Elsa Peretti: elogio della semplicità

C’è chi lo stile lo copia e c’è chi invece lo detta: il nome di Elsa Peretti domina il fashion system da oltre cinquant’anni. Designer di gioielli dal fascino unico, modella, ma anche filantropa ed icona di stile, Elsa Peretti ha influenzato la moda a partire dagli anni Settanta: il suo stile unico e il suo storico sodalizio con Tiffany & Co. costituiscono uno dei pilastri del gusto, pietra miliare nella storia del costume e della moda.

Arbiter elegantiae e trendsetter ante litteram, Elsa Peretti dalla vita ha avuto davvero tutto, complice anche una personalità eclettica ed un carattere granitico: non aveva certo bisogno di denaro Elsa, nata in una delle famiglie più ricche d’Italia. La ribellione le scorreva nelle vene e, anziché portarla ad adagiarsi sugli allori del lusso, la condusse verso orizzonti lontani ed inusitati. La socialite abbandonò le sicurezze e gli agi che le venivano garantiti in Italia e partì da sola alla volta della Spagna, con una valigia piena di sogni e ambizioni. Una tra tutte, trovare se stessa.

Nata a Firenze il primo maggio 1940, Elsa è la figlia minore di Ferdinando Peretti e Maria Luisa Lighini. Suo padre è un ricco industriale, fondatore dell’Anonima Petroli Italiana (API). La giovane studia a Roma e poi in Svizzera, dove dapprima si mantiene dando lezioni di italiano e successivamente lavorando come istruttrice di sci a Gstaad. Nel 1963 il trasferimento a Milano per studiare interior design: qui Elsa lavora per l’architetto Dado Torrigiani. L’anno seguente abbandona la sua famiglia conservatrice e si trasferisce a Barcelona, dove tenta i primi vagiti di una carriera nella moda: sensuale e statuaria, per Elsa si spalancano immediatamente le porte del fashion system. Ma la famiglia, fortemente conservatrice, non approva quella scelta e i genitori non le parlano per anni.

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A sinistra, Elsa Peretti in Stephen Burrows; foto di Charles Tracy, Montauk, New York, 1972. A destra, l’icona posa per Helmut Newton indossando un costume da coniglietta disegnato da Halston. New York City, 1975.


Designer Elsa Peretti sits at her desk and looks into the camera. (Photo by Horst P. Horst/Condé Nast via Getty Images), Vogue 1976
Elsa Peretti immortalata nella sua scrivania da Horst P. Horst per Vogue 1976 (Photo by Horst P. Horst/Condé Nast via Getty Images)


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Elsa Peretti è nata a Firenze il primo maggio 1940


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Elsa Peretti in Halston: lo stilista fu uno dei suoi più cari amici


La Spagna all’epoca è sconvolta dalla dittatura franchista. Tuttavia qui Elsa respira una libertà mai sperimentata prima: tutto è nuovo per lei, i marines, le prostitute, i fiori, l’oceano resteranno per sempre impressi nella sua memoria. La giovane si avvicina al movimento della Gauche Divine, la resistenza intellettuale al franchismo. Dopo alcuni anni trascorsi a Barcelona, Elsa vola a New York su consiglio di un agente della Wilhelmina Modeling Agency, l’agenzia che la rappresenta. È una fredda giornata di febbraio del 1968 a fare da sfondo al suo arrivo nella Grande Mela: Elsa arriva a New York con un occhio nero, indesiderato souvenir di un suo amante che non voleva lasciarla andare. Il primo incontro con la Grande Mela è quasi uno shock per lei: uscita indenne dal caos e dagli scioperi che sconvolgono la città, la giovane giunge all’Hotel Franconia, che diviene la sua casa. Elsa non ha un dollaro in tasca ma ha una fede quasi mistica nelle possibilità che a breve le verranno offerte. Nessuno a New York sembra conoscerla e tutti ignorano la ricchezza della sua famiglia di origine: “Sapevamo tutti che Elsa veniva dal denaro ma non avevamo idea di quanto denaro”, dirà Marina Cicogna.

A New York Elsa inizia una carriera di successo: divenuta presenza fissa allo Studio 54, nel suo circolo di frequentazioni spiccano icone pop come Andy Warhol. Elsa è richiestissima come modella. In tanti la immortalano, a partire da Helmut Newton, di cui sarà anche amante: indimenticabile lo scatto che la ritrae sospesa tra i tetti di New York in costume da coniglietta di Playboy. Correva l’anno 1975 e quella foto è entrata di diritto nell’immaginario collettivo, restando impressa indelebilmente come una delle immagini iconiche degli anni Settanta.


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Elsa vive tra eccessi di ogni tipo ed abusa di cocaina: sono gli anni in cui il glam sembra dominare, in un mondo in cui la trasgressione è un must. La giovane adora ballare e frequenta ogni discoteca, dal Le Jardin al Max’s Kansas City al Saint, fino allo Studio 54 e al Paradise Garage. La sua bellezza mediterranea le fa firmare numerosi contratti: la giovane, alta e sofisticata, attrae l’attenzione di designer del calibro di Charles James e Issey Miyake, che la vuole in passerella. Ma solo con Roy Halston Frowick, il primo che Elsa incontra appena arrivata nella Grande Mela, alla fine degli anni Sessanta, sarà amore a prima vista: tra i due nascerà un’amicizia destinata a durare per tutta la vita. Immortalata da nomi illustri, da Newton a Scavullo fino a Salvador Dalí, la ragazza copertina ha una marcia in più rispetto alle colleghe: la sua personalità. “Elsa era diversa dalle altre modelle. Le altre erano grucce, manichini, ma lei aveva stile. Lei faceva suo l’abito che indossava”, ha dichiarato Halston. Tuttavia Elsa odia il lavoro di modella: quasi terrorizzata dalla sola idea di dover posare davanti ad un obiettivo, sfrutta la professione solo per potersi mantenere, dopo essere stata diseredata dalla famiglia d’origine.

A proposito della sua amicizia con Halston, Elsa Peretti dichiarerà: “Ho passato i momenti migliori con lui quando eravamo lontani dalla moda e da quella gente. Poco a poco diventammo amici. A un certo punto la cocaina finì e iniziammo a farci le canne”. Tra i loro amici figuravano lo stilista Giorgio di Sant’Angelo, l’illustratore Joe Eula, Victor Hugo, amante di Halston, ed Andy Warhol. Joe era il più affettuoso del gruppo ed era solito cucinare per tutti. A volte faceva una capatina anche Liz Taylor.

Il primo approccio alla gioielleria risale al 1969: un giorno Elsa confida all’amico Giorgio di Sant’Angelo di voler creare dei gioielli. Per lei è poco più di un hobby, sebbene la passione per i gioielli le scorra già nelle vene. Ad ispirarla nella sue creazioni iniziali sono oggetti apparentemente banali, scorci di una quotidianità che agli occhi geniali di Elsa Peretti sembra assumere i toni di un’epifania pregna di simbolismi arcaici: che sia un vaso di fiori argentato scovato in un mercatino delle pulci o che siano suggestioni prese a prestito dalla natura, quei gioielli creati quasi per gioco ottengono grande visibilità fin dalla prima esposizione pubblica, che ha luogo in una vetrina di Bloomingdale’s. La giovane capisce di avere del talento quando le sue creazioni, presentate durante una sfilata di Giorgio di Sant’Angelo, colpiscono tutti i presenti. Nel 1971 inizia a creare gioielli per l’amico Halston: per quelle creazioni utilizza l’argento, un materiale molto inusuale nell’alta gioielleria, considerato alquanto banale. Quando firma un contratto con Tiffany & Co. come designer indipendente, Elsa Peretti è già stata insignita di un Coty Award (ricevuto nel 1971) ed è già apparsa su Vogue. Sarà proprio Halston, nel 1974, ad accompagnarla al colloquio di lavoro che cambierà la sua vita, con l’allora CEO di Tiffany & Co., Walter Hoving. La designer viene subito assunta ed in breve entra nell’Olimpo: una cover del Newsweek del 1977 la immortala come l’iniziatrice della più grande rivoluzione nel mondo della gioielleria dai tempi del Rinascimento. «Il giorno in cui Elsa è entrata a far parte di Tiffany –ha dichiarato qualche anno fa il presidente e Ceo del brand, Michael Kowalski– noi siamo entrati in una nuova era della nostra storia di innovazione nel design».

Elsa Peretti in passerella per Halston
Elsa Peretti in passerella per Halston


LONDON - MARCH 10: A Christies' assistant passes 'Elsa Peretti as Bunnygirl, New York, 1975' by Helmut Newton on March 10, 2008 in London, England. The Collection is owned by Gert Elfering and will go on sale in New York on April 10, 2008. With 135 lots the sale has an overall estimate of 2 to 3 million dollars. (Photo by Cate Gillon/Getty Images)
Elsa Peretti ha lavorato come modella prima di diventare designer di gioielli. Qui ritratta da Helmut Newton a New York nel 1975.


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La ribellione giovanile portò Elsa Peretti a lasciare la sua famiglia d’origine partendo per Barcelona, dove iniziò a lavorare come modella


Iconici e suggestivi, i suoi gioielli rompono con la tradizione ed inaugurano un’estetica inedita: forme caratterizzate da linee essenziali, che traggono ispirazione dalla natura, ma anche dall’architettura o dalle gloriose vestigia del passato; suggestioni neoclassiche ma al tempo stesso fortemente improntate alla contemporaneità, per pezzi unici divenuti dei classici senza tempo.
L’elemento naturale predomina nelle collezioni Starfish e Bean, rispettivamente ispirate alle stelle marine e ai fagioli; le sue forme sensuali rivoluzionano il design del gioiello ed incantano il mondo intero. Da quel lontano 1974 Elsa Peretti ha creato più di 30 gioielli iconici nelle sue collezioni per Tiffany. Artista magistrale dotata di grande fantasia, Elsa Peretti ha esplorato la natura con la sensibilità di uno studioso e la visione di uno scultore. Le viene inoltre riconosciuto il merito di aver conferito nuova dignità all’argento, dandogli il posto che meritava nel design del gioiello. Convinta che l’eleganza sia sinonimo di semplicità, la designer ha sempre prediletto gioielli adatti ad essere indossati tutti i giorni, sdoganando anche i diamanti: la sobrietà con cui la designer usa il diamante ha rivoluzionato il modo di indossare queste pietre preziose. “Penso sempre che la gente mi faccia complimenti per quel che ero e non per quel che sono adesso. Adesso io sono Tiffany”, dichiarerà molti anni dopo Elsa Peretti. Nel 2012 Tiffany ha rinnovato la collaborazione con la designer per altri vent’anni. Testarda e ostinata, Elsa Peretti ha commentato il rinnovo del contratto come la sua “ricompensa per il passato”. Mai nessuna come lei: la designer fece guadagnare alla maison cifre mai toccate prima di allora. “Le persone vengono dimenticate così in fretta, io voglio sopravvivere”, ha dichiarato durante un’intervista.

La vita d Elsa si staglia sullo sfondo dell’era disco: molti dei suoi amici muoiono di AIDS o per l’abuso di sostanze stupefacenti. Nel 1971 la designer decide di dare un taglio al consumo di cocaina. Intanto al suo fianco c’è sempre il fidato Roy Halston, per il quale disegna la linea di cosmetici e le boccette di profumo: come lei stessa ha dichiarato nel corso di un’intervista, tra i due vi era una tensione sessuale mai consumata. Ma il loro rapporto cominciò ad incrinarsi nel 1978: durante quella che doveva essere una serata tranquilla, Elsa litigò furiosamente con lo stilista, dando fuoco ad una pelliccia che questi le aveva regalato. Rimproverandolo di essere troppo freddo ed interessato solo all’apparenza, Elsa Peretti fece una scenata ad Halston. “Al massimo mi chiedeva che cosa indossassi. Ma a mezzanotte non vuoi certo parlare di vestiti”, dirà la designer. “La tua amicizia per me significa molto più di questa fottuta pelliccia”: queste le parole che suggellarono la fine della loro amicizia. Dopo un silenzio di tre mesi i due si rincontrano allo Studio 54 in una notte di aprile: ma il rancore è ancora lì ed Elsa svuota una bottiglia di vodka sulle scarpe dello stilista. Successivamente, stanca di vivere a New York, città che considera “non adatta alle relazioni”, la designer si rifugia in Spagna: qui si innamora di Sant Martí Vell, un piccolo centro della Catalogna. Qui la designer acquista un vecchio maniero che inizia a ristrutturare. Il castello è circondato da un’aura di mistero dal momento che tra quelle mura molta gente nei secoli passati morì di peste bubbonica. All’apice del successo, Elsa Peretti possiede appartamenti a Roma, New York, Montecarlo, Barcelona e Porto Ercole: qui acquista una casa risalente al Sedicesimo secolo affidando l’interior design al genio di Renzo Mongiardino.

Elsa Peretti non si è mai sposata e la sua relazione più lunga è stata quella con Stefano Magini, incontrato nel 1978 e rimasto al suo fianco per 23 anni. Nel 1977, alla morte del padre, reo di averla diseredata, la designer eredita una fortuna. Schiva e riservata, una delle figure più importanti nella sua vita sarà proprio Halston: i due si riconciliarono due anni prima della morte dello stilista, avvenuta nel 1990. Lui andò a trovarla nel suo sontuoso appartamento di Porto Ercole e insieme telefonarono per scherzo al loro comune amico Joe Eula. “Quello che davvero amavo in Halston era l’incoraggiamento che mi diede. Quando ti piace quel che qualcuno fa, è importante dirglielo”.

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Elsa Peretti e Giorgio di Sant’Angelo in una foto di Ed Pfizenmaier, 1969


Nel 2000 Elsa Peretti fonda la Nando Peretti Foundation, che porta il nome del padre: l’attività predominante della fondazione è quella di proteggere i diritti civili ed umani con particolare attenzione all’istruzione, ai diritti dei bambini, delle donne e delle minoranze oppresse. La Fondazione nel 2015 ha cambiato nome, diventando la Nando and Elsa Peretti Foundation. Nel 2008 il British Museum ha acquistato 30 creazioni di Elsa Peretti, definendo la sua opera “superba artigianalità avente anche significato simbolico nell’epoca moderna”.

