Lo stile di Lauren Santo Domingo

Se l’eleganza avesse un corpo, sarebbe sicuramente il suo: sottile ed eterea, la figura slanciata capace di esaltare qualsiasi mise, i lunghi capelli biondi che incorniciano un volto dai lineamenti squadrati. Emblema dello stile wasp americano, Lauren Santo Domingo è uno dei volti più celebri del fashion biz.

Una carriera sfolgorante ed uno stile imitatissimo l’hanno consacrata influencer e trendsetter, mentre la sua eleganza l’ha portata ad apparire sulla Hall of Fame dell’International Best Dressed List stilata dalla rivista Vanity Fair lo scorso 2015.

Figlia di un imprenditore e filantropo americano, all’anagrafe Lauren Davis, la bionda imprenditrice ha sposato lo scorso 2008 il famoso discografico colombiano Andrés Santo Domingo, divenendo cognata di Tatiana Santo Domingo e Andrea Casiraghi. Il matrimonio, atteso come l’evento più glamour dell’anno, ha tenuto banco per mesi sui tabloid di mezzo mondo. Quarant’anni il prossimo 28 febbraio, cresciuta a Greenwich, in Connecticut, Lauren, algida e bionda, sarebbe piaciuta ad Alfred Hitchcock, con quella sua eleganza un po’ gelida.

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Lauren Santo Domingo è nata il 28 febbraio 1976
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All’anagrafe Lauren Davis, nel 2008 l’imprenditrice ha sposato Andrés Santo Domingo
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Lauren Santo Domingo è contributing editor di Vogue e co-fondatrice del sito Moda Operandi

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Cresciuta a Greenwich, in Connecticut, la bionda Lauren ha sempre amato la moda


Una carriera iniziata come modella per Sassy, magazine per teenager molto in voga negli anni Novanta. L’imprenditrice ha ammesso più volte di aver desiderato da sempre di lavorare nel mondo della moda. Dopo gli studi la bionda Lauren ha messo in curriculum anche un’esperienza come PR per Oscar de la Renta, tra i suoi designer preferiti. Poi la fondazione di Moda Operandi, nel 2010, in collaborazione con Aslaug Magnusdottir, e, da lì, la consacrazione a guru della moda.

Moda Operandi si è imposto in breve come uno tra i siti web più amati dai fashion addicted di tutto il mondo: l’idea le venne guardando le sfilate di moda e sognando, da fashionista che si rispetti, di poter indossare al più presto i capi visti sulle passerelle. Il sito si distingue infatti in quanto offre la possibilità di fare acquisti senza dover aspettare i lunghi tempi di consegna normalmente previsti. M’O ha aperto diverse sedi nelle principali capitali europee, a partire da Londra. Il sito offre un’ampia selezione di capi, accessori di lusso, come la celebre Birkin Bag di Hermès, e numerose collezioni di gioielli.

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Lauren Santo Domingo è un’imprenditrice, un’influencer ed un’icona di stile
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L’imprenditrice è stata inserita dal New York Observer tra le 100 newyorkesi più influenti degli ultimi venticinque anni
Lauren Santo Domingo in pelliccia Marco de Vincenzo
Lauren Santo Domingo in pelliccia Marco de Vincenzo
Lauren Santo Domingo indossa un top Johanna Ortiz
Lauren Santo Domingo indossa un top Johanna Ortiz
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Nel 2010 Lauren Santo Domingo ha fondato Moda Operandi insieme ad Aslaug Magnusdottir

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Trench, jeans e ballerine: la quintessenza dello stile


Nel 2005 la bionda Lauren torna a far parte della redazione di Vogue, dove aveva iniziato anni prima a lavorare come editor: con la sua rubrica “APT with LSD” entra negli appartamenti delle donne più influenti del fashion biz, affermandosi anche come una delle firme più seguite e apprezzate della celebre testata.

Presenza fissa sulle riviste patinate come anche nei front row delle sfilate e nel parterre degli eventi più glamour ed esclusivi, Lauren Santo Domingo secondo il New York Observer è una delle cento newyorkesi più influenti degli ultimi venticinque anni. La bionda fashion editor e il marito Andrés formano una coppia molto glamour e sono spesso paparazzati negli eventi mondani, come illustri esponenti di quel jet set internazionale che forse oggi apparirebbe annacquato senza icone della portata di Lauren. Il suo nome, divenuto celebre -quasi un logo vivente- viene spesso abbreviato come LSD.

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Lauren Santo Domingo è musa di stilisti del calibro di Proenza Schouler, Nina Ricci ed Eddie Borgo
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La bionda fashion editor è amante delle pencil skirt e degli abiti scultura
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Lauren Santo Domingo è considerata l’ultima icona wasp
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Gonna Derek Lam e giacca paillettata Salvatore Ferragamo

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La carriera di Lauren Santo Domingo è iniziata con uno stage come PR presso Oscar de la Renta


Da anni considerata tra le donne più eleganti del mondo, musa di stilisti del calibro di Proenza Schouler, Nina Ricci e Alexander Wang, Lauren Santo Domingo è una brillante trendsetter, capace di anticipare le tendenze e fiutare i futuri talenti, tra cui Delpozo, di cui ha spesso indossato le creazioni. Fotografata da nomi del calibro di Annie Leibovitz e Mario Testino, non c’è rivista patinata in cui Lauren Santo Domingo non sia apparsa, da Vogue Paris a Vogue Spagna, da Elle a Town & Country, da W a Vanity Fair.

