Addio a Robert Goossens, disegnò i gioielli per Chanel

Il suo nome ai più dirà poco, ma le sue creazioni sono entrate nella storia: monili preziosi e raffinati, collane realizzate con cristalli di rocca, bangles dalle suggestioni antiche, e, ancora, spille a forma di croci bizantine. Preziose, sofisticate, dall’inestimabile valore e dal gusto inimitabile, le creazioni realizzate da Robert Goossens hanno impreziosito per oltre mezzo secolo le collezioni di moda di nomi del calibro di Chanel, Madame Grès, Schiaparelli, Yves Saint LaurentRochas, Balenciaga, Dior. Il grande creatore di gioielli è scomparso a Parigi lo scorso 7 gennaio, all’età di 88 anni.

Nato nel 1927 in una famiglia modesta, suo padre lavorava in una fonderia. Fin da giovanissimo, Robert sviluppò un amore viscerale per le pietre preziose. La sua carriera iniziò a soli 15 anni come apprendista orafo, creando piccoli oggetti per le grandi gioiellerie di Parigi.

Questa familiarità con le pietre preziose sarà più avanti il motore della sua carriera: la sua particolare attitudine lo spingerà infatti a mixare con gusto ed un’eleganza senza pari pietre preziose a pezzi di bigiotteria, pietre artificiali a gemme preziose. Raffinato artigiano dall’incommensurabile sensibilità estetica, Robert Goossens è stato uno dei nomi più importanti nel design di gioielli del XX secolo.

Lily Donaldson in tailleur Chanel e gioielli Goossens, foto di Steven Meisel, Vogue, maggio 2005
Lily Donaldson in tailleur Chanel e gioielli Goossens, foto di Steven Meisel, Vogue, maggio 2005
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Mademoiselle Chanel con gioielli Goossesn ritratta da Henri Cartier-Bresson nel 1964

Croce bizantina realizzata da Goossens per Chanel
Croce bizantina realizzata da Goossens per Chanel


Un’estetica ricercata che traeva ispirazione dai dipinti che Robert aveva visto nei musei parigini, ma anche da opere del Rinascimento e da altre culture, in primis Bisanzio e i suoi mosaici preziosi. Pioniere iconoclasta, viaggiò moltissimo nel corso della sua vita, portando con sé ametisti, zaffiri, rubini, coralli, cristalli di roccia e quarzo, che poi modellò in pezzi di alta gioielleria, insieme al bronzo, alle perle e persino alle conchiglie. Orecchini pendenti, bracciali rigidi, bangles, ma anche collane e girocolli, spille e piccoli dettagli forgiati con una classe rara, che attingeva a culture e popoli lontani. Le creazioni di Goossens fanno sognare e ci trasportano in una dimensione onirica, in cui il lusso è solo una delle numerose sfaccettature di un’arte unica.

Dall’età di 25 anni il suo lavoro iniziò ad essere apprezzato dalle case di moda, e Cristóbal Balenciaga fu il primo a commissionargli un lavoro, ossia la realizzazione di una croce di cristallo di ispirazione bizantina, per una sfilata di haute couture. Nel 1953 inizia il sodalizio con Chanel. Mademoiselle Coco adorava l’arte del maestro orafo, a cui chiese di realizzare i gioielli per molte delle sue collezioni, oltre che mobili e pezzi di antiquariato per la sua casa. Spiccano gli smeraldi e le croci bizantine, oltre ai celebri bangles, nel curioso mix tra pietre preziose e bigiotteria adorato da Gabrielle. Goossens collaborò con la maison fino alla scomparsa della sua creatrice, per poi lavorare con Karl Lagerfeld nel corso degli anni Ottanta e Novanta, sia per le collezione di prêt-à-porter che per quelle di haute couture. Il marchio Chanel acquistò la compagnia di Gossens lo scorso 2005.

