Tommaso Ragno

Actor Tommaso Ragno
Interview by Miriam De Nicolò
Photography Martina Mammola
Styling Allegra Palloni

Più andiamo avanti nella conversazione, più si comprende che la vita, per Tommaso Ragno, sia uno studio continuo sul mestiere dell’attore, e che queste ricerche siano diventate di natura così ossessiva, da averle incarnate con la sua carne stessa. Cita Sacha Guitry senza saperlo, quando dice che l’attore è pagato per provare sentimenti che non prova: l’intensità arriva già dalla voce. chiudendo gli occhi diviene più profonda e poi attenta, cauta, sibilante, triste quando parla dell’amore, decisa quando si riflette allo specchio.

La differenza tra la realtà del teatro e la realtà del cinema. 
James Stewart, un grande attore statunitense, diceva: “Nei film si tratta di creare momenti. Nessuno sa come questo accada. Ma il compito è di prepararsi al meglio affinché questi momenti accadano, perché nei film non è la performance a contare come la si intende in teatro. Non è esattamente così. Nei film si va per momenti.
La cosa grande del cinema è il potenziale che i film hanno di comunicare le cose visivamente: il cinema ti viene più vicino di qualunque altra cosa, la gente ti guarda negli occhi.”
Nel teatro invece, proprio perché la scena, lo schermo è un continuo campo totale si fa un lavoro che comporta l’uso di tutto il corpo, l’elemento tecnico (cavi, telecamere, ciak, etc.) che nel cinema e nella tv è primario in teatro diventa secondario, in teatro è l’elemento umano a esser centrale, è un flusso ininterrotto, in cui sei connesso direttamente al pubblico, che dovresti percepire come tuoi partners, come fossero attori a loro volta che partecipano a creare lo spettacolo.

Come si entra dentro il personaggio da interpretare? 
Direi in parte alla stregua di un atleta, laddove ciò che muove tutto è il muscolo dell’immaginazione, facendo spazio in sè stessi per lasciare che si manifesti questo fantasma, chiamato per convenzione “personaggio”. Si va a cercare qualcosa che speri venga a sua volta a cercare te. Una sorta di reazione chimica. Di chimica alchemica, alla maniera degli antichi alchimisti.

Hai dichiarato in una intervista “Ciò che mi differenzia è l’immaginazione” E’ questa la miglior qualità di un attore?
La qualità più importante sta nel modo di rielaborare le cose che hai imparato. Porto un esempio:  tu mi consigli vivamente un libro che hai letto e amato, e che a me invece non piace. Non è il libro a essere buono o cattivo, un libro è buono o meno a seconda di quanto lo è il suo lettore, e questa è in qualche modo una benedizione per i pessimi scrittori e una maledizione per quelli buoni. Mettiamo tu abbia letto “La ricerca del tempo perduto”…

Stai parlando del mio libro preferito, Proust è l’amore della mia vita. 
Nella vita ci si “incontra” per somiglianze, ecco La Recherche è un libro che ha significato moltissimo per me, l’ho letto la prima volta durante una tournée teatrale in Francia molti anni fa, e mi è sembrata, attraverso l’immenso sforzo linguistico dell’autore una sorta di Divina Commedia contemporanea. 
E mi torna in mente la descrizione del protagonista che va a teatro a vedere la leggendaria attrice Berma, con aspettative altissime, e ne rimane deluso. Tornerà anni dopo a vederla recitare, e prenderà parte allo spettacolo con una consapevolezza che somiglia a un risveglio, a un satori, semplicemente guardandola senza alcuna aspettativa. Un capitolo incredibile che spiega cos’è la recitazione. È un libro sapienziale, che continua a esser fondamentale nella mia vita di ogni giorno.

La Recherche è vita.
Vero. Un dispositivo perfetto per accendere luci in una centrale elettrica.

Hai mai interpretato un ruolo così impegnativo?
In Nostalgia di Mario Martone.

Una parte che ti è valsa il premio Nastro d’argento per l’interpretazione di Malomm.
Un uomo di malaffare appunto, che incontra il protagonista, Pierfrancesco Favino, in una scena di 9 minuti ricchi di difficoltà perché dovevamo portare sul set le sfumature di due vecchi amici che si incontrano dopo 40 anni, segreti nascosti, colori legati al passare del tempo e ai sentimenti contrastanti tra i due, per di più in dialetto napoletano. 
Sono felice di averlo fatto con un grande regista come Martone e con un attore di così grande generosità oltre che di immenso talento.