Nel 2013 Elsa Peretti è la prima persona non catalana ad essere insignita del National Culture Award dal National Council for Culture and the Arts (CoNCA). La Fondazione che porta il suo nome ha promosso le arti visive e ha protetto il patrimonio storico e artistico della Catalogna. Numerose le opere promosse, come il restauro della chiesa di Sant Martí Vell.

Sublime incarnazione degli anni Settanta, Elsa Peretti è stata simbolo di uno stile divenuto iconico. Donna libera e ribelle, i suoi gioielli e la sua intera vita rappresentano la parabola di uno spirito libero. “Chiunque sia stato ribelle una volta nella vita non può tornare ad essere convenzionale”, ha affermato la designer. I gioielli disegnati per Tiffany & Co. hanno sdoganato un nuovo concetto di lusso, che unisce suggestioni couture alla semplicità di linee essenziali e minimali. Perché l’eleganza è semplicità.

Paul Newman: Attore e Pilota, il vero volto di Hollywood

Paul Leonard Newman è stato un attore, regista e produttore cinematografico statunitense. Considerato uno dei più grandi attori della storia del cinema Hollywoodiano, nella sua lunga carriera vinse tre Oscar, sei Golden Globe e un Emmy Awards, oltre a ricevere una stella sull’Hollywood Walk of Fame e altri riconoscimenti. Assieme ad Ennio Morricone, Henry Fonda e Laurence Olivier, detiene il singolare primato di aver ricevuto prima l’Oscar alla carriera e poi come vincitore tra i candidati. Nella ripresa economica del Dopoguerra, si occupò della gestione della ditta paterna; nel 1949 sposò Jacqueline E. Witte e decise di intraprendere la carriera cinematografica: Newman somigliava in viso a Marlon Brando , altra stella di Hollywood. Dal matrimonio nacquero tre figli: Scott Allan (1950-1978), Susan Kendall (1953) e Stephanie (1954). Dopo aver frequentato per meno di un anno la scuola d’arte drammatica della Yale University, si iscrisse all’Actor’s Studio di New York e debuttò nel 1953 in teatro a Broadway in “Picnic”, opera poco dopo resa famosa da un omonimo film.


Paul Newman sulla sua Triumph
Paul Newman sulla sua Triumph



La sua leggenda racconta di un attore in cerca di sfide con se stesso. Nel 1973 molla per lunghi periodi il set per destreggiarsi con il mondo dei bolidi in circuito, prima a livello amatoriale, poi da professionista e infine da gentleman driver, fino a correre da protagonista la 24 ore di Le Mans. 
Per non parlare del grado di sensibilità ed acume umano dell’attore, cioè della sua attività come filantropo. La sua forte passione per la cucina lo portò a creare la “Newman’s own”: salse e beneficenza. 
E ancora, non molti sanno che una delle sue fondazioni generó in Italia nel 2007 la “Dynamo Camp”, una struttura che si occupa di ragazzi con problemi gravi di salute.


Paul Newman stars in "Sweet Bird of Youth", di Tennessee Williams, 1960.
Paul Newman stars in “Sweet Bird of Youth”, di Tennessee Williams, 1960.



Di se stesso disse:


“sono stato un pessimo giocatore di softball, badminton e un pessimo pugile : vuoi vedere che sono un pilota decente?”


I capi che lo contraddistinguono sono:


– Colori neutri o per lo più scuri


– Outfit sartoriale, ma casual in pieno stile classico americano


– Impeccabili loafers


– Jeans a cinque tasche e camicia bianca, l’abbecedario del preppy Style


Paul Newman
Paul Newman



Indimenticabili le sue foto in tuta ignifuga e casco. Sport ed eleganza: Rayban Aviator e Rolex, il celebre cronografo Daytona, a lui indissolubilmente legato. Newman si poneva a cavallo tra l’uomo integerrimo degli anni ’30 e il giovane ribelle delle decadi successive.



Il suo stile seguiva questi principi: polo sbottonate nei primi bottoni sotto giacche e pantaloni a vita alta, camicie bianche e cravatta ma solo se con le maniche sbottonate e rigirate e colletti di cardigan o di cappotti rigorosamente all’insù. Un sapiente ensemble di eleganza classica, indossata in modo nuovo ed inusuale. Paul Newman incarna lo stile a cui si è ispirato in seguito anche Ralph Lauren, l’americano sportivo ma elegante, una sorta di versione a stelle e strisce del gentleman anglosassone: non si può non ricordarlo, non si può non amarlo.


Paul Newman con sua moglie Jacqueline E. Witte
Paul Newman con sua moglie Jacqueline E. Witte



Il 31 luglio 2008 è stata data ufficialmente notizia di una diagnosi di cancro ai polmoni, effettuata dallo Sloan-Kettering Cancer Center di New York, uno dei maggiori centri negli USA per la lotta ai tumori. Secondo il Sun e altre testate, l’attore sarebbe vissuto solo poche settimane, dopo l’ultimo ciclo di chemioterapia presso il Weill Cornell Medical Center di New York. Dopo aver scelto di smettere le cure, si è ritirato a vita privata per passare gli ultimi giorni di vita con la famiglia. Il 26 settembre 2008 l’attore è morto nella sua casa di Westport nel Connecticut. Aveva 83 anni.


Paul Newman con il suo Rolex Daytona
Paul Newman con il suo Rolex Daytona



Rolex Daytona - Questa referenza della maison Svizzera, viene definita dagli appassionati proprio "Paul Newman"
Rolex Daytona – Questa referenza della maison Svizzera, viene definita dagli appassionati proprio “Paul Newman”



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Lo stile di Valentina Ferragni

Bionda, giovanissima e già sulla cresta dell’onda: Valentina Ferragni, sorella minore della più famosa Chiara, è la it girl del momento. Un cognome importante ed un’eredità difficile da raccogliere, per la piccola di casa Ferragni: ma la sua bellezza acqua e sapone ed un fisico atletico l’hanno resa la nuova icona di stile copiatissima dalle teenager.

Con in tasca un contratto come testimonial di Pantene, insieme alla sorella Chiara, ed un milione di follower su Instagram, per la bella Valentina si sono aperte le porte del fashion biz. La giovane è già apparsa sui magazine più prestigiosi del mondo e si è imposta come presenza fissa nei front row delle sfilate.

Da New York a Londra, da Milano a Parigi, Valentina Ferragni monopolizza l’attenzione dello street style con i suoi outfit. Il suo stile alterna con grande nonchalance look casual a capi luxury.

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Valentina Ferragni è la sorella minore della famosissima Chiara



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Lunghi capelli biondi e sorriso perfetto, Valentina Ferragni posa spesso accanto alla sorella Chiara sfoggiando grande disinvoltura. Nelle sue foto la ritroviamo tra bikini mozzafiato e capi dalle suggestioni haute couture. Se è vero che il suo cognome è ormai garanzia di successo, di certo la piccola di casa Ferragni non perderà tempo nell’affermarsi come trendsetter, al pari della sorella, fondatrice del celebre blog The Blonde Salad.

Un fidanzato blogger, Luca Vezil, e una laurea in Linguaggi dei Media, per Valentina Ferragni: neanche a farlo apposta, la giovane it girl ha discusso una tesi sull’influenza esercitata dai blogger nella società di oggi. Sul suo profilo Instagram (@valentinaferragni) la vediamo postare scorci di vita di una ragazza normale, se non fosse per il numero impressionante di follower e gli outfit sfoggiati. I brand più famosi se la contendono, mentre lei, sulle orme della sorella, si appresta a diventare un’icona di stile apprezzata a livello internazionale.

Valentina Ferragni al Coachella 2016
Valentina Ferragni al Coachella 2016


(Foto cover Gushmag.it)


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Marisa Berenson: icona di stile e bellezza

Due occhi da cerbiatto verde smeraldo, la pelle ambrata, l’ovale perfetto; una bellezza naturale, ritratta acqua e sapone su spiagge assolate o nel sole di location esotiche, capace di trasformarsi un attimo dopo in una diva dall’allure sofisticata, tra abiti haute couture e party esclusivi: Marisa Berenson è stata una delle modelle più pagate al mondo e ha alle spalle una lunga e prolifica carriera cinematografica, in cui spiccano i film di Visconti e Kubrick.

Definita da Yves Saint Laurent “the girl of the Seventies”, Marisa Berenson ha incarnato la quintessenza del glamour a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta. Presenza fissa dell’International Best Dressed List, impossibile dimenticare le foto di Slim Aarons che la immortalano a Capri in turbante anni Venti, bella e carismatica, o con i suoi celebri look boho-chic, ritratta dall’amico di una vita, Andy Warhol. Non solo attrice e modella, ma anche icona di stile e protagonista assoluta del jet set internazionale e delle riviste patinate, testimone di una New York fatta di glamour ed eccessi.

Nata a New York il 15 febbraio 1947, Marisa Berenson discende da una famiglia blasonata: il padre è Robert Lawrence Berenson, diplomatico americano di origini ebraiche e lituane, che si era distinto per aver diretto i cantieri navali di Onassis, e che sotto la presidenza Kennedy divenne ministro per i paesi in via di sviluppo. Berenson era nipote del grande esperto d’arte Bernard Berenson, bisnonno di Marisa. Il cognome originario della famiglia era Valvrojenski. La madre di Marisa è la contessa Maria Luisa Yvonne Radha de Wendt de Kerlor, meglio conosciuta come Gogo Schiaparelli, socialite di origini italiane, svizzere, francesi, polacche ed egiziane, figlia della celebre stilista Elsa Schiaparelli, storica rivale di Chanel.

Marisa Berenson in uno scatto di Irving Penn
Marisa Berenson in uno scatto di Irving Penn
Marisa Berenson in una foto di Irving Penn, Vogue, 1965
Marisa Berenson in una foto di Irving Penn, Vogue, 1965
Marisa Berenson in Mila Schön, foto Henry Clarke, 1968
Marisa Berenson in Mila Schön, foto Henry Clarke, 1968
Marisa Berenson con gioielli Bulgari, foto di Gian Paolo Barbieri, 1969
Marisa Berenson con gioielli Bulgari, foto di Gian Paolo Barbieri, 1969
Marisa Berenson ritratta da Bert Stern per Vogue, 1966
Marisa Berenson ritratta da Bert Stern per Vogue, 1966

Marisa Berenson in uno scatto di Irving Penn, Vogue 1970
Marisa Berenson in uno scatto di Irving Penn, Vogue 1970


Se tua nonna si chiamava Elsa Schiaparelli lo stile non può che far parte del tuo DNA. È così che la piccola Marisa finisce sulla cover di Vogue America che è ancora in fasce, mentre ad appena cinque anni viene immortalata sulla cover di Elle, insieme alla sorella Berry. Tanti sono gli aneddoti raccontati dall’icona di stile in cui viene fuori un ritratto di Elsa Schiaparelli, da lei affettuosamente chiamata “nonna Schiap”: dai viaggi insieme a Venezia alle amicizie negli ambienti della Parigi intellettuale, dove la piccola Marisa conobbe Salvador Dalí e Alberto Giacometti.

Ma non finisce qui: il nonno di Marisa è il conte Wilhelm de Wendt de Kerlor, teosofo e medium, mentre il bisnonno era Giovanni Schiaparelli, astronomo scopritore dei canali di Marte. La sorella minore di Marisa, Berinthia Berenson, detta Berry, diventerà anche lei modella, attrice e fotografa, e morirà nei tragici attentati dell’11 settembre 2001 al World Trade Center.

Nonostante le prime cover risalgano alla sua infanzia, la lunga e prolifica carriera di modella di Marisa Berenson inizia ufficialmente nei primi anni Sessanta. È Diana Vreeland, celebre fashion editor di Harper’s Bazaar e direttrice di Vogue America, ad intuire per prima l’impressionante fotogenia di quel volto. Venerata da fotografi e stilisti, Marisa Berenson posa per i più grandi, da Richard Avedon a Patrick Lichfield, da Irving Penn a Bert Stern fino a Robert Mapplethorpe e Henry Clarke, che la immortala in foto dal fascino esotico, esaltandone lo spirito gipsy e il carisma. In pochissimo tempo Marisa Berenson ottiene fama internazionale e diviene la modella più pagata al mondo, come lei stessa dichiara in un’intervista al New York Times. Il suo fisico incarna perfettamente gli anni Sessanta: è un’epoca ricca di ribellione. “Noi modelle ci truccavamo da sole. Giravo con un borsone enorme pieno di toupet e cianfrusaglie”, ricorderà più avanti la modella. La consacrazione avviene nel luglio del 1970, quando ottiene la cover di Vogue, e nel dicembre 1975, quando è sulla copertina del Time.


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In seguito la modella si avvicina alla recitazione. A lanciarla nel cinema non è uno qualsiasi ma Luchino Visconti, che la vuole nel suo Morte a Venezia, nel 1971, dove Marisa interpreta il ruolo della moglie di Gustav von Aschenbach. L’anno successivo recita in Cabaret, nel ruolo di Natalia Landauer, interpretazione che le vale una nomination ai BAFTA e due nomination ai Golden Globe. Impossibile dimenticare la sua interpretazione di Lady Lyndon nel celebre film Barry Lyndon, del 1975. Tra crinoline settecentesche ed estenuanti ore di trucco, è la consacrazione come attrice. Per incoraggiarla, il regista della pellicola, Stanley Kubrick, le dice: “Nessuno, in tutta la tua vita, ti raffigurerà così bella”.

Negli anni Settanta la Berenson diviene famosa grazie ad un nuovo soprannome: “The Queen of the Scene”. Un po’ come il prezzemolo, la Berenson è ovunque, sempre nel posto giusto e al momento giusto, regina della vita notturna e dei nightclub, onnipresente in ogni occasione mondana, seguita da uno stuolo di corteggiatori. Ma non ci sono solo lustrini e paillettes nella sua vita: dietro agli abiti da sera e alle ciglia finte c’è una profonda introspezione. La meditazione cambia la sua vita, come lei stessa dichiara. Si avvicina alla spiritualità nel 1968, quando i viaggi in India divennero l’ultimo fashion trend per celebrities annoiate: dai Beatles a Mia Farrow fino ai Beach Boys, il viaggio in India era l’ultima moda dei protagonisti del jet set. E Marisa Berenson non poteva certo mancare. Di quel viaggio alle pendici dell’Himalaya la diva ricorderà la sua amicizia con George Harrison e Ringo Starr, con i quali trascorreva le giornate in meditazione e le notti seduti per terra a suonare la chitarra.