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Un ritratto del maestro Goossens
Orecchini realizzati per Yves Saint Laurent
Orecchini realizzati per Yves Saint Laurent

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Le creazioni di Goossens hanno impreziosito le collezioni di numerose case di moda, da Madame Grès a Schiaparelli


Definito “Monsieur Bijou”, dagli anni Settanta iniziò un nuovo prolifico sodalizio artistico con monsieur Yves Saint Laurent, per cui, su consiglio di Loulou de la Falaise, creò collezioni di ispirazione africana. Per la maison francese Goossens realizzò di tutto, dalle trousse per la linea di make up fino alle boccette di profumo in edizione limitata. La collaborazione con Saint Laurent durò fino al 2002, quando la maison chiuse con l’alta moda. Lo showroom Goossens è ubicato in Avenue George V, una delle vie più eleganti di Parigi. Alcune delle creazioni del maestro fanno oggi parte delle collezioni del Muséè des Arts Décoratifs di Parigi. Il maestro lascia due figli e una lunga tradizione nel design di gioielli.

Roberto Capucci: lo scultore della moda

Ieratiche come marmoree sculture, atemporali come le opere d’arte che impreziosiscono un museo, misteriose ed iconiche: le creazioni di Roberto Capucci costituiscono un unicum nel panorama della moda.

Enfant prodige, ad appena 26 anni fu definito da Christian Dior «il miglior creatore della moda italiana»: Roberto Capucci, classe 1930, vanta una carriera a dir poco sfolgorante. Nato a Roma, dopo aver frequentato il liceo artistico e l’Accademia di Belle Arti, dove si forma con i maestri Mazzacurati, Avenali e de Libero, nel 1950, a soli venti anni, inaugura il suo primo atelier, in via Sistina, grazie all’aiuto della giornalista Maria Foschini, che fu per lui Pigmalione ante litteram. L’anno seguente presenta le sue creazioni a Firenze, presso la residenza di Giovanni Battista Giorgini, inventore della moda italiana.

Audace sperimentatore, le sue collezioni riflettono il suo viscerale amore per l’arte. Le geometrie e i volumi arditi e altamente scenografici traggono ispirazione dalla natura, con le sue molteplici espressioni. Il Nove Gonne, creato nel 1956, è forse l’abito più conosciuto del periodo iniziale dell’opera di Capucci: trattasi di un semplice abito in taffetà rosso che si sviluppa in ben nove gonne concentriche con tanto di strascico sulla parte posteriore. Si dice che il couturier sia stato ispirato dal gioco di cerchi concentrici che si sviluppa sulla superficie dell’acqua lanciandovi un sasso.

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Roberto Capucci è nato a Roma il 2 dicembre 1930
Gli abiti-scultura di Capucci, foto di Fiorenzo Nicolli, 1985
Gli abiti-scultura di Capucci, foto di Fiorenzo Nicolli, 1985

Roberto Capucci su Vogue Italia, 1982. Foto di Barry Lategan
Roberto Capucci su Vogue Italia, 1982. Foto di Barry Lategan


Nel 1958 crea la Linea a scatola, un’autentica rivoluzione, per cui nel settembre dello stesso anno viene insignito a Boston con la massima onorificenza, l’Oscar della Moda quale migliore creatore di moda, insieme a nomi del calibro di Pierre Cardin e James Galanos. Nel 1961 inizia la conquista della Francia, ove il couturier presenta le proprie creazioni; l’anno seguente inaugura il suo atelier al n. 4 di Rue Cambon, a Parigi. Negli anni parigini la sua ricerca e sperimentazione proseguono fino ad abbracciare materiali insoliti, quali la plastica, le fibre hi-tech, il plexiglass e il metallo.

In quel periodo abita al Ritz, come Coco Chanel, ed è acclamato come una vera celebrità. Le sue clienti vengono soprannominate «le capuccine». Pochi anni più tardi, nel 1968, viene costretto a rientrare in Italia da alcuni problemi familiari. Qui apre un nuovo atelier in via Gregoriana e presenta le sue collezioni nel calendario della moda organizzato dalla Camera Nazionale dell’Alta Moda. Nello stesso anno disegna i costumi di Silvana Mangano per il film Teorema di Pier Paolo Pasolini. Intanto continua a sperimentare e utilizza per le sue creazioni anche paglia, rafia e sassi, che mixa alla seta e all’alluminio, per la realizzazione di capi dal potente impatto scenografico. Ricordano le crisalidi certi abiti-scultura di Capucci, tra corazze di seta plissettata e ali lavorate, in un gioco di ardite sovrapposizioni e giochi barocchi, che modellano i tessuti e le sete come arabeschi, petali e ventagli, per capi che ricordano gli origami. Non semplice moda, non mera creazione di capi legati alla caducità delle tendenze stagionali, ma arte allo stato puro: il suo è un design onirico, caratterizzato da tagli astratti, continua sperimentazione e ricerca di tessuti e forme nuove. Tra i materiali usati spiccano il taffetà, il mikado, il Meryl Nexten, una particolare fibra cava.