La bionda editor viaggia spesso tra Londra, New York, Cartagena, in Colombia -paese di origine del marito- e Parigi, dove vive nel quartiere Saint Germain, in un lussuoso hôtel particulier. Mamma di due bambini, sublime incarnazione della più autentica lady dell’alta società americana, l’editor è da sempre in prima linea nel valorizzare i nuovi talenti. Tra i suoi designer preferiti spiccano Giambattista Valli, Oscar de la Renta, Charlotte Olympia, Dries Van Noten, Dolce & Gabbana e Josep Font di Delpozo. Il suo stile tradisce la sua vita cosmopolita e la sua indole raffinata e sofisticata. Icona di stile contemporanea dalle mise sempre apprezzate, Lauren Santo Domingo sfoggia uno stile sempre impeccabile, che indossi capi sartoriali o abiti da gran soirée. Una predilezione per le pencil skirt e per gli abiti scultura, dal sapore couture, il suo stile è tutto da imitare.

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Uno dei look più iconici dell’imprenditrice
Lauren Santo Domingo in Oscar de la Renta ai Met Gala 2014
Lauren Santo Domingo in Oscar de la Renta ai Met Gala 2014
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Lauren Santo Domingo in John Galliano vintage

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Lauren Santo Domingo in Giambattista Valli Couture



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Lo stile di Linda Tol

Influencer, icona di stile internazionale e it girl tra le più amate, Linda Tol è uno dei nomi più famosi del fashion biz. I suoi look boyish l’hanno sdoganata in poco tempo fino a renderla una delle fashion icon più copiate.

Nata ad Amsterdam e recentemente trasferitasi a Milano, capelli biondo cenere e viso perfetto, lei si definisce trendwatcher, osservatrice delle tendenze. Una carriera sfolgorante nella moda iniziata nel 2008 come PR, per poi divenire buyer e stylist.

I suoi look androgini e dalle suggestioni pop hanno fatto il resto: lo stile di Linda Tol vanta un respiro internazionale e la sua personalità dirompente ha incuriosito i media olandesi ed internazionali, che in appena tre anni ne hanno fatta una delle più influenti protagoniste dello streetstyle.

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Apparsa su magazine del calibro di Vogue, Harper’s Bazaar, Elle, Marie Claire, Glamour e Grazia, nel 2013 Linda Tol ha lanciato la propria piattaforma LindaTol.com.

I believe in pink è la frase con cui la bionda icona di stile dà il benvenuto ai visitatori del suo sito. Quasi a dire, il Vangelo secondo Linda: design-addicted, la trendwatcher si professa dipendente dal cioccolato e dalle borse firmate. Un amore incontrastato per maison del calibro di Chanel, il suo stile è futurista con sfumature pop e suggestioni nordiche. Un inedito ma quantomai riuscito connubio che mixa le tipiche note scandinave allo charme che si respira nelle capitali della moda, da Milano a Parigi. Linda Tol è una cittadina del mondo e il suo passaporto è lo stile, che le scorre nelle vene.

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Impressionante fotogenia, labbra colorate e outfit sempre interessanti: lo styling per Linda Tol è qualcosa di innato. L’essenzialità dello stile scandinavo si sposa a sfumature stile Pop Art: un amore viscerale per il colore, anche nelle cromie più audaci e fluo, per uno stile in cui si respira un melting pot culturale.

Moda come arte, per la trendsetter, amante del mix&match. Il suo stile non lesina suggestioni grunge nei colori, dal make up al colore dei capelli. Blu e rosa predominano in una palette cromatica che abbraccia tutti i colori dell’arcobaleno in mise che sembrano trarre ispirazione dai libri di arte e design. Capispalla oversize per suggestioni Eighties e Nineties: qualunque capo indossi, diventa subito di tendenza.

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Nel 2013 Linda Tol è diventata contributor di Metro e dell’edizione olandese di Glamour. Nel 2014 la bionda icona fashion ha firmato un contratto con L’Oréal Paris. Il suo amore per l’Italia l’ha portata in poco tempo a divenire una delle maggiori influencer del Paese in fatto di stile, guadagnandosi una collaborazione con Glamour Italia e con molti altri magazine internazionali, innamorati del suo stile e della sua professionalità. Un’icona capace di portarci nel futuro con uno stile cosmopolita e accattivante.


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Lo stile di Eleonora Carisi

Il neo che sdoganò Cindy Crawford campeggia in bella vista su un viso pulito dall’espressività antica. Una bellezza aristocratica ed una languidezza nello sguardo, tipicamente italiana.

Eleonora Carisi oggi nel fashion biz è qualcosa di più che una semplice icona di stile: brillante manager di se stessa, ha saputo gestire mirabilmente una carriera in incredibile ascesa che l’ha portata a divenire una vera diva.

Nata a Torino, classe 1984, una personalità forte e un senso spiccato per lo stile le hanno aperto le porte della moda: it girl, influencer e trendsetter di incredibile successo, Eleonora Carisi è uno dei nomi più brillanti del panorama fashion a livello internazionale.

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Eleonora Carisi alla New York Fashion Week, febbraio 2015
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Eleonora Carisi in Michael Kors nel suo blog Jou Jou Villeroy
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Eleonora Carisi è nata a Torino nel 1984

Eleonora Carisi of Jou Jou Villeroy wearing Michael Kors floral skirt. New York Fashion Week
Icona di stile, trendsetter ed influencer, Eleonora Carisi è una delle personalità più famose del fashion biz


Dopo aver conseguito una laurea in Marketing e Comunicazione presso l’Istituto Europeo di Design di Torino nel 2006, nello stesso anno Eleonora ha aperto una piccola boutique al centro del capoluogo piemontese: è nato così You You Store, concept store che ha sdoganato l’incredibile amore per la moda di Eleonora Carisi, che l’ha portata in pochi anni a fare della propria passione un lavoro più che redditizio.

