Léa Seydoux posa per Louis Vuitton

Pareti grezze tinteggiate di rosa. Cavalli eleganti in posa naturale davanti l’obiettivo del fotografo e una vegetazione ricca sullo sfondo: bastavano questi tre ingredienti per rendere avvincente la campagna Travel di Louis Vuitton  ma, invece, gli addetti ai lavori hanno voluto arricchire cotanta bellezza con il viso delicato e perfetto di Léa Seydoux rendendo tutto incantevole.

 

La campagna Travel di Louis Vuitton è stata scattata in Messico
La campagna Travel di Louis Vuitton è stata scattata in Messico

 

La campagna è ambientata nel Ranch progettato dall'architetto messicano  Luis Barragan
La campagna è ambientata nel Ranch progettato dall’architetto messicano Luis Barragan

 

 

Gli scatti, siglati dal fotografo Patrick Demarchelier vedono al centro della scena la nuova musa della maison, l’attrice francese Seydoux (che per l’occasione ha indossato gli abiti della collezione Pre – Fall 2016 n.d.r.) che stringe tra le mani le borse Capucines e City Steamer declinate in diverse tonalità, meravigliose nelle variante color block.

 

In questi scatti Léa Seydoux presenta la collezione Capucines
In questi scatti Léa Seydoux presenta la collezione Capucines

 

L'attrice francese, stringe tra le mani il modello City Steamer
L’attrice francese, stringe tra le mani il modello City Steamer

 

 

L’iconica City Steamer,  nacque nel 1901 e venne utilizzata come borsa da viaggio dalle donne dell’ alta borghesia. Oggi, rivisitata la sua veste, la City Steamer è una perfetta borsa da città, adatta ad essere abbinata a qualsiasi look.

Il modello Capucines, prende il nome dalla via parigina dove Gaston -Louis Vuitton volle aprire la sua prima boutique, nel 1854. Dal design essenziale, la borsa racconta tutta l’eleganza che il marchio coltiva da sempre.

La campagna pubblicitaria Travel di Louis Vuitton, sarà pubblicata sulle riviste di settore a partire da giugno.

I rischi per la sicurezza dell’Internet of Things

La gamma e il numero di “cose” connesse a internet è davvero stupefacente, tra queste telecamere di sicurezza, forni, sistemi di allarme, baby monitor e le auto. Ogni cosa sta andando on-line, in modo che possa essere monitorata e controllata in remoto su Internet.
I dispositivi IoT (Internet of Things) incorporano sensori, interruttori e funzionalità di registrazione che raccolgono e trasmettono i dati attraverso la rete internet.
Alcuni dispositivi possono essere utilizzati per il monitoraggio, l’utilizzo di Internet per fornire aggiornamenti di stato in tempo reale. Dispositivi come condizionatori o serrature consentono di interagire e controllare in remoto.
Mentre i dispositivi IoT promettono benefici, introducono anche rischi rispetto alla nostra privacy e sicurezza.


La maggior parte delle persone ha una comprensione limitata delle implicazioni di sicurezza e privacy dei dispositivi IoT. I produttori che sono “primi sul mercato” (prime to market) sono premiati per lo sviluppo di dispositivi a basso costo e nuove funzionalità con poco riguardo per la sicurezza o la privacy.
Al centro di tutti i dispositivi di internet degli oggetti è il incorporato un firmware che è il sistema operativo che fornisce i comandi e le funzioni del dispositivo.
Anche i più grandi produttori di router a banda larga spesso utilizzati componenti firmware insicuri e vulnerabili.
I rischi collegati agli “oggetti in rete” sono aggravati per la loro natura altamente accessibile, così, oltre a soffrire di problemi simili a quelli router a banda larga, i dispositivi IoT devono essere protetti contro una vasta gamma di minacce attive e passive.


Tra le minacce attive dobbiamo considerare che i dispositivi IoT sono spesso collegati alla rete e sono collocati in luoghi da cui possono accedere e controllare altre apparecchiature di rete.
Questa connettività potrebbe consentire agli “aggressori” di utilizzare un dispositivo IoT compromesso per bypassare le impostazioni di sicurezza della rete e lanciare attacchi contro altre apparecchiature di rete come se fosse “dall’interno”.
Molti dispositivi collegati in rete utilizzano password di default e hanno limitati controlli di sicurezza, così chi riesce a trovare un dispositivo non sicuro on-line può accedervi. Recentemente, un gruppo di ricercatori di sicurezza informatica sono anche riusciti a “penetrare” un’autovettura, il cui sistema si basava come unica misura di sicurezza sui numeri di identificazione del veicolo (VIN) facilmente accessibili (e prevedibili).
A differenza di minacce attive, le minacce passivi riguardano la raccolta e la conservazione dei dati degli utenti privati da parte dei produttori. Questo perché i dispositivi IoT sono “sensori di rete” e si basano sui server del produttore per fare l’elaborazione e l’analisi.
Quindi, gli utenti finali possono liberamente condividere tutto, da informazioni di credito a dati personali.


