Tante sono le tendenze moda per la Primavera/Estate 2016, direttamente dalle passerelle. Mai come ora gli accessori sono stati tanto importanti: largo quindi a borse e scarpe coloratissime, declinate nelle forme e nei modelli più bizzarri. La moda per la stagione primaverile predilige borse di varia forma: ce n’è davvero per tutti i gusti, dalle proporzioni maxi alle clutch fino ai modelli più originali.
E se Jeremy Scott ha portato sulla passerella di Moschino inedite borse a forma di segnali stradali, Au Jour Le Jour hanno fatto un tuffo al supermarket, facendo sfilare borse a forma di fustino del detersivo. Originali, bizzarre, strane: le borse vengono incontro a qualsiasi esigenza e abbracciano il gusto anche di chi ha voglia di osare.
Kate Spade ci fa sognare con nuance vitaminiche e suggestioni Pop, per clutch declinate nei modelli e nelle forme più incredibili. Olympia Le Tan omaggia l’Oriente, mentre da Betsey Johnson sfila un inedito cubo di Rubik. Classicità in passerella da Prada e Giorgio Armani, mentre Tommy Hilfiger propone una collezione che trae ispirazione, anche negli accessori, dalla Giamaica e da stampe floreali e colori fluo.
Prada
Emporio Armani
Torna la logo-mania: se una volta il logo veniva guardato con diffidenza, ora diventa uno dei fashion trend di stagione. L’abbiamo visto in passerella da Lanvin e Gucci: Alessandro Michele riporta in auge la cifra stilistica della celebre maison italiana, proponendo diversi modelli in coccodrillo con il classico logo. Dolce & Gabbana omaggiano le bellezze italiane portando sulla passerella borse impreziosite da ricami floreali e modelli che omaggiano nelle stampe le ceramiche di Caltagirone e Santo Stefano di Camastra.
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Dolce & Gabbana
Dolce & Gabbana
Emilio Pucci
Marni
Alberta Ferretti
Anteprima
Antonio Marras
Betsey Johnson
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Fendi
Giorgio Armani
Lanvin
Carven
Balenciaga
Alice + Olivia
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Victoria Beckham
Blumarine
Antonio Marras
Andrew GN
Au Jour Le Jour
Bottega Veneta
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BCBG
Chloé
Elisabetta Franchi
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Céline
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Sportmax
Moschino
Au Jour Le Jour
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Diane von Furstenberg
Emporio Armani
Custo Barcelona
Marni
Gucci
Genny
Stella Jean
Holly Fulton
House of Holland
Olympia Le Tan
Iceberg
Versace
Simone Rocha
Lacoste
Lela Rose
Tod’s
Tommy Hilfiger
Dolce & Gabbana
Louis Vuitton
Les Copains
Loewe
Tommy Hilfiger
Louis Vuitton
Dolce & Gabbana
Michael Kors
Philipp Plein
Prada
Philosophy di Lorenzo Serafini
Stella MacCartney
Sibling
Jason
Le tendenze prevedono colori vitaminici e forme che coniughino creatività e comfort. Frange e suede si alternano a pelle e coccodrillo; i modelli altamente scenografici cedono il passo al rigore ma senza perdere di vista la stagione primaverile, che pretende cromie vivaci. Righe e quadretti, stelle e stampe si alternano nelle sfilate, per una Primavera/Estate piena di fantasia.
È l’evento più glamour in assoluto degli ultimi anni: il Coachella Festival monopolizza l’attenzione dei media e dei fashionisti di tutto il mondo. Chi conta non può assolutamente mancare: ecco quindi volti noti, celebrities di tutto il mondo, modelle e icone fashion, in primis fashion blogger.
Largo a look di ispirazione hippie e suggestioni folk: il trend prevede boho-chic d’ordinanza per capi rigorosamente stile Seventies. Largo al Bohemian Style, rivisitato in chiave contemporanea: frange, pizzo e crochet, stampe paisley o cachemire, pantaloni a zampa d’elefante, stivali da cowboy e kimono. Ma largo anche a gonnellone in stile hippie e caftani che sembrano direttamente presi in prestito da una comune anni Settanta. Queste sono alcune delle chiavi di ispirazione per un look festival, perfetto per copiare gli outfit sfoggiati nel festival californiano.
E se non manca chi da sempre adora elementi grunge o di ispirazione Nineties, come Katy Perry, le top model del momento hanno invece sfoggiato crochet vedo non vedo in chiave super sexy, come Kendall Jenner, o kimono a stampa paisley, da indossare anche sopra hot pants. Qui un pezzo sui look esibiti durante il primo weekend dell’edizione 2016 della manifestazione.
Tra i look boho-chic e la musica indie, ecco le protagoniste assolute di quest’edizione del Festival più trendy al mondo: ancora una volta sono le fashion blogger, che hanno monopolizzato l’attenzione, dettando ancora una volte le regole in fatto di stile. Dalla sempreverde Chiara Ferragni, che ha sfoggiato una coroncina insieme alla sorella Valentina, alla bellissima Kristina Bazan fino a Chiara Biasi. Protagonista d’eccezione anche la sempre splendida Cindy Crawford.
A volte un tratto elegante di matita riesce a compiere una vera magia, trasmettendoci tutto lo charme che da sempre appartiene al patinato mondo della moda. Ecco che l’allure di donne bellissime, che ammiccano con sguardo sicuro, ci trasporta in una dimensione quasi onirica, che profuma di veli e abiti da gran soirée, gioielli preziosi e ciprie: pochi riescono a trasmettere tutto ciò con la maestria di Marc-Antoine Coulon.
In principio era René Gruau, celebre illustratore di moda che entrò nei libri di storia. Coulon, giovane ricco di fascino e personalità, ne è l’erede legittimo. Classe 1974, origine italiana, Marc-Antoine è nato praticamente con la matita in mano, e già all’età di due anni disegnava. Il suo tratto e la sua anima rappresentano con delicata eleganza la bellezza sofisticata di icone della moda e del cinema, da Catherine Deneuve a Inès de la Fressange, sua musa amatissima, a China Machado. Nomi celebri del fashion biz e stilisti del calibro di Gianni Versace, Karl Lagerfeld e Jean-Paul Gaultier -solo per citarne alcuni- vengono immortalati con impressionante dovizia di particolari. Ma ciò che trasborda la mera illustrazione è la capacità innata in Coulon di rappresentare l’anima dei personaggi che ritrae.