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Nel luglio del 1970 presenta per la prima volta il suo lavoro in un museo, a Roma: la location scelta è il ninfeo del Museo di Arte Etrusca di Villa Giulia. Anarchico e scevro da ogni logica di mercato, esteta di antica tradizione, Capucci nel 1980 si dimette dalla Camera Nazionale della Moda e decide di intraprendere un percorso che sia in linea con la propria personalità, divorziando dalle istituzioni per dedicarsi completamente alla sua opera estetica. Il couturier si ritira in una creazione solitaria, avente un solo fine: l’arte. Genio ribelle, aborre le logiche di mercato, come anche le scadenze e il caos tipici delle settimane della moda. Alla base della sua attività vi è una autentica ricerca estetica, per abiti-scultura che sono vere e proprie opere d’arte da indossare. A partire dagli anni Ottanta le sue collezioni non vengono più inserite all’interno di alcun calendario ma vengono presentate come delle personali d’artista. La sua stagione espositiva inizia nel 1990 con la mostra Roberto Capucci l’Arte Nella Moda—Volume, Colore e Metodo a Palazzo Strozzi a Firenze: l’esposizione ottiene un successo senza precedenti e le sue opere vengono contese dai musei più importanti al mondo, tra cui il Kunsthistorihsches Museum (Vienna), il Nordiska Museet (Stoccolma), il Museo Puškin delle belle arti (Mosca), il Philadelphia Museum of Art, la Reggia di Venaria Reale (Torino). Nel 1995 le sue creazioni sono protagoniste della Biennale di Venezia, nell’edizione del centenario 1895-1995. Nel 2005 crea la Fondazione Roberto Capucci allo scopo di preservare il suo impotente archivio, che consta di 439 abiti storici, 500 illustrazioni firmate, 22.000 disegni originali, oltre che di una rassegna stampa completa e di una vasta fototeca e mediateca. Nel 2007 apre il Museo della Fondazione Roberto Capucci presso Villa Bardini, a Firenze. Nell’aprile 2012 la creazione di un concorso, con lo scopo di promuovere i giovani talenti.

L'abito Nove Gonne, 1956
L’abito Nove Gonne, 1956
Modella in Roberto Capucci, Roma, 1957
Modella in Roberto Capucci, Roma, 1957
Tubini Capucci, 1961, foto di Norman Parkinson
Tubini Capucci, 1961, foto di Norman Parkinson

Simone D’Aillencourt e Nina de Voogt in  Capucci, Roma 1960, foto di William Klein
Simone D’Aillencourt e Nina de Voogt in Capucci, Roma 1960, foto di William Klein


Riservato, refrattario ad ogni forma di pubblicità, schivo, Capucci incarna forse l’ultimo dei couturier, i sarti-architetti che, come Cristóbal Balenciaga, hanno elevato la moda ad una tra le più potenti espressioni artistiche. Ribelle ed anarchico, fedele ai valori estetici della vecchia scuola, per Capucci “la moda non esiste”, è un’invenzione, al pari delle tendenze, ed “essere alla moda è già essere fuori moda”. Una personalità forte, che non teme di affermare con forza che, se potesse, abolirebbe lo stesso termine moda dal vocabolario. Maestro di stile, definisce l’eleganza come fascino, mistero, qualcosa che nulla ha a che fare con l’apparenza. Testimone impotente del decadimento dei costumi, giudice inflessibile rispetto alla volgarità imperante nella sua Roma e, più in generale, nella società attuale, Capucci ha più volte ribadito che oggi a suo dire non vi sarebbe alcuna icona di stile. “L’alta moda è morta” —tuonava così pochi anni fa, commentando le sfilate dell’alta moda romana. E proprio lui, che della moda è stato uno dei nomi più importanti a livello mondiale, esordisce spesso e volentieri dicendo: “Di moda non mi intendo affatto”. Gli occhi sagaci rivelano il suo ricchissimo mondo interiore, la sua eleganza è entrata a buon diritto nelle enciclopedie della moda. “Ho un solo vizio: spendo tanto in abbigliamento. Ho 42 cappotti, in tutti i colori, dal bianco al nero e all’arancione”, ammette il couturier in una delle innumerevoli interviste.