I dispositivi IoT possono “conoscere” un numero enorme di informazioni sul”utente.
Dispositivi come il Fitbit (che monitora lo stato di salute e i dati biologici e agonistici) può anche raccogliere dati da utilizzare per valutare il merito assicurativo della persona.
L’indefinita memorizzazione dei dati da parte di terzi è una preoccupazione significativa. L’entità dei problemi connessi con la raccolta dei dati è appena venuta alla luce.
Così come la concentrazione dei dati di un utente privato sul server di rete diventa anche un bersaglio particolarmente appetibile per i criminali informatici. 
Compromettendo solo i dispositivi di un singolo produttore, un hacker potrebbe ottenere l’accesso a milioni di dettagli delle singole persone in un attacco.


Il vero problema non sono i dispositivi in sé – anche utili, e qualche volta necessari – né la loro programmazione, ma il fatto che in definitiva, come utenti, siamo in balia di produttori. La storia dimostra che i loro interessi non sono sempre allineati con i nostri. 
Il loro ruolo è quello di ottenere nuovi strumenti e prodotti appetibili dal mercato nel modo più economico e più rapidamente possibile.
La maggior parte dei dispositivi possono essere utilizzati solo con il software del produttore.Tuttavia poche informazioni sono fornite su quali dati vengono raccolti o quale sia la modalità di conservazione, con quali tempi, per quale durata e con che scopo.
Quindi, se davvero vogliamo l’ultimo dispositivo uscito sul mercato, e riteniamo che ci serva e ci sia utile, almeno, prima, poniamoci qualche domanda, questa si certamente utile (meglio se preventivamente) a noi stessi ed a tutela della nostra privacy.


-Chiediamoci se i benefici superano i rischi per la privacy e la sicurezza.
-Chi ci fornisce il dispositivo? Sono conosciuti e forniscono un supporto adeguato?
-Hanno una informativa sulla privacy facile da comprendere e chiara?
-Come usano e proteggono i nostri dati?
-Se possibile, cercare un dispositivo con una piattaforma aperta, non limitata ad un solo servizio. Che sia in grado di caricare i dati su un server di nostra scelta.
Alle volte una semplice e banale ricerca su Google del tipo “[il tuo nome del dispositivo] è sicuro?” Perché cerchiamo sempre colori, caratteristiche, prezzo. Ma quasi mai ci occupiamo di verificare se – per caso – i ricercatori di sicurezza e gli utenti hanno già sperimentato quel dispositivo e rinvenuto problemi (spesso gravi) proprio in materia di dati.

Louis Vuitton. Atelier d’Asnières riapre le sue porte

L’anima di maison Louis Vuitton, aprirà le sue porte al pubblico con l’intento di far ammirare agli estimatori del marchio, tutto il savoir-faire che la casa di lusso parigina ha impiegato nel corso della sua storia.

Dal 1859 l’atelier d’Asnières, situato a qualche chilometro a nord-est di Parigi, rappresenta una leggenda per Louis Vuitton. Un luogo dove la creatività ha preso forma in magnificenze che oggi vengono apprezzate in tutto il mondo a distanza di anni dalla loro creazioni.

 

Gli interni della mostra curata da Judith Clark (fonte lvmh.fr)
Gli interni della mostra curata da Judith Clark (fonte lvmh.fr)

 

 

Le icone della casa, come il bauletto Speedy o i bauli da viaggio monogrammati, hanno transitato nei meandri di questo grande atelier, prima di avventurarsi in nuove storie.

La mostra, curata da Judith Clark, è suddivisa in gruppi tematici: relazione con i clienti, il Monogram, globalizzazione, natura, l’avanguardia etc…

 

L'atelier d’Asnières riapre le sue porte con una mostra che omaggia il savoir-faire della maison (fonte myluxury.it)
L’atelier d’Asnières riapre le sue porte con una mostra che omaggia il savoir-faire della maison (fonte myluxury.it)

 

 

L’esposizione, aprirà i battenti dal 23 aprile al 15 maggio 2016 per poi riaprire in un secondo momento dal 28 al 29 maggio 2016.