Riconosci di essere un grande attore? 
Non so esattamente cosa questo voglia dire, e non lo dico per modestia, perché la modestia è sempre falsa. Credo al fare con sincerità quello che mi viene proposto, credo nel lavoro, il lavoro su se stessi soprattutto e credo che si possa fare quasi tutto a patto di impegnarsi e di volerlo. Poi io come tutti dovevo pagare le bollette e potevo farlo con il mestiere che mi ero scelto. Ma anche se si è pagati per sentire sentimenti che non provi, si è anche  il tramite fra un mondo di fantasmi e un mondo di vivi. 
Alla mia età, è davvero molto più appagante fare il mestiere che faccio, rispetto alla gioventù. 

Quindi per te lo scorrere del tempo è un regalo?
Il fiore vero di un attore è quando lui invecchia“, è una frase del libro “Il segreto del Teatro No” di Zeami.
La gioventù ci abbraccia con i suoi fiori freschi, la bellezza, le cellule che si irradiano, ma nessun fiore, per quanto bello, è eterno, la bellezza vera del fiore sta nel fatto che cade e poi rifiorisce, e quando quella luce comincia a cambiare, quando si va verso l’apogeo della vita, emergono altri fiori, i fiori autentici. Ed è in questo continuo cambiamento che sta il mistero, e ogni età, per chi fa questo mestiere, nasconde un fiore diverso.

Ma Luce non è solo bellezza e gioventù
Vero, ma questo non lo sai quando sei giovane, non lo puoi sapere perché l’abbaglio delle cose è fortissimo ed è comprensibile che sia così. Solo oggi, i 55 anni mi hanno regalato la consapevolezza che ciò che mi accade ora, assume decisamente più sapore rispetto a solo 10 anni fa.  

Come si spiega l’amore? 
Non si spiega, secondo me, in fondo accettiamo che esistano anche cose inspiegabili. 
Forse, ma non ne sono del tutto sicuro, saprei spiegare cos’è un comportamento d’amore, più che un sentimento. Il sentimento d’amore mi pare sia un’entità intermittente, il comportamento d’amore un atto volontario.

Chi o cosa ami? 
Amo me stesso. Voglio dire che
ho cominciato a cercare di amare me stesso come fossi un’altra persona, ad amare di me ciò che nessun altro è obbligato ad amare. 

Quali aspetti di te? 
Gli aspetti oscuri, quelli meno condivisibili, irriducibili.
Ciò che è condivisibile porta con sé qualcosa di superficiale, anche se non privo di valore. 
Iosif Brodskij in “Dolore e ragione” dice questa cosa: “Se l’arte insegna qualcosa in primo luogo all’artista stesso, è proprio la dimensione privata della condizione umana, essendo la forma più antica, anche la più letterale, di iniziativa privata. L’arte stimola nell’uomo, volente o nolente, il senso della sua unicità, dell’individualità, della separatezza, trasformandolo da animale sociale in un Io autonomo.”
Sono molte, moltissime le cose che si possono condividere, un letto, un pezzo di pane, ma non, per esempio, una poesia di Rainer Maria Rilke, non un’opera d’arte o letteraria, che toccano la parte più profonda di noi stessi. Ed è giusto anche che sia così. 

Hai mai disprezzato qualcuno al punto di odiarlo?
Certo. Me stesso.

Carlo Cecchi, regista teatrale italiano con cui hai lavorato dice che qualche anno fa avevi paura di sedurre e oggi invece questo timore è passato. 
Il palcoscenico regala una profonda carica seduttiva, che non ha nulla a che fare con l’esibizionismo.
Ma si tratta di una seduzione che è somma del contesto, di una certa regia, di un’opera, di un personaggio. Di qualcosa che non sei tu. Ma qualcosa d’altro.

Quale dote vorresti avere di natura?
La capacità di amare. Ci si immagina coraggiosi finché non avvengono cose che mostrano magari quanto, in realtà, la viltà, la pigrizia abbiano la meglio sull’idea che si ha di sè. E allora può succedere si diventi coraggiosi per reazione, per dimostrare che non si è codardi. E magari si continua a essere codardi pur avendo mostrato di fatto un coraggio da leoni. Lo stesso, credo, per l’amore. Da giovani si tende ad amare se stessi, uno tende ad amare l’amore di se stesso e il suo amore dell’amore, dell’idea di amore. Ma quella capacità di amare cui ti parlo è qualcosa di attivo, credo, e trova la sua realtà solo nella relazione con l’altro. Che ti mostra la tua piccolezza, o la tua grandezza, a seconda.

