E’ appena iniziata la stagione invernale e tantissimi sono i modelli di capispalla proposti sulle passerelle: largo a cappotti originali e proposte sempre nuove, per un autunno/inverno 2016-2017 ricco di brio e fantasia. Non mancano modelli oversize, per proporzioni cocoon, perfetti per affrontare il grande freddo.
Full immersion nel colore, per nuance fluo, dal giallo canarino al verde e al rosa. Protagonisti delle sfilate, i cappotti uniscono grande femminilità a estro e brio. Tra le tendenze più eclatanti lo stile militare, per capispalla dai tagli rigorosi e dalle suggestioni mannish: a proporcelo è Mulberry, seguito da Prada, Burberry, Marni, mentre Max Mara rispolvera gli anni Trenta, per una donna dallo charme unico.
Capo passepartout per eccellenza, torna anche quest’anno la mantella. L’abbiamo vista da Salvatore Ferragamo, Chloé e Pascal Millet. Sobrietà e suggestioni minimal-chic nel cappotto vestaglia, dalle linee fluide e dall’ampio scollo, col punto vita strizzato in una cintura. Tanti i modelli proposti, a partire da Pascal Millet e Barbara Casasola.
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Aigner
Anteprima
Blugirl
Boss
Cedric Charlier
Chanel
Hussein Chalayan
Christopher Kane
Cristiano Burani
Jil Sander
Loewe
Max Mara
Max Mara
Max Mara
Emilio Pucci
Rochas
Ermanno Scervino
Tory Burch
Tommy Hilfiger
Ungaro
Versace
Tra colori vitaminici e l’eleganza del black and white, torna il tartan, rivisitato in chiave contemporanea. Largo a motivi check, per outfit ricchi di colore e stile. Moltissimi sono i brand che hanno sposato questo trend, da Burberry a Jacquemus a N.21. In un caleidoscopio di idee e proposte, non resta altro che scegliere quale modello fa per voi.
Da sempre passepartout del guardaroba femminile, la gonna a ruota è un capo iconico che vanta una lunga storia: dagli anni Cinquanta ad oggi rappresenta la quintessenza della femminilità. Anche l’Autunno/Inverno 2016-2017 vede tanti modelli per un must have irrinunciabile.
Proporzioni over e versatilità, la gonna a ruota non passa mai di moda ed è perfetta per ogni occasione: da sfoggiare in ogni stagione, è un capo che ben si adatta sia al giorno che alla sera. Declinata in tutti i colori e in tutti i tessuti, dal cotone al jacquard di seta, l’iconico capo dalle suggestioni vintage piace sempre più anche perché riesce a valorizzare ogni tipo di fisico.
Dalle curvy alle più esili, la full skirt sta bene a tutte: tante le proposte per questa stagione invernale, non solo sulle passerelle ma anche nei principali portali di e-commerce. Da ASOS a Missguided, innumerevoli sono i modelli di gonne a ruota, declinati in chiave casual e gran soirée.
(Foto: Pinterest)
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Uno shoot con Natalia Vodianova
L’eleganza senza tempo della gonna a ruota
Un modello Asos
Baum und Pferdgarten
Closet London
Missguided
Closet London
Ted Baker
True Decadence
Missguided
Correvano i mitici Fifties e la gonna a ruota vantava già una lunga lista di star che non perdevano occasione di sfoggiare il fashion trend, da Lauren Bacall alla splendida Audrey Hepburn in “Vacanze romane”, celebre pellicola in cui la diva sdogana la gonna a ruota girando per le vie della Capitale a bordo di una Vespa in compagnia di Gregory Peck. Tra le attrici che più volte hanno indossato l’iconico capo anche Sophia Loren e Grace Kelly. Indimenticabili le mise create per quest’ultima dalla celebre costumista premio Oscar Edith Head, che esaltò la bellezza della diva con sapienti cuciture e tessuti preziosi, vestendola in pellicole che hanno fatto storia, da “Caccia al ladro” a “La finestra sul cortile”.
Audrey Hepburn e Gregory Peck in Vacanze Romane (1953)
Grace Kelly e Lauren Bacall (Foto: Shoeplay)
Due modelli di gonna a ruota, 1959 (Photo by Chaloner Woods/Getty Images)
Se volete fare scorta di gonne a ruota ma non avete a disposizione un grande budget, tanti sono i siti che fanno al caso vostro, dal delizioso ModCloth, che vanta uno stile vintage estremamente accattivante, ad ASOS, che propone un’ampia gamma di modelli, dal cotone alla seta plissettata fino al jacquard. Tante proposte anche sull’inglese Missguided. Cosa aspettate?
Ha incarnato lo stile degli anni Settanta, è stata una supermodella dall’allure intramontabile, uno dei volti più belli di Hollywood ma soprattutto un’icona leggendaria: Lauren Hutton, sublime rappresentante dell’American Style, ha vissuto una vita quasi romanzesca.
Anticonformista e naïf quanto basta per non lasciarsi inghiottire dai meccanismi del potere e dai diktat di Hollywood, l’attrice dall’indole ribelle e dalla bellezza acqua e sapone è sempre rimasta con i piedi per terra. Lei, che è stata una delle supermodelle più pagate della storia, non avrebbe mai intrapreso questa strada se non avesse avuto bisogno di denaro. “Se non fossi stata povera non avrei mai fatto la modella”, ha dichiarato in un’intervista a Town & Country, con la spontaneità di chi nonostante la fama e il denaro è rimasto sempre intrinsecamente estraneo al circo mediatico. Lei che al glamour e alle passerelle ha preferito la vita a stretto contatto con le tribù africane, ha dichiarato con una punta di orgoglio di avere calcato il red carpet solo una volta nel corso della sua lunga carriera.
Carnagione dorata, capelli schiariti dal sole e l’inconfondibile sorriso, Lauren Hutton è nata a Charleston, South Carolina, il 17 novembre 1943. All’anagrafe Mary Laurence Hutton, i suoi genitori si lasciano quando lei è ancora in fasce. Lauren non ha mai conosciuto suo padre e questo avrà profonde ripercussioni sul suo rapporto con gli uomini. La madre si risposa quando lei è ancora piccola e le fa assumere il cognome del patrigno, Hall, sebbene la bambina non sia mai stata formalmente adottata da quest’ultimo. Lauren è uno spirito libero e un autentico maschiaccio, che ai giochi con le bambole preferisce la vita all’aria aperta e l’amore per la natura, trasmessole dal patrigno. La giovane cresce libera da ogni cliché e, come lei stessa ha dichiarato, totalmente analfabeta fino agli 11 anni, quasi un Huckleberry Finn in gonnella. Il patrigno le insegna a correre libera per i prati e a catturare i serpenti velenosi.