Una carriera in inarrestabile ascesa, Marc-Antoine Coulon vanta innumerevoli pubblicazioni su magazine prestigiosi, tra cui Madame Figaro, Vanity Fair, Vogue Spain, Vogue Paris, Lui Magazine, L’Officiel de la Mode e Amica, solo per citarne alcuni. Essere ritratti da lui è un privilegio: se una volta vi erano i ritrattisti di corte, oggi celebrities e vip sgomitano per essere immortalati dalla sua matita.
Una carriera che inizia per affinità elettiva: Coulon si accostò al mondo del disegno grazie alla figura di Gruau. Ossessionato dai lavori di quest’ultimo, che vide per la prima volta in uno dei primi numeri di Madame Figaro, rimase affascinato da quel mondo, e lo scelse come sua professione futura. Influenzato dalla prima fase artistica di Andy Warhol, ma anche da Antonio Lopez, Costance Wibaut, Just Jaeckin e Mauro Balletti, all’inizio della sua sfavillante carriera Marc-Antoine lavorava con il fratello per conto di alcuni cantanti francesi e realizzava dei poster. Ritrasse anche una bellissima Mina.
Un’estetica che spazia dalla musica al cinema alla moda, la sua peculiarità è una minuziosa ricerca e attenzione certosina per i dettagli. Nessuno riesce ad omaggiare la femminilità come lui, attraverso i colori, le forme e uno stile fluido ed elegante. Magia e sentimento pervadono i suoi ritratti. Coulon ha alle spalle collaborazioni con maison del calibro di Gucci, Dolce e Gabbana, Hermès e molte altre. Ora che il mondo si è accorto del suo talento, l’artista è stato meritatamente catapultato nell’olimpo del fashion biz.
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L’Officiel de la Mode Shopping n°2 spring summer 2014
L’Officiel de la Mode Shopping n°3 Winter 2014- 2015
E saranno le origini italiane, di cui l’illustratore è assai fiero, ma pochi come lui oggi riescono a far rivivere attraverso i suoi schizzi il glamour imperituro della Dolce Vita, con ritratti di attori come l’intramontabile Mastroianni. Fascino ribelle, a Marc-Antoine Coulon non manca le physique du rôle: con quel fascino francese ricorda il bel Jean-Paul Belmondo. Appassionato e stakanovista nel suo lavoro, dietro le sue meravigliose illustrazioni vi è un rituale ben preciso: la sua creatività parte da un semplice cartoncino bianco rigido, inchiostro o acquerello. La creazione dei suoi bozzetti vede fasi iniziali alquanto complicate, semplificate successivamente attraverso un sapiente gioco di mano. Dinamiche, ricche di pathos eppure semplici, con le sue illustrazioni Coulon cerca di raccontare una storia, senza usare le parole. E ci riesce benissimo: i suoi disegni immortalano l’anima dei soggetti, riuscendo ad arrivare dritto al cuore.
Il nome di Nina Yashar è molto noto nel panorama del design milanese. Fascino esotico e stile eclettico, la vita della dealer profuma di atmosfere bohémien e pregne di fascino. Il mercante, figura antica e quasi scomparsa oggi, rivive con Nina Yashar in chiave contemporanea.
Lei, definita la sacerdotessa del design, vanta una carriera dal respiro internazionale. Proverbiale il suo senso innato per lo stile, come anche la capacità di fiutare il bello in tutte le sue forme, aiutando anche nuovi talenti ad affermarsi nel panorama dell’arte contemporanea.
In bilico tra arte e design, ma anche tra diverse culture che si intersecano per dar vita ad un nuovo concetto di stile, Nina Yashar, considerata la Miuccia Prada del design, ha reso celebri le vetrine della galleria Nilufar, in via della Spiga. Nata a Teheran negli anni Cinquanta, nel 1963 Nina si trasferisce a Milano con la sua famiglia. Studia Storia dell’Arte all’Università Ca’ Foscari di Venezia e collabora fin da giovanissima col padre, grossista di tappeti antichi e moderni. Nina vanta numerose collaborazioni con designer e artisti, ma anche amicizie illustri, del calibro di Donna Karan, Stefano Gabbana e Domenico Dolce, Miuccia Prada e Marc Jacobs, tutti collezionisti delle opere da lei esposte.
Nina Yashar, definita la Miuccia Prada del design, è nata a Teheran
Nilufar è la galleria creata da Nina Yashar, situata in via della Spiga a Milano
(Foto The New York Times)
Nilufar è la sua creatura: nata nel 1979, la galleria si distingue inizialmente per la ricerca di antichi e preziosi tappeti di area Persiana, Cinese, Indiana e Tibetana. Crogiolo di idee e vetrina per un nuovo concetto di lusso, caratterizzato da un occhio di riguardo per il multiculturalismo, Nilufar dagli anni Novanta si impone come un insostituibile punto di riferimento per chi ama il design: un ponte tra antico e moderno e una full immersion nell’arte contemporanea, per una visione innovativa e multiculturale del design, scevra da ogni etichetta e ricca di contrasti culturali, temporali e geografici.
Nilufar, Milano (Foto di Ruy Teixtera)
Uno spazio in cui arte, design e multiculturalismo si fondono
Nilufar (Foto di Ruy Teixtera)
Notevole il fermento culturale attorno alla galleria, che organizza periodicamente mostre, pubblicazioni, progetti, offrendo anche uno spazio ai nuovi talenti. La gallerista è stata un’innovatrice: nel lontano 1980 Nilufar espose per la prima volta in Italia, nello spazio di via Bigli, i tappeti Kilim. Cinque anni più tardi fu la volta dei Gabbeh, i tappeti tessuti dalle tribù nomadi della Persia Meridionale. Nel 1989 la galleria si trasferì nella sede attuale di via della Spiga. Una tappa imperdibile per amanti del design e dello stile in genere.
Ad appena 57 anni si è spento Prince. A darne per primo la notizia il sito Tmz. La popstar simbolo degli anni Ottanta è stata trovata morta intorno alle 9.43 di questa mattina nella sua residenza in Minnesota, dove aveva anche sede il suo studio di registrazione. Tuttavia le cause del decesso non sono ancora chiare: pare infatti che possa essersi trattato di un incidente o di morte violenta. La polizia ha aperto un fascicolo per accertare i fatti.