Da chi credi d’essere amato? 
La cinepresa, ti amerà sempre, qualunque cosa tu faccia”, Michael Caine.

Domanda di rito, quanto sei Snob?
Conosci un lettore appassionato di Proust che non sia anche snob?





Alice Carli, il cambiamento che porta al progresso

EIC/ Interview Miriam De Nicolò
Photography Marco Onofri
Art Director Roberto Da Pozzo

Vintage Necklace Coppola e Toppo



Tulipani bianchi, mandarini, post-it a forma di cuore, come il piccolo portagioie rosso, una brocca di cristallo per l’acqua, una fila di evidenziatori perfettamente distanziati tra loro, un piccolo mazzetto di biglietti da visita con degli appunti lasciati a penna, un cahier in velluto fucsia con la scritta “obsession”, dei bellissimi posaceneri in argento dove stanno delle sigarette sfuse, questi gli oggetti parlanti che ricordo dal tavolo di Alice Carli. 

CEO e general manager di fashion, lifestyle e luxury goods, Alice Carli è una globetrotter e sceglie la sua dimora nel centro di Milano, in un elegante appartamento che parla molto di sé e delle sue radici; i lampadari hanno la “r” moscia, heritage parigino della nonna paterna, stessi rimandi per i soffitti a cassettoni e il parquet a quadri; nel grande salone in cui la luce è protagonista, la libreria Libelle Baxter in montanti laccato nero e rafia, separa la zona living dal lungo tavolo studio in marmo. Sul tavolo in vetro Gae Aulenti per Fontana Arte, il libro “Sirene” di Marco Glaviano, un Ginori con ortensia verde-lilla, un piatto in porcellana firmato Fornasetti e delle piccole scatole patisserie di Marchesi, azzurro Tiepolo. 

Il colore pare essere il comune denominatore delle stanze in casa Carli, che mentre posa per il nostro servizio fotografico indossa una imponente collana Dior Vintage e mi racconta della nonna centoduenne che chiede di fare la manicure, il giorno prima di andarsene. Disciplina e rispetto, più che semplice vanità, sono quindi nel dna di questa donna che, nella sua manìa del controllo (rimette al loro posto gli oggetti che il fotografo muove per scattare le immagini) ci lascia scoprire le sue passioni. E il suo brillante sorriso, come nell’immagine in bianco e nero che la ritrae nella foto di Nikola Borisov, o la sottoveste in raso nero di Rossella Jardini che ci accoglie all’entrata, lasciata cadere da un faretto dello stesso colore. 

Ma è nella dedica che le scrivono dietro ad una sua foto, che comprendiamo quel lato di Alice che invano e purtroppo nasconde: 

T’insegneranno a non splendere. E tu splendi invece“.

Quali sono i fondamenti di un manager d’azienda?  

Sono un direttore d’azienda da ormai 25 anni, i fondamentali sono la parte più strategica e dalla mia, un driver enorme sull’innovazione e sulla progettualità. 

Il tema dell’ innovazione che mi segue con la curiosita da quando ero bambina, è quello che nell’arco degli anni mi ha permesso di rimettermi in gioco, ho ripreso a studiare a 39 anni ad Harvard specializzandomi nel settore della strategia e dei trend post Pandemia, sono tematiche importanti oggi, che necessitano di approfondimenti e ricerche. E’ avvenuto durante il lockdown, un momento di grande chiusura di mercati e non avevo la minima intenzione di stare ferma a guardare, avevo l’esigenza di studiare e capire dove stava dirigendosi il mercato.

E sostenibilità è oggi un’altra key-word importante, perché se il digitale aveva soverchiato i canoni geografico/commerciali, la pandemia ha soverchiato i canoni di qualunque dimensione, l’etica per esempio, che è diventata importante per fortuna, superando la sola estetica. 

Un esempio di azienda che risponde a questi canoni? 

Diverse. Certamente quelle con cui collaboro, perchè guidate da grandi leader visionari da cui ho modo di imparare ogni giorno. Sono Advisor per la Sostenibilità per il SCR500 da Kaufmann & Partners di Francesco De Leo Faufmann; Direttore Generale di  GAIT-TECH Srl, la neonata ma già premiatissima a livello internazionale start up in cui la biomeccanica è al servizio della salute delle donne che stanno sui tacchi;  Advisory Board Member per la digitalizzazione d’azienda e lo shift verso un posizionamento Rigenerativo per Image Regenerative Clinic, dove il Professor Carlo Tremolada, PhD, ha brevettato Lipogems, un lavoro sulle cellule staminali, una bellezza che accompagna e non distrugge.