Per prenotare la visita clicca qui

 

 

Fonte cover louisvuitton.it

Scarpe Primavera/Estate 2016: tutte le tendenze moda

Tra le tendenze moda per la Primavera/Estate 2016 non potevano mancare le scarpe. Importantissime nel guardaroba di ogni donna, tantissime sono le proposte che hanno sfilato sulle passerelle. Tra i fashion trends per la bella stagione troviamo sandali con tacco grosso, scarpe flat con lacci e sandali da gladiatore.

Suggestive, iconografiche, le scarpe proposte nelle collezioni P/E 2016 si distinguono per forme e modelli: ce n’è per tutti i gusti, dalle platform con tacco vertiginoso alle ballerine fino a sandali extra piatti. Ironiche, come le pantofole da indossare rigorosamente con calzino bianco, e sensuali, tanti sono i modelli must have per scarpe originali e glamour.

Suggestioni futuriste sono state protagoniste delle scarpe proposte da Chanel, mentre un mood orientale e vagamente Nineties ha sfilato da Louis Vuitton, in un défilé dedicato ai manga: qui occhi puntati sui sandali con suola a carrarmato. Tacco impreziosito da ricami e stampe barocche per Dolce & Gabbana, in una collezione interamente pensata per omaggiare le bellezze italiane. Tacco platform e decorazioni viste da Giambattista Valli, mentre la delicata eleganza di modelli flat ha sfilato da Salvatore Ferragamo.

scarpe gucci dda
Gucci


Christian Dior
Christian Dior



SFOGLIA LA GALLERY:



La scarpa bassa riscopre una carica seduttiva forse spesso sottovalutata: suggestioni etniche e tribal hanno caratterizzato le collezioni di Alberta Ferretti, Trussardi, Etro, Valentino e molti altri. I sandali bassi con lacci diventano un nuovo passepartout nonché must have incontrastato di stagione. I sandali a listini e tacco alto continuano ad ottenere consensi: largo a lacci che salgono fino alla caviglia e oltre, modello gladiatore. Li abbiamo visti in passerella praticamente ovunque, da Balmain ad Angelo Marani, da Roberto Cavalli a Julien MacDonald, solo per citarne alcuni. Alessandro Michele da Gucci riscopre il monogramma della maison e propone dei modelli dal fascino vagamente retrò: ma il mocassino lascia i talloni scoperti, trasformandosi in un irriverente sabot. Espadrillas di lusso viste da Oscar de la Renta, mentre la pantofola viene declinata in chiave fashion da Tommy Hilfiger, Lacoste e molti altri.

Salvatore Ferragamo
Salvatore Ferragamo


(Tutte le foto sono tratte da Marie Claire)

(Foto cover Harper’s Bazaar)


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Ilariusss. Il lusso di un copricapo ironico e surreale

“Il cappello è come un punto alla fine di una frase “. Non potrebbe utilizzare definizione migliore, Ilaria Soncini, per definire il suo brand.

I suoi cappelli sono vere opere d’arte che toccano l’ingegno teatrale. Cuori, labbra e pon pon: il copricapo Ilariusss non conosce banalità.

100% Made in Italy, le sue creazioni sono confezionate artigianalmente da mani esperte che  esaltano la naturale bellezza dei suoi cappelli.

 

Ilariusss collezione FW 16-17
Ilariusss collezione FW 16-17

 

 

Ilaria, cosa dovremmo sapere di te?

Sono una sognatrice romantica ed una eterna bambina. Amo sorprendermi e sorprendere. Non sopporto la noia e le cose scontate. Mi hanno detto che sono stata un pirata nella scorsa vita, vivendo senza un vero scopo. In questa  vita, sento di dover dedicare tutto il mio tempo alla mia più grande passione che è creare cappelli, per poter lasciare un segno creativo concreto.

 

Ilariusss: come ha inizio la storia del tuo brand?

Ilariusss nasce a Berlino con la mia carissima amica Sofia, tra immaginazioni e travestimenti. Ci divertivamo a creare cappelli che potessero vestire il corpo. Ci ispiravamo al teatro di Victoria Chaplin e al mondo surreale dell’impossibile. Ilariusss è nato sognando un mondo assurdo.

 

Cappelli teatrali per la designer Ilaria Soncino
Cappelli teatrali per la designer Ilaria Soncini

 

 

Tre aggettivi per definirti.

Leale, creativa e appassionata.

 

Tre aggettivi per definire Ilariusss.