Nel 2009 l’icona di stile ha lanciato la sua prima linea d’abbigliamento: What’s Inside You -questo il nome scelto- perché la moda è qualcosa di innato, qualcosa che parte da dentro. Ma è l’anno seguente, il 2010, l’anno della svolta: Eleonora apre il suo blog Jou Jou Villeroy, un canale di lifestyle e tendenze, veicolo di pura bellezza. Quella che si respira ad ogni foto è arte pura, unita ad un’estetica perfetta. Subito balzato in testa alla classifica dei 50 blog più popolari in Italia, grazie al suo blog Eleonora Carisi è divenuta in poco tempo un’icona famosa in tutto il mondo.

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Eleonora Carisi si è laureata nel 2006 in Marketing e Comunicazione presso l’Istituto Europeo di Design di Torino
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Nel 2006 l’icona di stile ha aperto il suo concept store You You Store, nel centro di Torino
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Nel 2009 l’icona di stile ha lanciato la sua prima linea d’abbigliamento, What’s Inside You
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Nel 2010 Eleonora ha creato il suo blog, Jou Jou Villeroy

Foto tratta da Lookbook.nu    —
Uno dei suoi mille outfit imitatissimi


Regina incontrastata dei social media, come Instagram, Twitter e Pinterest, immancabile presenza nei front-row delle passerelle più famose ed icona di stile. Lei, che dal canto suo si definisce cool hunter, non sbaglia un colpo: attentissima alle nuove tendenze, curiosa, poliedrica, carpisce le novità e le rielabora secondo il suo occhio. Un appeal sofisticato e un grande carattere, dal 2011 Eleonora Carisi collabora con la versione online del magazine italiano Grazia, di cui è stata it-girl.

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Eleonora Carisi alla Milan Fashion Week Autunno/Inverno 2013
Photo by Le21eme
Foto di Le21eme
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In pizzo bianco per le strade di Milano
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Il look scelto da Eleonora per la sfilata Roberto Cavalli Primavera/Estate 2016

Total look Louis Vuitton, shoes Louboutin, sunglasses Pollini
Total look Louis Vuitton, scarpe Louboutin, occhiali da sole Pollini


La sua grande fotogenia non è passata inosservata e tanti sono i brand che se la contendono da anni come testimonial: la blogger è stata modella e musa di nomi storici della moda, tra cui Moschino, Michael Kors, Chanel, Tod’s, Gucci, Ferragamo, Redken. Bella è bella: un viso che resta impresso ed uno stile sofisticato. Ogni mise è semplicemente perfetta, curata in ogni minimo particolare: uno stile eclettico, che passa con disinvoltura dalle suggestioni anni Quaranta, nei capelli ad onde e nei tailleur pantalone con stola di pelliccia al mood glossy di gonne a ruota indossate con cocoon coat rosa baby, fino all’ironia delle stampe cartoon. Femminilità allo stato puro negli outfit scelti per il suo blog e nei lunghi abiti da diva indossati sui red carpet, ma impeccabile anche in un mood casual quando la si incontra per le strade di Milano.

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Appeal da diva alla settimana della moda di Parigi
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Eleonora Carisi ad Intimissimi On Ice
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Alla sfilata Fendi Autunno/Inverno 2014-2015

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Cool hunter e modella, Eleonora Carisi è molto seguita nei social network


Eleonora Carisi è stata designer di apprezzate capsule collection per Zalando, Patrizia Pepe e Maria Grazia Severi. Inoltre ha collaborato, in veste di guest editor, per Grazia.it, VanityFair.it, Elle.it ed Elle Girl China, solo per citarne alcuni. Icona di stile tra le più copiate, ha calcato i red carpet più importanti, dal Festival del Cinema di Venezia al Festival di Cannes; presenza fissa ai Nastri d’argento e al Taormina Film Festival, la sua eleganza innata continua a mietere consensi.


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Influencers

Cos’è, cosa fa e come “si diventa” influencer nel web? 
Di questo argomento avevo già scritto tre anni fa, in un articolo dal titolo “chi sono e cosa fanno gli influencers” ed anche in un’intervista a Bonsai.


Torno sull’argomento perché negli ultimi tempi alcune classifiche mi vedono “protagonista” del tema.
 La prima è quella del 2014, classifica indipendente sviluppata dall’Università di Vienna sui top-influencers durante le elezioni europee. 
La seconda del 2015 elaborata da PolicyBrain riguarda specificatamente i blogger influenti tra i parlamentari divisi per area. 

In un suo articolo su MediaBuzz Riccardo Esposito ha detto qualcosa di chiaro su una delle definizioni meno chiare della rete, ma di cui spesso ci si riempie la bocca (e le pagine dei blog).
 “Un influencer è una persona che viene seguita da un pubblico più o meno vasto e che viene apprezzata per le proprie idee o azioni.


Io posso essere un influencer per un pubblico ristretto o vasto. Ed è proprio questa è la chiave: individuare un pubblico e parlare. Non pontificare, non dettare leggi e regole. Ciò che ha fatto la differenza tra l’attuale influencer e tutti gli altri si ritrova in pochi elementi: la sua capacità di comunicare con un pubblico ben preciso, la presenza di idee chiare e non riciclate, la capacità di produrre e condividere contenuti di qualità. L’influencer sul web non è vago, ha un viso e un nome: ha un’identità chiara. Un’identità che trova forma in idee forti. L’influencer non ricicla, non ribatte parola su parola cercando di definire la propria posizione riprendendo concetti già esposti.