Quante ore ha un giorno? 
Dipende. 24, ma se mi alleno la mattina anche di più.

Come approcci per la prima volta all’interno di un brand già avviato per lanciare nuove strategie di marketing?
Ascoltando tantissimo, intervistando tutta la prima linea, leggendo i numeri e se esiste una proprietà, sicuramente ascoltando loro in primis, se esiste un management, ascoltando loro e se esiste un archivio o una storia, studiandola approfonditamente. Una visione nasce dagli studi di tendenze e dal matrimonio con l’heritage del marchio. 

Era il tuo sogno sin da bambina o avresti scelto anche un altro mestiere? 
Forse avrei scelto la ricerca scientifica in ambito medico. Me ne sono resa conto durante l’intervento molto serio che ha subìto mio padre, ho pensato che l’innovazione in ambito medico non è un plus ma una conditio sine qua non. 

L’innovazione è sempre progresso? 
 Spesso, non sempre. La verità sta nel mezzo, come spesso accade. E peraltro il progresso fa spesso paura, è un elemento dirompente, non ben accetto. Quanto meno da tutti.

Dall’analisi di numeri e statistiche, che cosa vuole il mercato?
Verità e trasparenza. Davvero la pandemia ha cambiato il modo di comunicare delle aziende. Se oggi una società dichiara di essere sostenibile, deve dimostrarlo anche attraverso lo stile di vita dei propri dipendenti. Il consumatore è sempre più pretenzioso e sempre più curioso, se un tempo esisteva il customer service, ora il servizio clienti sono i social media, sono la linea WhatsApp, avere una persona dietro quel numero di telefono e non più un robot, è un servizio più inclusivo finalmente. 

Hai dichiarato diverse volte di aver accantonato la tua vita privata per dedicarti totalmente al tuo lavoro .
Dopo i 30 anni è evidente che il mio lavoro sia anche parte di me. Quando si lavora con amore e passione, le rinunce si alleggeriscono. Oggi ciò che è cambiato è il mio privato, che rimane per l’appunto una questione intima, non alla luce del sole. 

Amore e Odio 
Amo mia madre, mia nonna, i miei amici, il mio lavoro, la mia coach, anzi le mie coach e me stessa. 
L’odio è una perdita di tempo, l’ho sentito su di me molte volte, ma dobbiamo già lottare contro le malattie, le violenze, le ingiustizie… io non ce l’ho mica la voglia di odiare. 

Quando hai sentito d’esser stata “odiata”? 
Quando sei una persona con dualismi molto forti, seppur rimanendo coerente, ce lo si aspetta. 
Sono molto forte ma nell’intimo fragile, molto dolce, ma anche molto decisa, tenera ma tenace, una resiliente. Come la disciplina del Garuda infatti.

La tua coach Sorbellini ti ha descritto come una donna testarda.
Direi disciplinata. Però lei di me può dire quel che vuole, è da anni la mia guida.

E tu come ti descriveresti?  
Determinata, dolcissima e protettiva. 

Domanda di rito, quanto sei Snob? 
Sembro molto snob e non ho ancora capito perché. Eppure mi dicono tutti di essere empatica. Probabilmente la mia immagine trasmette un distacco totale, ma in realtà sono una persona estremamente aperta. Anzi, non potrei essere così change maker, così proiettata. E la parola snob oggi dovrebbe essere antesignana, non una colpa. 
Non a caso voi lo fate in modo ironico, provocatorio. 

Per noi infatti ha un’accezione molto positiva rispetto a quella popolare. Per noi snob è colui che sceglie l’eccellenza. 
Se per Snob si intende la capacità di discernere qualità ed eccellenza, allora io vivo di quello, sempre nella speranza di poter vivere un mondo diverso, dove ci sia una capacità e una possibilità di espressione totale. 

MANIAC – tutto su Riki e le sue manìe

Esistono due tipi di persone, chi ha un totale disinteresse nei confronti della bellezza e chi della bellezza ne fa il proprio riflesso. Riki appartiene alla seconda categoria, fa parte di quelle persone i cui nervi si sentono ronzare intorno, alla persona, alle sue cose, alla sua casa.

La sua casa, uno spazio immerso nel bianco e nella luce, un appartamento che sembra scelto dal bisogno di ripulirsi da qualche rumore di sottofondo; ogni oggetto acquistato pare stimolarlo e cercare la sua attenzione, le sue cure; questa totale assenza del colore culla e trasporta, il minimalismo architettonico svuotato da ogni orpello emana un’energia zen.