Lauren Hutton nel 1974 (Photo by Archive Photos/Getty Images)
Lauren Hutton in un caftano di chiffon firmato Halston, Vogue America, aprile 1973, foto di Richard Avedon
All’anagrafe Mary Laurence Hutton, l’attrice è nata a Charleston, South Carolina, il 17 novembre 1943
Lauren Hutton ritratta da Francesco Scavullo, 1975
Dopo aver conseguito il diploma alla Chamberlain High School di Tampa, Florida, nel 1961, la giovane è tra i primi studenti a frequentare la University of South Florida. Di Tampa dirà che per lei era “un posto magico”. Successivamente si trasferisce a New York con il suo compagno, il dj Pat Chamburs, di 19 anni più grande di lei. Nella Grande Mela la bionda Lauren inizia a sognare l’Africa e prova l’LSD. Avvenente e bisognosa di denaro, trova lavoro come cameriera di Playboy, proprio come Gloria Steinem e Debbie Harry. Ma se queste ultime animavano la vita notturna del mitico club come conigliette, lei prestava servizio lì solo all’ora di pranzo, posizione, questa, che veniva riservata alle ragazze tra i diciotto e i vent’anni. Secondo alcuni aneddoti è grazie a Playboy che Mary Laurence cambia il proprio nome in Lauren Hutton, ispirandosi a Lauren Bacall.
In seguito lei e Chamburs si spostano a New Orleans, dove Lauren frequenta il Newcomb College, all’epoca una succursale della Tulane University. Qui nel 1964 si laurea in Lettere. Tornata a New York inizia la sua carriera nella moda. La classe innata della giovane non passa inosservata nel fashion biz, e in breve Lauren Hutton diventa la ragazza copertina più richiesta. Ma la sua carriera -come da lei stessa dichiarato- inizia in realtà in modo quasi picaresco: la giovane si imbatte in un annuncio sul New York Times in cui s cerca una modella per Christian Dior. Ma, come sempre accade, è richiesta previa esperienza nel settore. Un amico del suo fidanzato dell’epoca la esorta ad andare comunque al provino. E quando ella ribatte di non avere alcuna esperienza, lui risponde, con grande nonchalance: “Certo che ce l’hai”. È così che la diva impara la sua prima grande lezione della sua nuova vita nella Grande Mela: mentire.
Lauren ottiene immediatamente il lavoro da Christian Dior, complice anche l’avere accettato una paga inferiore a quella che veniva offerta inizialmente. È la nascita di un mito: nonostante l’altezza non svettante e il sorriso non perfetto, con il caratteristico spazio tra gli incisivi, che da più parti le viene consigliato di nascondere, Lauren Hutton conquista un numero infinito di copertine e diventa la cover girl per antonomasia. Anni dopo la modella rivendicherà orgogliosamente quel piccolo difetto ai denti, asserendo che le conferiva un’aura familiare che mancava alle altre modelle. Lauren Hutton è un riuscito mix dell’intramontabile e sofisticato stile effortlessy-chic degli Hamptons e delle eccentriche stravaganze dello Studio 54, di cui diviene protagonista assoluta.
Incarnazione dell’American Style e icona di stile (Lauren Hutton su Vogue, 1977)
Lauren Hutton in Calvin Klein, foto di Richard Avedon, anni Settanta
Lauren Hutton in uno scatto di Terry O’Neill, anni Ottanta
L’icona in una foto di Jack Robinson, 1972
Quando incontra Diana Vreeland, alla celebre editor di Vogue basta un solo sguardo per capire che la giovane che si trova di fronte avrebbe fatto strada: “Hai una bella presenza”, le dice. E Lauren risponde, “Si signora, anche Lei”. La sua bellezza acqua e sapone e il fisico atletico la rendono la perfetta incarnazione dell’American Style: poco trucco e abbronzatura d’ordinanza, Lauren ai capi haute couture preferisce lo sportswear. “Lei è il meglio d’America”, disse di lei la Vreeland, consacrandola ad icona di stile. Fu la Vreeland a notarne per prima la fotogenia, dopo che Richard Avedon l’aveva scartata per ben tre volte. La sua bellezza a tratti anticonvenzionale ben presto fu immortalata dai più grandi: in primis proprio Avedon, che la ritrasse in alcuni scatti in movimento, divenuti poi celebri, ma anche Irving Penn, Francesco Scavullo, Henry Clarke. La spontaneità con cui Lauren posa davanti all’obiettivo e la joie de vivre che manifesta le conferiscono di diritto lo status di supermodella. Lauren Hutton appare sulla copertina di Vogue per 25 volte, record assoluto, e ottiene innumerevoli contratti come testimonial. È la prima modella a firmare un contratto a sei cifre con un brand di cosmetici: era Revlon e correva l’anno 1973. Hutton guadagna 400.000 dollari e non ha ancora compiuto 31 anni.
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Lauren Hutton nel 1973, foto di Richard Avedon
Lauren Hutton in uno scatto di Richard Avedon, 1973
Lauren Hutton nel 1971
Lauren Hutton negli anni Settanta, foto di Richard Avedon
Foto di R. Avedon, 1973
Ancora uno scatto di Avedon
Foto di Avedon
Foto di nudo firmata Richard Avedon, 1969
Lauren Hutton in uno scatto di Annie Leibovitz, 1981
Lauren Hutton nel 1980
Lauren Hutton nel 1978
Lauren Hutton nel 1971
Lauren Hutton, foto di Milton Greene, 1966
Lauren Hutton in uno scatto di Bill King, 1972
La modella in uno scatto di Gilles-Marie Zimmermann, 2008
Bellezza simbolo anni Settanta
Lauren Hutton nel 1977
Lauren Hutton, foto di Nicolas Wagner, 2000
Foto di Milton Greene, anni Sessanta
Lauren Hutton in uno scatto di Steve Shapiro, 1970
Lauren Hutton nel 1985
Lauren Hutton in una foto di Arthur Elgort, 1975
Uno scatto di Irving Penn
Lauren Hutton nel 1966, foto di Milton Greene
Foto di Helmut Newton, 1972
Lauren Hutton in una foto di Helmut Newton, 1989
Lauren Hutton fotografata da Helmut Newton, 1973
La bellezza acqua e sapone di Lauren Hutton
Foto di Irving Penn, 1980
Lauren Hutton ritratta da Irving Penn, 1980
Lauren Hutton, foto di John Stember, 1980
Lauren Hutton nel 1977
L’icona nel 1969
Uno scatto di Bettina Rheims
Lauren Hutton in uno scatto di Bert Stern, 1964
Foto di Richard Avedon, 1969
La bellissima icona in una foto degli anni Ottanta
Lauren Hutton nel 1975
Nel 1975 ottiene la cover di People. “She’s Got It All” (Lei ha tutto), recita il titolo di quella storica copertina; un brivido corre lungo la sua schiena nel constatare che ce l’ha fatta. Non è più la ragazza povera venuta dal Sud, ma è ormai un mito. Perfetta interprete dello stile Halston e di Basile, che la vestirà in “American Gigolo”, Lauren è ricca di sfaccettature: sublime incarnazione dello stile tomboy e un attimo dopo sirena dallo sguardo enigmatico e dalla sensualità felina, è ben presto chiaro quanto la carriera di modella le stia stretta. Lei sembra nata per recitare.
Nel 1968 il debutto al cinema in “Paper Lion”, a cui segue nel 1974 “The Gambler”. Tante sono le pellicole che la vedono protagonista, ben 44: in “Permette? Rocco Papaleo” di Ettore Scola recita accanto a Mastroianni. Ma il ruolo a cui deve la fama mondiale e che la consacra ad icona di stile è quello di Michelle Stratton, ricca adultera protagonista accanto a Richard Gere di “American Gigolo”. È il 1980 e il film è un tripudio di eleganza: un ancora semisconosciuto Giorgio Armani veste Gere, mentre lei indossa capi Basile, eccezion fatta per l’iconico trench, firmato Armani, che sfoggia con clutch rossa firmata Bottega Veneta.