All’anagrafe Prince Rogers Nelson, il cantante era nato a Minneapolis il 7 giugno 1958 da una famiglia di jazzisti. Una carriera prolifica che lo ha visto musicista, cantante, attore, regista, tante sono le hit entrate nella storia della musica, a partire da Purple Rain, oltre 100 milioni gli album venduti. Arguto sperimentatore, la sua musica era un mix di generi diversi, dal soul al pop, dal rock psichedelico al funk, con accenni di jazz.
Dal debutto, nel 1978, alle dispute con le case discografiche, in primis la Warner Bros, Prince era un genio della musica, poliedrico, irrequieto, ribelle, provocatorio. Un fisico androgino e una sottile sensualità, la popstar, che non sfiorava il metro e sessanta vantava un lungo carnet di conquiste amorose, che includevano la splendida Kim Basinger. Nel 1996 il dramma della morte del figlio avuto da Myate Garcia. Due divorzi alle spalle, la musica rimase la sua unica amante.
All’anagrafe Prince Rogers Nelson, il cantante era nato a Minneapolis il 7 giugno 1958
Non sono ancora chiare le dinamiche della morte del cantante. Le autorità della contea di Carver hanno riferito di aver risposto ad un’emergenza medica presso Paisley Park, dove aveva sede l’abitazione di Prince, nonché il suo studio di registrazione. Pare che la popstar avesse contratto un virus influenzale poche settimane fa: lo scorso 15 aprile il suo jet privato era stato costretto ad un atterraggio d’emergenza in Illinois. Ma le condizioni del cantante non avevano destato particolare preoccupazione dal momento che Prince era apparso in forma già il giorno seguente, tranquillizzando i fan durante un suo concerto. Anche l’agente del genio del pop aveva confermato che il cantante stava bene. Oggi ha confermato la notizia della sua prematura scomparsa. I fan del cantante, numerosissimi in tutto il mondo, testimoniano in queste ore l’incredulità e il cordoglio per la morte di quella che resterà sempre come una stella del firmamento della musica.
Spegne oggi 90 candeline la Regina Elisabetta II. Uno dei personaggi più importanti nella storia, amata e odiata, Elisabetta II è una figura controversa, un’istituzione, un mito vivente. Con il regno più lungo della storia, è stata protagonista assoluta del Novecento.
Elisabetta II (Elizabeth Alexandra Mary) è nata a Londra il 21 aprile 1926. Figlia di Giorgio VI e della regina Elisabetta, duchessa di York, la sorella Margaret, nata nel 1930, è scomparsa nel 2002. Elisabetta è divenuta erede al trono nel 1936, quando il padre Giorgio VI divenne re, in seguito della clamorosa abdicazione dello zio Edoardo VIII, che rinunciò al trono per amore di Wallis Simpson. Elisabetta ha solo tredici anni quando scoppia la Seconda Guerra Mondiale. Nel 1940 il suo primo struggente annuncio radiofonico, indirizzato agli altri bambini, che come lei erano stato evacuati a causa della guerra. A 21 anni in un nuovo discorso radiofonico dichiarerà il suo impegno al servizio del Commonwealth e dell’Impero.
Il 20 novembre 1947 sposa il principe Filippo di Edimburgo, da cui ha quattro figli, Carlo, Anna, Andrea ed Edoardo. Elisabetta II è salita al trono del Regno Unito il 6 febbraio 1952, alla morte del padre re Giorgio VI.
Elisabetta II è nata a Londra il 21 aprile 1926
Elisabetta II ritratta da Andy Warhol, 1985
Il 20 novembre 1947 Elisabetta II ha sposato il principe Filippo di Edimburgo, da cui ha quattro figli, Carlo, Anna, Andrea ed Edoardo.
Elisabetta II è salita al trono del Regno Unito il 6 febbraio 1952, alla morte del padre re Giorgio VI.
Pacata e abitudinaria, amante degli animali e delle battute di caccia, che, secondo i rumours preferirebbe agli eventi culturali, Elisabetta nel corso degli anni ha dovuto fronteggiare situazioni estremamente delicate e forse poco consone al rigore reale, a partire dal triangolo amoroso formato dal principe ereditario Carlo, Lady D. e Camilla Parker-Bowles. In seguito il divorzio mediatico tra Diana e Carlo e le imbarazzanti dichiarazioni rese dalla principessa alla BBC, e, poi, la sua tragica prematura scomparsa.
Indimenticabile il discorso di Elisabetta per ricordare la nuora, con la quale i rapporti non furono mai idilliaci; presumibilmente spinta dall’allora premier Tony Blair, la sovrana mise da parte l’orgoglio e si fece umile, entrando così nel cuore dei sudditi, che si strinsero ancor di più intorno alla Corona.
SFOGLIA LA GALLERY:
La Regina prima dell’incoronazione, abito di Norman Hartnell
Elizabetta II e la First Lady Mamie Eisenhower alla Casa Bianca, 1957
La Regina con i figli maggiori, Carlo e Anna
Elisabetta II e Filippo di Edimburgo
La Regina e la Principessa Margaret
La Regina a Balmoral
La Regina con la Principessa Diana, 1981
La Regina nel 2006 (Foto Anwar Hussein/Getty Images)
La Regina durante l’incoronazione di Carlo, 1969
La Regina riceve gli ospiti al Palazzo di Holyrood, Edimburgo, 2013, foto di David Cheskin
(Foto Vanity Fair)
La Regina e il principe consorte
La Regina col Principe Filippo di Edinbugo
La Regina al Ghillies Ball
La Regina in visita in Arabia Saudita, 1979
La Regina a Windsor, maggio 2013
La sua figura, odiata, temuta, che mai aveva suscitato grandi simpatie, diventava ora più umana agli occhi del popolo e del mondo intero. E così è stato anche nel corso degli ultimi anni, nel corso dei quali il Regno di Elisabetta ha visto cadere l’ultimo dei tabù, col matrimonio tra il nipote William e la borghese Kate Middleton. Elisabetta sembra aver perso quel rigore che aveva inizialmente assunto come cifra stilistica del suo Regno, e il vederla immortalata sui tabloid ironica, buffa, sorridente, nonna amorevole con i nipotini, ce la rende più umana.
