pochi.

Turbante Emilio Pucci, foto di Gian Paolo Barbieri, 1969
Turbante Emilio Pucci, foto di Gian Paolo Barbieri, 1969
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Cappa Emilio Pucci, 1964, The Kyoto Costume Institute, Giappone
Modelle sul tetto di Palazzo Pucci indossano capi della collezione Primavera/Estate 1967
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Modelle in Emilio Pucci posano a Piazzale Michelangelo, Firenze, 1966

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Marisa Berenson in Emilio Pucci, foto di Henry Clarke, 1968


Dopo aver brevettato nel 1960 “emilioform”, un tessuto leggero composto da helanca mixata a shantung di seta, nel 1966 Pucci lanciò il suo primo profumo, Vivara. Nel 1956 creò una delle sue collezioni più celebri, ispirata alla Sicilia, rappresentata mirabilmente da indimenticabili scatti ambientati a Monreale; l’anno seguente fu il Palio di Siena ad ispirarlo, e nel 1959 le opere del Botticelli. Nel 1967 portò le sue sfilate nel palazzo di famiglia, e nello stesso periodo disegnò le uniformi per le hostess della Braniff International Airways. Avanti rispetto ai tempi, la collezione, denominata Gemini 4, vede un mood da space oddity, ed è seguita dalla creazione del logo per la missione speciale della NASA denominata Apollo 15. In Italia disegnò le divise dei Vigli urbani, con i fatidici elmetti ovali sulla divisa blu dai lunghi guanti bianchi: inoltre si dilettò con la moda maschile, con la creazione di fragranze e con la produzione di ceramiche per la casa.

Emilio Pucci ritratto da David Lees, 1959
Emilio Pucci ritratto da David Lees, 1959
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Uniformi firmate Emilio Pucci, Braniff International Airline, 1966-1968
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Foto di Henry Clarke
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Benedetta Barzini in Emilio Pucci, 1968
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Gaby Wagner in Emilio Pucci ritratta da Gian Paolo Barbieri, Vogue Paris 1975

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Mood space oddity per il casco firmato Emilio Pucci per le uniformi Braniff Airlines


I capi colorati di Emilio Pucci andarono letteralmente a ruba nei grandi magazzini Saks, dando origine ad una vera e propria Puccimania. Un gusto innato per il colore ed una capacità unica come disegnatore, le sue creazioni avevano un quid che le differenziava da tutte le altre: l’allegria ed un approccio artistico alla moda, nella sua ricerca certosina per la creazione di stampe originali.

Durante la Seconda Guerra Mondiale Emilio Pucci fu ufficiale dell’Aviazione, pluridecorato con tre Medaglie d’argento al valor militare, sette di Bronzo e tre Croci di guerra al valor militare. Personalità eclettica, negli Sessanta il marchese decise di entrare in politica, col partito liberale e fu nominato Sottosegretario al Ministero dei Trasporti. Il 4 giugno del 1982 fu nominato Cavaliere del Lavoro. Il 29 novembre del 1992 il marchese si spense nella sua amata Firenze, all’età di 78 anni.

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Linda Evangelista in Emilio Pucci, foto di Irving Penn, Vogue, 1990
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Marisa Berenson con borse Emilio Pucci, foto di Bert Stern, 1965
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Veruschka in tuta da sci Emilio Pucci, foto di Franco Rubartelli, 1969
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Benedetta Barzini in Emilio Pucci, foto di Henry Clarke, 1968
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Mariacarla Boscono per Emilio Pucci, campagna pubblicitaria A/I 2008-09

Stampe Emilio Pucci
Stampe Emilio Pucci


Dopo la sua scomparsa la figlia Laudomia ha ereditato la direzione del marchio, di cui ancora oggi cura l’immagine generale. Nel 1996 una grande mostra in onore del marchese è stata allestita a Pitti, mentre il suo talento così unico è stato al centro di un volume edito da Taschen. Nel 2000 il gruppo francese LVMH (Louis Vuitton) ha acquistato i diritti sul logo Emilio Pucci e sulle creazioni storiche, rendendosi protagonista di un rilancio del brand gestito in modo sapiente: è solo dalla celebrazione del glorioso passato della maison che si può ripartire, rivisitandone modelli e motivi per declinarli in collezioni nuove facendo rivivere la magnificenza dello stile Pucci nella contemporaneità. La storica maison ha visto alternarsi alla sua direzione creativa numerosi designer, da Stephan Janson e Julio Espada a Christian Lacroix, da Matthew Williamson a Peter Dundas, fino all’attuale direttore creativo Massimo Giorgetti. Con oltre 50 boutique nelle località più esclusive del mondo e un fatturato calcolato tra Italia, Stati Uniti e Giappone, la maison è ancora oggi simbolo di un’incomparabile eleganza.