La modella indossa collier Bulgari in una foto di Gianni Turillazzi, circa September 1970 –  Condé Nast Archive/Corbis
La modella indossa collier Bulgari in una foto di Gianni Turillazzi, settembre 1970 –Condé Nast Archive/Corbis
Marisa Berenson a Capri, in una celebre foto di Slim Aarons, settembre 1968
Marisa Berenson a Capri, in una celebre foto di Slim Aarons, settembre 1968
Marisa Berenson immortalata da Arnaud de Rosnay per Lui Magazine, gennaio 1971
Marisa Berenson immortalata da Arnaud de Rosnay per Lui Magazine, gennaio 1971
Marisa Berenson in una foto di Andy Warhol, anni Settanta
Marisa Berenson in una foto di Andy Warhol, anni Settanta
Foto Getty Images
Marisa Berenson è una delle più grandi icone di stile viventi (Foto Getty Images)

Marisa Berenson in Ungaro Couture, foto di Jean-Marie Périer, 1995
Marisa Berenson in Ungaro Couture, foto di Jean-Marie Périer, 1995


La vita privata di Marisa Berenson è ricca di liaison e corteggiamenti da film: nei primi anni Settanta fu la compagna del barone David René de Rothschild. Celebre la sua relazione con il collega, il bellissimo ed efebico attore Helmut Berger. Lei ed Helmut sono la coppia ideale: bellissimi e fotogenici. Luchino Visconti li incitava a sposarsi, come lei stessa racconta nell’autobiografia Momenti intimi, pubblicata nel 2010 da Barbès editore.

Il suo primo marito fu James Randall, detto Jim, sposato a Beverly Hills nel 1976, da cui divorziò due anni più tardi. Il matrimonio fu regale, l’abito era firmato Valentino e lo stesso stilista si aggirava per casa per dare gli ultimi colpi di ferro da stiro al vestito mentre l’altro inseparabile amico Andy Warhol era intento a fotografare i preparativi delle nozze. Dal matrimonio nel 1977 nacque una figlia, Starlite Melody Randall. Il secondo matrimonio nasconde retroscena dal sapore cinematografico: se in genere le donne ricevono rose rosse, Marisa Berenson ricevette dall’avvocato Aaron Richard Golub due immensi camion per traslocare da Los Angeles a New York, dove lui abitava. Il matrimonio tra i due venne celebrato nel 1982, mentre nel 1987 i due divorziarono.

Marisa Berenson è nata a New York il 15 febbraio 1947
Marisa Berenson è nata a New York il 15 febbraio 1947
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Quando Marisa Berenson era ancora in fasce ottenne la prima cover per Vogue America
(Foto Vogue)
La classe di Marisa Berenson (Foto Vogue)

Marisa Berenson nel 1973  (Foto di Tony Kent per Vogue Paris)
Marisa Berenson nel 1973 (Foto di Tony Kent per Vogue Paris)


A New York Marisa Berenson diviene musa ed intima amica di Andy Warhol e Truman Capote, collega di Liza Minelli, con la quale recita in Cabaret, cognata di Anthony Perkins, che sposa sua sorella Berry. Dopo un breve periodo lontano dai riflettori, riprende a recitare: la ritroviamo nell’indimenticabile spaccato di vita mondana Via Montenapoleone, ma anche in pellicole impegnate, diretta da maestri del calibro di Clint Eastwood. Nel 2001 il debutto a Broadway, mentre tra i suoi ultimi film spicca Io sono l’amore, di Luca Guadagnino, e Matrimoni e altri disastri.

Foto di Patrick Lichfield
Foto di Patrick Lichfield
Marisa Berenson in una foto di Arnaud de Rosnay, anni Sessanta
Marisa Berenson in una foto di Arnaud de Rosnay, anni Sessanta
Marisa Berenson negli anni Sessanta, foto di Jeanloup Sieff
Marisa Berenson negli anni Sessanta, foto di Jeanloup Sieff
Su Vogue Italia 2001, foto di Steven Meisel
Su Vogue Italia 2001, foto di Steven Meisel

Marisa Berenson immortalata da Robert Mapplethorpe, 1983
Marisa Berenson immortalata da Robert Mapplethorpe, 1983


La sua vita ha visto anche momenti molto difficili, come l’incidente automobilistico avvenuto in Brasile in cui la diva è rimasta coinvolta, che le ha sfregiato la parte sinistra del viso. Ma quello che poteva essere un dramma irreparabile, per Marisa Berenson, ha visto invece un lieto fine: l’ex top model è stata infatti una peziente di Ivo Pitanguy, pioniere della chirurgia estetica, che le ha ridato la bellezza. Un’altra tragedia invece ha scosso la sua vita, stavolta senza il lieto fine: l’amata sorella Berry ha perso la vita l’11 settembre 2001, a bordo dell’aereo che da Boston si è schiantato contro la Torre Nord. Lei stessa invece si trovava in volo da Parigi a New York. Una perdita che l’ha aiutata a riscoprire la fede, come raccontato dalla stessa Berenson nella sua autobiografia. Un anello appartenuto a Berry verrà ritrovato a Ground Zero un anno dopo la tragedia.

(Foto cover Irving Penn per Vogue, settembre 1967)


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Millicent Rogers: una vita alla ricerca della bellezza

Crinoline e sete preziose alternate a strati di tulle fanno capolino nei sontuosi abiti da sera dal sapore vittoriano, sullo sfondo dell’età del jazz e di una giovinezza scandita dall’ultimo party esclusivo. Una vita fieramente sopra le righe, seguendo il monito di lorenziana memoria di vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo. E Millicent Rogers scelse di vivere la propria vita al massimo. Nota come l’ereditiera della Standard Oil, fondata dal nonno H.H.Rogers e da John D.Rockefeller, Millicent Rogers è stata una brillante socialite, un’icona di stile di squisita eleganza ed una collezionista d’arte.

All’anagrafe Mary Millicent Abigail Rogers, più conosciuta come Millicent Rogers, la futura icona di stile nacque a New York il primo febbraio 1902. Nipote di Henry Huttleston Rogers, magnate della Standard Oil, ereditò quest’impero, divenendo proprietaria in giovanissima età di un’immensa fortuna. La piccola Millicent crebbe tra Manhattan, Tuxedo Park e Southampton, New York, tra lusso e ricchezze. Ma ancora bambina contrasse una febbre reumatica: secondo i medici che la visitarono, la piccola non sarebbe arrivata all’età di dieci anni. La realtà fu fortunatamente ben diversa, ma per tutta la vita l’ereditiera fu cagionevole di salute: ebbe infatti numerosi attacchi di cuore, una grave forma di polmonite e un’artrite che le lasciò il braccio sinistro quasi totalmente paralizzato prima del compimento dei 40 anni.

Negli anni Venti Millicent Rogers divenne famose come socialite, ottenendo servizi e copertine sulle principali riviste patinate, da Vogue a Harper’s Bazaar. Inoltre la sua vita sentimentale costituì per decenni uno dei temi più ghiotti per i tabloid. Sì, perché Millicent Rogers è stata una donna leggendaria: aveva un animo ribelle, quella bionda dai capelli perfetti e dallo sguardo altero, che viaggiava con 35 valigie e 7 bassotti e che non lesinava in capricci, come quando, nel 1937, pretese che la tappezzeria della sua coupé Delage D8-120 Aerosport venisse tinta in una nuance che fosse en pendant con il suo rossetto rosso lacca; lei che ballò il tango nei nightclub europei mentre la perbenista America frugava nei dettagli più scabrosi della sua burrascosa vita sentimentale; lei che, dietro al guardaroba principesco e all’invidiabile vita mondana, nascondeva una grande sensibilità.

Scatto di Millicent Rogers esposto al museo di Taos realizzato da Louise Dahl-Wolfe per Harper's Bazaar, 1948
Scatto di Millicent Rogers esposto al museo di Taos realizzato da Louise Dahl-Wolfe per Harper’s Bazaar, 1948
Millicent Rogers, foto di Richard Rutledge per Vogue America, 15 marzo 1945
Millicent Rogers, foto di Richard Rutledge per Vogue America, 15 marzo 1945

Millicent Rogers ritratta da Horst P. Horst nel 1938
Millicent Rogers ritratta da Horst P. Horst nel 1938


Millicent Rogers mostrò fin dall’infanzia grandi doti artistiche, che la madre non perse occasione di incoraggiare. Dopo il suo debutto in società, avvenuto nel 1919 al Ritz di Manhattan, Millicent si affermò per il suo stile, divenendo un’icona immortale. Presenza fissa delle liste delle donne meglio vestite al mondo, inizialmente la sua immagine non aveva ancora l’appeal sofisticato che oggi tutti noi conosciamo, attraverso le foto patinate che la immortalano. Fu quando decise di cambiare la forma delle sue sopracciglia, arcuandole alla maniera in voga negli anni Trenta, che la bionda Millicent iniziò ad essere una vera diva. Statuaria dall’alto del suo metro e settantacinque centimetri, pelle di alabastro e classe inimitabile, Millicent Rogers sembrava avere avuto tutto dalla vita: bellezza, intelligenza, ironia, savoir faire e una valanga di soldi. Ci guarda altera, dall’alto della sua perfezione, nelle foto celebri che la ritraggono. Sempre impeccabile nelle sue mise, Millicent Rogers posò, tra gli altri, per Louise Dahl-Wolfe e Horst P. Horst, oltre che per il pittore Bernard Boutet de Monvel. Tra i suoi designer preferiti vi erano Mainbocher, Adrian, Elsa Schiaparelli e Valentina. Ma un posto speciale occupava Charles James, di cui la bionda ereditiera fu musa incontrastata. Del couturier Millicent Rogers amava l’opulenza, mentre lui dal canto suo trovò in lei la perfetta incarnazione del suo stile. Nessuna sapeva indossare i sontuosi abiti-scultura di James con altrettanto charme.

Esteta e amante della bellezza in ogni sua forma, Millicent Rogers non era né un’oca né una ragazzaccia. Il suo humour mordente era forse ciò che gli uomini più adoravano in lei. “Gli uomini erano solo oggetti che collezionava”: scrive così Cherie Burns, a proposito di Millicent Rogers. “In cerca della bellezza”: si intitola così il volume che la Burns ha dedicato all’icona di stile. Searching for Beauty: The Life of Millicent Rogers, the American Heiress Who Taught the World About Style, edito da Paperback, è una tra le biografie più autorevoli della celebre ereditiera. Vera leggenda americana dalla vita avventurosa e glamour, filantropa e collezionista d’arte, in un’epoca costellata da Hilton e Kardashian si avverte profondamente la mancanza di icone del calibro di Millicent Rogers. Il volume curato da Cherie Burns testimonia la sua incessante ricerca di perfezione tanto nel suo stile personale quanto nella sua esistenza.

Millicent Rogers in Charles James, 1948
Millicent Rogers in Charles James, 1948
Ritratto di Millicent Rogers realizzato da Bernard Boutet de Monvel, 1948
Ritratto di Millicent Rogers realizzato da Bernard Boutet de Monvel, 1948
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Millicent Rogers nacque a New York il primo febbraio 1902
Millicent Rogers in un abito da sera Charles James, foto di Horst P. Horst per Vogue, 1 febbraio 1949
Millicent Rogers in un abito da sera Charles James, foto di Horst P. Horst per Vogue, 1 febbraio 1949

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Millicent Rogers ereditò l’impero della Standard Oil, fondata da suo nonno H. H. Rogers e da John D. Rockefeller


La vita sentimentale di Millicent Rogers fu parecchio avventurosa: l’icona si sposò per tre volte e collezionò numerosi flirt, tra cui spiccano l’autore Roald Dahl, lo scrittore Ian Fleming, il principe del Galles e il principe Serge Obolensky. L’ereditiera sposò in prime nozze, nel gennaio del 1924, il conte austriaco Ludwig von Salm-Hoogstraeten, più vecchio di lei di venti anni. Lui era un nobile decaduto e squattrinato, descritto dal New York Times come “un morto di fame”. Il matrimonio fu duramente osteggiato dalla famiglia Rogers. La coppia ebbe un figlio, Peter Salm, prima di divorziare, nell’aprile 1927. Nel novembre dello stesso anno l’ereditiera convolò a nozze con Arturo Peralta-Ramos, playboy e sportivo, proveniente da una ricca famiglia argentina. Dalla loro unione nacquero due figli, Paul Jaime e Arturo Henry Peralta-Ramos Jr. Il matrimonio fu celebrato nella chiesa cattolica del Sacro cuore di Gesù e Maria di Southampton, Long Island, alla presenza dei genitori dell’ereditiera. Il padre diede alla coppia un fondo fiduciario di 500.000 dollari, con la promessa che Peralta-Ramos “non avanzasse alcun diritto futuro sull’eredità di Millicent”, stimata in circa 40.000.000 di dollari. Nei primi anni Trenta Millicent e Arturo costruirono uno chalet a St. Anton, un’esclusiva località sciistica, arredandolo in ricercato stile Biedermeier. Vestiva alla tirolese Millicent in quel periodo, con i costumi tipici e il caratteristico grembiule, che lei mixava con adorabile nonchalance ad abiti Schiaparelli e Mainbocher, stile che fu più tardi ripreso, forse non con altrettanta classe, da Wallis Simpson. Tuttavia anche questo matrimonio naufragò, e la coppia divorziò nel 1935. Il terzo ed ultimo marito dell’icona di stile fu Ronald Balcom, un agente di cambio americano, sposato a Vienna nel febbraio 1936, da cui divorziò nel 1941. La coppia non ebbe figli. L’ereditiera visse in Svizzera fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, ma nel corso della sua vita collezionò appartamenti come si fa con le figurine: da New York alla Virginia al Nuovo Messico, fino all’Austria e alla Giamaica: le dimore dell’ereditiera rispecchiavano il suo gusto, sofisticato e ricercato.