Se tali sono li cita, sempre e con piacere, ma cerca sempre di formare la propria idea partendo dal proprio cuore e/o dalla propria testa. Deve avere una personalità forte, e deve avere una proprietà di linguaggio capace di far riconoscere la propria voce ovunque. Il vero influencer non è quello che si chiude nella torre d’avorio e lancia perle di saggezza, ma è quello che seleziona e condivide la qualità. Perché sa che il suo potere si autoalimenta, sa che quando è utile al proprio pubblico acquista fiducia. Le persone si fidano di chi condivide qualità senza doppi fini. Ed è questo il tuo obiettivo: diventare un riferimento. Diventare un riferimento positivo.”


Va in profondità su dailystorm Federico Sbandi
. Un social media influencer non è semplicemente una persona che ha un largo seguito virtuale. Avere 1.000 amici su Facebook e 5.000 followers su Twitter non basta.
Le 3 caratteristiche base di un influencer sono: in primis, l’attività: un profilo disposto a spendersi su più social media quotidianamente e con una certa propensione, magari, a stare sul pezzo nel commentare i fatti salienti del giorno sarà considerato meritevole di un feedback di base. Poi, l’interattività: un utente che non risponde e dimostra di voler imporre una comunicazione dall’alto verso il basso, sul lungo termine, non andrà da nessuna parte (non siamo in Tv!). Infine, c’è la questione della credibilità: in Rete basta un errore, un caso di censura, una bagarre di troppo e si può subire la gogna immediata (si pensi a tutti quei politici/giornalisti che hanno dovuto cancellare i propri account per via dei suddetti errori).


Da un punto di vista strettamente teorico/concettuale così definisce il fenomeno il sito InsideMarketing. Nel 1955, Elihu Katz e Paul Felix Lazarsfeld pubblicarono Personal Influence, un testo rivoluzionario per l’analisi delle comunicazioni di massa. Il suo punto forte risiede nella cosiddetta “teoria del flusso a due fasi della comunicazione”, secondo cui in genere un flusso di informazioni va dai media agli opinion leader e successivamente dagli opinion leader ad un gruppo sociale di riferimento. Quindi, la maggior parte delle persone basa le proprie opinioni su quelle degli opinion leader. Questi ultimi sono coloro che per primi vengono a conoscenza di un contenuto grazie ai media o ai contatti personali e, ovviamente, poi lo interpretano secondo le proprie opinioni.


Successivamente, tali idee vengono diffuse al grande pubblico che diviene un opinion follower. Secondo questo modello, dunque, i media non hanno influenza diretta sulle masse: essi possono solo rafforzare opinioni e posizioni già esistenti, grazie agli intermediari del flusso di comunicazione (gli opinion leader, per l’appunto). Così, il flusso di influenza non è da chi è interessato verso chi non ha interesse verso l’argomento, ma verso persone un po’ meno interessate. Ovviamente, sarebbe superficiale considerare questo modello a due fasi completamente attuale: dagli anni ’50, infatti, ne è passata di acqua sotto ai ponti. In primis, oggi la società è sempre più liquida, frammentata e dai confini sfumati, sempre meno legata alle rassicuranti istituzioni sociali di una volta (dalla famiglia, ai partiti politici) e, quindi, perennemente in angoscia. La società contemporanea, così, è tutt’altro che di massa (nel senso “moderno” del termine), specialmente grazie alla diffusione delle nuove tecnologie e dei nuovi media. Tuttavia, le riflessioni di Katz e Lazarsfeld possono esserci d’aiuto come punto di partenza per analizzare i fenomeni postmoderni.


Oggi, infatti, l’influenza sociale è una dimensione molto analizzata, soprattutto grazie alle grandi potenzialità spalancatesi grazie ai social network e ai social media in generale. Questi ultimi, infatti, hanno un effetto moltiplicatore dell’influenza e garantiscono il passaparola online, lo scambio di informazioni e la partecipazione attiva alle dinamiche di costruzione identitaria e reputazionale. In particolare, una delle figure più importanti della società odierna è il social media influencer: cioè chi, per motivi diversi, s’è guadagnato una certa visibilità (ed influenza) sui social network e sul web in generale. Grazie a tutto ciò, questi brand in carne e ossa riescono spesso meglio delle aziende a indirizzare idee ed opinioni, compresi prodotti e servizi.


Provando a tornare sul tema possiamo dire alcune cose, partendo da chi “non è” un influencer di rete, e sfatando qualche mito sulle metriche spesso usate inappropriatamente o lette in maniera parziale e strumentale. 
Se su Facebook i like e le condivisioni sono certamente un indice i capacità di influenza, andrebbero maggiormente letti come “capacità di viralità”, perchè raramente parliamo di contenuti propri. Stesso dicasi per i retweet o i like, anche in questo caso quando i contenuti non sono propri dell’autore ma – come spesso accade – sono link condivisi e commentati.
 In questa ottica gli indici di engagement sono anche falsati dalla “facilità” con cui si cerca di attrarre la simpatia: si va dal populismo, al complottismo, al manicheismo, che possono essere visto come una sorta di “sottospecie social” di link baiting (ovvero quella tecnica acchiappa click usata anche da alcuni quotidiani online con titoli del tipo “incredibile, scopri cosa ha detto…” oppure “guarda cosa è successo…” e tu devi cliccare anche solo per leggere la fine del titolo).



Va anche peggio se consideriamo “gli indici di menzione”, senza fare un’analisi qualitativa di quante di queste “citazioni” in rete siano di critica, di insulto, di “inclusione in discussioni” senza alcun riferimento, ed anche quando le mensioni finiscono con il voler essere “un modo” per essere notati da quella persona (che semmai ha molti fan o follower). 
Gli indici di engagement vanno visti per quello che sono, ovvero indicatori di viralità, che molto spesso non significano altrettanta “influenza” sul lettore.
 Questa passa, al netto di tutto, attraverso due originalità: l’originalità del contenuto, e ancor più dall’originalità del punto di vista offerto su quel tema/contenuto/nnotizia.