(foto The Telegraph)
La regina Elisabetta in Messico, 1975 (Foto NY Daily News)
Elisabetta II in una foto giovanile
Famose le sue battute di caccia e il suo amore per i cani, come anche il suo stile, fatto di eccentrici cappellini rigorosamente en pendant con i tailleurini bon ton declinati in tinte pastello. Icona di stile e d’eleganza, Elisabetta II predilige colori come il verde, il giallo, il rosa, abbinati a copricapi istrionici, che hanno contribuito al successo di hatinator e fascinator dall’appeal british. Prima dell’ascesa al trono era solita indossare i capi del couturier Norman Hartnell. Autoironica, il suo humour le ha permesso di accettare di essere protagonista di un video accanto a James Bond alias Daniel Craig, andato in onda durante i Giochi Olimpici di Londra del 2012.
Nasceva oggi Edie Sedgwick, musa storica di Andy Warhol e incarnazione più emblematica dello stile Swinging Sixties. Una vita dai risvolti tragici, segnata da un’infanzia traumatica e dall’abuso di sostanze stupefacenti, l’ereditiera Edie Sedgwick è stata una socialite, modella e attrice statunitense, icona della Pop Art. Viso angelico e bellezza da copertina, grandi occhi da cerbiatto spaurito e fisico esile, Edie Sedgwick era per tutti la It Girl per antonomasia. Diana Vreeland, celebre direttrice di Vogue, coniò per lei il termine “Youthquaker”: e la socialite era effettivamente molto simile ad un terremoto giovanile. Il suo stile, così originale e lontano da ogni schema, ma anche la cifra della sua intera esistenza, vissuta all’insegna dell’edonismo, entrarono profondamente nell’immaginario collettivo di un’epoca.
All’anagrafe Edith Minturn Sedgwick, detta Edie, la giovane nacque a Santa Barbara il 20 aprile 1943 da una famiglia ricchissima. Settima di otto figli, suo padre era Francis Minturn Sedgwick, filantropo e scultore, e sua madre Alice Delano De Forest. Alla piccola venne dato il nome della zia del padre, Lady Edith Minturn, ritratta col marito Isaac Newton Phelps-Stokes in numerosi quadri di John Singer Sargent.
La sua famiglia vantava un impressionante albero genealogico: originari del Massachusetts, uno dei suoi avi era l’anglosassone Robert Sedgwick, primo Generale Maggiore della Massachusetts Bay Colony. Uno dei bisnonni era William Ellery, tra i firmatari della Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti. La madre di Edie era figlia di Henry Wheeler de Forest, Presidente del consiglio di amministrazione della Southern Pacific Railroad e diretta discendente di Jessé de Forest, della Compagnia Olandese delle Indie Occidentali. Il nonno paterno di Edie era lo storico Henry Dwight Sedgwick III; sua bisnonna era Susanna Shaw, sorella di Robert Gould Shaw, colonnello della Guerra Civile Americana. Inoltre Edie era cugina prima dell’attrice Kyra Sedgwick.
Edie Sedgwick in una foto di Jerry Schatzberg, 1966
Edie Sedgwick nel film postumo “Ciao! Manhattan”, diretto da John Palmer e David Weisman, 1972
Edie Sedgwick immortalata da Fred Eberstadt per Life, 1965
Nonostante l’agiatezza della famiglia, i figli dei Sedgwick erano profondamente infelici. Allevati nei numerosi ranch che la famiglia possedeva in California, i ragazzi vennero istruiti privatamente e costretti a vivere sotto il rigido controllo dei genitori, isolati dal resto del mondo. La giovane Edie già durante l’adolescenza sviluppò dei disturbi del comportamento alimentare, tra anoressia e fame nervosa. All’età di 13 anni iniziò a frequentare la Branson School di San Francisco, ma ben presto fu costretta a lasciare la scuola a causa del suo disturbo alimentare. I piccoli di casa Sedgwick avevano rapporti conflittuali con la figura paterna. Il padre era un narcisista maniaco-depressivo ed era solito intrattenere numerose relazioni extraconiugali. Pare che Edie lo abbia anche colto in fragrante, trovandolo a letto con una delle sue amanti. Per tutta risposta lui le disse che doveva aver immaginato tutto e chiamò un medico affinché le somministrasse dei tranquillanti. Secondo diverse fonti la giovane venne anche molestata sessualmente dal padre, come lei stessa ammise nell’ultimo degli undici film che la vedono protagonista, l’autobiografico Ciao! Manhattan. Nel 1958 Edie si iscrisse alla St. Timothy’s School, nel Maryland, ma ben presto dovette lasciare l’istituto a causa dell’anoressia.
Nell’autunno 1962, su insistenza del padre, venne ricoverata nell’ospedale psichiatrico Silver Hill Hospital di New Canaan, Connecticut. Nonostante il ricovero, il suo peso corporeo continuava a scendere drammaticamente. Fu mandata quindi a Bloomingdale, New York, dove la sua anoressia diede finalmente segni di miglioramento. Dimessa dall’ospedale, ebbe una breve relazione con uno studente di Harvard: rimasta incinta, abortì, aiutata dalla madre, motivando il gesto con i problemi psicologici che da tempo la attanagliavano. Nell’autunno 1963 si trasferì a Cambridge, Massachusetts, per studiare scultura, insieme alla cugina, l’artista Lily Saarinen, che disse di lei: “Era molto insicura con gli uomini, sebbene tutti la amassero”. In questo periodo divenne amica di un gruppo di bohémien della scena politica di Harvard, che includeva molti gay.