Ironico, elegante e surreale.

 

La tua fonte d’ispirazione.

Il teatro, le favole dei bambini e i miei amici.

 

La corrente surrealista ispira le collezioni di Ilaria Soncino
La corrente surrealista ispira le collezioni di Ilaria Soncini

 

 

La tua personale definizione di cappello.

“Il cappello è come un punto alla fine di una frase “.

 

 

Il tuo presente.

So finalmente chi sono e cosa voglio.

 

Ilariusss collezione FW 16-17
Ilariusss collezione FW 16-17

 

 

Il tuo futuro.

So esattamente cosa vorrò, me lo sono prefissata lo scorso anno a Roma grazie ad una persona speciale che mi ha aiutato a capirlo. Voglio un Atelier dove si possano realizzare cappelli per spettacolo, teatro, vetrine, moda e dove lavorino un team di persone appassionate. Sto lavorando per raggiungere questo obiettivo, so che riuscirò in un modo che non mi è ancora stato svelato, ad arrivarci.

 

 

Per maggiori informazioni www.ilariusss.com

 

 

Photo courtesy Ilaria Soncini

 

 

“Urban Seventies” la collezione autunno inverno 2016-2017 di Antonio Grimaldi

Antonio Grimaldi PAP FW  16
Antonio Grimaldi PAP FW 16



« New York è riuscita a produrre la cultura della congestione e, inoltre, è riuscita a esprimere la tecnologia del fantastico, un ideale che forse ha poco a che vedere con le regole della composizione architettonica ma che, in effetti, riesce a produrre manufatti edilizi certamente non meno interessanti di quelli che escono dalle accademie, vecchie o nuove, delle nostre scuole di architettura »

 

Rem Koolhaas, architetto olandese, scrive così parlando della Grande Mela nel suo saggio-manifesto “Delirious New York”.

Nonostante non sia il frutto di una pianificazione ponderata la metropoli statunitense , con la sua congestione di forme e stili, ha dato comunque origine alla contemporaneità.
 

Sintetizzando il suo pensiero con termini semplici, possiamo affermare che Koolhaas è un grande sostenitore dell’architettura di rottura: il suo forte messaggio è “fanculo contesto!”. Paradossale è che il distacco dal contesto architettonico preesistente alle sue creazioni sia frutto di un’attenta analisi della composizione architettonica, della tradizione, della trasparenza e dell’etica.


Antonio Grimaldi PAP FW 16
Antonio Grimaldi PAP FW 16



 

Nascono da questo contesto complesso le creazioni del designer Antonio Grimaldi, che prende spunto dalle forme di Koolhaas per la sua collezione ready-to-wear autunno inverno 2016-2017: abiti che seguono e accompagnano il corpo, tubini sotto il ginocchio, linee fascianti in cady tecnico che ricordano lo sportswear, reinterpretato con una nuova sensualità. Lasciando intravedere la schiena grazie ai tagli misurati ad incastro e ad un mix di texture come il neoprene e reti metalliche, per un effetto tromp l’oeil sperimentale.

 

Minidress in velluto dalla forma svasata, in damasco o in organza lavorata con la lana. Lo stilista propone capi dall’effetto urban design con inserti in plissé soleil.

Realizza cappe con tessuti tinti e sfumati, stampate o dall’effetto macchiato.

 

Nei longdress, must della collezione, prevalgono i colori metallici, il lamé, l’oro sfumato sul verde turchese, o ancora le stampe che evocano i giardini pensili tipici delle architetture urbane dei grattacieli di Koolhaas. Nella palette cromatica non mancano il bianco e il nero assoluti, il rosso rubino e il green musk, fino al giallo ocra.

Evocazioni seventies per i pantaloni a zampa in velluto, in tweed di lana o in bouclé black and white, come nel chiodo, e paillettes metalliche smoke grey color ,si accostano a velvet jacket lavorate.

 

Texture e colori dei paesaggi urbani e tagli ispirati all’architettura: questi i tratti salienti della donna Antonio Grimaldi autunno inverno 2016.

 

 

 

 

 

 

Beyoncé lancia “Lemonade”: un visual album inatteso e autobiografico

Inaspettato e autobiografico. Intriso di rabbia e rancore. Un racconto in rima (che parla di tradimenti e bugie) confidato a milioni e milioni di fans in tutto il mondo.

Lemonade” di Beyoncé è una trappola per traditori. È un visual album che sbatte in faccia la dura realtà dei rapporti malati. La regina dell’ R&B, pare non abbia digerito il tradimento del marito Jay-Z e usa la musica, il suo regno, per spiattellare in faccia il suo risentimento e sbugiardare in anteprima il suo consorte.