E’ qui che Riki ricarica le batterie dopo i concerti, in uno stato d’animo calmo e distaccato pronto a cogliere ogni briciola di bellezza.

Accoglie il team di SNOB per un servizio fotografico, chiedendo gentilmente di togliere le scarpe e abbandonarle fuori dalla porta, come è d’uso nella tradizione giapponese. Camminiamo scalzi sul pavimento prontamente rivestito di cellophane per accogliere gli abiti di scena, quelli che dovrà indossare nei vari scatti.
L’atmosfera è ovattata, quasi eterea, il candore vellutato del tappeto panna accarezza il bianco della poltrona Utrecht di Cassina; di Riki, in total white in questa scena, buca solo il ghiaccio dei suoi occhi, che molto dicono ma molto lontano dal tenero.

Accanto alla poltrona, tre rami intersecati sembrano perdere l’equilibrio da un momento all’altro, sono una delle tante installazioni minimal che Riki ha scelto per scaldare l’arredo, eppure in questa pagina di vita, che è la sua casa, traspare una lettura di equilibri delicatissimi, quasi trasparenti, appunto come i suoi occhi.



Senza peritarsi della cura ossessiva per ogni angolo di loft, il cantante italiano riesce a far sparire la ruga sulla fronte, quando corrucciata trapela l’ansia che qualcosa possa essere spostato anche solo di qualche centimetro, nel momento in cui svela la sua doppia vita, che non è il profilo di Patrick Bateman di American Psycho, ma l’interior designer che c’è in lui. Perchè Riccardo Marcuzzo ha una laurea in Design del prodotto conseguita allo IED di Milano e non ha mai abbandonato il desiderio di professare in questo settore, tant’è vero che a breve potremo acquistare un’innovativa lampada di design che ha ideato in collaborazione con un grande brand.

Riki rivelaci di cosa si parla troppo del tuo lavoro e di cosa troppo poco.

Si è tutti carichi di pregiudizi, la gente fa delle radiografie sui personaggi pubblici, ci vedono come dei privilegiati che macinano soldi, ma nella musica non ci sono più i tempi dei Pooh!
A me hanno detto di essere entrato al 92mo, ho venduto molti dischi quando ancora era possibile, ma ora è tutto streaming e non si guadagna niente.
Ti vedono come uno stronzo che se la tira, che non lavora, ma ignorano l’impegno che c’è dietro un disco e una canzone.
Molti miei colleghi hanno la fortuna di fare una cernita delle canzoni che arrivano, per chi scrive invece è diverso, hai bisogno di storie da raccontare e in tempo di Covid e restrizioni è molto difficile.

Tu per chi scrivi canzoni?

Io scrivo per me stesso, per me è analisi, una valvola di sfogo, la pagina bianca come uno specchio che trova le parole che talvolta non sappiamo dire.
E’ un processo molto naturale, come un flusso di coscienza e vorrei le mie canzoni fossero sempreverdi, quando invece oggi la musica è fast food, si ascolta un pezzo e lo si butta via.
La musica oggi è come un post su Instagram, diventa vecchio.

Quali sono i processi di chi per mestiere fa il cantautore?

C’è chi scrive per contratto, e in quel caso si organizzano session in studio con autori e produttori e a fine giornata si è obbligati a tirar fuori qualcosa.
Poi ci sono cantautori come me che cercano di vivere la vita il più possibile aizzando le antennine e cercando di scrivere ispirato. Talvolta sono anche gli altri a farmi da “musa”, le loro storie, il fascino delle esperienze, ma il più delle volte le canzoni sono il mio diario.

Scrivi più quando sei triste o quando sei felice?

Scrivo quando sono molto felice o molto triste, non esistono per me le vie di mezzo.
Quando sono felice scrivo pezzi che fan venire voglia di ballare, quando sono triste butto fuori il dolore.

La verità è che scrivo i pezzi che vorrei ascoltare in quei momenti.

Durante la giornata quanta musica ascolti?

Pochissima. Quella di oggi non mi piace molto, viviamo su frequenze molto basse e anche la musica ne risente.
Del passato amo Battisti e De Gregori.

Vivi quindi l’era fast, lo sei anche nella vita privata?

A momenti.
Molti capolavori sono stati scritti in 5 minuti, succede come nella foto perfetta: quando tutte le combinazioni combaciano, il risultato è un capolavoro.