Ciò traccia una linea di demarcazione importante e abbastanza netta tra “chi sono gli influencer”, ovvero coloro che in rete – volenti o nolenti – spostano opinione, e qualche volta la creano, e “attivisti di rete”, che possono anche avere un notevole seguito, molte interazioni, e raggiungere notevoli livelli di viralità dei contenuti condivisi, ma che di fatto non spostano opinione e non hanno alcuna centralità in termini di influenza.
 Una distinzione che, loro malgrado, tocca spesso i politici, ma anche i giornalisti o i comunicatori più o meno professionisti. 

Certo questa distinzione farà storcere il naso a molti, che proprio per numero di mensioni e citazioni invece si condierano influenti – e per carità in parte lo sono anche – ma molto del loro engagement è prevalentemente legato alla propria stretta nicchia: persone che la pensano come lui e rilanciano in continuazione quel contenuto perchè condiviso come “idea propria”, spesso acriticamente, in un circolo che finisce con il falsare l’autopercezione di sé.
 Un’analisi accurata – che nessuno spesso preferisce fare – dimostrerà che, per esempio su twitter – anche profili con 30 mila follower ricevono condivisioni e interazione sempre da pressoché le stese 100 persone. E sempre le stesse 100 persone sono quelle che condividono e commentano i post su Facebook. 



Ecco, profili che hanno queste metriche sono propri degli attivisti. Profili che spesso “ingaggiano” al di fuori degli stretti circolini relazionali sono quegli degli “influencer”.
La rilevanza di questa distinzione però riguarda anche un secondo aspetto. 
I veri e “potenti” influencer di rete non possono esserlo senza attivisti che ne amplifichino la diffusione dei contenuti, e non esistono attivisti social senza che vi sia uno o più soggetti influencer.
 Se nel marketing commerciale questa distinzione non è spesso chiarissima, nella comunicazione politica certamente è un fenomeno macroscopicamente visibile.

 Nel M5S certamente sono influencer Beppe Grillo, Paola Taverna, Carlo Sibilia, Giancarlo Cancellieri, Giulia Di Vita, qualche volta Fico e Di Maio. E questo indipendentemente dall’egagement medio e dai followers (veri e fake). Tutti gli altri sono “attivisti”, più o meno noti e più o meno autorevoli, e indipendentemente anche qui dai ruoli e dalle cariche.



Nel variegato centrodestra i profili davvero “influencer” sono pochi e molto marcati: Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Angelino Alfano, Lara Comi, Raffaele Fitto. Più o meno un “monocentrismo” dei leader delle varie anime del centrodestra, con tutti gli altri relegati a “contrno di attivismo” più o meno attivo.
 Nel PD certamente il massimo influencer è Renzi. Ma anche Roberto Speranza, Gianni Pittella, Simona Bonafé, Emanuele Fiano, Graziano Del Rio, Massimo Bray. La maggior parte degli altri account social finiscono con l’essere (per il limitato engagement con gli interlocutori) profili “attivisti”, anche in questo caso più o meno noti e più o meno autorevoli, e indipendentemente dai ruoli e dalle cariche. Ma in questo caso troviamo una novità: sono più influenti profili dichiaratamente satirici, ironici “interni” rispetto a quelli di dirigenti e parlamentari: da GianniKuperlo a RenzoMattei a L’unirenzità ai vari profili su Maria Elena Boschi.


Ed è proprio l’originalità del punto di vista, la capacità di interazione, la “criticità” del contenuto che, anche nella comunicazione politica, segna questa distinzione e anche un fake o un profilo satirico finisce con l’essere più influente di un attivista o un comunicatore o un parlamentare.
Il web ha cambiato la comunicazione – non solo personale e di marketing ma anche politica – sotto molti aspetti, e ci sono almeno tre considerazioni da fare.
La prima è che non conta “chi eri” ma come “usi lo strumento” – e quindi torniamo alla questione che il web è “un altro medium” non un uso diverso dei vecchi media…
 La seconda è che nel deserto digitale qualcosa sta cominciando a cambiare, e quindi anche i parlamentari (come tutti) ampliano i luoghi dell’informazione – e questo riporta alla considerazione della “responsabilità di ciò che fai rispetto alla audience che hai”.
La terza è che effettivamente esistono strumenti seri di misurazione del bacino di influenza, e sempre meno puoi barare sia sui numeri sia sui target – e questo riporta alla necessità di strumenti terzi (sempre) e alla necessità di conoscere il proprio peso per non usarlo mai in maniera impropria.

Lo stile di Poppy Delevingne

Il suo nome è sinonimo di stile, i suoi outfit sono tra i più cercati in rete: Poppy Delevingne è oggi un’icona di stile contemporanea tra le più amate al mondo. It girl, socialite e modella, famosa in tutto il mondo per la sua indiscutibile eleganza, la sorella maggiore di Cara Delevingne è un personaggio tra i più influenti nel fashion biz.

Poppy Angela Delevingne nasce a Londra il 3 maggio 1986 in una famiglia blasonata come poche: figlia di Pandora Anne Stevens, personal shopper, e Charles Hamar Delevingne, costruttore edile, per via materna discende dalla famiglia dei baroni Faudel-Phillips, che annovera tra gli avi il Lord sindaco della città di Londra.

Poppy cresce a Belgravia, nel centro di Londra, e frequenta la Bedales School. Lunghi capelli biondi e altezza svettante (1,78 m), Poppy Delevingne ha lavorato a lungo come modella professionista: scoperta nel 2008 dalla fondatrice della Storm Model Management Sarah Doukas, ha al suo attivo numerose campagne pubblicitarie.