Lauren Hutton alla 47esima edizione degli Oscar, Los Angeles, 1975
Lauren Hutton ha iniziato la sua carriera come cameriera di Playboy
Lauren Hutton, nel corso della sua carriera nella moda, ha posato per i fotografi più famosi, da Richard Avedon ad Irving Penn
L’icona fotografata da Milton Greene
Viaggiatrice incallita amante dell’avventura e centaura spericolata, nel 2000 l’attrice ha un grave incidente in moto, che per poco non le costa la vita. Dopo essersi unita ad un gruppo di motociclisti (tra cui spiccano Jeremy Irons e Dennis Hopper), per celebrare L’arte della motocicletta con una mostra al museo Hermitage-Guggenheim di Las Vegas, al confine tra l’Arizona e il Nevada la Hutton sbanda e perde il controllo della sua moto, mentre viaggia ad una velocità di 160 chilometri orari. La diva riporta fratture multiple ad una gamba e ad un braccio, fratture alle costole e allo sterno e un polmone perforato. Dopo quasi un anno di convalescenza si getta in una nuova avventura, creando una propria linea di cosmetici pensati per donne mature, “Lauren Hutton’s Good Stuff”, distribuita negli USA, ma anche in Europa e Sud America.
Lauren Hutton in uno scatto di Gianni Penati, 1968
L’attrice in uno scatto di Irving Penn, Vogue, 1968
Foto di Gianni Penati, 1968
Un celebre scatto di Richard Avedon, 1968
Lauren Hutton fotografata da Francesco Scavullo, 1975
La bellezza acqua e sapone di Lauren Hutton immortalata da Fred Seidman, anni Settanta
La vita sentimentale della diva è alquanto turbolenta: nonostante non si sia mai sposata e non abbia avuto figli, Lauren Hutton ha avuto una relazione durata ben 27 anni col il suo manager Bob Williamson, morto nel 1997. Williamson, reo di aver sperperato circa 13 milioni di dollari appartenenti al patrimonio dell’attrice, viene tuttavia ricordato da quest’ultima con sincero affetto. Pare infatti che l’uomo le abbia salvato la vita in cinque diverse occasioni. “Non ho avuto un padre e volevo essere protetta. Non ho mai visto uno strizzacervelli e c’era un disagio psicologico che andava certamente approfondito”, dirà successivamente l’attrice. Nel 1991 l’incontro sul set con Luca Babini, che la definì “una donna coi piedi per terra”. Femminista ante litteram, lo stile per lei coincide con l’essere se stessi. Splendida ancora oggi, ha dichiarato di aborrire il nero dal suo guardaroba. Nel 2013 ha rivelato di essere in procinto di scrivere la sua autobiografia, che secondo i rumours dovrebbe intitolarsi “Smile”, proprio come il suo sorriso, segno distintivo di uno charme senza tempo. Recentemente riportata sulla passerella di Bottega Veneta da Tomas Maier, ha sfilato in trench e clutch rossa, proprio nella mise indossata in American Gigolo, accanto ad una Gigi Hadid che la sovrastava in altezza ma non in stile.
Lo stile iconico di Lauren Hutton (foto di Fred Seidman)
Lauren Hutton nel 1977
Lauren Hutton, foto di Richard Avedon, 1971
Lauren Hutton in American Gigolo (1980), interpretazione che le diede la fama mondiale
Lauren Hutton in passerella per Bottega Veneta, P/E 2017
(Foto cover: Lauren Hutton in Halston, foto di Francesco Scavullo, 1975)
Poche donne al mondo possono vantare una vita degna di un romanzo d’appendice: Rosamond Bernier, icona di stile tra le più longeve al mondo, ha vissuto in modo a dir poco avventuroso, forte di uno spirito indomito e di una personalità poliedrica e versatile. Donna dalla smisurata levatura culturale, l’esperta d’arte più glamour del mondo nel corso della sua rocambolesca esistenza ha pilotato aeroplani, domato animali selvatici e rivoluzionato più volte la propria vita, reinventandola secondo il proprio gusto personale, grazie ad una innata capacità di gestire in modo a lei favorevole gli eventi storici e le vicende personali. F. Scott Fitzgerald l’avrebbe adorata, per la proverbiale nonchalance con cui affrontò anche i momenti più difficili, sempre impeccabile, tra fili di perle e capi haute couture. Tra le intellettuali più amate del Dopoguerra, Rosamond Bernier, oggi centenaria, vanta una lunga e sfavillante carriera in perenne bilico tra moda e arte. Tre matrimoni alle spalle e tanti viaggi per l’icona di stile, che ha vissuto ad Acapulco, Parigi e New York.
Rosamond Margaret Rosenbaum è nata a Philadelphia il primo ottobre 1916. Suo padre, il facoltoso avvocato ed ex colonnello dell’esercito Samuel R. Rosenbaum, è figlio di immigrati ebrei ungheresi. La madre, l’inglese Rosamond May Rawlins, muore quando Rosamond ha appena 8 anni. Rosenbaum tiene molto alla formazione della figlia e assume per lei una governante francese che le insegnerà anche la lingua. Rosamond cresce di bell’aspetto, con una figura elegante e uno charme innato. Il glamour fa già parte del suo DNA quando la vediamo suonare come arpista alla Philadelphia Orchestra Association, di cui il padre è vice presidente nonché membro del consiglio di amministrazione dal 1928 al 1967. Qui Rosamond, di indole timida, si trova davanti a personalità illustri, tra cui Leopold Stokowski, Otto Klemperer, Aaron Copland e Leonard Bernstein, che resteranno suoi amici per la vita. Rosamond studia in Francia, in Inghilterra e al Sarah Lawrence College di New York. Ma abbandona ben presto il college per convolare a nozze con Lewis A. Riley Jr., con cui si trasferisce ad Acapulco, in Messico, Paese in cui vivrà per ben dieci anni.
Sono gli anni Quaranta e il Messico è ancora uno scenario incorrotto, tra le baie mozzafiato e la natura lussureggiante. Rosamond possiede uno zoo privato in cui figurano leopardi, scimmie e uccelli tropicali; si ha perfino notizia di un pinguino da lei salvato sulla costa. Numerose sono le foto che la ritraggono in costume da bagno, accanto ai suoi amati animali. Il marito Riley possiede un piccolo aeroplano che le insegna anche a pilotare. Tuttavia l’indomita curiosità di Rosamond non riesce a farle apprezzare pienamente la sua nuova vita da americana espatriata e le atmosfere esotiche non sono sufficienti a placare il suo spirito, alla costante ricerca di novità. Ben presto la giovane inizia ad organizzare mostre ed esposizioni d’arte insieme al marito. Nel suo circolo di amicizie spiccano Malcolm Lowry, Frida Kahlo e Diego Rivera, solo per citarne alcuni.