SFOGLIA LA GALLERY:
Edie Sedgwick nel film postumo Ciao! Manhattan, diretto da John Palmer e David Weisman, 1972
Edie Sedgwick in uno scatto di Stephen Shore, 1965
Edie Sedgwick ritratta da Bob Adelman nel giardino dell’appartamento di Andy Warhol, 1965
1965
Edie Sedgwick, Andy Warhol e Chuck Wein ritratti da Burt Glinn a New York nel 1965
Edie Sedgwick e Pat Hartley nel film postumo Ciao! Manhattan, diretto da John Palmer e David Weisman, 1972
1967
Edie Sedgwick e Andy Warhol, 1965
Edie Sedgwick e Andy Warhol in uno scatto di Steve Schapiro, 1965
Edie Sedgwick e Andy Warhol ritratti da Jean-Jacques Bugat, 1965
Edie Sedgwick in body e calze Givenchy, foto di Gianni Penati per Vogue, 1966
Edie Sedgwick, foto di Nat Finkelstein
Edie Sedgwick in uno scatto di Nat Finkelstein, ca. 1965-1966
Edie Sedgwick e Kevin McCarthy in una foto di Bob Adelman, 1965
Edie Sedgwick nell’appartamento di Bud Wirtschafter, foto di David McCabe, 1965
Edie Sedgwick nell’appartamento di Bud Wirtschafter, foto di David McCabe, 1965
Edie Sedgwick per Paraphernalia, foto di Gianni Penati, 1966
Edie Sedgwick a Fisher Island, 1964
Edie Sedgwick a Fisher Island, 1964
Edie Sedgwick ad una festa di Andy Warhol, foto di Bob Adelman, 1965
Edie danzante immortalata ad un party alla Factory, foto di Bob Adelman, 1965
Edie Sedgwick, Chuck Wein e Andy Warhol a New York, foto di Burt Glinn, 1965
Edie Sedgwick, Chuck Wein e Andy Warhol a New York, foto di Burt Glinn, 1965
Edie Sedgwick, foto di David McCabe, 1965
Edie Sedgwick in una foto di Jerry Schatzberg, 1966
Edie Sedgwick in una foto di Jerry Schatzberg, 1966
Edie Sedgwick in una foto di Jerry Schatzberg, 1966
Edie Sedgwick immortalata da Fred Eberstadt per Life, 1965
Edie Sedgwick immortalata da Fred Eberstadt per Life, 1965
Edie Sedgwick e Andy Warhol, foto di Walter Daran, 1965
Edie Sedgwick e Andy Warhol, foto di Steve Shapiro, 1965
Edie Sedgwick, Chuck Wein, Gerard Malanga e Andy Warhol, foto di David McCabe, 1965
Edie Sedgwick e Chuck Wein, 1965
Edie Sedgwick immortalata da Fred Eberstadt per Life, 1965
Edie Sedgwick, foto di Stephen Shore, ca. 1965
Edie Sedgwick, Chuck Wein e Andy Warhol a New York, foto di Burt Glinn, 1965
Edie Sedgwick, foto di Nat Finkelstein
Edie Sedgwick in una foto di Nat Finkelstein, ca.1966
Edie Sedgwick, foto di Nat Finkelstein, ca. 1965-1966
Edie Sedgwick e Gino Piserchio immortalati da Bob Adelman nel film Beauty No.2 di Andy Warhol, 1965
Edie conobbe presto la sofferenza, con la prematura scomparsa dei suoi due fratelli maggiori, Francis Jr., detto Minty, e Robert, detto Bobby, che morirono nel giro di 18 mesi l’uno dall’altro. Il primo, alcolizzato già a quindici anni, nel 1964 si suicidò impiccandosi mentre era ricoverato al Silver Hill Hospital. Bobby, anche lui sofferente di problemi di natura psichica, nel 1965 si schiantò contro un autobus con la sua moto, a New York. Ma secondo Edie anche in questo caso dovette trattarsi di suicidio. Poco prima della morte di Francis la ragazza si trasferì nella Grande Mela per tentare la carriera di modella. Iniziò in questo periodo ad assumere sostanze stupefacenti, tra cui LSD. Nel marzo 1965 l’incontro che segnò la sua vita, con l’artista Andy Warhol, che conobbe ad una cena nell’appartamento di Lester Persky. Warhol, rimasto affascinato dallo charme della giovane socialite, la invita nel suo studio, The Factory. In quel periodo l’artista stava girando Vinyl, basato sul romanzo Arancia Meccanica. Sebbene tutto il cast fosse maschile Warhol volle assolutamente inserirvi Edie, che fece un cameo anche in Horse. In breve la ragazza divenne musa di Wahrol e presenza fissa alla Factory e comparve in molti dei suoi film d’avanguardia, a partire da Poor Little Rich Girl, originariamente concepito come una saga di cui Edie doveva essere protagonista. Le riprese iniziarono nel marzo del 1965 nel suo appartamento. Tra le altre pellicole girate che vedevano protagonista la ragazza troviamo Kitchen, del 1965, scritto da Ronald Tavel, Beauty No.2, Outer and Inner Space, Prison, Lupe e Chelsea Girls. I film di Warhol non erano prodotti commerciali e raramente venivano proiettati fuori dalla Factory ma nonostante tutto la fama di Edie crebbe in modo esponenziale, e il suo senso innato per lo stile le permise di imporsi come una delle più grandi icone degli anni Sessanta.
Edie Sedgwick in body e calze Givenchy, foto di Gianni Penati per Vogue, 1966
Edie Sedgwick nacque a Santa Barbara il 20 aprile 1943
Edie Sedgwick immortalata da Fred Eberstadt per Life, 1965
Calzamaglia nera, mini abiti a righe, orecchini chandelier, pellicce animalier: questo era uno degli outfit più caratteristici della it girl. Capelli sbarazzini, il bianco e nero optical, il suo stile ha segnato un’epoca. Foto iconiche la immortalano su LIFE nel settembre 1965 e su Vogue nel marzo 1966. Divenuta la Superstar di Warhol, è la Girl of the Year nel 1965. Dal 1965 al 1967 il sodalizio artistico e l’amicizia che la lega a Warhol appaiono inossidabili. I due si assomigliano, l’affinità elettiva che li lega trascende qualsiasi confine, al punto che Warhol sembra essere la controparte maschile di Edie. Tantissime sono le foto che li ritraggono insieme: pose plastiche, tanta ironia, mise eccentriche, sguardi complici e arte allo stato puro. Ma alla fine del 1967 qualcosa si spezzò nel loro rapporto. Edie si trasferì al Chelsea Hotel, dove divenne amica di Bob Dylan. La ragazza prese una sbandata per il cantautore, convinta che si trattasse di un sentimento reciproco, e visse nell’illusione che una meravigliosa storia d’amore stesse per iniziare. Ma Dylan nel novembre 1965 sposò segretamente Sara Lownds. Secondo i rumours la povera Edie venne informata dell’accaduto da Warhol nel febbraio 1966. Per il già precario equilibrio della giovane, questo fu il colpo di grazia. Provò a consolarsi gettandosi in una relazione con Bob Neuwirth, amico di Dylan, e in questo periodo iniziò la sua dipendenza da barbiturici. All’inizio del 1967, incapace di gestire la dipendenza della ragazza, Neuwirth interruppe la relazione.