Abito Capucci, 1957
Abito Capucci, 1957
Penelope Tree in Capucci
Penelope Tree in Capucci

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Uno degli abiti-scultura di Roberto Capucci


Universalmente riconosciuto come uno dei nomi più importanti della moda del XX secolo, Capucci ha vestito teste coronate e star del cinema: da Silvana Mangano al soprano Raina Kabaivanska a Rita Levi-Montalcini, che indossava proprio una creazione del Maestro in occasione del conferimento del Premio Nobel per la medicina del 1986. Nel 2007 è stato inaugurato a Villa Bardini (Firenze) un museo a lui dedicato: «A Roma non c’era posto per me; nessuno m’ha offerto un luogo per la mia Fondazione. Qui, invece, mi hanno steso un tappeto rosso». Commentava così il couturier, la cui attività è iniziata proprio a Firenze, nel 1951. Un nome che, da Roma e dall’Italia, ha conquistato il mondo. “Fai della bellezza il tuo costante ideale” è il monito lanciato da Capucci, summa di tutta la sua attività, dagli anni Cinquanta fino ad oggi.


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Addio a David Bowie, icona camaleontica

È scomparso ieri, all’età di 69 anni, David Bowie. Androgino, trasformista, dandy, iniziatore del glam rock ed icona trasgressiva. The Thin White Duke, Ziggy Stardust, Halloween Jack sono solo alcuni degli alter ego che hanno reso Bowie una vera leggenda. Performer di ineguagliabile bravura, il suo stile ha impresso un segno indelebile non solo nel mondo musicale, ove la sua stella ha brillato per oltre cinque decenni, ma anche nel mondo dell’immagine, rivoluzionando la cultura visiva e la moda.

All’anagrafe David Robert Jones, l’artista era nato a Londra l’8 gennaio 1947. Una carriera incredibilmente variegata lo ha portato a vestire i panni di cantautore, polistrumentista, attore, compositore e produttore discografico. Dal glam rock al folk fino all’elettronica, Bowie sperimentava e osava.

Bellissimo ed efebico, ha giocato sapientemente con la propria ambiguità e con la propria immagine, forte di un talento senza precedenti nella storia. Riservato, schivo, il divo ha vissuto sempre in bilico tra eterosessualità e bisessualità: due matrimoni, con Angela Barnett e con la top model somala Iman, due figli, Duncan e Alexandria “Lexi” Zahra.

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Il Duca Bianco è scomparso ieri all’età di 69 anni per un cancro
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David Bowie era nato a Londra l’8 gennaio 1947

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Genio poliedrico e versatile, i suoi outfit hanno rivoluzionato la cultura visiva degli ultimi cinquant’anni


Geniale interprete di un’epoca, David Bowie ha incarnato il glam rock e inaugurato una subcultura di moda, che trova nel Duca Bianco mirabile interprete. Il trucco in colori fluo, il celebre lampo disegnato sul viso, e, ancora, i lustrini e le paillettes: indimenticabili le sue mise, tra cui le tutine aderenti di Ziggy Stardust, l’extraterrestre dai capelli arancioni che gli diede il successo a livello mondiale. Suggestive e teatrali le vesti di Aladdin Sane, caratterizzate da volumi oversize, con le tute realizzate dallo stilista giapponese Kansai Yamamoto.

I suoi outfit iconici hanno ispirato innumerevoli shoot e copertine. Kate Moss ha più volte vestito i panni di Bowie: indimenticabile il tributo al Duca Bianco nella cover di Vogue UK di maggio 2003, con la supermodella ritratta da Nick Knight col celebre fulmine rosso disegnato in volto. E, ancora, un omaggio a Ziggy Stardust sulla cover di Vogue Paris di dicembre 2011, in cui Kate Moss veste i panni del celebre alter ego spaziale di Bowie, per degli scatti dal forte impatto scenografico realizzati dal duo Mert Alas & Marcus Piggott. Inoltre la top model nel 2014 si presentò ai Brit Awards per ritirare un premio assegnato al cantante, indossando la stessa tutina di Ziggy Stardust, un capo originale risalente al 1972.