Un ritratto di Rosamond Bernier, con collier Kenneth Jat Lane (foto di Jill Krementz)
Rosamond Bernier in caftano Zandra Rhodes a New York, durante una lezione d’arte al Metropolitan Museum of Art, 1972
Rosamond Margaret Rosenbaum è nata a Philadelphia il primo ottobre 1916
L’icona di stile predilige Chanel, Yves Saint Laurent, Balenciaga
Di Frida Kahlo dirà: “Il suo vocabolario, sia in inglese che in spagnolo, avrebbe fatto arrossire un camionista”. Fu proprio Rosamond Bernier a notare per prima la bellezza dell’artista, il suo stile iconico e, non ultima, la sofferenza derivante dalle tante infedeltà di Diego Rivera. Nelle sue memorie l’icona ricorderà che un giorno la celebre pittrice la prese da parte e le disse: “Vieni, ti sistemo io”. In pochi minuti Rosamond Bernier si ritrovò truccata e pettinata come la Kahlo, che la vestì secondo il suo stile, con le tipiche gonnellone a stampa patchwork e i gioielli in stile precolombiano.
Ricordando il periodo della sua vita trascorso in Messico, Bernier dirà: “Era un posto in cui sentivi che tutto doveva ancora essere inventato”. Lei ne amò l’architettura, l’arte popolare, i colori, la natura e il fermento culturale che proprio in quegli anni stava sbocciando.
Il matrimonio tra Rosamond e Riley giunge presto al capolinea. I due si lasciano senza serbare alcun rancore: lui si risposa con l’avvenente attrice Dolores Del Rio mentre Rosamond prende in affitto una casa di proprietà di Nada Patcevitch, moglie di uno dei capi di Condé Nast, Iva Patcevitch. Nel 1946 Rosamond si traferisce a New York. La sua formazione classica e l’interesse per le arti costituiscono quasi un unicum nel panorama intellettuale dell’epoca: Rosamond parla correntemente inglese, francese e spagnolo e possiede un amplissimo bagaglio culturale. Un nuovo prestigioso incarico non tarda ad arrivare: ad assumerla è Vogue America, la Bibbia della moda. Ed è proprio Patcevitch a notare per primo le sue qualità, insieme alla editor-in-chief Edna Chase e alla editor Allene Talmey. Dapprima Rosamond diviene fashion editor ma ben presto allarga la sua cerchia di indagine all’arte.
Nel 1947 Vogue la manda a Parigi per documentare la rinascita artistica e culturale della Capitale francese nel Dopoguerra. Qui la vita è difficile: Rosamond soffre il freddo e per la prima volta in vita sua si trova smarrita. “Non avevo idea di cosa dovessi fare”, dichiarerà anni dopo nelle sue memorie. Ma alla giovane non manca lo spirito di iniziativa: mette a punto una linea editoriale ben precisa e decide di partire da Marcel Proust, intervistando luoghi e persone associati al grande scrittore. Ad immortalare i suoi reportage il fotografo Erwin Blumenfeld. Il primo personaggio che intervista è Jean Cocteau. In breve l’editor stringe amicizia con Pablo Picasso, che ne adora l’accento messicano, Henri Matisse, Georges Braque, Fernand Léger, Joan Miró, David Hockney, Jerome Robbins, Max Ernst e Alberto Giacometti. Bernier risiede all’Hôtel de Crillon, dove può usufruire di molti privilegi, a partire dall’acqua calda. Perfettamente a proprio agio nei circoli bohémien, si diletta tra le stravaganze della baronessa Pauline de Rothschild, sua grande amica, che la ospita spesso a Château Mouton Rothschild.
Il secondo conflitto mondiale aveva lasciato cicatrici profonde in seno all’economia francese e l’haute couture stava lentamente riprendendosi. Come dichiarerà la stessa Bernier nella sua autobiografia, “Uno stipendio di Vogue all’epoca poteva nutrire un topolino ma i couturier erano straordinariamente carini con me”. Tra i suoi stilisti prediletti dell’epoca spicca Elsa Schiaparelli. Alexander Liberman, celebre art director di Vogue, si disse stupito, parlando di Rosamond Bernier, di come a volte proprio le persone più timide riescano ad osare di più. “Affascinò mia madre, il che non era impresa facile”, disse l’autrice Francine du Plessix Gray, figlia di Tatiana du Plessix Liberman e figliastra di Alexander Liberman. “Alex notò tutte le qualità che lei possedeva: carisma, intelligenza, sex appeal, preparazione artistica”. Rosamond aveva una grazia naturale ed era gentile con tutti, specie coi bambini, sebbene non divenne mai madre.
SFOGLIA LA GALLERY:
A 16 anni alla Philadelphia Orchestra
A sei anni col pony Teddy, Philadelphia 1922
Ad Acapulco nel 1938, dove Rosamond si trasferì col primo marito Lewis Riley
Col marito John Russell, critico d’arte del New York Times, sposato nel 1975
Il matrimonio fotografato da Richard Avedon
Con Mirò nel sud della Francia, 1979
Rosamond Bernier in abito Schiaparelli con Mirò, Barcelona, 1954
Rosamond Bernier in Oscar de la Renta
In Chanel, 1996
Rosamond Bernier con Karl Lagerfeld, intervistato da lei per Vogue nel 1996
L’icona nel suo appartamento di Manhattan
Tanti furono gli scoop collezionati dalla giovane, come quello sull’opera di Matisse alla Chapelle du Saint-Marie du Rosaire di Vence e i dipinti di Picasso al Castello dei Grimaldi ad Antibes, oggi divenuto il Musée Picasso. Intervistò Miró nella sua nativa Barcelona, con foto realizzate da Brassaï. Tra gli altri artisti intervistati Henry Moore e Fernand Léger. Quest’ultimo, notando la predilezione della Bernier per le sue opere più controverse, le disse: “Sei una brava ragazza, hai uno stomaco forte”. Durante un’intervista ad Henri Matisse, questi le consigliò di indossare una sciarpa gialla sul suo cappotto arancione Balenciaga. Inoltre riuscì anche ad intervistare Gertrude Stein, immortalata in una celebre foto realizzata da Horst P. Horst nel salone di Pierre Balmain. Non era semplice ritagliarsi una fetta di pubblico sullo sfondo del Dopoguerra, periodo storico in cui gli intellettuali europei erano dichiaratamente anti-americani. Eppure lei ci riuscì e la sua nazionalità americana non smetteva di destare sorpresa data anche la sua perfetta padronanza delle lingue europee.
Nella capitale francese Rosamond trovò un nuovo amore nel giornalista Georges Bernier. La loro storia d’amore durerà vent’anni ma il nome di Bernier nelle sue memorie viene menzionato raramente. Resasi conto che Vogue non dava alle sue interviste lo spazio dovuto, nel 1950 maturò la decisione di lasciare il magazine. Con il nuovo marito nel 1955 diede vita a L’Œil, mensile dedicato all’arte, il cui motto era “Tous les arts, tous les pays, tous les temps.” Bernier diresse il magazine dal 1955 al 1970. La sua massima ambizione era vedere leggere la sua nuova creatura sulla metropolitana e vederne la diffusione, dato anche il prezzo, pari ai 50 centesimi di oggi. Intanto lei era diventata a tutti gli effetti un’icona di stile. Dopo la fondazione di L’OEIL, Madame Grès confezionò per lei ben nove outfit. Presenza fissa dell’International Best Dressed List, Rosamond Bernier sfoggiava abiti da diva. Tra le firme del suo leggendario guardaroba spiccano Chanel, Yves Saint Laurent, Bill Blass, Zandra Rhodes e i gioielli di Kenneth Jay Lane.