(Foto copertina Gian Paolo Barbieri, 1967 circa)


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Lo stile di Candela Novembre

Happy Birthday, Twiggy!

È la modella che ha rivoluzionato il concetto di bellezza. La più fotografata e la più amata in assoluto. Dopo aver segnato un’epoca col suo volto, Twiggy spegne 66 candeline. Una carriera sfavillante, iniziata per caso, fino a divenire icona quasi mitologica degli anni Sessanta. Figlia di quella Swinging London che ne ha forgiato lo stile, Twiggy ha incarnato lo spirito di quegli anni.

Nata a Neasden, un sobborgo di Londra, il 19 settembre del 1949, Lesley Hornby -questo il suo vero nome- è una ragazza gracile e dai lineamenti fanciulleschi. Assai diversa dallo standard allora vigente, che identifica la bellezza in donne dal fisico meno acerbo, l’appena sedicenne Lesley viene notata dal fotografo di moda Justin de Villeneuve, mentre lavora in un parrucchiere.

Tra i due nasce un rapporto sentimentale e lavorativo: Villeneuve ha fiuto e intuisce subito che quel viso così grazioso ha una marcia in più. Dopo esserne diventato il manager, è lui stesso a lanciare la ragazza e a scegliere per lei il soprannome di Twiggy, letteralmente “grissino”, un esplicito riferimento alla sua magrezza adolescenziale.

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Twiggy ha incarnato lo stile della Londra anni Sessanta
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Twiggy su Vogue, 1967
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Nata a Neasden, un sobborgo di Londra, la modella è stata scoperta all’età di sedici anni
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Tipico look anni Sessanta per Twiggy
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La modella è stata testimonial di Mary Quant, che con la sua minigonna ha rivoluzionato la moda
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Entusiasmo fanciullesco per la modella grissino
Sugli autoscontri al Bertram Mills Circus, Londra, 1967
Sugli autoscontri al Bertram Mills Circus, Londra, 1967

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Foto di Bert Stern, New York, 1967


Basta fare circolare qualche foto della ragazza e tutto ha inizio: quel volto così particolare ben si addice al fermento rivoluzionario della Londra di quegli anni. Grandi occhi da cerbiatto, sguardo innocente e sorriso spontaneo su gambe nervose, Twiggy emana una freschezza che incanta tanto la gente comune quanto gli addetti ai lavori della moda. In appena un anno la modella grissino diviene una star. Le ciglia finte e il make up disegnato ad esaltare gli immensi occhioni, gli abitini a trapezio e le minigonne: il suo stile incarna l’anima più swing degli anni Sessanta. Idolatrata, imitata e ambita dai designer inglesi e non, viene nominata dal Daily Express “Il volto del ’66”.

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Foto di Ronald Traeger
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Un altro scatto di Ronald Traeger

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Twiggy fotografata davanti ad un dipinto di Bridget Riley, tuta di Gene Shelly, Vogue, 1967, foto di Bert Stern


Successivamente diventa il volto di brand del calibro di Biba e Mary Quant, che la sceglie come testimonial della sua celebre minigonna. Una rivoluzione dentro la rivoluzione: sullo sfondo della liberazione dei costumi si consuma un altro epocale cambiamento, per cui il concetto standard di bellezza e femminilità vigente viene completamente stravolto dal candore della nuova icona: Twiggy è la prima modella a rappresentare una nuova donna, giovane e gioiosa.

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Uno scatto per Vogue, maggio 1967, foto di Ronald Traeger
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Mood spaziale in uno scatto di Bert Stern, 1967
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Twiggy Lawson per Sangeran, 1970, foto di Bert Stern

Twiggy in un celebre scatto di Richard Avedon, acconciatura di Ara Gallant, Parigi, gennaio 1968


Compiuti i diciotto anni, Twiggy rompe la relazione sentimentale con Villeneuve. La sua fama è ormai mondiale, tutti la acclamano e nuove occasioni si profilano presto all’orizzonte. Parallelamente al lavoro di modella, Twiggy compare in alcuni film, come “Il Boyfriend”, di Ken Russell (1971). Per il suo ruolo vince due Golden Globe. Nello stesso tempo inizia ad incidere dei cd, con un discreto successo: tra i generi prediletti dalla nuova pop star troviamo il rock, il pop, la musica disco e country. Ormai divenuta un personaggio, posa accanto a David Bowie per la copertina del suo album “Pin Ups”, nel 1973. Dal celebre film “The Blues Brothers” fino ad un cameo all’interno del Muppet Show, il volto di Twiggy diviene emblema di un secolo.