 

QueenB indossa un abito in chiffon di Roberto Cavalli (fonte themarysue.com)
QueenB indossa un abito in chiffon di Roberto Cavalli (fonte themarysue.com)

 

 

Lemonade è stato pubblicato poche ore prima del sorgere del sole, il 24 aprile scorso ed è stato accompagnato da uno speciale dalla durata di 60 minuti, andato in onda su HBO. In sole 48 ore dalla pubblicazione sulle piattaforme digitali, l’album ha fatto registrare vendite per  milioni di copie worldwide.

Lemonade, non è solo musica, ma anche glamour. Si, glamour allo stato puro. QueenB non sorprende: sbalordisce!  La moda incontra un’icona della musica mondiale e il risultato è sorprendente.

Messaggi inequivocabili e scenografia a parte, il successo di Lemonade passa anche attraverso  i look griffatissimi. Dall’abito in chiffon giallo di Peter Dundas per Roberto Cavalli al tuxedo broccato abbinato a sandali platform di Alessandro Michele per Gucci.

 

Lunghe trecce e gioielli tribali per Beyoncé (fonte independent.co.uk)
Lunghe trecce e gioielli tribali per Beyoncé (fonte independent.co.uk)

 

 

E poi ancora, da  vera gangstar, indossa una maxi fur Hood By Hair e leggings e top crop della linea Yeezy Season 1 del collega ed amico Kanye West.

L’album, vede anche la partecipazione di un cast stellare. In Sorry la pluripremiata Serena Williams indossa un abito di Brandon Maxwell mentre l’attrice e cantante Zendaya Coleman nel brano Redemption, veste un look di Phelan di Amanda Phelan, l’ex designer della linea knitwear di Alexander Wang.

Tra le griffe scelte dalle stylist Bea Åkerlund e Marni Senofonte meritano di essere citate anche Marc Jacobs e Givenchy Haute Couture.

 

 

 

 

 

 

Fonte cover  awesomelyluvvie.com

New York celebra la cucina italiana

Ci sono cose alle quali non si può rinunciare facilmente, neanche in vacanza: tra queste, al primo posto si trova la cucina italiana. Ci si adatta al letto un po’ scomodo in albergo, a uno spostamento più lungo del previsto, alla calca, al clima così diverso da casa propria, ma a un cattivo abbinamento cibo vino proprio no. E così l’italiano in vacanza all’estero, magari dopo aver provato e anche apprezzato la cucina locale, finisce inevitabilmente per entrare in un ristorante italiano. Ma come trovare quello giusto? A New York ci pensa l’Italy-America Chamber of Commerce (Iacc) che stila la lista dei migliori ristoranti italiani nella Grande Mela. I parametri da valutare sono diversi: l’uso di prodotti genuini DOP o IGP, un ottimo abbinamento cibo vino con bottiglie italiane, l’uso di olio extravergine di oliva 100% made in Italy. Infine, la cortesia e la buona conversazione con i clienti sono un ottimo lasciapassare per ottenere la prestigiosa certificazione “Ospitalità Italiana“.


Quest’anno sono 25 i ristoranti selezionati dall’Italy-America Chamber of Commerce per ottenere il marchio di qualità in una cerimonia ufficiale al Metropolitan Pavillion a Manhattan. “Gli obiettivi del progetto sono quelli di supportare e valorizzare i ristoranti italiani nel mondo, creare un network che consenta la realizzazione di eventi per valorizzare i territori di provenienza dei prodotti tipici, utilizzare la rete RIM per garantire l’autenticità dei marchi DOP e IGP, promuovendo le nostre eccellenze“, ha spiegato il segretario generale Iacc, Federico Tozzi. “Noi come Italy America Chamber of Commerce – ha aggiunto – siamo impegnati 360 giorni all’anno per monitorare e verificare che gli standard ‘Ospitalita’ Italiana’ siano rispettati“.


I ristoranti certificati “Ospitalità Italiana” negli Usa sono oltre 300, portabandiera della cucina italiana nel Paese a stelle e strisce. Come educatori del gusto, proprietari e cuochi di questi ristoranti italiani sentono una vera responsabilità verso i preziosi prodotti e le centenarie ricette che utilizzano e che reinventano in versione contemporanea, senza mai snaturarle. “L’importanza di queste sentinelle del made in Italy in territorio americano e’ notevolissima – ha sottolineato il presidente di Iacc Alberto Milani – poiché svolgono una continua educazione del consumatore Usa al cibo e vino tricolore“.