Rosamond Bernier con Fernand Léger, foto di Robert Doisneau, 1954
Rosamond Bernier ritratta con Henri Matisse in uno scatto di Clifford Coffin, 1948
Ma ben presto anche la vita che si era creata a Parigi con tanto sudore va in frantumi e Rosamond è costretta ancora una volta a reinventarsi una nuova esistenza, quasi come un gatto dalle nove vite. Un bel giorno del 1970, dopo vent’anni di matrimonio, Georges Bernier le comunica che tra loro è tutto finito. Rosamond si ritrova improvvisamente divorziata e senza lavoro. Ma, granitica com’è, non si perde d’animo e decide di trasferirsi a New York. Qui si apre la terza fase della sua vita. La Grande Mela ha in serbo tante belle sorprese per lei: un nuovo lavoro e un nuovo amore. Rosamond diviene docente di arte al Metropolitan Museum of Art. Qui inizia a tenere lezioni su Matisse, Picasso, Léger, Max Ernst. È la nascita di un mito: le sue eccezionali doti oratorie sono chiare fin da subito e ottengono proseliti da tutto il mondo. Leonard Bernstein scrive di lei: “Madame Bernier ha il dono di una comunicazione di una spontaneità tale come raramente mi è capitato di incontrare”. Rosamond Bernier impartisce più di 250 lezioni di arte al Met dal 1971 al 2008. Inoltre tiene conferenze in numerosi musei di Parigi, come il Grand Palais, il Louvre e il Pompidou Center. Invitata a tenere lezioni di arte anche in India ed Israele, ha condotto interviste per la CBS e Canale Thirteen.
A New York Rosamond incontra anche l’amore della sua vita: è il critico d’arte John Russell, che aveva collaborato saltuariamente per L’OEil e che era da tempo innamorato di lei. Non si era perso una sua lezione al Met ed era solito mandarle fiori. Russell, pur di stare al suo fianco, lascia il suo lavoro al Sunday Times di Londra. Trasferitosi a New York, viene assunto dal New York Times. I due convolano a nozze nel 1975 con una cerimonia organizzata a casa del comune amico Philip Johnson. Tra gli invitati Pierre Matisse, Leo Castelli, John Ashbery, Virgil Thomson, Helen Frankethaler, Stephen Spender, Copland e Andy Warhol. Nel 2008 Russell muore e per lei arriva il ritiro dalle scene, dopo oltre 70 anni di carriera. Il 13 marzo 2008 tiene la sua ultima lezione al Met, dedicata alla sua vita nell’haute couture francese.
L’oratrice è anche autrice di libri di successo: numerosi sono gli aneddoti raccontati nelle sue autobiografie. In “Some of My Lives: A Scrapbook Memoir” (edito da Farrar, Straus and Giroux) ricorda Alberto Giacometti e Karl Lagerfeld. A renderla così amata sono state anche doti quali la sua umiltà e la sua eccezionale umanità, l’ironia, la disciplina e l’ottimismo. “Non mi considero in alcun modo eccezionale. Penso di avere avuto una fortuna eccezionale”, ha detto di sé.
La visita di Gertrude Stein al salone di Pierre Balmain, documentata dalle foto di Horst P. Horst. Sullo sfondo compare Rosamond Bernier
Rosamond Bernier (in cappa Yves Saint Laurent) e il terzo marito John Russell immortalati da Bill Cunningham al MET, 1991
Rosamond Bernier in uno scatto di Horst P. Horst (Foto: Vogue)
Numerose anche le onorificenze ricevute per il suo contributo alla cultura: nel 1999 ottiene la Legion d’Onore; nel 1980 le viene conferito il premio Chevalier de L’Ordre des Arts et des Lettres; nel 1999 il re Juan Carlos di Spagna le consegna il Cross of Order di Isabel La Catolica. Nel 1999 viene posizionata nella Hall of Fame dell’International Best Dressed List, grazie al suo stile iconico. Tra le sue pubblicazioni “Matisse, Picasso, Miró — As I Knew Them”, uno splendido volume illustrato edito da Alfred A Knopf, testo tradotto poi in francese, tedesco, spagnolo e italiano.
L’icona di stile, che ha da poco festeggiato il traguardo dei cento anni, abita ancora nell’appartamento sull’Upper East Side che ha condiviso per tanti anni con Russell, impreziosito dall’arredamento francese e dai moltissimi oggetti d’arte, come la scultura della coppia realizzata da Louise Bourgeois.
Una parte del suo guardaroba è stata inoltre da lei donata al Costume Institute del Met: trattasi di 19 outfit vintage dal valore inestimabile. Durante la sua ultima lezione, intitolata -neanche a farlo apposta- “Some of My Lives” (Alcune delle mie vite), sei mannequin indossavano alcuni dei capi a lei appartenuti. “Attraverso i vestiti”, disse l’icona in quell’occasione, “puoi raccontare la storia delle persone e dei tempi”.
Negli ultimi giorni molto si è detto su di lei: Agnese Landini Renzi, First Lady italiana, è amata e odiata in egual misura. Tanti sono i detrattori che si sono apertamente scagliati contro il suo stile, soprattutto dopo la visita ufficiale alla Casa Bianca di qualche giorno fa. La professoressa si è ritrovata immortalata su tutti i giornali e molte parole sono state spese sui suoi outfit.
Nata a Firenze nel 1976, Agnese Landini Renzi non è una fashion icon ma il suo stile tradisce un amore per la sartorialità italiana e una sobrietà che non guastano. Una predilezione per Ermanno Scervino, la First Lady italiana è stata spesso paparazzata in capi firmati dallo stilista toscano.
Il suo guardaroba non lesina in capi in pizzo macramè dalle trasparenze audaci e in bodycon dresses che ne esaltano la figura sottile. Ed Ermanno Scervino è lo stilista scelto anche pochi giorni fa per la cena alla Casa Bianca: forse il modello indossato dalla Landini per l’occasione, un lungo abito iperfemminile dalle caleidoscopiche trame in pizzo, non esaltava al massimo la sua personalità. Noi la preferiamo in capi dalle linee più sobrie e contemporanee.
Alcuni dei look sfoggiati da Agnese Landini (Foto: Oggi)
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Il Premier e la moglie alla Prima della Scala 2015
Agnese Renzi al Pitti Bimbo in Ermanno Scervino (Foto: Vanity Fair)
(Foto: Vanity Fair)
La First Lady ad Expo 2015 (Foto: Vanity Fair)
Agnese in Renzi in Valentino
Agnese Renzi in Valentino
(Foto: Lapresse)
Agnese Renzi in Ermanno Scervino
La First Lady alla sfilata Ermanno Scervino P/E 2016 (Foto: Vanity Fair)
Lo stile della First Lady
(Foto: Lapresse)
(Foto: Huffington Post)
Abitualmente la First Lady sfoggia abiti dal piglio minimal-chic, perfetti per il ruolo istituzionale da lei ricoperto ma anche idonei per esaltare il suo fisico sottile. Tra i brand prediletti anche Valentino, in un tripudio di made in Italy: ed era firmato proprio Valentino il lungo abito rosa sfoggiato pochi giorni fa durante la visita ufficiale alla Casa Bianca, con una delegazione al seguito, di cui facevano parte alcuni dei nomi che fanno grande l’Italia nel mondo, da Bebe Vio, campionessa paraolimpica, a Roberto Benigni. Gli outfit sfoggiati da Agnese Landini in più occasioni vedono una predilezione assoluta per nuance pastello e minimalismo raffinato. Per uno stile sobrio e garbato.