Figura controversa nel panorama artistico, amata e odiata in egual misura, l’ex stella della Factory ancora giovanissima stava già suo malgrado per avviarsi sul viale del tramonto: tanto per cominciare non riuscì mai a diventare la lead singer dei Velvet Underground, che le preferirono Nico, bellissima cantante di origine tedesca dalla voce roca. Nico spodestò Edie non solo nel mondo musicale, ma anche nel cuore di Warhol. Intanto parlavano di lei personaggi del calibro di John Cage, Truman Capote, Patti Smith, Lou Reed, Allen Ginsberg, Roy Lichtenstein, Gore Vidal.
Successivamente Edie tentò con altrettanta sfortuna la carriera di attrice, facendo dei provini anche per Norman Mailer. Nel marzo 1967 iniziò le riprese di Ciao! Manhattan, un film semi-autobiografico diretto da John Palmer e David Weisman. In questo periodo, presumibilmente in uno stato di coscienza alterato dalla droga, diede accidentalmente fuoco alla sua camera al Chelsea Hotel con una sigaretta e finì in ospedale per le ustioni riportate nel rogo. A causa del peggioramento delle sue condizioni fisiche, dovuto all’abuso di sostanze stupefacenti, le riprese del film furono sospese. Dopo frequenti ricoveri per droga e disturbi psichici, tra il 1968 e il 1969, Edie fece ritorno in California per trascorrere un periodo di riposo con la sua famiglia. Nell’agosto 1969 tuttavia venne nuovamente ricoverata dopo essere stata arrestata per possesso di droga. La vita di Edie Sedgwick, così straordinariamente fuori le righe, vide allora un nuovo colpo di scena: proprio nel nosocomio la bella attrice ebbe un colpo di fulmine per un paziente, Michael Breet Post. Con lui convolerà a nozze il 24 luglio 1971.
Seguì un nuovo ricovero nell’estate del 1970. Dimessa, la giovane era tenuta sotto controllo da uno psichiatra e dalle amorevoli cure del regista John Palmer e di sua moglie Janet. Determinata a finire le riprese di Ciao! Manhattan, in cui racconta se stessa e la sua storia, Edie si spostò a Santa Barbara. Il film venne finalmente terminato all’inizio del 1971 ma non sarà distribuito fino al febbraio dell’anno seguente. Dopo le nozze con Michael Post la ragazza limitò l’abuso di alcol e di droghe. Ma nell’ottobre 1971 cadde nuovamente nella dipendenza da alcol e barbiturici. La notte del 15 novembre 1971 Edie era invitata ad una sfilata di moda al museo di Santa Barbara. Dopo la sfilata seguì un party in cui la ragazza consumò diversi alcolici. Poi telefonò al marito perché la venisse a prendere. La mattina seguente quest’ultimo la trovò senza vita. Il medico legale stabilì che la morte era dovuta a causa indeterminata/incidente/suicidio. Il certificato di morte parla di probabile intossicazione acuta da barbiturici dovuta al mix con l’alcol. La giovane venne sepolta al cimitero di Oak Hill, a Ballard, California. Sua madre Alice fu sepolta accanto a lei nel 1988.
Edie Sedgwick nel film “Horse” diretto da Andy Warhol, 1965
Edie Sedgwick nel film postumo “Ciao! Manhattan”, diretto da John Palmer e David Weisman, 1972
Edie Sedgwick in uno scatto di Bob Adelman, 1965
Edie Sedgwick in uno scatto di Nat Finkelstein
Edie Sedgwick continua ad ispirare intere generazioni che in tutte le arti, dal cinema alla musica alla moda, celebrano il suo stile e la sua vita. Il film Factory Girl di George Hickenlooper del 2006 si ispira a lei: nei panni della giovane icona una bravissima Sienna Miller. La pellicola ha destato scalpore a causa delle dichiarazioni rilasciate poco prima dell’uscita del film dal fratello maggiore di Edie Sedgwick, Jonathan, il quale ha affermato che la sorella gli avrebbe confidato di aver abortito un figlio che aspettava da Dylan. Il cantautore dopo la morte della ragazza aveva smentito più volte di aver mai intrattenuto una relazione di tipo sentimentale con lei. Ma secondo i rumours proprio all’eccentrica socialite sarebbero dedicate alcune delle sue canzoni più belle, da “Like a Rolling Stone” a “Just like a woman”. I Velvet Underground scrissero in sua memoria “Femme fatale”. Edie Sedgwick si aggiunge alla lista di giovani belli e dannati, scomparsi troppo presto, da Marilyn Monroe a James Dean, da Jim Morrison a Janis Joplin. Di lei restano le numerosissime foto, che immortalano una ragazza bellissima e fragile.
Nasceva oggi Jane Mansfield, conturbante attrice hollywoodiana, simbolo di un’epoca e storica rivale di Marilyn Monroe. Curve da capogiro e capelli biondo platino, l’attrice è stata a lungo considerata un sex symbol. Autentica bombshell, sublime incarnazione della bellezza anni Cinquanta, si fece strada dalle pagine di Playboy fino alla celebrità.
All’anagrafe Vera Jayne Palmer, nacque a Bryn Mawr il 19 aprile 1933. Figlia unica di Herbert William Palmer e Vera Jeffrey, i suoi antenati erano immigrati dall’Inghilterra, mentre dal ramo paterno aveva origini tedesche. Il padre, avvocato, muore a causa di un infarto quando la piccola ha appena tre anni. Dopo la sua morte, è la madre a dover provvedere alla famiglia, iniziando a lavorare come maestra, fino al secondo matrimonio con Harry Lawrence Peers e al trasferimento dal New Jersey al Texas. Jayne a sette anni suona il violino e si esibisce per strada per raccimolare qualcosa. Ben presto sorge in lei il sogno di divenire un’attrice.
Nel 1950, ad appena 16 anni, convola a nozze con Paul Mansfield e mette alla luce la sua prima figlia, Jayne Marie Mansfield, nata l’8 novembre 1950. Dopo il trasferimento ad Austin Jayne studia con successo teatro e fisica all’Università del Texas. A Dallas avviene l’incontro che la introduce nel mondo del cinema, con Baruch Lumet, padre del regista Sidney Lumet, di cui Jayne segue le lezioni al Dallas Institute of the Performing Arts, da lui fondata. La prima apparizione sul palcoscenico è del 22 ottobre 1953, nella piece Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller.