La comunicazione politica in Italia

Rimaniamo spesso affascinati dalla politica anglosassone, e in particolar modo da quella made-in-usa. Primarie, competizione, serie tv che ci mostrano storie e professioni che possiamo solo immaginare. E ci facciamo un’idea – anche della società americana – che in realtà è molto diversa dalla realtà.
Da West Wing a House of Cards a Scandal, il cittadino spettatore “beve” quasi acriticamente quella realtà e finisce con il ritenere che “quella sia la politica”, così dovrebbe essere, o peggio che davvero anche in America la politica sia fatta in quel modo.
Torniamo a parlare della politica americana per vari motivi, e cogliendo almeno due occasioni.
La prima è la “lunga corsa” delle primarie che si esaurirà in estate, con le convention, e con la definizione di chi saranno i due candidati accreditati (in realtà sono molti di più, ma parliamo di quelli che hanno chance concrete di essere eletti) alla presidenza.


La seconda è un episodio passato un po’ in sordina e che ci riguarda direttamente: Matteo Renzi ha assunto come “stratega” per la campagna referendaria sulle riforme istituzionali Jim Messina.
Andiamo con ordine. Le primarie americane sono il long-show della politica americana. Cominciano con le elezioni di medio termine (in realtà in sordina ben prima, ed anche gli accordi per le mid-term sono da leggersi in questa proiezione) – due anni prima delle presidenziali – e tendono a definire prima tutte le possibili candidature, per poi assottigliare la schiera dei candidati, accorpare e mettere insieme le forze (e le risorse) in vista della sfida vera e finale, che tecnicamente dura tre mesi, da settembre al 4 novembre.


Ogni giorno arrivano da oltreoceano notizie, informazioni, spigolature, che fanno di quella campagna una vera e propria campagna elettorale globale.
Il sistema e il meccanismo sono anche voluti, dal momento che il presidente degli Stati Uniti è anche definito – più che altro giornalisticamente – “il capo del mondo libero”. Affermazione che nasce durante la guerra fredda, in contrapposizione con il blocco sovietico, e che oggi assume una dimensione se possibile anche più planetaria, con i nuovi e trasversali regimi, totalitarismi minori, e le numerose minacce terroristiche. Senza entrare nel merito, questa accezione si riferisce a questa visione del mondo.


La politica americana è costosissima, proprio perché professionale e fatta da professionisti.
Il grande non-protagonista della politica americana sono le lobby, che non sono quello che vediamo e quello che ci rappresentano. Nella realtà sono semplici “associazioni di interessi”. Tra le prime dieci della politica americana vi sono quelle ambientaliste, quelle delle energie alternative, quelle degli insegnanti. Che normalmente raccolgono fondi e spostano voti anche maggiori rispetto ai lobbisti del petrolio o del “trio morte” (armi, alcool, tabacco). Esistono leggi severissime sui finanziamenti elettorali, per una tangente anche piccola si va in galera davvero, mentre da noi non si approva una legge sul lobbismo – anche se basterebbe estendere il codice etico presso il Parlamento Europeo – lì le lobby dichiarano in maniera trasparente chi finanziano e con quanto.



Questo professionismo crea professionisti. Che si specializzano in quello che fanno.
Nella campagna per la rielezione del presidente Barack Obama, Stephanie Cutter, Jen O’Malley Dillon, e Teddy Goff hanno sperimentato nuovi sistemi e policy di costruzione del consenso che hanno consentito la costruzione e conduzione di una campagna senza precedenti per capire, raggiungere e collegarsi con il maggiorn numero di Americani mai raggiunto da una campagna.


Conclusa quell’esperienza hanno costruito una start-up del valore di 1,2 miliardi di dollari in 19 mesi e hanno creato creato nuovi strumenti di data-driven per raggiungere il pubblico giusto con i giusti messaggi: sono oggi la più efficace società di strategia e analisi di metadati sociali.
Stephany Cutter nasce come assistente del senatore Kennedy, per poi ricoprire vai incarichi sempre nel settore comunicazione sino a tutta la presidenza Clinton e la campagna Kerry, trasferendosi nel settore della comunicazione politica privata durante l’amministrazione Bush, e rientrare nell’amministrazione pubblica con Obama di cui è stata vice capo campagna.