Spilla di Verdura
L’icona di stile indossa una preziosa spilla di Fulco di Verdura
L'appartamento di Millicent Rogers a Claremont Manor
L’appartamento di Millicent Rogers a Claremont Manor
Il salotto dell'appartamento di Millicent Rogers a Claremont Manor, Virginia
Il salotto dell’appartamento di Millicent Rogers a Claremont Manor, Virginia

Virginia
Ancora un particolare della tenuta di Millicent Rogers in Virginia


Millicent Rogers sapeva perfettamente come gestire la stampa, verso la quale alternava momenti di amore e odio, come sostiene Gwendolyn Smith, curatrice della mostra “Millicent Rogers: Heiress, Fashion Icon & Her World” . “Conosceva le persone giuste e tutti conoscevano lei”, da buona socialite. Artista, creatrice di interessanti gioielli in oro ed argento, questo fu per lei più un hobby creativo da praticare per la salute delle sue mani affette da artrite, che una vera attività. D’altronde aveva i mezzi per finanziare le proprie opere artistiche. I suoi gioielli rivelano suggestioni arcaiche: il firmamento e le costellazioni sembrano essere la principale fonte di ispirazione per Millicent Rogers, le cui creazioni artigianali ricordano lune e stelle. Collezionista d’arte, spiccano nelle sue collezioni private almeno una dozzina di quadri di Henri de Toulouse-Lautrec, oltre a pezzi di Claude Monet e Paul Cezanne. L’icona di stile amava i quadri di Van Gogh, Degas e Jacob Epstein ma anche l’arte africana e le teiere cinesi. A Manhattan adorava le creazioni di Fabergé.

Colta, elegante ironica, Millicent Rogers parlava correntemente sette lingue, che studiò da autodidatta, durante i suoi famigerati attacchi di febbre reumatica. Si dice che tradusse da sola Rilke solo per divertimento, e che era solita conversare in latino. Non edonismo sfrenato, non mero esibizionismo, ma un viscerale amore per la bellezza, declinata in ogni forma. Oggi il botox sembra essere la parola chiave per le celebrities di ogni parte del mondo, tutte uguali nella loro ricerca di uno stereotipato ideale di bellezza: ma una volta ci voleva almeno un po’ di classe per monopolizzare l’attenzione della cronaca rosa. Bionda, bella, incredibilmente ricca e dotata di un carattere passionale, Millicent Rogers fu molto più di un personaggio da giornale scandalistico: fine esteta dal gusto raffinato, combatté la disabilità con il suo amore per l’arte. Elsa Schiaparelli, sua amica e tra i suoi couturier preferiti, disse di lei: “Se non fosse stata così ricca, con il suo incredibile talento e la sua smisurata generosità sarebbe diventata una grande artista”. I tre mariti e l’intensa vita sentimentale costituiscono solo una delle tante sfaccettature di questa icona di stile dallo charme immortale.

L’eccesso non faceva parte di lei, sebbene l’apparenza talvolta sembrava suggerire il contrario. Millicent Rogers era in realtà una sopravvissuta, e tale si sentì durante tutto il corso della sua vita. “Quando trovi la felicità, acchiappala. Non fare troppe domande” , diceva così Millicent. E la felicità la trovò accanto ad uno dei divi più amati di Hollywood, Clark Gable, che fu forse l’uomo della sua vita. L’ereditiera riuscì ad attirare l’attenzione dell’attore presentandosi ad un party con una scimmietta sulla spalla. L’idillio fu da romanzo rosa. Ma, come tutte le storie d’amore, l’ereditiera soffrì indicibilmente quando il sentimento finì. La proverbiale fama di sciupafemmine non era solo una leggenda metropolitana, nel caso di Clark Gable: quando la Rogers lo colse in flagrante in compagnia di un’altra donna, gli scrisse una lettera d’addio che mandò ad Hedda Hopper affinché quest’ultima la pubblicasse sulla sua rubrica all’interno dell’L.A. Times. La lettera iniziava così: “Ti ho seguito la notte scorsa mentre portavi a casa la tua giovane amica. Sono felice di averti visto mentre la baciavi, perché ora so che hai qualcuno vicino a te…. Spero di averti fatto sorridere ogni tanto; […] di averti dato, quando mi stringevi, tutto ciò che un uomo possa desiderare.”

Millicent Rogers in Mainbocher
Millicent Rogers in Mainbocher
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Tra i designer preferiti dall’icona di stile Mainbocher, Adrian, Schiaparelli, Charles James e Valentina
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Millicent Rogers posò per le riviste più autorevoli, da Vogue ad Harper’s Bazaar
Millicent Rogers su Vogue, 1937
Millicent Rogers su Vogue, 1937

Circa January 1939 --- Millicent Rogers, hat in hand, wearing moleskin cape and large ring. She rests her arm on the back of a chaise lounge. --- Image by © Condé Nast Archive/Corbis
Millicent Rogers, gennaio 1939. Foto © Condé Nast Archive/Corbis


Nel corso della Seconda Guerra Mondiale l’icona di stile acquistò Claremont Manor, una tenuta risalente al 1750 circa, situata sulle rive del fiume James, in Virginia, a 170 miglia da Washington. Qui la Rogers tentò di ricreare l’atmosfera che aveva respirato in Austria. Lavorò all’interior design di quella casa al fianco di Billy Baldwin, dell’architetto William Lawrence Bottomley e di Van Day Truex, amico di famiglia nonché futuro presidente della prestigiosa Parsons School of Design e design director per Tiffany & Co. Una scrivania un tempo appartenuta al poeta Schiller e ricercati pezzi di antiquariato Biedermeier costituivano i pezzi forti dell’interior design di Claremont. Alle pareti spiccavano quadri di Watteau, Fragonard e Boucher, in una cornice di lussuosa formalità, tra tende damascate e un’eleganza antica. Nel 1946 l’ereditiera si trasferì ad Hollywood, dove abitò nella casa che era appartenuta un tempo a Rodolfo Valentino, la celebre Falcon’s Lair.

Più tardi, nel 1947, la diva decise di ritirarsi a Taos, in Nuovo Messico, dove sperava di contrastare i sintomi della febbre reumatica di cui soffriva fin da bambina. Qui andò a vivere in una tenuta che ribattezzò Turtle Walk. A curare l’interior design della sua nuova dimora non vi fu alcuna figura professionale. Turtle Walk era una vecchia fortezza situata nel deserto di Taos, caratterizzata da un mobilio di stampo coloniale e da una tappezzeria raffigurante elementi tipici della cultura dei nativi americani, la cui arte compariva in abbondanza in quella casa, tra ceramiche, gioielli, quadri. Taos, nel Nuovo Messico, era un’oasi di pace, buen retiro ideale per artisti ed intellettuali delusi dalla vita e alla ricerca di nuovi stimoli. Millicent, col cuore spezzato dopo la fine della sua tormentata love story con Clark Gable, fu invitata qui da Mabel Dodge Luhan. L’ereditiera strinse una profonda amicizia con la pittrice Dorothy Brett, da tempo ivi residente, trasferitasi lì su invito di D. H. Lawrence. Entrambe ricche ed eleganti, le due donne avevano molto in comune. Taos era una località molto gettonata soprattutto da quando, all’inizio del secolo, era stata scelta come nuova patria da nomi del calibro di Mabel Dodge Luhan e Georgia O’Keeffe.

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Millicent Rogers ebbe tre mariti e numerose storie d’amore: la più famosa fu quella con l’attore Clark Gable
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Durante i suoi attacchi di febbre reumatica, l’ereditiera imparò da autodidatta sette lingue e tradusse l’opera di Rilke
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L’ereditiera nel tipico costume austriaco, che mixava a capi haute couture di Schiaparelli e Mainbocher
Millicent Rogers col figlio Paul Peralta Ramos a Taos
Millicent Rogers col figlio Paul Peralta Ramos a Taos

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Millicent Rogers nel 1947 si ritirò a Taos, Nuovo Messico


Millicent Rogers si innamorò all’istante di quel cielo blu cobalto, ma anche dei nativi del luogo. Della cultura pueblo adorava le tradizioni e i manufatti. Attraverso le testimonianze che sono giunte a noi sappiamo quanto l’icona di stile trovasse belli i lunghi capelli neri degli uomini e lo stile delle donne. Tra memorie coloniali ispaniche e citazioni del vecchio West si ergeva maestosa la natura, principale fonte di ispirazione artistica. In una lettera al figlio Paul Peralta-Ramos, l’icona racconta del suo amore per Taos. Si sentiva parte della Terra, Millicent Rogers, giunta in Nuovo Messico. L’ereditiera racconta con trasporto di una vicinanza mai provata prima con gli elementi della natura: il sole che brucia sulla pelle, l’odore della pioggia, l’emozione di guardare le stelle e il cielo notturno. Sembra di vederla, questa dama algida e bionda in abiti sartoriali, intenta ad osservare, con interesse quasi etnografico, gli usi e costumi locali, le suggestive cerimonie intertribali, con i danzatori, i cantanti, e, ancora, i mercati tipici, con gli artisti che mettono in vendita le loro creazioni artigianali.

La signora venuta da lontano si sofferma su alcuni gioielli con turchesi. Quelle insolite forme artistiche catturano il suo occhio, così acuto nello scorgere ovunque bellezza. È un vero e proprio colpo di fulmine per quegli orecchini, quei bracciali in onice e madreperla, ma anche per le cinture, le stoffe stampate, i coralli. Mai sottovalutare l’amore di una donna per la moda e per gli accessori: Millicent Rogers adorava i gioielli locali e sviluppò un’autentica passione per i turchesi Navajo, passione che la portò successivamente a svolgere un ruolo predominante nel preservare i capolavori dell’arte amerindia. Millicent Rogers prese molto a cuore la causa dei nativi ispanici e americani che abitavano il Nuovo Messico, ergendosi come paladina della battaglia per il riconoscimento dei loro diritti. Dopo aver collezionato oltre duemila opere realizzate dai nativi americani, con alcuni suoi amici, tra cui gli autori Frank Waters, Oliver Lafarge e Lucius Beebe, contattò dei legali per portare all’attenzione della Casa Bianca il tema dei diritti dei nativi americani.

Millicent Rogers in giacca di velluto Schiaparelli in uno scatto risalente al 1939. Foto Condé Nast Archive/Corbis
Millicent Rogers in giacca di velluto Schiaparelli in uno scatto risalente al 1939. Foto Condé Nast Archive/Corbis
Millicent Rogers in un abito da sera in taffetà e piume firmato Adriam, 1947. Foto di Condé Nast Archive/Corbis
Millicent Rogers in un abito da sera in taffetà e piume firmato Adriam, 1947. Foto di Condé Nast Archive/Corbis
Millicent Rogers a Claremont Manor, Virginia, in un abito drappeggiato in broccato di Valentina, 1947

Il salotto dell'appartamento di Millicent Rogers a Taos, New Mexico
Il salotto dell’appartamento di Millicent Rogers a Taos, Nuovo Messico


Lo stile che l’ereditiera adottò dopo il suo ritiro a Taos comprendeva una blusa con le stampe originali Navajo che alternava a una camicia bianca, una gonna a ruota indossata sopra diverse sottogonne che alternava a maxi gonne etniche, uno scialle e piedi rigorosamente scalzi o mocassini di pelle di daino. Questo divenne il look più iconico dell’ereditiera, nonché l’emblema del suo stile. Nel Nuovo Messico la Rogers adottò anche un nuovo stile di vita. “Non era una snob, avrebbe trascorso con i creatori di gioielli locali lo stesso tempo che avrebbe speso ad Hollywood”, scrive la Burns. “Credo che si divertisse nel Nuovo Messico, sperimentando una libertà forse mai provata prima. Aveva un grande spirito di adattamento.”

Millicent Rogers, avventuriera vestita in capi haute couture, morì nel 1953, un mese prima del suo 51esimo compleanno, lasciando debiti per tre milioni di dollari. Poco dopo la sua scomparsa, nel 1956, uno dei suoi tre figli fondò a Taos un museo locale a suo nome, il Millicent Rogers Museum. Il museo conserva un’ampia collezione di arte nativo americana, ispano americana ed euro americana. Dapprima sito in una location temporanea, alla fine degli anni Sessanta il museo venne trasferito in una casa costruita da Claude J. K. ed Elizabeth Anderson, successivamente ristrutturata dall’architetto Nathaniel A. Owings. Millicent Rogers è stata protagonista della mostra American Women of Style, organizzata da Diana Vreeland e Stella Blum nel 1975. Il suo stile continua ad essere inesauribile fonte di ispirazione nella moda: John Galliano ha dichiarato di essersi ispirato a lei per la collezione disegnata per Dior nella Primavera/Estate del 2010. Un nome che resterà immortale nella moda.


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Buon compleanno, Kate Moss!

Zigomi pronunciati, labbra a cuore e quel sorriso, semplicemente inimitabile: Kate Moss spegne oggi 42 candeline. Volto storico della moda, icona di stile tra le più copiate, la supermodella è uno dei nomi più celebri del fashion biz. Apparsa sulla copertina di oltre 300 riviste, apprezzata universalmente per il suo stile, che le ha fatto ottenere numerosi riconoscimenti, tra cui quello del Consiglio degli stilisti d’America, che l’ha inserita nella lista delle donne meglio vestite nel mondo, Kate Moss è una vera leggenda vivente.

All’anagrafe Katherine Ann Moss, la modella è nata a Croydon, un sobborgo di Londra, il 16 gennaio 1974. Sua madre Linda fa la barista, mentre il padre Peter è un agente di viaggi. Kate viene scoperta in un aeroporto di New York all’età di 14 anni, dalla fondatrice dell’agenzia di moda Storm, Sarah Doukas. La giovane non rientra in nessuno dei canoni vigenti nella moda: bassa (non arriva a sfiorare il metro e settanta) e ossuta, Kate appare lontana anni luce dai fisici statuari di Claudia Schiffer, Naomi Campbell e Cindy Crawford, le supermodelle degli anni Novanta, perfette ed irraggiungibili. Farle ottenere un contratto sembra una battaglia persa in partenza, ma Sarah Doukas di talenti ne ha visti passare molti ed è convinta che quella smilza ragazza farà strada.

Il primo shoot risale al 1990: è la rivista inglese The Face ad offrire alla nuova modella un servizio fotografico ambientato in una spiaggia a sud di Londra. Incredibilmente le foto ottengono un successo insperato e Kate Moss diviene un volto noto. Considerata un’icona alternativa per il suo aspetto, non conforme ai diktat dell’epoca, Kate Moss viene associata al movimento grunge.