Kate Moss come David Bowie per Vogue Paris
Kate Moss come David Bowie per Vogue Paris dicembre 2011, foto di Mert & Marcus
Jean Paul Gaultier Primavera/Estate 2013
Un tributo a Bowie nella collezione Primavera/Estate 2013 di Jean Paul Gaultier
Vogue Australia, maggio 2003
Vogue Australia, maggio 2003
Ellinore Erichsen fotografata da Takahiro Ogawa per Elle Messico, maggio 2013
Ellinore Erichsen fotografata da Takahiro Ogawa per Elle Messico, maggio 2013

David Bowie e Kate Moss
David Bowie e Kate Moss ritratti da Ellen von Unwerth per Q Magazine, ottobre 2003


E moltissimi sono gli omaggi e i riferimenti a Bowie, che non ha mai smesso di rappresentare inesauribile fonte di ispirazione per fotografi e designer, a partire dalla collezione di Jean Paul Gaultier, che nella Primavera/Estate 2013 ha dedicato al genio della musica un’uscita del suo défilé.

David Bowie è scomparso prematuramente il 10 gennaio 2016 all’età di 69 anni, dopo aver combattuto un cancro per diciotto mesi: a darne notizia il profilo ufficiale dell’artista su Facebook. Stamane il figlio Duncan ha confermato la tragica notizia. Si susseguono in queste ore innumerevoli messaggi di cordoglio che ricordano l’artista, da Madonna al Vaticano. Ma il suo genio e l’impronta che diede alla cultura pop non verranno mai dimenticati.

Dolce & Gabbana si aprono all’Islam con Abaya

Ci hanno ormai abituati a colpi di scena ed eventi teatrali. Da sempre innovatori, trendsetter e geni del marketing, Dolce & Gabbana non si smentiscono neanche stavolta. Il duo di stilisti ha presentato Abaya, la prima collezione interamente dedicata alle donne musulmane.

Se pensavate che i pizzi e merletti tipici delle loro collezioni fossero ad esclusivo appannaggio della moda occidentale, dovrete ricredervi: la collezione pensata per la donna musulmana riesce a coniugare la sobrietà imposta dal codice di modestia islamico con le stampe e lo stile tipico del brand, da sempre illustre rappresentante della donna mediterranea. La palette cromatica predilige il nero e il beige, per abiti con tanto di velo hijabs, ma anche accessori come occhiali da sole, gioielli e persino cosmetici.

La collezione, presentata su Style.com/Arabia, è denominata “Abaya”, dal nome della caratteristica tunica in tessuto leggero che copre tutto il corpo della donna, ad eccezione della testa, delle mani e dei piedi. Immancabile il pizzo nero, che qui viene rivisitato in linea con i trend della cosiddetta “modest fashion”, ma anche applicazioni di fiori e arabeschi insieme a pattern barocchi e a stampe che inneggiano allo stile mediterraneo, come limoni, margherite, pois. Largo a tuniche in georgette di seta semitrasparente e in satin impreziosite da ricami e pizzi. Bianco e nero predominano, ma non mancano gli inserti stampati. Accessori in primo piano, tra cui spiccano zeppe e tacchi vertiginosi, ma anche le borse della collezione e gli occhiali.

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Da sempre tra i marchi prediletti dalle donne mediorientali, Dolce & Gabbana si confermano maestri delle logiche di marketing ed acuti osservatori delle tendenze in continua evoluzione. Con un giro d’affari di oltre 300 miliardi di dollari, il mercato che si rivolge alle donne islamiche è in continua crescita, tanto che già numerosi brand hanno dedicato delle collezioni a tema, tra cui Tommy Hilfiger, DKNY, ma anche brand low-cost come H&M, Mango e Zara.

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La Sicilia, terra prediletta dal duo di stilisti, diviene spartiacque per il lancio di una nuova immagine di donna, e il Mediterraneo diviene terra di confine tra Oriente e Occidente: la nuova donna Dolce & Gabbana è velata, rispetta il Corano e le sue tradizioni ma rivendica per sé l’inalienabile diritto allo stile, meglio se italiano. La collezione Abaya e la conseguente apertura al mondo musulmano da parte di Domenico Dolce e Stefano Gabbana ha aperto numerosi dibattiti, considerato anche il delicato momento storico fino ai più recenti fatti di cronaca. La linea, già disponibile negli Emirati Arabi, arriverà presto anche nei negozi di tutto il mondo. Per una moda interreligiosa.