All’anagrafe Vera Jayne Palmer, Jayne Mansfield nacque a Bryn Mawr il 19 aprile 1933
Jayne Mansfield fu un sex symbol di rara bellezza
L’attrice era considerata rivale storica di Marilyn Monroe
Jayne Mansfield aveva un quoziente intellettivo superiore a quello di Albert Einstein
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Sempre in Texas Jayne diviene una reginetta dei concorsi di bellezza. Ma la grande avvenenza fisica ne ha a lungo oscurato la personalità. Pochi sanno che la bionda esplosiva -dal titolo di uno dei suoi film- vantava un quoziente intellettivo superiore al genio della fisica Albert Einstein (162 contro 160); inoltre l’attrice parlava correttamente cinque lingue e suonava il violino e il pianoforte. Nel 1954 l’attrice si trasferisce col marito e la figlia a Los Angeles; qui studiò teatro all’Università della California. La sua carriera cinematografica iniziò nel modo più inaspettato: venne infatti scritturata dalla 20th Century Fox come sostituta di Marilyn. Female Jungle (1954) è una delle pellicole iniziali girate dalla Mansfield, che diviene playmate del mese sulla rivista Playboy nel febbraio 1955. L’anno seguente venne premiata col Theatre World Award per la sua interpretazione nella commedia di George Axelrod Will Success Spoil Rock Hunter?
La prorompente bellezza di Jayne Mansfield continuava ad oscurarne la capacità interpretativa e ben presto l’attrice si ritrovò a fare i conti con l’immagine di oca giuliva che il pubblico le aveva ormai cucito addosso: quasi paradossale, per una donna tanto intelligente, dover sottostare a questo cliché. Ma la grandezza spesso sottovalutata della bellissima Mansfield sta anche nell’essere riuscita nell’ingrato compito di gestire la fama e l’immagine che i media le avevano appioppato sfruttandola a suo favore: ben presto Jayne inizia a rendersi protagonista di piccoli incidenti che ne sottolineano la procace bellezza. Celebre è lo scatto che la ritrae accanto a Sophia Loren in una cena in onore di quest’ultima, nel 1957. Qui Jayne perde una spallina, e l’incidente entra nel mito. Ma non tutti apprezzarono questi atteggiamenti, a partire da Richard Blackwell, che curava il suo guardaroba, che la eliminò dalla sua clientela.
Una foto della procace attrice ritratta a bordo piscina
Jayne Mansfield ebbe tre mariti e tre figli
Jayne Mansfield e il secondo marito Mickey Hargitay
Vanitosa e sopra le righe, l’attrice non era una patita del less is more: famoso è il suo Palazzo Rosa, l’enorme villa di quaranta stanze che l’attrice acquistò nel 1957 sul Sunset Boulevard, a Beverly Hills. L’arredamento prevedeva rosa all over, una vasca da bagno a forma di cuore e piccoli Cupido alle pareti. Nel 1959 il secondo matrimonio con il culturista Mickey Hargitay. Sebbene furono costantemente messe a confronto, Jayne Mansfield fu molto più sfortunata della rivale Monroe. E neanche dopo la morte di quest’ultima, avvenuta nel 1962, riuscì a prenderne il posto. Nel 1964 convolò in terze nozze con Matt Cimber, dal quale ebbe Antonio Raphael Ottaviano. Inoltre lungo è il carnet di amanti che le vennero attribuiti, da Robert Kennedy a Tony Curtis, da Dean Martin a Burt Reynolds. I rumours non perdevano occasione di descriverne l’insaziabile appetito sessuale. Nonostante alcune pellicole importanti, Jayne Mansfield non riuscì mai ad affermarsi a Hollywood e finì per comparire in melodrammi indipendenti a basso costo e commedie, fino alla parabola discendente, che la vide protagonista di esibizioni nei nightclub.
Le forme burrose di Jayne Mansfield
Il celebre scatto che ritrae Jayne Mansfield accanto a Sophia Loren ad una cena in onore di quest’ultima (1957)
Jayne Mansfield nella sua casa ad Hollywood, 1959
Jayne Mansfield, foto di Peter Basch, 1955
“The one and only” furono le ultime parole pronunciate dalla procace attrice a Biloxi, New Orleans, poche ore prima della sua terribile fine. Lei, che aveva sognato Hollywood sfiorandone il bagliore, ora per vivere doveva accontentarsi di squallide esibizioni nei locali notturni. Ancora una volta quel suo fisico statuario si rivelava croce e delizia per una donna consapevole e colta; dopo aver rinunciato ad una carriera cinematografica, quel corpo burroso era l’unico strumento che le restava per mantenersi. Lei, che aveva combattuto una vita intera contro il cliché di donna oggetto, si ritrovava ancora una volta ad ammettere che il fisico non l’avrebbe mai tradita, anche a costo di vedersi osservata con lascivia da decine di uomini. Dopo la separazione dal terzo marito iniziò a frequentare Sam Brody, l’avvocato che seguiva la sua pratica di divorzio. Quella sera era in compagnia di quest’ultimo. Nella Buick Electra del 1966 presa a noleggio viaggiavano l’autista appena ventenne, Ronnie Harrison, l’attrice, con i tre figli Miklos, Zoltan e Mariska, i due inseparabili chihuahua Popeicle e Monaicle e l’avvocato Brody. All’una e un quarto della notte il tragico scontro che vide come unici superstiti i tre ragazzi, che dormivano nel sedile posteriore. L’auto ridotta ad un ammasso di lamiere e l’orrore che dilaniò il corpo della diva, la cui testa venne sbalzata fuori strappandone i capelli, che restavano sull’asfalto, quasi come una macabra parrucca. Bella fino alla fine. Una tragica processione di voyers accompagnò la diva anche nei momenti successivi alla sua prematura scomparsa. I funerali si svolsero il 3 luglio 1967 a Pen Argyl, Pennsylvania. Sulla sua tomba un epitaffio che recita “Viviamo per amarti ogni giorno di più”.
Jane Mansfield, coi suoi abiti animalier, le sue curve e la sua bellezza, ha continuato ad ispirare intere generazioni: incredibile la somiglianza della diva hollywoodiana con Anne Nicole Smith, altrettanto sfortunata, mentre una celebre campagna di Guess Jeans ne ha omaggiato solo pochi anni fa lo stile, con una giunonica Kate Upton nei panni di Jayne Mansfield.