Jean O’Malley Dillon ha lavorato come Vice Campaign Manager per la campagna di rielezione del presidente Obama, supervisionando la più grande organizzazione nella storia delle campagne presidenziali.
Teddy Goff era il direttore digitale per la campagna di rielezione del presidente Obama, ed era il coordinatore della squadra nazionale di 250 persone che si occupavano di social media, e-mail, web, pubblicità online, organizzazione on-line. Sotto la guida di Teddy, Obama per l’America ha raccolto più di 690 milioni di dollari e registrato più di un milione di elettori on linea, ha costruito un’identità digitale tra Facebook e Twitter seguita da circa 100milioni di persone, ha generato oltre 133 milioni di visualizzazioni video, e con oltre 100 milioni di dollari spesi in pubblicità online ha gestito il più grande programma del genere nella storia politica.



Perché raccontare queste storie. Perché quel grado di professionalizzazione nasce da due fattori.
Il primo, è dedicarsi a tempo pieno a questo tipo di attività, e il secondo, è farlo in un quadro normativo chiaro e trasparente.
Da noi invece va sempre più di moda la “collaborazione gratuita” o collaterale, che significa “tu fai la campagna a me e io ti faccio vincere quella gara e avere quel contratto”.
Questo approccio parte da un errore di fondo: non aver compreso – da parte di chi fa politica – in che era geologica della comunicazione siamo. Perché significa esportare quel modello che funzionava negli anni sessanta, settanta e ottanta per cui facevi l’addetto stampa gratis, e poi venivi assunto in Rai o in un determinato giornale. O altre volte eri giornalista formalmente presso una testata (spesso di partito) ma in realtà facevi il portavoce o il collaboratore di questo o quello.
Sono fatti noti, è inutile nascondersi dietro un dito.


Questo retaggio di metodo, che la politica si porta dietro, non tiene appunto conto del modo in cui è cambiato il mondo. E che in un certo professionalismo richiede specializzazione. E questa specializzazione richiede una dedizione specifica e full time alla conoscenza della nuova comunicazione politica che è fatta di analisi dei flussi e dei metadati.
E così avviene che quando hai poi bisogno di queste professionalità, da Monti a Renzi ti rivolgi a presunti onniscienti guru americani, “garanzia di successo” su un modello in cui loro hanno potuto specializzarsi, e che si ritiene che nessuno “da noi” sia altrettanto bravo.
E tuttavia non è così. Ciascuno è figlio della cultura sociale e politica del proprio paese.
Importare un sedicente guru – il caso Monti lo dimostra ampiamente – non solo non è garanzia di successo, ma anzi… perché non puoi importare una politica ed un approccio di comunicazione se di quella comunità e sintassi politica non fai parte in prima persona.


E ci sono tante realtà, piccole, medie, poco conosciute, che al di là e ben oltre la fuffa che spesso naviga in rete, sono veramente qualificate a fare comunicazione politica. Professionale e non improvvisata, e i metadati li sanno leggere sul serio.
Peccato poi si trovino sempre più spesso a lavorare ed essere valorizzati all’estero.
Anche questa è fuga di cervelli.

Flaminia Barosini: un brand ispirato dalla natura

Flaminia Barosini nasce a Roma nel 1987. Dopo il diploma in Design del Gioiello allo IED, si trasferisce a Londra per qualche mese dove frequenta  il prestigioso Central Saint Martins College of Arts & Design.

Nello stesso anno lancia sul mercato il suo omonimo brand con la collezione Irregular. Seguiranno, successivamente, Second Skin e Creepers: la collezione 2015 ispirata completamente al mondo della natura e dei rampicanti.

La collezione 2016, Synapses, racconta la maturità stilistica che Flaminia ha acquisito negli anni, con linee pure ed un linguaggio fluido.

In questi giorni, la designer romana sta lanciando la sua quinta collezione Origins.

 

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Flaminia, raccontaci la tua passione per i gioielli.

Ho sempre avuto un debole per gli accessori, fin da piccola.

Quindi qualche anno fa mi sono iscritta all’Istituto Europeo di Design al corso di Design del Gioiello per intraprendere un percorso di studi che ha poi segnato la mia esistenza facendomi avvicinare sempre di più a quello che oggi definirei il mio mondo.

 

Descrivici il tuo estro creativo in tre aggettivi.

Femminile, originale ed elegante.

 

Cerchietto con nastro della linea Origins
Coroncina con nastro della linea Origins

 

 

 

Da cosa trai ispirazione?

La natura mi fornisce costanti spunti per dar vita ad oggetti che non abbiano una forma riconoscibile ma che la assumono una volta indossati.

 

Il tuo mentore.