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Kate Moss è nata a Croydon, vicino Londra, il 16 gennaio 1974
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La modella viene scoperta a New York da Sarah Doukas, fondatrice dell’agenzia di moda Storm
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Non arrivando al metro e settanta, inizialmente Kate Moss venne considerata troppo bassa per sfilare

 

Ma è con la celebre campagna pubblicitaria per Calvin Klein che la modella ottiene la fama internazionale. Scatti bollenti al fianco di Mark Wahlberg immortalano la nuova top seminuda: il fisico acerbo ritratto in topless, le pose ammiccanti e la bellezza acqua e sapone sdoganano Kate Moss come il nuovo volto della moda. Siamo negli anni Novanta, l’epoca d’oro delle supermodelle, algide nella loro perfezione, svettanti su fisici tonici e volti perfetti. Tutto questo venne cancellato dall’avvento di Kate Moss: la rivoluzione Kate fece sì che la nuova modella, bassa e piena di difetti rispetto all’ideale di perfezione allora vigente, si imponesse e spazzasse via ogni residuo del passato. Spartiacque tra le supermodelle e le nuove top, dai fisici sempre più esili, il fenomeno Kate Moss ha portata storica senza precedenti: il fattore preponderante è la personalità, quel particolare lampo negli occhi che fa la differenza in foto, rendendo la Moss un personaggio unico, dall’espressività capace di superare le barriere della carta patinata. Considerata capostipite delle modelle anoressiche, il suo fisico acerbo suscitò aspre critiche e polemiche.

Nel 1995 le foto della campagna per il profumo Obsession di Calvin Klein divengono addirittura un caso nazionale negli States, suscitando polemiche e muovendo persino accuse di pedofilia nei confronti dello stilista americano. Dopo che il dipartimento di giustizia, su ordine dell’allora presidente Bill Clinton, avviò un’inchiesta, la campagna fu ritirata dopo appena tre settimane. Intanto la modella divenne a tutti gli effetti una top model, calcando le passerelle dell’alta moda di Parigi, New York e Milano, e ottenendo le cover dei magazine più prestigiosi, da Elle ad Harper’s Bazaar, da Vogue ad Allure. Kate Moss sfila per tutti i grandi nomi della moda, da Gucci a Versace a Burberry, da Calvin Klein a Dolce & Gabbana, fino a Chanel, Roberto Cavalli, Louis Vuitton, Missoni, Dior, Yves Saint Laurent, Stella McCartney.

 

SFOGLIA LA GALLERY:

 

Testimonial di Rimmel, Bulgari, Versace, Missoni, Balenciaga, Chanel, Burberry, è apparsa ben 24 volte sulla cover di Vogue, ottenendo copertine anche su Vanity Fair, W, The Face e su molte altre riviste patinate. Intanto anche il gossip si scatena sulle sue storie d’amore, a partire da quella con l’attore Johnny Depp. Musa di nomi del calibro di Mario Testino, Mario Sorrenti e Peter Lindbergh, che l’ha inserita nel suo libro 10 Women, nel luglio 2007 Kate Moss viene nominata dalla rivista Forbes la seconda modella di maggior successo al mondo.

Il 2005 è l’anno dello scandalo: nel settembre la rivista britannica Daily Mirror pubblica in prima pagina alcuni scatti che ritraggono la supermodella nell’atto di consumare cocaina, insieme al compagno di allora, il controverso musicista Pete Doherty. Lo scandalo è servito. L’occhio di chi legge l’articolo non può non indugiare sulla foto che ritrae la modella intenta a sniffare; la firma di quel pezzo rivela che sono ben cinque le strisce di cocaina consumate da Kate Moss in appena 40 minuti. Per la top model è il declino; quasi tutti i contratti vengono annullati. Da Stella McCartney a Chanel e Burberry, nessuno sembra più interessato a lei come testimonial. La situazione è difficile, al punto che è la stessa Kate Moss alla fine a chiedere scusa pubblicamente ai milioni di fan e di persone che si ispirano a lei: lo fa in una conferenza stampa in cui ammette pubblicamente le proprie responsabilità.

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Kate Moss in una foto di Patrick Demarchelier per Harper’s Bazaar, luglio 1993
Kate Moss, foto di Roxanne Lowit, 1995
Kate Moss, foto di Roxanne Lowit, 1995
Kate Moss in passerella per Versace, Paris Fashion Week,1996
Kate Moss in passerella per Versace, Paris Fashion Week,1996
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Kate Moss ottenne il primo servizio nel 1990

 

A schierarsi in sua difesa sono in pochi: le colleghe Naomi Campbell e Helena Christensen, l’attrice Catherine Deneuve, l’ex-fidanzato Johnny Depp e lo stilista Alexander McQueen. Christian Dior continua a volerla come volto della maison e la rivista W le dedica la cover nel novembre 2005, a soli due mesi dalla bufera mediatica scatenata dal servizio del Daily Mirror. Intanto termina anche la relazione con Doherty, che la definisce una “stalker”. La top model viene anche indagata per uso di sostanze stupefacenti. Ma Kate Moss, novella Araba fenice, risorge dalle proprie ceneri: nel novembre 2006 è lei a ricevere il riconoscimento di “modella dell’anno” dal British Fashion Awards. Lo scandalo è dietro l’angolo ma lei è tornata, più forte che mai, e i designer se la contendono: nuovi contratti includono brand del calibro di Rimmel, Agent Provocateur, Belstaff, Dior, Louis Vuitton, Roberto Cavalli, Longchamp, Stella McCartney, Bulgari, Chanel, Nikon, David Yurman, Versace, Calvin Klein Jeans e Burberry. Secondo la rivista Forbes la Moss dopo lo scandalo avrebbe triplicato i propri guadagni, divenendo ufficialmente la modella più pagata al mondo, seconda solo a Gisele Bündchen.

Kate Moss ritratta da Mert & Marcus
Kate Moss ritratta da Mert & Marcus
Kate Moss ritratta da Peter Lindbergh per Harper's Bazaar, marzo 2010
Kate Moss ritratta da Peter Lindbergh per Harper’s Bazaar, marzo 2010
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Kate Moss per Playboy, foto di Mert & Marcus, 2014
Kate Moss, foto di Mario Testino
Kate Moss in uno scatto di Mario Testino
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La top model britannica è considerata un’icona di stile
Kate Moss su Vogue Paris luglio 2010 fotografata da Mario Sorrenti
Kate Moss su Vogue Paris luglio 2010 fotografata da Mario Sorrenti

 

Nel 2014, al compimento dei 40 anni, la top model si è regalata un servizio senza veli per la celebre rivista Playboy, in cui ammicca come coniglietta. Le foto, realizzate da Mert Alas e Marcus Piggott, celebrano il 60º anniversario della rivista. Una rinnovata consapevolezza sul volto e un fisico cui il trascorrere del tempo ha regalato una nuova sensualità nell’esplosione di curve sinuose, Kate Moss appare oggi ancora più bella. Icona di stile dal gusto raro, capace di passare con disinvoltura dallo stile bohémien all’eleganza più sofisticata, onnipresente nelle classifiche delle donne meglio vestite al mondo, Kate Moss è stata anche stilista per la catena britannica Toshop, per cui ha firmato nel 2007 una collezione in esclusiva, mostrandosi come manichino umano nelle vetrine di Oxford al lancio della linea recante il suo nome.

Dopo la fine del matrimonio con il chitarrista dei The Kills Jamie Hince, sposato nel 2011, oggi la modella appare serena e in forma smagliante. Qualche chilo in più che non ne offusca minimamente la straordinaria bellezza, Kate Moss sorride nelle foto che la ritraggono accanto alla figlia Lila Grace, nata nel 2002 dalla relazione con Jefferson Hack, editore della rivista Dazed & Confused.

Icona di stile tra le più apprezzate al mondo, i suoi look ispirano quotidianamente milioni di donne: amante del boho-chic, ha indossato spesso capi vintage. Forte di un fisico capace di esaltare qualsiasi mise, la modella incanta ad ogni uscita pubblica.

 

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Slim Keith: il fascino dell’imperfezione

La giacca maschile cade a pennello sui fianchi stretti; i capelli schiariti dal sole delle spiagge californiane sono raccolti con nonchalance in una coda da cui sbucano ciocche ribelli; la sigaretta tra le dita affusolate lascia il posto ad un sorriso che si allarga gioviale su un volto dai lineamenti marcati e dalla rara bellezza. Slim Keith è stata una socialite ed una tra le più sublimi icone di stile a cavallo tra gli anni Quaranta e Sessanta. Perfetta incarnazione della California girl, la sua leggendaria eleganza impresse un segno indelebile nella moda degli anni Quaranta e la rese iniziatrice del tomboy style.

Nancy “Slim” Keith nasce a Salinas, in California, il 15 luglio 1917. All’anagrafe Mary Raye Gross, la madre le cambia il nome in Nancy. Bionda e abbronzata, la figura snella forgiata dallo sport, le spalle larghe e il fisico atletico: Nancy cresce in salute e bellezza assaporando il sole della California. Ma la giovane è sempre più insofferente rispetto ai ristretti orizzonti culturali che respira nell’ambiente domestico. Il padre è un uomo d’affari di origine tedesca, bigotto e privo di amore, la madre un angelo del focolare senza alcuna ambizione personale. Quando i suoi genitori divorziano, la piccola Nancy sceglie di andare a vivere con la madre.

Iscritta ad una scuola cattolica, lascia gli studi un semestre prima del diploma. Affamata di vita e sicura di sé, la giovane fugge in moto nel deserto. L’istinto le dice di fermarsi in un resort situato nella Valle della Morte: è qui che inizia la sua scalata sociale, grazie all’incontro con William Powell. Vedendola emergere dalle acque di una piscina col suo fisico scultoreo, l’attore le dà il soprannome che la accompagnerà per tutta la vita, Slim, ovvero “snella”.

Slim Keith ritratta da Horst P. Horst per Vogue, Febbraio 1949
Slim Keith ritratta da Horst P. Horst per Vogue, Febbraio 1949
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Slim Keith a casa con un outfit disegnato da lei stessa. Foto di John Engsteadt per Harper’s Bazaar, 1945

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Alta e tonica, Slim Keith incarnò la tipica bellezza californiana


Grazie all’amicizia con Powell la ragazza incontra William Randolph Hearst e la sua compagna Marion Davies, per merito dei quali riesce ad affermarsi in pochissimo tempo come una delle socialite più famose di Hollywood: non vi è party a cui non presenzi, bella come una diva patinata la vediamo sorridere al fianco di divi del calibro di Gary Cooper e Cary Grant. La socialite diviene regina incontrastata del jet set internazionale, adorata tra gli altri da Clark Gable ed Ernest Hemingway. Ma l’ambizione di Slim non è soltanto quella di realizzarsi a livello lavorativo. Femme fatale spregiudicata e passionale, la futura icona di stile ha un debole per gli uomini.

Nel 1938 avviene l’incontro con quello che sarà il suo primo marito, il famoso regista Howard Hawks. Per lui è il classico colpo di fulmine: Hawks si invaghisce immediatamente di lei e fa di tutto per convincerla a sposarlo, sebbene egli sia già sposato da molti anni. Nella sua autobiografia, intitolata “Slim: Memorie di una vita ricca ed imperfetta“, la socialite racconta che nonappena la vide, Howard Hawks le disse “Sei la cosa più che straordinaria che abbia mai visto. Mi sposerai“. Quello che più piaceva in lei era il fatto che, sebbene fosse una gran bellezza, non nutriva alcun interesse per la carriera cinematografica. Ironica e divertente, le sue osservazioni erano acute e taglienti. Coraggiosa come nessuna, nelle sue memorie ammette candidamente che i suoi tre mariti furono un mezzo per avviare la sua portentosa scalata sociale: Slim Keith descrive Hawks dicendo che “Non era solo bello, affascinante e di successo, era esattamente il pacchetto che volevo. La carriera, la casa, le quattro auto, lo yacht —questa era la vita per me.” Nel 1941 i due convolano a nozze.

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Slim Keith, all’anagrafe Mary Raye Gross, nasce a Salinas, in California, il 15 luglio 1917
Slim Keith ritratta da Man Ray
Slim Keith ritratta da Man Ray
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Lo stile di Slim Keith, minimale e sobrio
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La socialite fu protagonista del jet set internazionale ed icona di stile

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Slim Keith fu presenza fissa della International Best Dressed List


Slim Keith fu anche talent scout ante litteram: fresca di matrimonio col regista hollywoodiano, sfogliando un numero della celebre rivista Harper’s Bazaar si imbatté nel volto di una giovane modella, ritratta da Louise Dahl-Wolfe: trattasi di Lauren Bacall, ultima scoperta della celebre fashion editor Diana Vreeland. Il fiuto di Slim le fa comprendere immediatamente il potenziale espressivo di quel viso; ne parla subito al marito e in pochissimo tempo la bella Lauren viene convocata per un provino e ottiene così il suo primo ruolo come attrice, nel film “Acque del Sud“, diretto da Hawks. Nella pellicola la Bacall flirta con Bogart —con cui nascerà una lunga storia d’amore— indossando i tailleur maschili di Slim, che le suggerisce anche molte delle battute, forgiando un personaggio a propria immagine e somiglianza. Ne viene fuori un capolavoro: lo charme di quella donna così a proprio agio nell’indossare abiti da uomo e nel fumare una sigaretta dopo l’altra diverrà emblema della bellezza anni Quaranta.

Malgrado la sua acuta intelligenza, la socialite dichiarerà di non essere stata altro che una specie di soprammobile per Hawks, una presenza prettamente decorativa. Il matrimonio non si rivelò affatto facile, anche a causa delle numerose infedeltà di lui. Poco dopo la nascita della loro figlia Kitty Hawks (oggi apprezzata interior designer), Slim si rifugia a L’Avana, dove chiede ospitalità all’amico di sempre, lo scrittore Ernest Hemingway. Ma la solitudine dura poco: qui incontra Leland Hayward, che sarà il suo secondo marito. Ricordato dalla socialite come l’unico grande amore della sua vita, Hayward e Slim si innamorano all’istante ma per convolare a nozze devono attendere il divorzio che li renderà liberi dalle rispettive unioni precedenti. La relazione tra i due dura ben dodici anni. E se per la socialite trovare un marito, possibilmente milionario e piacente, sembra essere facile come bere un bicchiere d’acqua, stavolta deve fare i conti con una pericolosa rivale: Pamela Churchill, socialite che le porta via in un battibaleno il cuore di Hayward. È un duro colpo per Slim: quell’uomo lei lo ha amato davvero. Ma tocca rialzarsi e asciugarsi le lacrime.