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Twiggy in completo maschile, 1968
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Twiggy indossa scarpe di George Cleverley in una foto di Justin de Villeneuve, anni Settanta
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Uno scatto tratto da Vogue, 1967
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Twiggy ritratta da Bert Stern, New York, 1967
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Con cappellino Snoopy, foto di Bert Stern, novembre 1967
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Twiggy indossa un cappotto di Emeric Partos dipinto a fiorellini da Giorgio di Sant’ Angelo, foto di Richard Avedon per Vogue, New York, 14 Aprile 1967
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Ritratta da Richard Avedon, 1967

Ritratta da Cecil Beaton per Vogue, 1967
Ritratta da Cecil Beaton per Vogue, 1967


La sua carriera, variegata e in continua evoluzione, la vede presentatrice televisiva negli anni Novanta, con un suo show, “Twiggy’s People”, dove intervista personalità del calibro di Dustin Hoffman, Lauren Bacall e Tom Jones. Nel 2005 torna a posare come modella e diviene il volto di Marks & Spencer. Inoltre è stata giudice di America’s Next Top Model dalla quinta alla nona stagione, celebre show televisivo condotto da Tyra Banks.
Tanti auguri ad un mito vivente.

Ritratta da Bert Stern per Vogue, 15 marzo 1967
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Vogue 1867, foto di Bert Stern
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Suggestioni Roarin’ Twenties nello scatto di Terry Fincher, Londra 1966

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Twiggy Lawson, all’anagrafe Lesley Hornby, è nata a Londra il 19 settembre 1949



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Baciami signora Luisa

Sarà Luisa Ranieri a portare sul piccolo schermo la vita della creativa che può essere definita uno dei pilastri dell’imprenditoria nel nostro Paese. A febbraio 2016, infatti, in occasione di San Valentino, andrà in onda la mini serie Rai dedicata a Luisa Spagnoli.


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Amore e genialità i capisaldi della sua vita. Prima moglie di Annibale Spagnoli, sposato in giovane età, poi amante di Giovanni Buitoni, suo partner nella vita professionale, divenuto in seguito amante.
A lei l’Italia deve due grandi esempi di imprenditorialità: la Perugina, fondata insieme al marito e a Buitoni, e la griffe di moda omonima. Fu appunto l’excursus della Perugina a fornire le basi, anche finanziarie, per la nascita della Luisa Spagnoli.
Concreta e testarda, nella drogheria aperta nel centro di Perugia, all’inizio della sua carriera, venne prodotto il primo “cazzotto”, cioccolatino meglio noto a tutti come il Bacio. Non contenta dei traguardi raggiunti, a seguito di un folgorante viaggio parigino, ebbe l’idea di impiantare nella sua terra la produzione della lana d’Angora, ricavata pettinando soffici conigli.
Intorno a tale piglio creativo si sviluppava, inoltre, un nuovo modello industriale. Con la Perugina e la Spagnoli, infatti, il centro produttivo diventava una vera e propria comunità autosufficiente dotata di asili nido, doposcuola, chiesa, strutture sportive e ricreative, a vantaggio delle madri lavoratrici. Tanto che il gruppo industriale divenne ben presto “benefattore” della cittadina umbra.


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Sophia Loren, Tza Tza Gabor, Dalida, Elsa Martinelli e Veruska, le dive che, negli anni 60, non potevano fare a meno dei golfini Luisa Spagnoli. Come documentato nel museo allestito in un’ala dell’azienda, dove tuttora il 90 per cento dei 600 lavoratori sono donne, vero esempio industriale “in rosa”. Attraverso le quattro sale dello stesso è possibile rivivere lo sviluppo della realtà, dagli albori fino ai giorni nostri, grazie a una raccolta di documenti cartacei, oggetti, capi e macchinari atti a evocare la rivoluzione operata dal marchio, che dal 1986 è portato avanti da Nicoletta Spagnoli in veste di amministratore delegato e presidente dell’azienda.


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La visita alla struttura (su appuntamento) è consigliata per documentarsi nell’attesa della fiction che appassionerà le nuove generazioni e arricchirà il patrimonio culturale di quelle che riconoscono la stessa come esempio di passione e imprenditorialità tipiche degli italiani.