Agnese Renzi in Ermanno Scervino e Michelle Obama in Atelier Versace (Foto: Vanity Fair)
Sei mesi fa veniva dato l’annuncio: Gigi Hadid, global ambassador di Tommy Hilfiger, sarebbe stata la designer di un’esclusiva capsule collection del brand. L’attesa è finalmente terminata: la collezione moda Autunno/Inverno 2016-2017 disegnata da Gigi Hadid per Tommy Hilfiger è stata finalmente resa pubblica.
La modella, già musa del profumo The Girl di Tommy Hilfiger, si rivela brillante designer di una collezione dal mood sporty-chic e dalle suggestioni mariniere. Abiti e accessori in linea con la tradizione del brand americano: ancora una volta è la nautica il fil rouge della collezione, che ha debuttato in passerella durante la New York Fashion Week, lo scorso 9 settembre.
Una linea fresca e giovane, frizzante e ricca di fantasia. Pantaloni in pelle, lunghi abiti stampati, caban, pull intrecciati, jeans e dettagli da sportswear. I prezzi variano da 25 a 575 dollari. E’ possibile acquistare online i capi dal primo settembre, mentre nei negozi sono disponibili dal 10 settembre.
Gigi Hadid ha firmato la capsule collection Tommy Hilfiger per l’autunno/inverno 2016-2017
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La top model indossa una delle creazioni disegnate da lei stessa per Tommy Hilfiger
Si è appena conclusa la 73esima Mostra Internazionale d’Arte cinematografica di Venezia. Tanti i red carpet da sogno, anche se non sono mancate clamorose cadute di stile. Venezia si riconferma capitale del glamour per l’evento più atteso da paparazzi e maniaci dello stile.
Tanti i film presentati in quest’edizione, che ha visto come madrina l’attrice Sonia Bergamasco. Ironica e versatile, l’abbiamo ammirata nei suoi outfit, caratterizzati da eleganza discreta e raffinata. Ma a rubare la scena alla madrina è stata la top model ungherese Barbara Palvin, testimonial L’Oréal Paris: la splendida modella è apparsa acqua e sapone, bella come nessuna, immersa nelle acque del Lido.
Tra le protagoniste del Festival del Cinema di quest’anno anche la bellissima Bianca Balti, che ha sfoggiato un trench della linea disegnata da Jean Paul Gaultier per OVS. Occhi puntati anche sulle fashion blogger, che si sono contraddistinte per la loro eleganza: su tutte brilla Chiara Ferragni, che ha scelto Philosophy by Lorenzo Serafini. Splendente sul red carpet Eleonora Carisi: appeal da vera diva per la blogger torinese. Dieci e lode. Perfetta anche la fashion editor Giovanna Battaglia, che ha scelto un abito Giambattista Valli Couture.
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Chiara Ferragni in Philosophy by Lorenzo Serafini
Chiara Mastroianni in Giorgio Armani Privé
Amy Adams in Tom Ford, scarpe Jimmy Choo e gioielli Bulgari
Eliana Miglio in Vivienne Westwood
Eva Herzigova in Alberta Ferretti e gioielli Chopard
Suki Waterhouse in Dolce & Gabbana
Ilaria Spada in Giorgio Armani
Margherita Buy in Giorgio Armani (foto: Getty Images)
Anna Foglietta in Tommy Hilfiger
Bianca Balti in Jean Paul Gaultier per OVS e gioielli Chopard
Carolina Crescentini in Gucci
Catrinel Marlon in Blumarine
Chiara Biasi in Alberta Ferretti
Dakota Fanning in Miu Miu
Diane Kruger in Elie Saab
Farida Khelfa in Schiaparelli
Emilia Jones in Peter Pilotto
Francesca Michielin in N°21
Gemma Arterton in Giorgio Armani
Giovanna Battaglia in Giambattista Valli Couture
Grace Gummer in Valentino
Giulia Bevilacqua in Antonio Grimaldi
Giulia Elettra Gorietti in Twin-Set
Lauren Santo Domingo in Valentino
Valentina Lodovini in Ermanno Scervino
Caterina Murino in Dolce & Gabbana
Natalie Portman in Valentino, gioielli Bulgari
Marina Rocco in Ermanno Scervino
Matilde Gioli in Valentino
Paola Cortellesi in Alberta Ferretti
Alicia Vikander in Louis Vuitton, gioielli Bulgari
Chiara Mastroianni in Gucci
Eleonora Carisi in Alberta Ferretti, gioielli Buccellati
Amy Adams in Stella McCartney
Sonia Bergamasco in Giorgio Armani
Lily-Rose Depp in Chanel (Foto: Getty Images)
Teresa Palmer in Prada
Cristiana Capotondi in Ermanno Scervino e gioielli Pomellato
Rocio Munoz Morales in Ermanno Scervino
Laura Adriani in Philosophy by Lorenzo Serafini
Eva Riccobono in Giorgio Armani Privé
Anna Safroncik in Alberta Ferretti
Belen Rodríguez in Alberta Ferretti
La top model Liya Kebede
Il Leone d’Oro per il cattivo gusto va senz’altro a Giulia Salemi e Dayane Mello: le mise sfoggiate dalle due attrici poco o nulla lasciavano all’immaginazione. La già dubbia gradazione fluo dei due vestiti veniva completata dall’assenza della lingerie: impossibile non ripensare a Belen Rodríguez, che fece molto discutere in una passata edizione del Festival di Sanremo per aver usato la medesima provocazione. Ma qui l’effetto è stato persino peggiore e dirompente la potenza mediatica che ne è derivata: viene da chiedersi cosa spinga due avvenenti ragazze a calcare un red carpet -da sempre sinonimo di eleganza- così agghindate. Agli spettatori resta un ultimo rifugio, nella nostalgia per il glorioso passato, quando il divismo era ancora sinonimo di stile.
La top model ungherese Barbara Palvin (Foto: Ansa)
Giulia Salemi e Dayane Mello: le loro mise succinte hanno fatto molto discutere
Prossima apertura a New York per 10 Corso Como, il concept store milanese fondato da Carla Sozzani: la Howard Hughes Corporation ha infatti annunciato l’apertura di uno spazio newyorkese per giugno 2017. Il progetto rientra nel piano di rivitalizzazione del Seaport District: nel progetto sono previsti 1.300 metri quadri e disegni realizzati dall’artista americano Kris Ruhs.
10 Corso Como, fondato nel 1991 da Carla Sozzani, conta già delle sedi a Seoul, Shanghai e Beijing. Lo store meneghino si appresta a diventare punto di riferimento anche nella Grande Mela proprio nel venticinquesimo anniversario. Non solo fucina di talenti ma anche punto di ritrovo, caffetteria, food, arte e cultura.