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Nel 1990 la socialite ha ultimato la sua autobiografia dal titolo “Slim: Memorie di una vita ricca e imperfetta”
Slim Keith in un abito in rayon di Adrian
Slim Keith in un abito in rayon di Adrian
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Lo stile di Slim Keith era innovativo per l’epoca: giacche maschili, capi sartoriali e linee pulite
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La socialite in un abito Charles James

Slim Keith, foto di Tony Frissell per Harper's Bazaar, 1947
Slim Keith, foto di Toni Frissell per Harper’s Bazaar, 1947


Passa poco tempo e si profila all’orizzonte una nuova conoscenza: trattasi stavolta del banchiere britannico Sir Kenneth Keith. Con lui la socialite convola a nozze ottenendo anche il titolo di Lady Keith. Un’unione di puro interesse, ritenuta da entrambi vantaggiosa: agli occhi di Kenneth —ricco ma sprovvisto del savoir faire dei due precedenti mariti di Slim— appare molto conveniente sposare una donna bella, economicamente indipendente e dalle conoscenze altolocate. Lady Slim Kenneth dal canto suo si accontenta di dividersi tra l’appartamento londinese e l’enorme tenuta in campagna risalente al diciottesimo secolo, chiamata The Wicken: qui Slim non smette di risplendere tra un party e un altro. Ma le feste leggendarie e il lusso sembrano non essere sufficienti a tenere in piedi quest’unione in cui manca l’elemento fondamentale, l’amore. Dopo dieci anni anche questo matrimonio naufraga inesorabilmente.

Slim si rifugia nella sua sfera di amicizie, tra cui spiccano Babe Paley, socialite anche lei ed indimenticabile icona di stile nonché cigno prediletto da Truman Capote, Diana Vreeland e lo stesso Capote, che la chiama affettuosamente Big Mama. Ma l’amicizia che lega i due viene bruscamente interrotta a seguito di alcune indiscrezioni sul romanzo scritto da Capote “Preghiere esaudite“: nel volume, rimasto poi incompiuto, lo scrittore avrebbe tratto ispirazione da Slim per il personaggio di Lady Coolbirth.

La socialite è furiosa e bandisce per sempre dalle sue conoscenze Capote, sebbene alcune fonti sostengono che fu in realtà Pamela Harriman ad ispirare a Capote la figura di Lady Coolbirth. Inoltre nel romanzo compare anche Babe Paley, amica di lunga data di Slim. È quando quest’ultima muore di cancro che l’universo patinato su cui si fonda l’intera esistenza di Slim inizia a vacillare in modo spaventoso. Lei continua a viaggiare e a trarre diletto dalle sue attività come socialite, che hanno sede principalmente a New York, da lei definita “una città troppo piccola per poter evitare qualcuno“. Anziana e leggermente appesantita, l’icona di stile non perde un evento, presentandosi sempre armata del consueto sorriso.

Uno scatto del 1947
Uno scatto del 1947
Sigaretta in bocca, anni Quaranta
Sigaretta in bocca, Slim Keith incarnò l’emblema dello charme anni Quaranta
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Slim Keith in Spagna, in una foto scattata dal suo secondo marito, Leland Hayward
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Slim Keith con la figlia Kitty, ora apprezzata interior designer
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La socialite in uno scatto del 1948

Slim Keith e James Stewart al Waldorf Asroeia, 1948. Foto di Bettmann/CORBIS
Slim Keith e James Stewart al Waldorf Astoria, 1948


Data la sua voce argentina e squillante considera per un istante anche la possibilità di darsi al bel canto, iniziando una carriera come cantante lirica. Ma in breve abbandona questo proposito. Grande fumatrice, Slim Keith muore di cancro ai polmoni il 6 aprile del 1990.

Il suo stile leggendario la rese icona indimenticabile, tanto che sono ancora in molti a ricordarla, a partire dal film di Douglas McGratInfamous – Una pessima reputazione” (2006), in cui Slim Keith è interpretata da Hope Davis. La socialite ci ha lasciato la sua autobiografia, scritta nel 1990 e avente titolo emblematico: “Slim: Memorie di una vita ricca e imperfetta“. Nel libro l’icona di stile ripercorre con la consueta ironia alcuni aneddoti della sua vita, come la cartolina ricevuta da Clark Gable dall’Europa, nel 1947, dove il divo le scriveva solo “Sei meravigliosa“. Allorché il secondo marito Leland Hayward le chiese cosa mai avesse fatto così per essere così meravigliosa, lei rispose: “Riuscivo ad essere meravigliosa in modo meraviglioso“.

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Slim Keith col secondo marito, Leland Hayward
Slim Keith con Diana e Reed Vreeland al party organizzato da Kitty Miller per la vigilia di Capodanno, 1952
Slim Keith con Diana e Reed Vreeland al party organizzato da Kitty Miller per la vigilia di Capodanno, 1952
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Slim Keith mentre riceve il prestigioso Neiman Marcus Fashion Award, 1946
Lady Keith a Lyford Cay, aprile 1974. (Foto di Slim Aarons, Hulton Archive, Getty Images)
Lady Keith a Lyford Cay, Bahamas, aprile 1974 (Foto di Slim Aarons, Hulton Archive, Getty Images)
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La socialite ritratta da Horst P. Horst in uno dei suoi appartamenti

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Slim Keith morì il 6 aprile 1990


Presenza fissa della International Best Dressed List creata nel 1940 da Eleanor Lambert, nel 1946 Slim Keith fu insignita del prestigioso Neiman Marcus Fashion Award. Immortalata da fotografi del calibro di Man Ray, Horst P. Horst e Toni Frissell, ad appena 22 anni la bella Slim posa già come una diva consumata per Harper’s Bazaar, di cui ottiene anche la cover. Irriverente e moderna, il suo stile segna l’avvento di un nuovo concetto di eleganza che si discosta moltissimo dal passato: Slim Keith è assai lontana dall’ideale di perfezione tanto in voga in quegli anni. La sua personalità scoppiettante non ambisce di certo ad uniformarsi alla fredda perfezione dei celeberrimi cigni di Truman Capote. Altera e sofisticata, non è tuttavia glaciale come le bionde eroine dei film di Hitchcock. La sua vita è stata la parabola di una donna forse imperfetta ma certamente autentica e forse proprio in virtù di questo di un’eleganza genuina.

Nel suo guardaroba spiccano capi che potremmo definire sportswear ante litteram. La socialite era solita indossare abiti comodi e sporty-chic, come giacche da fantino e pantaloni, gonne in lana, dolcevita a collo alto e occhiali da sole che le conferivano un appeal da diva. Estimatrice del minimalismo chic, prediligeva linee essenziali e pulite anche per la sera. Ma la sua incontenibile personalità è il cardine della sua eleganza evergreen.


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C. Z. Guest: icona dell’American style

I riflessi che i raggi del sole disegnano su una piscina, capelli biondi mossi dal vento e dalla brezza del mare, poco distante, sorrisi bianchi illuminano labbra di un rosa appena accennato. È questo lo sfondo su cui si stagliava la vita di C. Z. Guest, socialite ed indimenticabile icona di stile. Emblema dell’American style, presenza fissa dell’International Best Dressed List, C. Z. Guest incarnò la quintessenza dello chic, col suo stile acqua e sapone, tra polo e bermuda. La bionda icona fu anche attrice, giornalista, autrice, guru del giardinaggio, provetta cavallerizza e fashion designer.

All’anagrafe Lucy Douglas Cochrane, la futura icona di eleganza nacque a Boston, in Massachusetts, il 19 febbraio del 1920, in una famiglia dell’alta borghesia. Il padre, Alexander Lynde Cochrane, è un banchiere. Il nome di C. Z. deriva dal soprannome Sissy: era questo il suono che il fratello emetteva quando la chiamava “sister”. C. Z. cresce come una splendida ragazza: impressionante è la somiglianza giovanile con Grace Kelly. Durante una fase d ribellione giovanile, durante i suoi vent’anni, la bionda C. Z. si trasferisce ad Hollywood, dove inizia una carriera come attrice. Successivamente si sposta in Messico, dove posa in déshabillé per Diego Rivera: il dipinto che la ritrae nuda venne poi appeso al bar dell’Hotel Reforma. Quando il futuro marito di C. Z., il giocatore di polo Winston Frederick Churchill Guest, venne a conoscenza del ritratto, esclamò: “Oh no, sei stata una cattiva ragazza, tesoro”.

Il matrimonio tra i due venne celebrato l’8 marzo 1947. Winston Frederick Churchill Guest era figlio di Frederick Guest, a sua volta figlio di Ivor Bertie Guest, primo Barone Wimborne, e di Lady Cornelia Henrietta Maria Spencer-Churchill (figlia di John Spencer-Churchill, settimo duca di Marlborough), e per discendenza materna era cugino primo di Sir Winston Churchill. Le nozze ebbero luogo nella casa del celebre scrittore Ernest Hemingway, all’Avana, Cuba. La coppia ebbe due figli, Alexander e Cornelia Guest.

C.Z. Guest in Mainbocher, foto di  Irving Penn
C.Z. Guest in un tailleur Mainbocher, foto di Irving Penn


C.Z. Guest ritratta da Cecil Beaton per Vogue, aprile 1953


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C. Z. Guest, all’anagrafe Lucy Douglas Cochrane, nacque a Boston il 19 febbraio del 1920


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C.Z.Guest in un abito Mainbocher, 1950


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C. Z. Guest fu antesignana dello stile preppy


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La socialite fu anche provetta cavallerizza, esperta di giardinaggio, attrice e fashion designer


La classe innata di C. Z Guest ottenne numerosi riconoscimenti: giovanissima aveva già posato per Harper’s Bazaar per l’obiettivo di Louise Dahl-Wolfe; successivamente posò per Irving Penn e Cecil Beaton, prima di ottenere la copertina di Town & Country, nel novembre 1957. Ritratta anche da Salvador Dalí, Kenneth Paul Block e Andy Warhol, la sua vita lussuosa, tra party a bordo piscina e residenze principesche, la rese musa indiscussa del fotografo Slim Aarons. Inoltre nel luglio del 1962 ottenne la cover di TIME magazine e fu protagonista di un articolo che ritraeva l’alta società americana. Nel 1959 fu inserita nella Hall of Fame dell’International Best Dressed List creata da Eleanor Lambert nel 1940.

La socialite amava vestire in modo essenziale e semplice: antesignana dello stile preppy, che incarnò brillantemente, tra polo, bermuda, tutine e prendisole, C. Z. Guest fu l’emblema di quell’eleganza tipicamente americana a cui oggi guardano designer come Ralph Lauren e Tommy Hilfiger. Adorata per i suoi look iconici, promosse strenuamente i designer americani, come il couturier Mainbocher, ma anche Oscar de la Renta, che fu suo intimo amico e che dichiarò più volte di essere stato ispirato da lei.

C.Z. Guest su Harper’s Bazaar, gennaio 1950. Abito Mainbocher, foto diLouise Dahl-Wolfe
C.Z. Guest su Harper’s Bazaar, gennaio 1950. Abito Mainbocher, foto diLouise Dahl-Wolfe


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La socialite a Villa Artemis, ritratta da Slim Aarons


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Un velo di abbronzatura, un fiocco tra i capelli e pochissimo make up: queste erano le regole di stile di C. Z. Guest


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Rosa pastello e linee pulite: lo stile preppy deve moltissimo a C. Z. Guest


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C.Z. Guest con Joanne Connelly a Palm Beach, 1955, foto di Slim Aarons


Una bellezza classica e naturale ed una predilezione per outfit sporty-chic, C. Z. Guest boicottava il make up, puntando ad un’eleganza casual. Potremmo definirlo effortlessy chic: poche ma preziose regole erano i pilastri su cui si basava la sua eleganza, come indossare una semplice t-shirt di colore bianco, illuminata da labbra colorate di rosa e da un filo di abbronzatura, o legare i biondissimi capelli con un fiocco di seta, o, ancora, indossare l’immancabile filo di perle bon ton, unico vezzo che si concedeva, nella sua proverbiale avversione per i gioielli. Il suo stile oh so preppy le aprì con facilità le porte dei più esclusivi circoli fashion, e il suo matrimonio la rese protagonista indiscussa del jet set internazionale. C. Z. Guest teneva molto al suo ruolo di socialite e si divertiva a posare per le cover e a rilasciare interviste. Lo stile per lei era qualcosa di innato, parte integrante della sua stessa essenza. D’altronde nella sua sfera di amicizie figuravano icone del calibro di Babe Paley, la duchessa di Windsor, Diana Vreeland, Barbara Hutton, Gloria Guinness, Joan Rivers e Diane von Fürstenberg. Inoltre fu uno dei cigni della corte di Truman Capote. Sopravvissuta al cancro, definì lo stile “questione di sopravvivenza, l’avere affrontato tante avversità senza darlo a vedere”.

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Il bianco era il colore prediletto dall’icona di stile


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C. Z. Guest a Villa Artemis, costruita sulla falsariga dei templi greci


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C.Z. Guest davanti la piscina di Villa Artemis, Palm Beach, 1955. Foto di Michael Mundy


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Foto di Slim Aarons, circa 1955


Premium Rates Apply. circa 1955:  Mrs F C Winston Guest (1920 - 2003) (aka Cee Zee Guest) with her dogs in front of the Grecian temple pool on her ocean-front estate, Villa Artemis, Palm Beach, Florida.  (Photo by Slim Aarons/Getty Images)
Villa Artemis, Palm Beach, Florida. Foto di Slim Aarons, 1955


Con la duchessa di Windsor
Con la duchessa di Windsor


In un libro a lei dedicato, dal titolo “C.Z. Guest, American Style Icon”, edito da Rizzoli, Susanna Salk traccia un ritratto intimo della trendsetter americana. C.Z. Guest amava stare all’aria aperta e il suo look acqua e sapone testimonia in primis le sue passioni, come andare a cavallo, giocare a tennis e occuparsi dei suoi amati giardini. La socialite divenne grande esperta di giardinaggio, scrisse rubriche su numerose riviste e fu autrice di ben tre testi sull’argomento, creando anche dei guanti che andarono a ruba, rendendola anche genio ante litteram delle strategie di marketing. Nonostante la vita lussuosa non era una snob, ma riteneva le buone maniere e la gentilezza vincenti in ogni campo. Come scrive William Norwich nell’introduzione al volume di Susanna Salk, C. Z. Guest fu “campionessa di meritocrazia”. Una vera e propria avversione nei confronti dei privilegi, la socialite riteneva doveroso cercare di elevarsi e primeggiare in qualcosa, fosse lo sport o altro, indipendentemente dall’appartenenza all’élite. A differenza della maggior parte delle donne del suo rango, C. Z. Guest non temeva di avventurarsi fuori dai ristretti confini tracciati dalla scala sociale: ce la descrivono sempre pronta ad abbracciare il nuovo, l’ignoto, il suo indomito spirito ribelle le faceva amare l’avventura e l’esotico, facendole preferire gli stivali da cavallerizza al filo di perle. La sua ricchezza non pesava su chi le stava accanto: il suo sorriso faceva sentire chiunque a proprio agio. Perché, si sa, la vera eleganza non ha bisogno di ostentare alcunché.