Nan Kempner: icona dello stile newyorkese

Ci sono donne che nobilitano la moda, conferendole quel tocco di magia che è da sempre prerogativa assoluta del glamour più autentico. Nan Kempner ha fatto della propria vita una parabola vissuta all’insegna dell’eleganza: socialite, protagonista indiscussa del jet set, avida collezionista di capi haute couture ed insuperata icona di stile, Nan Kempner nacque a San Francisco il 24 luglio del 1930.

All’anagrafe Nan Field Schlesinger, la futura icona di eleganza nasce in una famiglia benestante: il padre Albert “Speed” Schlesinger possiede la più grande concessionaria di automobili della California. Esile fin da giovanissima, Nan non possiede una bellezza da copertina, nonostante sia atletica e tonica. È lo stesso padre a consigliarle di puntare su altro, dicendole testualmente: “Con quel viso non ce la farai mai, faresti bene ad essere interessante”. Ed infatti è proprio sul carisma che la giovane punta lungo tutto il corso della propria vita.

Figlia unica, fu sua madre ad iniziarla alle meraviglie della moda. A suo dire la madre vestiva divinamente: fu da quest’ultima che la ragazzina apprese le regole fondamentali che diedero vita a quel suo stile che sarebbe in seguito divenuto iconico. Sua madre le insegnò che vi erano solo tre colori —il rosso, il nero e il grigio— e che i tacchi alti sarebbero dovuti divenire i suoi migliori amici. Contemporaneamente all’amore per la moda nacque nella giovane l’ossessione per la linea: Nan iniziò a stare in dieta all’età di 12 anni senza smettere mai nel corso della sua vita, ed iniziò a fumare all’età di 14. Dopo aver frequentato la Hamlin School di San Francisco, Nan Kempner si iscrisse al Connecticut College for Women dove studiò per un anno storia dell’arte, ma senza conseguire il diploma. Poi si trasferì per un anno a Parigi, dove frequentò la Sorbona e un corso di pittura tenuto dal maestro Fernand Léger. Ma quest’ultimo, resosi conto di quanto la giovane fosse negata, le restituì indietro il denaro.

Nan Kempner in Yves Saint Laurent, foto di Francesco Scavullo per Vogue, 1974.
Nan Kempner in Yves Saint Laurent, foto di Francesco Scavullo per Vogue, 1974
ca. January 1974, New York, New York, USA --- Socialite Nan Kempner wearing camel hair coat and cuffed plain-front pants by Yves Saint Laurent, with cashmere sweater and chain belt with tiger eye by Halston; a beret, and holding a long print silk scarf, --- Image by © CondÈ Nast Archive/Corbis
Nan Kempner in cappotto e pantaloni Yves Saint Laurent e maglione Halston. New York, gennaio 1974, foto Corbis

Nan Kempner wearing a Christian Lacroix Evening Jacket and vintage Yves Saint Laurent skirt
Nan Kempner in Christian Lacroix


Dopo aver lavorato come volontaria presso il Museo delle arti di San Francisco, nel 1952 convolò a nozze con Thomas Lenox Kempner. Dall’unione nacquero tre figli. Galeotto fu il primo incontro tra i due, con il marito che notò come prima cosa la minigonna Dior indossata dalla giovane. Un primo appuntamento al Monkey Bar di New York City in cui i due non smisero di scambiarsi insulti per una notte intera, come la stessa socialite raccontò più volte, diede vita ad una grande passione. Dopo aver vissuto a Londra per un breve periodo, i Kempner si trasferiscono nella Grande Mela: qui Nan sfodera doti imprenditoriali notevoli: in trent’anni la sua attività riesce ad incrementare i fondi del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center fino ai 75.000.000 di dollari.

Nel privato la Kempner colleziona capi di alta moda: la sua è una passione iniziata quando era ancora una ragazzina. Il suo archivio privato si arricchisce nel tempo di capi preziosi ed esclusivi, fino a divenire per proporzioni una delle più ricche collezioni private del Paese, con pezzi tra i più iconici e rappresentativi del 20esimo secolo. Spiccano capi di designer del calibro di Valentino, Karl Lagerfeld per Chanel, Mainbocher, Christian Dior, oltre agli stilisti prediletti dall’icona di stile, Bill Blass e Yves Saint Laurent, di cui si contano oltre 300 pezzi. Considerata una vera e propria autorità tra le più preparate nel settore moda, Nan Kempner era una habitué delle sfilate: si dice che in 55 anni abbia perso solo una settimana della moda, a seguito della scomparsa di suo padre. In un’intervista rilasciata al The Independent of London nel 1994 dichiarò di essersi persa solo una delle ultime 63 sfilate di Yves Saint Laurent, di cui fu musa storica ed amica.