Inizia oggi la settimana del riciclo e H&M si rende protagonista di una lodevole iniziativa: dal 18 al 24 aprile 2016 la parola d’ordine è una, non buttare via nulla. Abiti usati, di qualsiasi marca e in qualsiasi condizione, potranno infatti essere riutilizzati. Questa la filosofia alla base della H&M World Recycle Week: per aderire all’iniziativa basterà portare i vostri abiti usati in uno dei punti vendita della catena low cost svedese. L’azienda raccoglierà infatti 1.000 tonnellate d’indumenti usati che i clienti di tutto il mondo porteranno negli oltre 3.600 store. Un’occasione unica per aiutare il prossimo in modo intelligente.
H&M sceglie M.I.A. come testimonial dell’iniziativa: la cantante britannica è la protagonista di un video musicale girato in esclusiva per l’occasione. La canzone scelta per promuovere la settimana del riciclo si intitola, non a caso, “Rewear it”, per sottolineare l’impatto ambientale dei vestiti nelle discariche. Una voce forte e un video a tema per sensibilizzare l’opinione pubblica su un argomento spesso sottovalutato: la promozione del riciclo di abiti usati diviene fondamentale anche nella creazione di fibre tessili riciclate per la produzione di nuovi capi. Il video è da oggi online sul sito del brand svedese.
H&M è da anni in prima linea nel sostenere l’importanza del riciclo: con la Garment Collecting già da tempo i clienti potevano portare in negozio indumenti usati ricevendo in cambio buoni sconto. L’iniziativa, lanciata nel 2013, ha permesso di raccogliere oltre 25mila tonnellate di indumenti. Due anni più tardi, nel 2015, l’azienda ha messo a punto i primi abiti in fibre tessili riciclate, ponendosi anche in questo caso come uno dei brand più all’avanguardia per quanto concerne la filosofia eco-friendly.
Si è appena concluso il primo dei due weekend del Coachella Festival 2016. L’evento più cool della California non smette come di consueto di attrarre celebrities provenienti da ogni parte del mondo: look rigorosamente boho-chic e musica indie sono gli ingredienti base del Coachella Festival. Ma non solo: quest’anno in programma anche l’esibizione di Calvin Harris.
Protagonisti del fashion biz, icone della musica, attori hollywoodiani e top model internazionali non si sono fatti attendere in quella che è ormai da qualche anno a questa parte una delle maggiori vetrine. Presenti nel primo weekend del festival l’onnipresente Katy Perry, che ha sfoggiato tra le altre mise, una jumpsuit firmata Mara Hoffman, la top model brasiliana Alessandra Ambrosio, in due mise boho-chic, Taylor Swift, Emma Roberts, Miranda Kerr, solo per citarne alcuni nomi. Occhi puntati sulla bellissima Kendall Jenner, che ha sfoggiato un lungo abito crochet e gioielli etnici.
A monopolizzare l’attenzione dei media e a dettare tendenza sono ancora una volta loro, le fashion blogger. Il made in Italy fa sentire la sua voce con Chiara Ferragni, accompagnata dalla sorella Valentina, e Chiara Biasi. La Ferragni perfettamente a suo agio nello stile boho-chic sfoggia un abito in pizzo nero crochet con un audace nude look e coroncina in testa e un secondo outfit in denim. Bellissima la blogger svizzera Kristina Bazan, che ha sfoggiato outfit floreali dal mood Seventies.
Kristina Bazan al Coachella Festival 2016
Chiara e Valentina Ferragni (Foto The Blonde Salad)
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Paris Hilton (foto Getty Images)
Kendall Jenner e Kaia Gerber (Foto Getty Images)
Chiara Ferragni
Miranda Kerr e Evan Spiegel (Foto Fame Flynet Inc.)
Alessandra Ambrosio (Foto SplashNewsOnline.com)
(Foto Fame Flynet Inc.)
Chanel Iman (Foto Getty Images)
Cindy Crawford col marito Rande Gerber (Foto AKM-GSI)
Suki Waterhouse (Foto Telegraph)
Katy Perry in Mara Hoffman (Foto Daily Mail)
Bella Hadid e The Weeknd (Foto Roger/AKM-GSI)
Bella Thorne (Foto SJW/StartraksPhoto.com)
Modelle al Coachella (Foto Michael Kovac/Getty Images)
Alessandra Ambrosio (Foto Ari Perilstein/Getty Images)
Esplosione di total white, ma anche fiori all over per kimono di varie dimensioni, da abbinare a hot pants e stivali alla texana, o lunghi abiti in crochet da indossare con sandali rasoterra, o, ancora, jumpsuit e playsuit da indossare con coroncine di fiori e maxi gioielli dal sapore etnico, fino a caftani stampati. Paisley protagonista assoluto per outfit dal sapore gipsy che ci riportano indietro nel passato, fino a Woodstock e agli anni Settanta. Le possibilità di scelta sono davvero infinite e tanti sono gli outfit sfoggiati dalle celebrities e dai partecipanti all’edizione di quest’anno del Festival più fashion in assoluto. Presenti nomi d’eccezione, tra cui anche la supermodella Cindy Crawford, che è apparsa raggiante al fianco del marito.
Ancora Chiara Ferragni al Coachella Festival 2016 (Foto The Blonde Salad)
Se fino ad oggi dominava il mercato dell’abbigliamento low cost, H&M si accinge a conquistare anche il mondo del design. Ha appena aperto in Italia, ad Arese, il primo punto vendita della linea H&M Home. Una home-couture esclusiva a prezzi competitivi, per collezioni ricche di fascino.
Il colosso svedese, leader nell’abbigliamento low cost, fa tremare l’avversario Ikea, da sempre leader indiscusso nel design nordico: ora oltre alle già apprezzate linee di abbigliamento, è online anche una collezione di arredo in chiave low cost per impreziosire la casa. Cuscini e federe, trapunte e tovaglie, ma anche vasi e pezzi di arredamento, a prezzi modici.
Il punto vendita di H&M di Arese sta già facendo parlare di sé: con un super corner dedicato all’arredamento e al decor, H&M trova nel centro commerciale lo store più d’Italia. “Superare le aspettative dei clienti”: questo sembra essere l’obiettivo che il brand si è prefissato, secondo Dan Nordstrom, country manager di H&M Italia.
Lo stile shabby chic viene sdoganato in chiave easy grazie al brand svedese. Ma H&M non è il primo ad offrire una linea dedicata alla casa: Zara Home aveva infatti già registrato un grande successo aprendo a Milano uno dei punto vendita più grandi al mondo. Inoltre chi non potesse visitare l’Arese Shopping Center può comunque acquistare la linea casa di H&M: basta collegarsi al sito web del brand.