Trovo moto interessanti le sculture di Arnaldo Pomodoro, ma non ho un vero e proprio mentore.

 

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La tua giornata tipo.

Purtroppo o per fortuna non ho una giornata tipo.

Il mio è un lavoro in costante movimento e credo sia questo il valore aggiunto che condisce con un pizzico di pepe le mie giornate.

Mi occupo di tutto ciò che concerne la parte creativa del mio brand.

In ordine sparso mi occupo della prototipia, fase creativa durante la quale do vita alla collezione sotto forma di sculture in cera.

E ancora: produzione e fase di riproduzione seriale dei pezzi in metallo in seguito alla fusione a cera persa. Lavoro i gioielli a mano uno per uno.

Seguo il sito e le foto, con un team di grafici  e fotografi che mi affiancano.

Il tutto alternato da fiere ed eventi che ci vedono protagonisti.

 

Orecchini della linea Origins by Flaminia Barosini
Orecchini della linea Origins by Flaminia Barosini

 

 

Il tuo gioiello cult.

Lo chevalier, l’anello da mignolo per eccellenza.

 

L’accessorio che non indosseresti  mai.

Il mio detto preferito è mai dire mai. Molto spesso, con il tempo, mi sono dovuta ricredere sui miei gusti.

 

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La tua sfida.

Il mio lavoro è una continua sfida, quando si parla di creatività non si sa mai che riscontro potrà avere una collezione sul pubblico.

Quindi ci sono sempre stimoli nuovi che mi aiutano a sfidare i miei limiti.

 

Il tuo presente.

Oggi siamo in fase di lancio della mia quinta collezione “Origins” quindi incrociamo le dita.

 

Il tuo futuro.

Speriamo di  riuscire ad ampliare il nostro mercato. Passo dopo passo, stiamo facendo tutto ciò che crediamo sia necessario per raggiungere il nostro obbiettivo.

 

 

Per maggiori informazioni www.flaminiabarosini.com

 

 

 

Photo courtesy Ufficio Stampa

 

 

 

 

Borse Primavera/Estate 2016: tutte le tendenze moda

Tante sono le tendenze moda per la Primavera/Estate 2016, direttamente dalle passerelle. Mai come ora gli accessori sono stati tanto importanti: largo quindi a borse e scarpe coloratissime, declinate nelle forme e nei modelli più bizzarri. La moda per la stagione primaverile predilige borse di varia forma: ce n’è davvero per tutti i gusti, dalle proporzioni maxi alle clutch fino ai modelli più originali.

E se Jeremy Scott ha portato sulla passerella di Moschino inedite borse a forma di segnali stradali, Au Jour Le Jour hanno fatto un tuffo al supermarket, facendo sfilare borse a forma di fustino del detersivo. Originali, bizzarre, strane: le borse vengono incontro a qualsiasi esigenza e abbracciano il gusto anche di chi ha voglia di osare.

Kate Spade ci fa sognare con nuance vitaminiche e suggestioni Pop, per clutch declinate nei modelli e nelle forme più incredibili. Olympia Le Tan omaggia l’Oriente, mentre da Betsey Johnson sfila un inedito cubo di Rubik. Classicità in passerella da Prada e Giorgio Armani, mentre Tommy Hilfiger propone una collezione che trae ispirazione, anche negli accessori, dalla Giamaica e da stampe floreali e colori fluo.

Prada
Prada


Emporio Armani
Emporio Armani


Torna la logo-mania: se una volta il logo veniva guardato con diffidenza, ora diventa uno dei fashion trend di stagione. L’abbiamo visto in passerella da Lanvin e Gucci: Alessandro Michele riporta in auge la cifra stilistica della celebre maison italiana, proponendo diversi modelli in coccodrillo con il classico logo. Dolce & Gabbana omaggiano le bellezze italiane portando sulla passerella borse impreziosite da ricami floreali e modelli che omaggiano nelle stampe le ceramiche di Caltagirone e Santo Stefano di Camastra.

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Le tendenze prevedono colori vitaminici e forme che coniughino creatività e comfort. Frange e suede si alternano a pelle e coccodrillo; i modelli altamente scenografici cedono il passo al rigore ma senza perdere di vista la stagione primaverile, che pretende cromie vivaci. Righe e quadretti, stelle e stampe si alternano nelle sfilate, per una Primavera/Estate piena di fantasia.


Kate Spade
Kate Spade


Gucci (Photo by Venturelli/Getty Images)
Gucci (Photo by Venturelli/Getty Images)


(Tutte le foto sono tratte da Marie Claire)


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