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C. Z. Guest col marito Winston Frederick Churchill Guest in una foto di Slim Aarons


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C. Z. Guest nella sua residenza di Templeton: la socialite fu provetta cavallerizza


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Uno scorcio della residenza di C. Z. Guest a Templeton


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Ancora interiors della tenuta di Templeton


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Il celebre ritratto di C. Z. Guest eseguito da Salvador Dalí


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C.Z. Guest con la figlia Cornelia nel 1986. Foto di Helmut Newton


Uno scatto del 1959
Uno scatto del 1959


La sua grande passione per il giardinaggio iniziò un po’ per caso: dopo una rovinosa caduta da cavallo, nel 1976, le venne chiesto dal New York Post di scrivere una rubrica sul tema. Nacque così il materiale che raccolse nel suo primo libro, First Garden, che fu illustrato dal suo amico Cecil Beaton.

D’inverno C. Z. Guest viveva nella sua residenza a Palm Beach, la celebre Villa Artemis, mentre nei mesi caldi si divideva tra il suo appartamento di Manhattan e Templeton, la sua proprietà nel Connecticut. Come ella stessa dichiarò nel corso di un’intervista rilasciata a Vogue, fu proprio a Templeton che la socialite trovò la propria dimensione più autentica, dedicandosi alla caccia e prendendosi cura dei suoi giardini e dei suoi cani. Tantissimi -si stima 10 o 15- i suoi fidati amici a quattro zampe furono immortalati anche nei quadri delle sue residenze e talvolta comparivano nelle foto in braccio alla bionda padrona. L’interior design di Templeton venne curato da Stephane Boudin e Maisin Janson con mobilio e arredi di grande valore artistico -come il celebre ritratto realizzato da Salvador Dalí– che la resero più simile ad un museo. Villa Artemis, la residenza di Long Island, comprendeva invece 28 camere: la piscina in marmo bianco, set iconico delle indimenticabili foto di Slim Aarons, e l’architettura che ricalcava fedelmente i templi greci resero la villa con vista sull’oceano emblema della bella vita.

C. Z. Guest fu anche fashion designer: la sua prima linea comprendeva prevalentemente maglioni di cashmere dalle linee essenziali. La collezione fu presentata nel 1985, durante una sfilata del celebre Adolfo Domínguez. L’anno seguente, nel 1986, la socialite mise a punto una collezione di sportswear in limited edition. Nel 1990 brevettò un repellente contro gli insetti e altro materiale per il giardinaggio, ottenendo anche lì grande successo.

C.Z.Guest in una foto di Peter Stackpole, ottobre 1947
C.Z.Guest in una foto di Peter Stackpole, ottobre 1947


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C. Z. Guest fu socialite di cui si ricorda la gentilezza d’animo, come testimoniato dai suoi amici storici, come Diane von Furstenberg


C.Z. Guest e Peter Lawford, 1961
C.Z. Guest e Peter Lawford, 1961


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C.Z.Guest sulla copertina di Town & Country, Novembre 1957


L’icona di stile morì l’8 novembre del 2003 a New York, all’età di 83 anni, a causa di difficoltà respiratorie. Truman Capote, l’amico di una vita, tracciò un ritratto di C. Z. Guest che ce la restituisce nella sua struggente spontaneità: “I suoi capelli, divisi al centro e più chiari del Dom Pérignon, erano più scuri di una gradazione rispetto all’abito che indossava, un Mainbocher bianco in crêpe de Chine. Nessun gioiello, pochissimo trucco; solo la perfezione del bianco su bianco… Chi l’avrebbe mai detto che dentro questa signora che sapeva di fresca vaniglia si celava un autentico maschiaccio?”

Diane von Fürstenberg ne ricordò la semplicità, la gentilezza e la generosità. “Nulla in lei appariva falso o costruito”– disse la stilista. “Era una donna autentica, di una naturale bellezza e dalla classe innata”. La classe di una vera bellezza americana.

(Foto cover Slim Aarons)


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China Machado: la bellezza che ruppe tutti gli schemi

China Machado: la bellezza che ruppe tutti gli schemi

Zigomi pronunciati e labbra a cuore, un volto dall’espressività altera si mixa ad una sensualità felina, che fa capolino, quasi come una forza primordiale, dalle crinoline dei lunghi abiti in taffettà: China Machado è uno dei personaggi più interessanti del fashion biz.

Una vita in cui il destino ha messo più volte lo zampino, una lunga carriera come modella, iniziata un po’ per caso, una bellezza che ha stravolto i canoni vigenti all’epoca, sfidando le cortine fumogene dettate dal razzismo: China Machado è fashion editor, mannequin, icona di stile e produttrice televisiva.

Una lunga e sfolgorante carriera con un mentore d’eccezione, Richard Avedon, China Machado è stata la prima modella asiatica ad apparire su un magazine di moda. Correva l’anno 1959 e la splendida mannequin, scoperta dall’inossidabile Diana Vreeland, compariva nella sua maestosa bellezza sulla cover del numero di febbraio di Harper’s Bazaar.

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China Machado per Harper’s Bazaar, Novembre 1962, foto di Melvin Sokolsky
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China Machado è nata a Shanghai nel 1928
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China Machado in un abito Ben Zuckerman per Harper’s Bazaar, New York, 6 novembre 1958. Foto di Richard Avedon

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China Machado è stata musa storica di Richard Avedon


All’anagrafe Noelie Dasouza Machado, la modella è nata a Shanghai nel 1928. Sangue misto nelle vene, tra Sud-Est asiatico, India e Portogallo, China Machado è cresciuta parlando alla perfezione quattro lingue: l’inglese, il francese, il cinese e il portoghese.

Un’infanzia segnata in modo indelebile dalla guerra ma anche dalla povertà e dalla malattia: a sette anni rischiò la vita per complicazioni derivanti da un’infezione multipla, tra tifo, febbre paratifoide e meningite. Era il 1937 e si racconta che, mentre il prete stava per somministrarle l’estrema unzione, i giapponesi bombardarono l’ospedale di Shanghai dove la piccola era ricoverata. “La combattente che è in me venne fuori”, ha dichiarato più volte l’icona di stile ripensando a quel periodo della sua infanzia.

Superata la quarantena e recuperata la salute, la giovane trascorse i suoi primi 16 anni di vita a Shanghai; poi iniziò a viaggiare con la famiglia, tra Argentina, Spagna e Perù, prima di stabilirsi in Europa.

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La mannequin è stata la prima modella asiatica ad ottenere la cover di un magazine di moda
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China Machado in pigiama palazzo Galitzine, foto di Richard Avedon, 1965
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China Machado ritratta da Avedon a La Pagode d’Or, Parigi, gennaio 1959
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China Machado, foto di Richard Avedon per Harper’s Bazaar, Parigi, agosto 1961

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China Machado per Harper’s Bazaar, foto di Frank Horvat, Roma, 1962


All’età di 19 anni China Machado conobbe Luis Miguel Dominguín, torero di grande fascino. Con lui si trasferì a Roma, dove prese parte a numerose pellicole cinematografiche. La bellezza esotica di China mieteva i primi consensi ma i modelli di riferimento a cui la giovane si ispirava erano donne occidentali, come Rita Hayworth, Vivien Leigh e Ava Gardner. Sarà proprio quest’ultima, femme fatale dalla personalità esplosiva, a rubarle l’amore di Dominguín. Al termine di quella relazione la giovane si trasferì a Parigi, dove la sua vita cambiò per sempre.

La sfrontata bellezza di China Machado ruppe il sistema di vero e proprio apartheid che caratterizzava la moda degli anni Cinquanta. Lei, che non aveva mai fatto alcun pensiero sul mondo fashion, venne notata durante un party e si ritrovò letteralmente catapultata sulla passerella di una maison storica del calibro di Givenchy. In soli due anni la modella -che cambiò in quel periodo il proprio nome in China- calcò le passerelle più prestigiose, da Dior a Valentino, da Balenciaga fino a Pierre Cardin. Elegante e sensuale, divenne musa di Hubert de Givenchy, per cui lavorò tre anni, conseguendo un primato storico: fu infatti la mannequin più pagata d’Europa, con guadagni che sfioravano i mille dollari giornalieri. Protagonista dei party più esclusivi, a cui presenziava accompagnandosi ad artisti del calibro di Pablo Picasso ed Andy Warhol, nel 1957 sposò l’attore Martin LaSalle da cui divorzierà nel 1965, dopo aver dato alla luce due bambine. La coppia si stabilì a New York City e fu qui che, nel 1958, avvenne l’incontro decisivo per la carriera di China. Tramite la fashion editor Diana Vreeland la modella ebbe modo di incontrare Richard Avedon. Col grande fotografo nacque subito una grande amicizia ma anche un sodalizio artistico che produsse risultati di portata storica.

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Musa di Hubert de Givenchy, China Machado calcò le passerelle più importanti, da Dior a Balenciaga
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La mannequin in uno scatto del 1961
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New York, Harper’s Bazaar, 1964, foto di Jeanloup Sieff
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China Machado per Harper’s Bazaar, styling di Diana Vreeland e foto di Richard Avedon

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China Machado e Alberto Moravia, foto di Frank Horvat per Harper’s Bazaar, Roma, 1961


Definita da Avedon “la donna più bella del mondo”, per vedere pubblicate le foto che immortalavano la sua musa dalla bellezza esotica, Avedon dovette superare le barriere razziali e il bigottismo imperante, per cui era inconcepibile vedere in copertina una modella asiatica. La Hearst, casa editrice di Harper’s Bazaar, temeva che quelle foto avrebbero causato la disdetta di molti degli abbonamenti alla celebre rivista di moda. L’editore dell’epoca, Robert F. MacLeod, disse a chiare all’incredulo Avedon che quelle foto non potevano essere pubblicate perché la ragazza non era bianca. Ma è pur vero che non si diventa leggende per caso: Avedon si dimostrò inossidabile nella sua battaglia a favore della bellezza, arrivando a minacciare la storica casa editrice di rinunciare al contratto come fotografo di Harper’s Bazaar. Alla fine Avedon la spuntò e salutò orgogliosamente l’uscita del numero di febbraio del 1959: la bellezza aveva vinto. Ma forse la portata storica di quella battaglia non era ancora del tutto chiara, all’epoca. Il successo di China Machado aprì la porta alle modelle di colore, da Iman a Naomi Campbell, da Jourdan Dunn a Sessilee Lopez.

China Machado in Guy LaRoche
China Machado in Guy LaRoche
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All’anagrafe Noelie Dasouza Machado, la modella cambiò il proprio nome in China quando iniziò a sfilare
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La bellezza esotica di China Machado immortalata da Peter Basch in uno scatto risalente agli anni Cinquanta
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China Machado in un abito Patrick de Barentzen, foto di Richard Avedon
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China Machado è tornata a posare come modella, firmando un contratto con la IMG alla veneranda età di 80 anni

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L’icona di stile ha lavorato per ben 11 anni come fashion editor di Harper’s Bazaar


Nonostante il suo incredibile successo China Machado non si dichiarò mai entusiasta del lavoro di modella, e -incredibile ma vero- lei, dal viso così perfetto, non si ritenne mai particolarmente bella, come ha più volte dichiarato in numerose interviste. La collaborazione tra la modella e Avedon durò tre anni, successivamente ai quali China Machado fu assunta -ironia della sorte- dallo stesso Harper’s Bazaar come Senior Fashion Editor, per poi assumere l’incarico di Fashion Director. Dal 1962 l’ex modella lavorò per 11 anni nella redazione dello storico magazine. Come fashion editor il suo era un approccio alla moda istintivo e spontaneo. Convinta per sua stessa ammissione di non avere -a differenza delle sue colleghe- un senso innato per lo stile, China Machado prediligeva comfort e sobrietà, indossando spesso pantaloni.

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China Machado ritratta da Bruce Weber per Vogue Italia luglio 2015
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China Machado ritratta da Richard Rutledge
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Contraria alla chirurgia estetica, China Machado appare ancora oggi bellissima e naturale
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Ironica e dalla grande personalità, China Machado ha lavorato anche come costume designer e produttrice televisiva

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China Machado fotografata da Glen Luchford per V Magazine, 2010


Nel 1989 l’icona di stile China Machado venne celebrata con l’inserimento nella celebre International Best Dressed List, creata nel 1940 da Eleanor Lambert. La modella ebbe due figlie dall’attore Martin LeSalle, Blanche ed Emmanuelle. Rumour vociferano di una sua liaison con William Holden. Attualmente la modella vive a Long Island col suo nuovo marito Riccardo Rosa.: nel corso della sua lunga carriera ha lavorato anche come costume designer e produttrice televisiva e ha cresciuto le sue due figlie come madre single. Dopo aver ultimato la sua autobiografia è stata immortalata in tempi recenti da Bruce Weber per W Magazine: è così che, a oltre mezzo secolo dal suo ritiro dalle passerelle, China Machado è tornata a posare come modella, con un contratto firmato con la celebre agenzia IMG alla veneranda età di 80 anni. Il passare del tempo non ha cambiato i suoi zigomi, le labbra e gli occhi felini sono sempre gli stessi, come anche l’autoironia. E a chi le chiede quali siano i suoi segreti di bellezza, lei risponde, spiazzando gli increduli interlocutori: “Non ho mai fatto una dieta, non ho mai fatto ginnastica, mangio come un maiale e bevo- soprattutto vodka. E fumo, anche.” Perché la personalità è glamour.