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Poppy Delevingne nasce a Londra il 3 maggio 1986
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Icona di stile, socialite e influencer, Poppy Delevingne è sorella maggiore dell’ex top model Cara

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Suggestioni boho-chic negli outfit prediletti dall’icona di stile


Nella sua carriera come modella, Poppy Delevingne ha prestato il suo volto a brand del calibro di Shiatzy Chen, Laura Ashley, Anya Hindmarch, Alberta Ferretti e Burberry ed ha calcato le passerelle di nomi come Julien Macdonald. Una bellezza algida eppure fresca, l’inedito ma quantomai riuscito mix, unito allo charme British e ad uno sguardo malizioso, Poppy Delevingne ha posato per Terry Richardson ed è stata il volto di Louis Vuitton per la collezione Primavera/Estate 2012.

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Poppy Delevingne ama i maxi dress a stampa floreale, dalle suggestioni Seventies
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Poppy Delevingne in maxi dress a stampa floreale Valentino
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La foto del suo abito da sposa firmato Emilio Pucci è diventata virale in rete
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Poppy nel suo abito da sposa Emilio Pucci disegnato per lei da Peter Dundas, per le nozze in chiave hippie-chic celebrate a Marrakesh
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La modella in Emilio Pucci P/E 2014

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Ancora un modello firmato Emilio Pucci, maison prediletta dalla socialite inglese


Musa nonché amica di Matthew Williamson, la modella è stata coinquilina dell’attrice Sienna Miller, con la quale ha condiviso un appartamento a New York. Nel 2012 Poppy Delevingne si è fidanzata con James Cook, con cui è convolata a nozze nel maggio del 2014, con un doppio matrimonio e due outfit da sogno, rispettivamente Chanel Haute Couture per le nozze celebrate a Londra e un Emilio Pucci disegnato per lei da Peter Dundas, per la cerimonia hippie-chic che ha avuto luogo a Marrakesh.

Poppy Delevingne in Valentino alla mostra di Tiffany & Co.  'Fifth & 57th' all'Old Selfridges Hotel, luglio 2015, Londra  (Foto Getty Images for Tiffany & Co.)
Poppy Delevingne in Valentino alla mostra di Tiffany & Co. ‘Fifth & 57th’ all’Old Selfridges Hotel, luglio 2015, Londra (Foto Getty Images for Tiffany & Co.)
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Poppy Delevingne è modella professionista, e ha posato, tra gli altri, per Terry Richardson
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Suggestioni bon ton per il total look Chanel
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Poppy Delevingne in un lungo abito con inserti di paillettes Temperley London
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Biker jacket, gonna plissé e ankle boots per lo Street style di Poppy Delevingne
Per le strade di Londra con cappa e ankle boots giallo canarino

Mood grunge per il fur coat rosa indossato sopra jeans scampanati


Per la giovane it girl britannica, la moda non è solo una passione: nominata Young Ambassador del British Fashion Council ed ambasciatrice del brand Chanel, Poppy Delevingne in fatto di stile è una vera e propria autorità. Il suo stile capta le ultime tendenze proposte dalla moda reinterpretandole in chiave personalissima.

Una predilezione per i look boho-chic, vediamo spesso Poppy Delevingne indossare lunghi abiti stampati, dalle suggestioni Seventies. Tra i brand prediletti dall’icona di stile in pole position troviamo Valentino ed Emilio Pucci.

L’influencer inglese ha dimostrato un gusto innato capace di mixare capi haute couture e pezzi vintage: dal tailleurino bon ton Chanel al look grunge composto da fur coat e jeans a zampa d’elefante. Eclettica, raffinata ed ironica, il suo è uno stile spumeggiante e studiato fin nei minimi particolari.

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Sul red carpet del Festival di Cannes, 2015
Poppy Delevigne nel front row della sfilata di Matthew Williamson Autunno/Inverno 2012 (Photo di Nick Harvey/WireImage)
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Poppy Delevingne per Madame Figaro
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Un primo piano dell’icona di stile, ambasciatrice del British Fashion Council

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Come modella, Poppy Delevingne ha posato per brand del calibro di Alberta Ferretti e Louis Vuitton


Seguitissima sui social network, Poppy Delevingne è stata stylist per il matrimonio della sorella maggiore Chloé e designer. Ora dichiara di voler fare l’attrice. Uno stile tutto da copiare, per vere icone d’eleganza.


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Lo stile di Candela Novembre

Qualcuno diceva che lo stile è qualcosa di innato, qualcosa che parte da dentro, dai meandri dell’anima e da un indefinibile mix di personalità, intelligenza e garbo. Partendo da questo assunto, appare chiaro come per alcune donne la definizione di icona di stile appaia riduttiva.

Candela Pelizza Novembre è un nome tra i più conosciuti del fashion biz: it girl, trendsetter, brillante imprenditrice di se stessa e mamma di due bambine, oltre che modella. La sua personalità e un innato senso dello stile l’hanno portata a divenire una delle maggiori influencer, seguitissima su Instagram e acclamata come una diva ad ogni uscita pubblica, per i suoi outfit che rasentano l’arte.

Candela nasce in Argentina: eclettica e curiosa, fin da ragazzina è una mente vivace, desiderosa di conoscere il mondo e di aprirsi a nuove culture: il lavoro di modella la porta in Italia, appena diciassettenne. La sua è una bellezza sofisticata, forse lontana dai cliché imposti oggigiorno: aggraziata, delicata, ricorda quasi una Audrey Hepburn dei nostri giorni.