Il progetto nasce dalla collaborazione tra The Howard Hughes Corporation -gruppo real estate che sta ristrutturando l’area di Seaport District per un investimento di 500 milioni di dollari -e la Sozzani. Inoltre è previsto anche un restyling del flagship milanese.
L’eclettico stilista tarantino ha creato una collezione appositamente per il più grande department store nipponico, Isetan Shinjuku . Una capsule collection basica, chiamata appunto Givenchy Essential, che pur mantenendo i tratti fisionomici della griffe parigina, strizza l’occhio allo stile giapponese.
La collezione declinata nei toni noir, mostra un carattere metropolitano. Pantaloni e biker jackets decorati con un tripudio di borchie. Il kimono, capo simbolo della nazione è stato rivisitato adattandolo alla moda corrente: diviene così un gilet ampio o un capospalla chiuso in vita da una cintura folkloristica.
La reinterpretazione del samurai secondo Riccardi Tisci per Givenchy (fonte immagine tylium.com)
Emblema della collezione è la jumpsuit basica decorata da un obi su fianchi.
E’ un samurai metropolitano quello descritto da Tisci, che indossa nagabakama midi, sweatshirt e leggings.
Una contaminazione stilistica per lei e per lui che sviluppa una collezione che mantiene alti gli standard qualitativi di Givenchy.
Givenchy Essenzial, la capsule collection che “rende omaggio alla ricchezza della cultura giapponese” – come hanno tenuto a precisare dall’azienda – verrà commercializzata all’interno di un pop up store, allestito presso Isetan Shinjuku a Tokyo dal 7 al 13 settembre 2016.
La collezione Givenchy Essential è dedicata esclusivamente al mercato giapponese (fonte immagine lesfacons.com)
La campagna pubblicitaria dedicata alla collezione è stata svelata sull’account ufficiale di Givenchy ed è stata scattata da Max von Gumppenberg e PatrickBienert. Il video è stato girato da Valentin Glemarec, sotto la direzione creativa di Tisci.
Non cessano le collaborazioni che la stilista italo-haitiana Stella Jean firma con i brand nostrani.
Proprio una settimana fa vi raccontavamo del contributo che Stella darà al noto marchio di moda ed intimo United Colors of Benetton (leggi la notizia cliccando qui).
Nelle ultime ore è stata confermata una nuova partecipazione della designer e stavolta per il marchio Marina Rinaldi.
Il brand dedicato esclusivamente alle donne curvy ha chiesto ed ottenuto una collaborazione di Stella Jean che molto probabilmente interverrà sulle stampe dando vivacità ai capi di Marina Rinaldi, sempre molto garbati e seriosi.
La capsule collection primavera/estate 2017 di cui ancora non si hanno le specifiche, verrà presentata in anteprima il 23 settembre in occasione della Milano Fashion Week.
Fashion editor, icona di stile, talent scout e musa di stilisti: Isabella Blow è stata una delle figure più influenti del fashion biz. La definirono “la cappellaia matta”, per quella sua passione per i cappellini. Uno stile stravagante, il suo, a tratti dark e a tratti fiabesco, ed una sensibilità forse rara nel mondo della moda, che divenne il suo tallone d’Achille, conducendola ad un destino tragico.
Scopritrice di talenti del calibro di Philip Treacy e Alexander McQueen e talent scout delle modelle Sophie Dahl e Stella Tennant, anima creativa, per Isabella Blow la moda era un mezzo di autodeterminazione ed espressione di sé: “Se sei bella, non hai bisogno di vestiti. Se sei brutta, come me, sei come una casa senza fondamenta; hai bisogno di qualcosa per costruirti”.
Indimenticabile il suo caschetto nero, su cui facevano capolino i cappelli scultorei, che caratterizzavano il suo stile. Si è appena conclusa a Sydney “Isabella Blow: A Fashionable Life”, una mostra dedicata alla sua vita. A ricordare la sua figura anche un film in prossima uscita (clicca qui per saperne di più), dedicato alla sua amicizia con McQueen, di cui fu musa e pigmalione. Fu proprio lei infatti a fiutarne per prima l’incommensurabile talento. Ad unirli sarà la stessa tragica sorte.
Isabella Blow nacque a Londra il 19 novembre 1958
Isabella Blow nacque in una famiglia aristocratica, primogenita di quattro figli
Isabella Blow immortalata a New York da Steven Meisel
Isabella Blow (all’anagrafe Isabella Delves Broughton) nacque a Londra il 19 novembre 1958 e crebbe in una famiglia aristocratica: era infatti la primogenita di Sir Evelyn Delves Broughton (dodicesimo baronetto Broughton, nonché figlio di Jock Delves Broughton, celebre protagonista del film “Misfatto bianco”) e dell’avvocatessa Helen Mary Shore. Ma l’idillio della sua infanzia, immersa nel verde della campagna inglese, venne presto drammaticamente turbato dal divorzio dei genitori e soprattutto dalla tragica morte del fratellino John, che muore annegato in piscina a soli due anni. La versione raccontata dalla stessa Isabella, che all’epoca aveva solo cinque anni, vuole che la madre si sia allontanata per un momento dai quattro figli per andare a mettersi il rossetto. La morte del fratello sconvolge profondamente il suo animo, già fragile.
Isabella studia alla Heathfield School (l’attuale St Mary’s School) e inizia a lavorare come segretaria. Dopo il diploma, nel 1979 si trasferisce a New York per studiare Arte cinese alla Columbia University. Nella Grande Mela divide l’appartamento con l’attrice Catherine Oxenberg. Un anno dopo lascia l’università per trasferirsi in Texas, dove lavora con Guy Laroche. Nel 1981 convola a nozze con Nicholas Taylor, dal quale divorzierà due anni dopo. Inoltre in questo periodo inizia la sua carriera nel fashion biz. Viene infatti presentata alla direttrice dell’edizione americana di Vogue, Anna Wintour. Isabella viene dapprima assunta come sua assistente e più tardi diviene l’assistente di Andre Leon Talley, redattore capo di Vogue. Mentre lavora a New York spiccano tra le sue frequentazioni Andy Warhol e Jean-Michel Basquiat.
Isabella Blow in uno scatto di Steven Meisel, 1993
Uno degli outfit sfoggiati dalla fashion editor (Foto: Vogue.com)
Isabella Blow in uno scatto di Helmut Newton
Isabella Blow in una foto del 1996
Tantissimi sono i lavori precari che Isabella si trova a svolgere, dopo essere stata diseredata dalla famiglia d’origine. La fashion editor lavora anche in una lavanderia. Nel 1986 Isabella torna a Londra: qui inizia una collaborazione con Michael Roberts, direttore del Tatler e del Sunday Times Style, incarico da lei assunto nello stesso anno. Isabella tiene una sua rubrica di stile sul Sunday Times Style e un suo spazio dedicato alla moda su Vogue UK. Nel 1989 sposa il suo secondo marito, il mercante d’arte Detmar Blow. Il primo incontro tra i due aveva avuto luogo durante un matrimonio. Blow le disse che amava il cappellino che lei indossava per l’occasione. Solo sedici giorni dopo arrivò il fidanzamento ufficiale. Indimenticabili le foto del loro matrimonio in stile medievale, celebrato nella cattedrale di Gloucester: la fashion editor sfoggiava un’acconciatura di Philip Treacy. Con lo stilista nacque un sodalizio artistico tra i più prolifici della storia della moda: un’amicizia autentica legava i due. Isabella, che amava indossare estrosi cappellini a corredare ogni suo outfit, offrì a Treacy ospitalità nel suo appartamento londinese, permettendogli di mettere a punto la sua collezione e divenendo sua musa. Isabella indosserà per tutto il corso della sua vita i cappellini disegnati da Treacy.