Descriviti con 3 aggettivi per vita privata e 3 per vita professionale
.

Lavoro:
– maniacale
– insicuro (fino all’ultimo metto in dubbio tutto, ma sono arrivato alla conclusione che le canzoni più sincere sono le più vere e quelle che arrivano dritto agli ascoltatori)
– sognatore (ho molti obiettivi e ci lavoro con calma, quando non li raggiungo non me ne faccio più una colpa)

Privato:
– sicuro
– diretto
– introspettivo (e credo nell’energia delle cose, dei luoghi, delle case)

Quanto è importante un’azione di marketing per un cantante?

La mia è stata bizzarra: ho tolto tutte le foto dai miei social e da quel momento un sosia viveva esattamente la mia vita; si faceva foto con i fan, postava sul mio profilo, rispondeva ai commenti, e tutti scrivevano “ti sei rifatto gli zigomi, hai levigato il naso, hai fatto operazioni agli occhi”.
Un cartellone enorme nel centro di Milano creato in partnership con gli Orticanoodles (un duo di street artist che hanno collaborato anche con Banksy) mi ritraeva nudo con la scritta “Rovinami”; le ragazze lasciavano dei cuori e i ragazzi scrivevano “Frocio”.
Io nel frattempo stavo in Sud America, volevo fare tutto il contrario di quanto ci si aspetti da un talent che esce da “Amici” di Maria De Filippi; una bella trovata sociale che ti fa capire quanto il successo si trascina dietro l’invidia.


L’ esperienza artistica più importante?

L’ Arena del Messico con davanti 30000 persone; ho dovuto imparare lo spagnolo in pochissimo tempo e fare interviste in una lingua diversa dalla mia, fatica e soddisfazioni.

L’ Auditorium di Buenos Aires, tante collaborazioni andate molto bene, una crescita professionale.

Ma è in Piazza del Duomo a Milano per RadioItalia che avevo più adrenalina in corpo: 80 mila persone ed un sogno che si avvera, cantare davanti al simbolo di Milano.

Nei palazzetti invece ci si sente in famiglia, è una sensazione di pace perchè entri in empatia con il tuo pubblico; mentre Sanremo è politica e non me la sono goduta molto.


Fai il cantante da soli 4 anni e hai raggiunto già molti traguardi, da dove arriva questo rigore?

Dal bello, quando me ne innamoro divento quasi psicopatico e ne porto immenso rispetto.

Nei rapporti hai la stessa ricerca di perfezione? Non permetti a nessuno di sbagliare?

Metto in conto l’errore, sempre, ma sono anche convinto che si possa fare meglio.

Imagine” di John Lennon, magari con una frase diversa avrebbe potuto essere ancora più bella di quanto già non lo sia.
In amore si sbaglia, ma credo nella statistica: è difficile arrivare nel momento perfetto nella vita di una persona.
Sono stato con una ragazza, 21enne commessa di un centro commerciale, quando io ne avevo 25, molto dolce e stava con me per quel che sono non per la mia popolarità, ma non eravamo allineati.

La vita ci rincorre ma ci sbaglia i momenti” lo scrivo in una mia canzone.



E l’esperienza emotiva più importante?

La nascita di mia sorella, avevo 14 anni. Testarda, riservata, matura.
E la nascita del mio studio di design; finita l’università lavoravo alla grafica e al prodotto e con i soldi che guadagnavo pagavo le registrazioni per fare un disco, dovevo avere almeno sei, sette pezzi da presentare ad “Amici”, Maria ha creduto in me e le devo molto.
Nella mia vita musica e design vanno di pari passo.

Raccontaci i retroscena della tua esperienza ad “Amici”

In una stanza molto piccola quando si è in tanti l’aria si fa pesante.
Nell’andare avanti del programma abbiamo iniziato ad odiarci tutti, un gruppo non ben omologato e i tempi morti in studio non aiutano, men che meno il sottoscritto che pensava di sprecarne troppo a stare con le mani in mano.
Ricordo che ero primo in classifica su Itunes e i ragazzi non facevano che criticarmi.
Un giorno, esausto, sono scappato, avrei dovuto finire un pezzo ma non potevo, non si scrive schioccando le dita.

Design e Musica, come farle combaciare?

Il design parla in una tutta la mia casa santuario, il luogo dove finiti i concerti vengo alla ricerca di tranquillità.