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A Milano la bella Candela trova la sua seconda patria, grazie al lavoro come modella. Non una bellezza aggressiva, ma un sorriso dolce e un candore rassicurante: in un mondo in cui apparire è condicio sine qua non, Candela Novembre non ha bisogno di ostentare la sua carica hot e questo la rende diversa. Una donna di carattere, mamma di due bellissime bimbe dai nomi evocativi, Verde e Celeste.

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Candela Novembre si impone all’attenzione del fashion biz in pochissimo tempo: la modella ama fotografare la vita che la circonda, che si tratti di abiti o di attimi rubati, di souvenir di viaggi in terre lontane o di un sorriso delle sue figlie. Il suo diario aperto al pubblico, su Instagram, attrae un pubblico sempre più vasto e il clamore mediatico non tarda ad arrivare: Grazia la vuole come it girl, mentre Glamour la nomina nel 2014 “Migliore donna dell’anno”, accanto a nomi del calibro di Poppy Delevingne e Diane Kruger.

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Un gusto personalissimo nel creare i suoi fatidici outfit e un approccio quasi ludico alla moda, che le fa scegliere cosa indossare in base al mood della giornata. Disimpegno e carattere unito alla capacità di mixare: tanti sono i nomi prediletti dalla it girl, da Moschino a Jil Sander, da Costume National a MSGM, da Normaluisa alle borse di Paula Cademartori. Ma accanto alle firme e ai pezzi di design spuntano i capi low cost, e l’amore per i mercatini vintage, inedite fucine di idee sempre nuove. Lo stile di Candela Novembre riflette la sua personalità: una predilezione per il total white, indossato anche durante l’ultima settimana della moda parigina; largo a colori vitaminici, stampe optical, denim patchwork ed una vera passione per le fantasie geometriche, che su di lei diventano quasi un omaggio al Cubismo.

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Spontanea, entusiasta e brillante, Candela Novembre è anche un’imprenditrice di successo. Creatrice di Lampoon, fucina di idee e scambio tra designer e stilisti nonché e-shop per veri gourmet: si respira un’eleganza di stampo internazionale, declinata in vere e proprie chicche di cultura visiva e non solo, per un magazine che vede al suo interno professionisti del calibro di Carlo Mazzoni, apprezzato scrittore e già direttore de L’Officiel Italia, e Giovanni Dario Laudicina, fashion editor.

“È di moda non essere di moda”: questa è una delle massime preferite da Candela Novembre: perché la personalità è un valore evergreen.

(Foto copertina Settimio Benedusi)


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Consuelo Crespi, il glamour italiano nel mondo

La contessa Consuelo Crespi è stata una delle personalità che più hanno influenzato la moda italiana ed internazionale negli anni Cinquanta e Sessanta.

Viso dolce incorniciato da riccioli neri, uno stile bon ton e raffinato, Consuelo Pauline O’Brien O’Connor Crespi nacque a New York il 31 maggio 1928. Cresciuta in Nova Scotia, nel 1945 la graziosa Consuelo posa come modella per Look Magazine.

Due anni più tardi segue il suo debutto in società e nello stesso anno, avviene l’incontro con il conte Rodolfo Crespi detto Rudi. Il matrimonio tra i due fu celebrato l’anno seguente, nel 1948, e dall’unione nacquero due figli, Brando e Pilar Crespi.

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La contessa Consuelo Crespi fu fashion editor di Vogue US e Vogue Italia
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Consuelo Crespi a Manhattan, 1961

 

Consuelo fu fashion editor di Vogue US e braccio destro della mitica Diana Vreeland. Il suo contributo alla diffusione della moda italiana nel mondo fu enorme.

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Rudi e Consuelo Crespi

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Consuelo Crespi in Valentino, 1960


Protagonista del jet set internazionale, mirabile trendsetter e influencer ante litteram, secondo Roberto Capucci Consuelo Crespi fu l’ambasciatrice della moda italiana nel mondo per tutti gli anni Sessanta e Settanta. Dopo aver scoperto Valentino Garavani, i cui abiti indossati dalla sorella gemella di Consuelo affascinarono Jackie Kennedy, notò per le vie della Capitale la bellezza di Benedetta Barzini, mentre a Venezia scoprì Veruschka.

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La Crespi fu modella e braccio destro di Diana Vreeland a Vogue

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La contessa in Valentino per Vogue Italia 1963, foto di Leombruno-Bodi


Spinse Irene Galitzine a debuttare alle sfilate di Palazzo Pitti, nel 1959, e sdoganò negli States il marchio Fabiani, indossando una sua gonna nella Grande Mela di ritorno da uno dei suoi viaggi a Roma.

Un riuscito mix di bellezza e glamour, Consuelo Crespi ottenne la cover di Sports Illustrated nel 1956 be fu redattrice di Vogue Italia dal 1964, scelta personalmente da Diana Vreeland, con cui aveva già collaborato a Vogue US.

Presente al leggendario Black and White Ball organizzato da Truman Capote nel 1966, la Crespi si classificò al terzo posto tra le meglio vestite secondo il New York Dress Institute, dopo la duchessa di Windsor e davanti alla Regina Elisabetta II e ad Audrey Hepburn. Ricordata per la sua dolcezza e per le sue incantevoli mise bon ton, fu inclusa nella prestigiosa International Best Dressed List, lodata per il suo stile dall’eleganza naturale priva di ostentazione o stravaganza. PR ante litteram per diversi designer, la contessa Crespi coinvolse anche il marito nei suoi lavori per Vogue Messico e Vogue Brasile.