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Lo stile di Caroline Vreeland

Stando alla genetica lo stile dovrebbe scorrerle nelle vene: Caroline Vreeland, socialite, cantante ed icona di stile, è la nipote della mitica Diana Vreeland. La celebre fashion editor non è stata solo una figura importante del fashion biz, ma il nome che, dagli anni Quaranta ai Sessanta, con la sua impronta ironica, irriverente e personalissima ha rivoluzionato il corso della moda mondiale, fungendo da spartiacque tra l’antico e il moderno.

Divenuta famosa per la sua rubrica su Harper’s Bazaar intitolata “Why don’t you…?”, dalla quale dispensava consigli deliziosamente sui generis, fino al suo ruolo di direttrice di Vogue America, chi ha avuto come nonna un personaggio del calibro di Diana Vreeland non può non sentire tutto il peso che tale eredità inevitabilmente comporta.

Guardando Caroline Vreeland, viso angelico e fisico prorompente, la prima parola che viene in mente è personalità. Perché la bionda cantautrice e modella, balzata alle cronache degli ultimi anni anche per il suo stile, di personalità ne ha da vendere. E se essere figli, o, in questo caso, “nipoti di”, può essere un’arma a doppio taglio, nel caso della giovane Vreeland proprio il carattere e la grinta hanno fatto la differenza.

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Curve da capogiro e grinta da vendere, la bombshell americana si contraddistingue per uno stile moderno e all’avanguardia, che attinge spesso e volentieri dal guardaroba maschile. Cantante apprezzata, prima ancora che icona fashion, Caroline Vreeland predilige il total black e un mood aggressivo. Come lei stessa ha dichiarato più volte, da adolescente ha avvertito la pressione derivatale dal cognome ma anche dal suo fisico esplosivo: grande sensualità, il décolleté generoso e la notevole fotogenia le hanno aperto le porte della moda, con un contratto come modella stipulato con la celebre Next Agency.

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Caroline lavora anche come attrice e talent scout e definisce sua nonna la donna più chic mai esistita. Presenza fissa nei front-row delle settimane della moda, apprezzata anche da Carine Roitfeld, Caroline Vreeland nel 2013 è stata protagonista di American Idol. Spontanea e curiosa, ha dichiarato di sentirsi a proprio agio anche struccata. Perché la personalità è glamour.


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Gloria Vanderbilt: il lusso e lo charme

Lusso, eccessi, charme: quando si sente il nome di Gloria Vanderbilt queste sono alcune delle immagini che vengono subito alla mente. Ereditiera di un’immensa fortuna, socialite tra le più brillanti del suo tempo, musa, icona di stile, artista e, ancora, modella e designer, Gloria Vanderbilt ha incarnato la quintessenza dello stile e della bellezza, rappresentando per oltre mezzo secolo uno dei volti più conosciuti del jet set internazionale.

Habitué del mitico Studio 54, modella ritratta da fotografi del calibro di Richard Avedon, Gordon Parks, Louise Dahl-Wolfe, Horst P. Horst e Francesco Scavullo, negli anni Settanta, dopo una vita consacrata all’arte e alla bellezza, declinata in ogni sua forma, divenne fashion designer. Il lancio della sua linea vedeva il cigno, simbolo di candore, come logo. Occhiali, profumi e una linea di abbigliamento di cui ancora ricordiamo i celebri jeans: il nome di Gloria Vanderbilt è stato sinonimo di stile per oltre trent’anni.

Gloria Laura Vanderbilt è nata a New York il 20 febbraio 1924 da Reginald Claypoole Vanderbilt e dalla sua seconda moglie Gloria Morgan. Bellissima già da neonata, fu battezzata come cattolica. Alla morte del padre, avvenuta quando la piccola ha appena 18 mesi, Gloria eredita un patrimonio immenso, stimato in circa 5 milioni di dollari.

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Gloria Vanderbilt in Bill Blass, foto di Francesco Scavullo per Town & Country, 1969


Gloria Vanderbilt tra i modelli di jeans disegnati da lei. Foto di Evelyn Floret, 1979


Uno scatto del 1958
Uno scatto del 1958


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Gloria Vanderbilt nel suo appartamento a South Penthouse, 10 Gracie Square. Foto di Richard Avedon, New York, 1956


Durante la sua infanzia frequenti sono i viaggi da e per Parigi, con la madre e l’amatissima governante Emma Sullivan Kieslich. Un ruolo importante nell’infanzia della piccola fu rivestito dalla sorella gemella della madre, Thelma, che fu amante del Principe di Galles. La madre di Gloria ha le mani bucate, e ciò rappresenta un pericolo per la gestione dell’immenso patrimonio di cui la piccola Gloria non può beneficiare fino alla maggiore età: è per questo che interviene Gertrude Vanderbilt Whitney, zia di Gloria dal ramo paterno. Appassionata di scultura e filantropa, Whitney chiese la custodia della nipote, scatenando un processo che all’epoca destò notevole scalpore. La giovane Gloria si trovò così, ancora bambina, a dover testimoniare davanti ad una giuria, nella posizione forse più traumatica per una bambina: quella di dover scegliere tra la madre e la zia. Alla fine fu quest’ultima ad avere la meglio: la piccola Gloria crebbe nel lusso della residenza di Gertrude, divisa tra Long Island e New York. La storia del processo divenne anche il tema della miniserie trasmessa nel 1982 dalla BBC “Little Gloria…Happy at Last”, che ottenne ben sei Emmy e un Golden Globe.

1942
Una foto del 1942


Gloria Vanderbilt, New York, December 1953. Photographed by Richard Avedon.
Gloria Vanderbilt, New York, Dicembre 1953. Foto di Richard Avedon.


Gloria Vanderbilt con i suoi figli Carter e Anderson Cooper


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Wyatt Emory Cooper e Gloria Vanderbilt con i figli Anderson e Carter. Foto di Jack Robinson per Vogue, New York, giugno 1972


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Gloria Vanderbilt nel suo studio, foto di Horst P. Horst, 1975


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Gloria Vanderbilt ritratta da Horst P. Horst per Vogue, New York, 1975


Gloria Vanderbilt divenne una fanciulla bellissima: occhi a mandorla e labbra carnose su un viso perfetto la resero adatta a posare come modella per numerosi magazine. Apparve su Vogue, Town & Country, Life Magazine e Harper’s Bazaar. Brillante negli studi, frequentò le migliori scuole, fino alla Art Students League di New York, dove sviluppò un notevole talento artistico. Al compimento della maggiore età, quando poté finalmente impadronirsi dell’immenso patrimonio ereditato dal padre, Gloria tagliò completamente fuori la madre, pur non smettendo mai di supportarla economicamente, facendola vivere in una lussuosa residenza a Beverly Hills, dove la donna morì nel 1965.

La bella Gloria studiò recitazione alla Neighborhood Playhouse con Sanford Meisner come maestro. Dotata di un immenso talento artistico, presto si impose come pittrice, dando anche numerose mostre. I suoi dipinti furono acquistati, a partire dal 1968, da Hallmark Cards e da Bloomcraft e Gloria iniziò a dipingere con successo ceramiche e oggetti per la casa. Simbolo del lifestyle e del lusso coniugato allo stile, il suo appartamento di New York è stato a lungo rappresentato dai principali magazine di interior design: piastrelle patchwork e un’eleganza che si traduce in maestosa opulenza, la lussuosa residenza è stata location di alcuni degli scatti più celebri che ritraggono la socialite.

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Gloria Vanderbilt Cooper in una foto di Francesco Scavullo, anni Sessanta


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Gloria Vanderbilt intenta ad abbronzarsi, Junction City, Kansas, 1941


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Gloria Vanderbilt in Fortuny Delphos e gioielli di Rita Delisi. Foto di Richard Avedon per Vogue Italia, 1970


Gloria Vanderbilt modeling her Fortuny dress and Rita Delisi necklance. Photo by Richard Avedon. Vogue, 1969.
Gloria Vanderbilt posa nel suo abito Fortuny dress con una collana di Rita Delisi. Foto di Richard Avedon. Vogue, 1969


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Gloria Vanderbilt in un abito Fortuny Delphos. Foto di Richard Avedon, 1970


La sua carriera nella moda è iniziata negli anni Settanta, dapprima con il marchio Glentex, per cui disegnò una linea di sciarpe. Nel 1976 il designer indiano Mohan Murjani le propose di lanciare una linea di jeans usando il suo nome come logo. Più stretti di quelli che si usavano all’epoca, i jeans firmati Gloria Vanderbilt furono un successo senza precedenti: seguiti da una linea di abbigliamento e profumi, ben presto il logo col nome della socialite divenne sinonimo di lusso e qualità, che oltrepassò i limiti della moda fino a comprendere liquori e accessori di vario tipo. I diritti sui jeans furono poi acquistati nel 2002 dal gruppo Jones Apparel. Dal 1982 al 2002 L’Oréal lanciò otto fragranze col nome di Gloria Vanderbilt. Nel 1978 la Vanderbilt lanciò la propria compagnia, GV Ltd., con sede a New York. Nel corso degli anni Ottanta accusò i suoi partner e il suo avvocato di frode e, dopo un lungo processo, vinse la causa. I suoi jeans attillati rappresentano ancora oggi un autentico must have: tanti sono i siti di moda vintage che propongono modelli ormai rari e preziosi.

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L’interno dell’appartamento della Vanderbilt


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La camera arredata in stampa patchwork nell’appartamento della socialite


Gloria Vanderbilt's apartment - portrait of her mother
Il ritratto della madre di Gloria Vanderbilt


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Le celebri decorazioni nell’appartamento di New York


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Gloria Vanderbilt a 17 anni, foto di Horst P. Horst, New York, 1941


Gloria Vanderbilt quindicenne ritratta da Louise Dahl-Wolfe per Harper's Bazaar
Gloria Vanderbilt quindicenne ritratta da Louise Dahl-Wolfe per Harper’s Bazaar


Gloria Vanderbilt ritratta da Francesco Scavullo, 1968


Autrice di quattro memoriali e di tre romanzi, contributor del New York Times, di Vanity Fair ed Elle, nel 2001 la Vanderbilt ha inaugurato la sua mostra d’arte dal titolo “Dream Boxes” presso il Southern Vermont Arts Center di Manchester. Un successo di pubblico e critica, la mostra è stata seguita nel 2007 da un’altra esposizione. Inoltre Gloria Vanderbilt ha fatto molto parlare di sé per il suo ultimo romanzo, dal titolo “Ossessione: un racconto erotico”. Recensito dal New York Times come il “libro più piccante mai scritto da una ottuagenaria”, trattasi di fatto di un libro a luci rosse, i cui protagonisti fanno ampio uso di fruste, corde di seta, insieme ad ortaggi vari, usati in metodi assolutamente non convenzionali.

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Gloria Vanderbilt nella cucina del suo appartamento, foto di Horst P. Horst per Vogue, New York, 1975


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Gloria Vanderbilt fotografata da Gordon Parks per Life Magazine (1954)


Gloria Vanderbilt. foto di John Rawlings, 1945
Gloria Vanderbilt. foto di John Rawlings, 1945


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Gloria Vanderbilt in un abito Mainbocher, foto di Richard Avedon per Harper’s Bazaar, 1955


Gloria Vanderbilt ritratta da Gordon Parks, 1952


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Uno scatto risalente agli anni Quaranta


La bella ereditiera non smette di sorprenderci. D’altronde, come ogni icona che si rispetti, anche la Vanderbilt non si è fatta mancare una vita sentimentale alquanto tumultuosa: appena diciassettenne sbarcò ad Hollywood, dove convolò a nozze con l’agente Pat DiCicco, nel 1941. Ma il matrimonio lampo fu seguito, appena quattro anni dopo, da un divorzio, in cui l’ereditiera dichiarò di essere stata vittima di violenze e abusi da parte del marito. Nel 1945 Gloria sposò il conduttore Leopold Stokowski. Nel 1956 il terzo matrimonio, con il regista Sidney Lumet. Infine, il quarto ed ultimo matrimonio, con l’autore Wyatt Emory Cooper, celebrato nel dicembre 1963. La coppia ebbe due figli, Carter Vanderbilt Cooper, morto suicida nel 1988, dopo essersi lanciato dal quattordicesimo piano dell’appartamento di famiglia, e il giornalista della CNN Anderson Hays Cooper. Wyatt Cooper, forse l’unico amore della sua vita, morì nel 1978.

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Gloria Vanderbilt ritratta da Horst P. Horst. ca. 1961


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Gloria Vanderbilt ritratta da Francesco Scavullo, anni Cinquanta


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Gloria Vanderbilt ritratta da Horst P. Horst, 1970, abito patchwork di Adolfo.


Gloria Vanderbilt, foto di Richard Avedon 1955
Gloria Vanderbilt, foto di Richard Avedon 1955


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Gloria Vanderbilt, foto di Horst P. Horst, 1966


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Bellissima ed elegante, Gloria Vanderbilt è un’icona di stile, una designer di successo ed un’artista di fama mondiale


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Gloria Vanderbilt in uno scatto risalente agli anni Cinquanta


L’ereditiera è nata a New York il 20 febbraio 1924


Gloria Vanderbilt mantenne sempre una relazione fatta di stima ed affetto reciproco col fotografo Gordon Parks, fino alla morte di quest’ultimo, avvenuta nel 2006. Inoltre ebbe relazioni con Marlon Brando, Frank Sinatra, Howard Hughes. Truman Capote rivelò di essersi ispirato a lei per il celebre personaggio di Holly Golightly, protagonista dell’indimenticabile romanzo Colazione da Tiffany. Grande amica di Diane von Fürstenberg e della commediografa Kathy Griffin, al compimento del suo novantesimo compleanno, il 20 febbraio del 2014, le collezioni dei suoi dipinti sono state esposte nella galleria di 1stdibs presso il New York Design Center. Oggi la celebre icona appare completamente diversa, a causa di una serie di interventi di chirurgia estetica. Il suo nome resta però legato ad un periodo storico forse ineguagliabile, quanto a stile ed eleganza. Per nostalgici doc.


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