Lo trovo quando siedo sulla De Padova, quando bevo il caffè dalle tazzine Bluside in vetro chimico,
nei cucchiaini che ho carteggiato con le mie mani, tra le sculture africane del 1800/1900 AOC (African Oriental Craft), nella luce delle lampade Flos e sul tavolo in legno disegnato dai miei amici del Belgio dove ho spatolato del microcemento perchè mi diverte!

Ma chi pulisce la casa?

Fino a due mesi fa io perchè non mi fidavo di nessuno, ho sempre paura si rompa qualcosa, o che si spostino oggetti da dove sono stati collocati al centimetro.
Ma impegnava troppo tempo e ho dovuto cercare un aiuto domestico, una ragazza a cui ho fatto
del terrorismo psicologico (ridiamo) e che ha le mani così delicate da riuscire a spolverare anche i fiori, che mia madre per farmi un dispetto aveva fatto cadere apposta!

Obiettivi futuri?

Sto lavorando a nuovi singoli, in uscita in primavera e in estate.
In parallelo ho firmato una collaborazione con un grosso brand di design, ho disegnato una lampada “Per 2”, metafora della ricerca dell’anima gemella che, una volta trovati i due pezzi, si uniscono e si accendono.

Tra i miei sogni c’è anche l’idea di recuperare case ridandogli valore e bellezza.

Talent Riki

Agency Newco Management

Ph Marco Onofri

Interview, styling Miriam De Nicolo’

Grooming Paolo Sfarra

Federica Tosi: espressione minimalista Made in Italy

Federica Tosi nasce a Roma nel 1978. Precedentemente al suo lavoro nell’ambito della moda, studia Lingue e accumula esperienze in ambito commerciale.

Nel 2013 lancia il suo omonimo brand, l’evoluzione del marchio Luxury Fashion fondato nel 2007.

Federica Tosi è un brand dalla visione innovativa e contemporanea. Minimalismo e carattere sono gli elementi base della collezione, arricchita da elementi Swarovski per effetti sparkling sorprendenti.

 

Federica Tosi fw16 lookbook
Federica Tosi FW 16/17 lookbook

 

 

Un viaggio negli States si rivela  un’importante svolta nella tua vita: raccontaci di questa straordinaria esperienza che ti ha cambiato la vita.

Era il 2006 e camminando per le vie di Miami ho notato una certa calca attorno alla bancarella di una ragazza che customizzava cellulari con pietre e piccoli dipinti. Osservandola, ho pensato che il segreto di tanto successo derivasse dalla scelta di un oggetto di uso comune e quotidiano. Così, una volta tornata in Italia, ho provato a replicare il fenomeno, utilizzando però pietre più preziose come gli Swarovski. In seguito al passaparola, le mie creazioni sono state notate da Eleonora Sermoneta, titolare di una celebre boutique romana. E’ stata lei la prima persona a vedere del potenziale in me: mi ha spinta a trasformare quello che era un hobby in un lavoro. Ho così iniziato a personalizzare moltissimi oggetti secondo il gusto e le richieste delle clienti, inclusi alcuni bijoux. Di lì a poco ho fondato una vera e propria società con un’amica, che in breve tempo ha catturato l’attenzione degli addetti del settore e non.

 

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Federica Tosi FW 16/17 lookbook

 

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Federica Tosi FW 16/17 lookbook

 

 

Il tuo omonimo brand è in realtà l’evoluzione di Luxury Fashion, progetto sartoriale nato nel 2007. Cosa ti ha spinta in questo cambio di rotta?

Il cambio di rotta è avvenuto nel 2013 in seguito alla proposta da parte di una nota azienda di produzione di realizzare una capsule di abbigliamento in licenza. E’ scaturita, da qui, l’idea di affiancare alla bigiotteria anche alcune proposte ready to wear. Nel 2015 ho deciso poi di intraprendere più concretamente questa strada che mi appassiona, abbandonando l’identità societaria in favore di un progetto più personale.

 

 

Da cosa trai ispirazione?

Traggo ispirazione da tutto ciò che mi circonda: dalla mia città (Roma) e dai tutti i luoghi che ho la fortuna di visitare grazie al mio lavoro, ma anche e soprattutto dalle donne: amiche, clienti o sconosciute incrociate per strada. Penso che lo stile sia oltre la passerella e che gli spunti più stimolanti arrivino dal vivere quotidiano.

 

 

Il brand prevede anche una selezione di gioielli creati da te: parlaci di questo progetto.