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In copertina su Sports Illustrated 26 agosto 1957
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Consuelo Crespi fu influencer e trendsetter ante litteram

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Un ritratto della contessa. I coniugi Crespi lasciarono definitivamente Roma nel 1975


Ma gli anni Settanta videro un declino inesorabile di quell’eleganza e di quel bel mondo che aveva invece caratterizzato i decenni precedenti e un’icona come lei, sensibile alla bellezza, soffrì molto per il cambiamento di vita. “In Italia vogliono essere ricchi ma sembrare poveri”, si lamentava Consuelo, fino alla decisione, nel 1975, di lasciare definitamente Roma per trasferirsi col marito a New York, dove ricevettero i Reagan a casa ai tempi della Casa Bianca, evento pressoché unico nella storia della Presidenza americana.

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La fashion editor fu scopritrice di talenti come Valentino Garavani, Fabiani, Galitzine

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La contessa con la figlia Pilar Crespi, Costa Smeralda 1968


Amatissima per la sua eleganza e stimata sul lavoro, Consuelo è la regina del jet set internazionale. Nominata Cavaliere del Lavoro negli anni Settanta, per il suo prezioso contributo nell’affermazione della moda italiana nel mondo, la contessa si spense nel 2010 nella sua Manhattan, all’età di 82 anni. Il suo amore per il bello è stato ereditato dalla figlia Pilar, che ha lavorato a lungo come editor di Vogue, mentre la nipote Chloé è fotografa di moda. Buon sangue non mente, ça va sans dire.

Madonna, auguri alla Regina del Pop

È la pop star che ha maggiormente influenzato la cultura visiva e musicale nonché la moda degli ultimi trent’anni. Simbolo di trasgressione ma anche raro esempio di come si possa gestire con intelligenza un successo senza precedenti, quando si ha faticosamente lavorato per raggiungerlo.

Madonna Louise Veronica Ciccone compie 57 anni il 16 agosto, ma non è invecchiata affatto dai suoi esordi. La stessa sfrontata esuberanza di Holiday, il suo primo grande successo del 1983 e la stessa sensualità di Like a Virgin, canzone che l’ha resa un mito.

Madonna ha creato un nuovo modo di concepire la bellezza: non particolarmente alta, l’origine italiana appariva chiara nei suoi lineamenti marcati e nelle curve, ha costruito un’immagine di sé sofisticata e glamour, mirabile manager di se stessa ed esempio vivente di come una grande self-confidence possa tradursi in reale bellezza fisica.

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È il carisma a fare la differenza e lei ne ha sempre avuto da vendere. Icona del post femminismo e della fratellanza universale, dell’amore gay e promoter dichiarata di valori come il rispetto e l’amore per il prossimo, Madonna è un’artista da record, entrata anche nel Guinness dei Primati come la donna ad aver venduto di più nella storia della musica.

Arrivata a New York nel 1977, appena diciannovenne, compare in Born to be alive di Patrick Hernandez. Sensualità prorompente, ironia e autoironia, nel 1985 recita da protagonista in Cercasi Susan disperatamente. Nello stesso anno, ancora acerba ma perfettamente consapevole, posa nuda per Playboy e Penthouse e cita la Marilyn de “Gli uomini preferiscono le bionde” nel video di Material Girl. Indimenticabili le sue performance, come il tour scandalo in cui si fa crocifiggere. Capace di trasformare in arte la più sfrontata ma mai sterile provocazione: in Like a Prayer fa scandalo con un video giudicato sacrilego dal Vaticano, in cui simula amplessi con una statua sacra e riceve le stigmate. Tra le suggestioni mediterranee e blasfeme del videoclip, censurato in Italia, la diva anticipa anche lo stile tipico di Dolce & Gabbana, di cui sarà per molti anni musa iconica e testimonial.

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Ape regina per vocazione ed indole, influencer e trendsetter, Madonna ha rivendicato sempre valori quali l’autonomia e la fratellanza. Splendida musa di Jean Paul Gaultier, lo stilista creò per lei il corpetto a cono nel 1990, protagonista indiscusso del tour Blonde Ambition Tour.

Nel 1995 arriva la memorabile interpretazione di Evita Perón per la regia di Alan Parker, che si rivela un inaspettato successo di pubblico e critica. Nello stesso anno posa per le celebri foto di Mario Testino e poi di Steven Meisel, che la immortala come una biondissima dea in abiti peplo firmati Gianni Versace, per la campagna pubblicitaria di quest’ultimo. Una diva patinata dalle forme esplosive e dalla vita costantemente sotto i riflettori: un’immagine non molto diversa dalla realtà.

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Il 1996 è l’anno della maternità: nasce la prima figlia, Lourdes Maria, avuta dal personal trainer Carlos Leon. Nel 1998 arriva l’amore per il regista inglese Guy Ritchie, presentatole da Sting. Ritchie nell’agosto del 2000 la renderà nuovamente madre, con la nascita del secondo figlio, Rocco.

Arriva il Duemila e se tante sono le meteore che si succeguono nel mondo della musica senza lasciare traccia di sé, Madonna è ancora lì, granitica e più che mai in auge, capace come nessuna di reinventarsi, in una perenne trasformazione. Confessions on a Dance Floor, album del 2005, ce la ripropone tonica come non mai, strizzata in body rosa shocking dalle suggestioni glam anni settanta. In bilico tra un viscerale bisogno di trasgredire e un desiderio di meditazione spirituale, dopo il divorzio da Ritchie ha sdoganato i toy boy. Oggi è musa di Givenchy di Riccardo Tisci e di Fausto Puglisi.

Bellissima anche nella maturità, continua a regalarci emozioni con il suo ultimo album dal titolo evocativo, Rebel Heart. Profetica iniziatrice di un nuovo mondo, negli scenari post atomici proposti nel video di Ghosttown, e giocosa nel duetto con Nicki Minaj, Madonna continua ad essere la Regina indiscussa del pop.

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