Innumerevoli le creazioni al limite del surrealismo indossate dalla fashion editor, dal celebre Lobster Hat, con tanto di aragosta, al reticolato di Swarovski, dalla maschera di pizzo, che ricorda un’armatura, all’elmo di piume nere, dal copricapo da folletto decorato con pon pon nero fino al copricapo nuziale, dalle suggestioni altere, che ricordavano quasi Lady Macbeth. Per lei, interprete del più autentico stile british, il cappello rappresentava quasi una parte di sé e non un mero ornamento. Quando, durante un’intervista del 2002, le venne chiesto come mai indossasse sempre i suoi bizzarri copricapi, lei rispose così: “Per tenere tutti lontano da me. Dicono: posso baciarti? E io rispondo: No, grazie mille. Ecco perché indosso il cappello. Arrivederci. Non voglio essere baciata da chiunque. Voglio essere baciata solo dalle persone che amo.”
SFOGLIA LA GALLERY:
Isabella Blow con Alexander McQueen, 2004
La Blow con uno dei suoi celebri cappellini
Isabella Blow ritratta da Rankin, 2000
Isabella Blow in una foto di Gauthier Hallet, Self Service #17
Isabella Blow in una foto di Ezra Petronio per Self Service #20
Isabella Blow in una foto di Arthur Elgort
Isabella Blow alla settimana della moda parigina
La celebre fashion editor nel suo ufficio
Isabella Blow alla Paris Fashion Week, foto di Bill Cunningham, anni Novanta
Isabella Blow su Vogue Russia, 2002
Isabella Blow immortalata da Tim Walker per Vanity Fair 2007
Una foto della fashion editor
Isabella Blow con cappellino Philip Treacy (Foto Chris Moore)
Ma Philip Treacy non fu il solo ad essere scoperto dalla fashion editor: correva l’anno 1992 quando Isabella Blow fiutò uno dei talenti più geniali della moda. Durante la cerimonia di chiusura della Saint Martins School of Art, in una sala sovraffollata, la fashion editor viene folgorata dalla collezione di un esordiente: trattasi di Alexander McQueen. Entusiasta, Isabella acquista tutti i pezzi della collezione del giovane designer al costo di 5,000 sterline. Sono tutti i risparmi che possiede. Ma lei è imperturbabile, sicura del suo intuito, e paga quella cifra in rate settimanali da 100 dollari. È l’inizio di un’amicizia che durerà una vita intera, ma anche di un legame lavorativo che toccherà vette stilistiche inusitate. Tante le foto che immortalano Isabella al fianco di McQueen, come lo shooting per Vanity Fair, firmato da David LaChapelle nel marzo 1997. Fu grazie all’operato di Isabella Blow se nella Londra anni Novanta emerse un nuovo fermento artistico: mentre il genio di McQueen si affermava prepotentemente (“God save McQueen” diviene il motto dell’epoca), Isabella scopre Sophie Dahl e le blasonate Stella Tennant e Honor Fraser. Della Dahl, forme burrose su un viso da bambola, dirà: “È una grande bambola con il cervello”. Le sue aristo-modelle si imposero immediatamente come i volti rivelazione del decennio, e grazie a lei la nobiltà inglese e i salotti chic sbarcarono sulle passerelle, in un connubio quantomai riuscito.
Nel 1993 posa per il fotografo Steven Meisel, affascinato dal suo stile e dal suo viso austero. Tante le collaborazioni con numerosi brand, da DuPont Lycra a Lacoste fino a Swarowski, che grazie a lei vive una nuova stagione. Le dedicarono delle creazioni Alexander McQueen, Hussein Chalayan, Julien MacDonald e molti altri. Nel 2002 le venne dedicata una mostra, intitolata “When Philip met Isabella”. Nel 2004 fece un cameo nel film Le avventure acquatiche di Steve Zissou. Nel 2005 collaborò con l’artista Matthieu Laurette per un progetto commissionato dalla Frieze Project 2005, che consisteva nella creazione di una guida giornaliera alla Frieze Art Fair diretta dalla stessa Blow e da esperti di moda del calibro di Peter Saville, Kira Joliffe e Bay Garnett. Poco prima della morte curò lo styling di una serie di libri sulla bellezza nel mondo arabo prodotti dall’imprenditore Sheikh Majed al-Sabah, ma venne improvvisamente esclusa dal progetto per ragioni sconosciute.
Isabella Blow morì suicida nel maggio 2007
Isabella Blow in uno scatto di Miguel Reveriego
Isabella Blow in una foto di Diego Uchitel, 2002
Isabella Blow con Philip Treacy, di cui fu musa
Per lei fu l’inizio della fine. Isabella, dotata di una sensibilità rara, divenne preda del fashion biz: quello stesso sistema che prima l’aveva amata ed idolatrata, sembrava ora chiuderle le porte, stringendola in una morsa fatale. Nonostante gli innumerevoli successi collezionati nel corso della sua carriera, Isabella cade in depressione. Preda del male oscuro, si chiude nella sua solitudine perdendo anche gli amici di una vita. Secondo Daphne Guinness, celebre icona di stile e sua intima amica, anche i rapporti con McQueen si erano fatti tesi dopo che quest’ultimo cedette il suo marchio a Gucci, senza renderla partecipe. Lo schiaffo fu troppo forte per lei, che era stata la prima a negoziare il contratto con cui Gucci avrebbe acquistato il brand. A trattative ultimate, Isabella fu la sola a non avere un contratto. Il suo brillante operato veniva ora salutato con il dono di un vestito, ennesima beffa di un sistema al quale si sentiva ormai sempre più estranea. Inoltre dovette fare i conti con i crescenti problemi economici e con la sterilità. Isabella e il marito tentarono per ben otto volte la fecondazione in vitro, ma senza successo. Nel 2004, dopo che il matrimonio naufragò, le venne diagnosticato un disturbo bipolare e fu sottoposta a delle sedute di elettroshock. Dopo diciotto mesi di separazione lei e Detmar si riavvicinano, ma alla fashion editor viene diagnosticato un cancro alle ovaie. In preda alla depressione, la donna tenta diverse volte il suicidio, dapprima assumendo dei barbiturici e poi gettandosi dall’Hammersmith Flyover, dove si salva ma riporta fratture ad entrambe le caviglie. Infine, dopo altri tentativi falliti, riesce a togliersi la vita e muore a Gloucester il 7 maggio 2007, dopo aver assunto un pesticida. La cerimonia funebre è struggente: sei cavalli neri precedono il feretro, ricoperto da una corona di fiori bianchi su cui spicca il cappello-galeone che Philip Treacy aveva creato apposta per lei. Se ne andava così una delle figure più autorevoli e fragili della moda, seguita solo tre anni dopo dal suo pupillo ed amico Alexander McQueen.
(In copertina: Isabella Blow con cappello Philip Treacy per Alexander McQueen. Foto: Richard Saker/Rex Features)