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, i gioielli costituiscono il vero fulcro di ogni collezione. Ogni pezzo è caratterizzato da un design minimale ed è realizzato con l’ausilio di materiali preziosi – quali oro e argento – e cristalli Swarovski. Questa scelta stilistica è dettata proprio dalla volontà di “fondere” il gioiello con ciascun capo di abbigliamento in un unicum sofisticato e non convenzionale.

 

Federica Tosi jewels131 2 3

 

 

 

Qual è il momento della tua giornata in cui ti senti più creativa?

Sicuramente la sera, dopo cena. E’ il momento della giornata in cui posso rilassarmi e dar sfogo a tutta la mia creatività.

 

 

Se tu non fossi diventata una fashion designer, cosa saresti oggi?

Se non avessi intrapreso questa strada, mi sarei sicuramente accostata all’ambito commerciale. Ho sempre avuto un certo spirito imprenditoriale. In realtà faccio già un altro lavoro al quale dedico tutte le mie energie: sono madre di tre figli.

 

Orecchini snake oro rosa
Orecchini snake oro rosa e cristalli Swarovski

 

Federica Tosi jewels132

 

 

 

Chi è la donna che indossa le tue creazioni?
E’ una donna alla ricerca del nuovo, degli ultimi trend. Una donna che può avere trenta, ma anche cinquant’anni, e che ama vestire con stile.

 

 

Guardiamo al futuro: come ti vedi da qui a cinque anni?

Mi vedo super impegnata con il mio brand. Spero davvero che diventi una realtà di riferimento nel fashion system!

 

 

 

 

 

Per maggiori informazioni www.luxuryfashion.it

 

 

Photo courtsey Studio DModa

 

Laura Forte: gioielli primitivi nati da un’emozione

Laura Forte è una giovane jewerly designer che matura la sua predisposizione artistica in età adolescenziale.

La sua arte è primitiva, emozionante. Nasce da un viaggio interiore, dal silenzio ma anche dal caos della vita quotidiana.

 

 

Laura, parlaci della tua passione per il gioiello: quando ha avuto inizio?

È una passione che mi accompagna fin dall’adolescenza e che, come ogni cosa che ci appartiene, è maturata nel tempo e si è ampliata. Quello che da sempre mi affascina è la possibilità di trasformare pensieri e visioni in immagini, oggetti che trasudano anima. In questo senso l’oreficeria fonde in sé arte ed immaginazione, motivo per cui è divenuta la traduzione della mia natura, della mia interiorità.

 

Come definiresti le tue creazioni?

Come dicevo, la possibilità di dare forma alla mia natura, alla mia interiorità ha fatto dell’oreficeria una calamita.   Le mie creazioni raccontano di me, delle emozioni che vivo, del modo in cui percepisco ciò che mi circonda. Sono la mia prospettiva, il mio sguardo sul mondo.

Anello "Origin" vincitore del premio Jevelevent-Terra
Anello “Origin” vincitore del premio JEVELEVENT-TERRA

 

 

Chi potresti definire tuo mentore?

Tutti e nessuno. Sono spesso ispirata dal mondo, dalla vita, dalla natura, ma anche dal nulla, dal vuoto, dalla noia evidentemente. Dal gioco della vita che sempre, allo stesso modo, interferisce con i miei pensieri, con le mie emozioni. Fondere l’arte per creare nuovi concetti espressivi, questo è il mio gioiello.

 

Da cosa ti lasci ispirare?

Sono un’ attenta osservatrice di ciò che mi circonda e di chi mi circonda. Delle assenze percepite negli sguardi, degli scorci, dei colori, dei suoni, del bianco e nero. Traggo idee dalle mie passioni come la fotografia  innanzitutto, ma anche la letteratura, la poesia, la musica.

Irregular Geometries. Orecchini in oro e argento e smalti
Irregular Geometries. Orecchini in oro e argento e smalti

 

 

Di recente ti sei classificata prima al concorso JEVELEVENT-TERRA con il gioiello “Origin”: ci spieghi da cosa hai tratto ispirazione e quale messaggio vuole inviare la tua opera?

Origin” rappresenta per me il punto di inizio, la rinascita. Nella sua nuda essenzialità racchiude una travolgente ed inaspettata forza vivificante. Una terra arida, all’apparenza sterile, eppure gravida, capace di dare vita alla vita.

 

Cosa stai progettando, attualmente?

È certamente un magma in continua evoluzione, fa parte dello stupore e dell’osservazione. Attualmente sto lavorando allo studio di forme e colori in relazione al mondo della moda.

 

 

Per conoscere l’intera collezione www.lauraforte.it

 

Photo courtesy Laura Forte