Durante il corso della sua vita, letteralmente dedicata alla moda e allo stile declinato in ogni sua forma, Nan Kempner lavorò come contributing editor per Vogue Paris, fashion editor per Harper’s Bazaar, designer consultant per Tiffany & Co. nonché come rappresentante internazionale della celebre casa d’aste Christie’s. Inoltre l’icona di stile impartì occasionalmente lezioni di moda presso il Metropolitan Museum of Art e la New York University. Ritratta da Andy Warhol nel 1973, immortalata sulle riviste patinate con i suoi outfit sempre eccentrici e sofisticati, Nan Kempner è stata anche autrice del volume “R.S.V.P.: Menus for Entertaining From People Who Really Know How”, edito da Clarkson Potter, i cui proventi furono interamente devoluti in beneficenza. Si, perché Nan Kempner è stata anche una grande filantropa, generosa come poche e sempre in prima linea nelle opere di charity. Incarnazione dello chic newyorkese, regina dei party e degli eventi più esclusivi, illuminò la scena della Grande Mela per oltre quarant’anni con il suo stile inimitabile. Celebri le parole con cui si espresse un monolite della moda del calibro di Diana Vreeland, secondo la quale “In America non ci sono donne chic. L’unica eccezione è Nan Kempner”. Valentino Garavani ne ammirava l’eleganza con cui riusciva ad indossare i suoi capi, con quel fisico tonico e scolpito. L’icona di stile ispirò la coniazione del termine “social X-ray” utilizzato all’interno del romanzo Il falò delle vanità di Tom Wolfe.

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Nan Kempner nel suo appartamento di Park Avenue, foto di Rose Hartman-Globe Photos
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Nan Kempner in Yves Saint Laurent, 1983
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Nan Kempner è stata una socialite, collezionista di moda e icona di stile
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La socialite è nata a San Francisco il 24 luglio 1930
Nan Kempner e Valentino Garavani
Nan Kempner e Valentino Garavani

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Nan Kempner è stata una delle più grandi collezioniste di capi haute couture


Fashionista ante litteram, Nan Kempner comprò il suo primo abito Dior quando la madre la portò nella sede della storica maison a Parigi, nel 1958. Si tramanda l’aneddoto secondo cui la ragazzina, sprovvista del denaro sufficiente per acquistare quel capo —un abito bianco con cappotto coordinato— scoppiò in un pianto disperato e continuò a singhiozzare finché non attirò l’attenzione d un giovane dai grandi occhiali. Trattavasi di Yves Saint Laurent, giovane assistente di monsieur Christian Dior. La ragazzina continuò a piangere finché l’addetto alle vendite non abbassò il prezzo del capo per renderlo più vicino al suo budget. Avida collezionista di moda, Nan Kempner sviluppò in seguito una vera e propria ossessione per i capi di Yves Saint Laurent, Valentino ed Oscar de la Renta. Cominciata nel corso degli anni Sessanta, la sua passione per lo shopping non trovò mai fine nei successivi cinquant’anni. Frizzante, deliziosamente frivola, Nan Kempner conquistava chiunque con la propria personalità, emblema di quella fetta della popolazione femminile che attraverso la moda riesce a sognare e ad emozionarsi. “Dico sempre a tutti che voglio essere seppellita nuda perché deve senza dubbio esserci un negozio nel luogo in cui andrò”, dichiarava nel 1972 al magazine Women’s Wear Daily. Socialite tra le più apprezzate, protagonista indiscussa dei party più esclusivi, dichiarò che “non si sarebbe persa per niente al mondo neanche l’opening di una porta”. Autoironica come poche, raccontò che non sapendo che occupazione dichiarare nei documenti, non sentendosi abbastanza ricca da considerarsi una vera filantropa e non amando definirsi una socialite, scrisse semplicemente “casalinga”.

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Nan Kempner lavorò come contributing editor per Vogue Paris, fashion editor per Harper’s Bazaar e designer consultant per Tiffany & Co.
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L’icona di stile davanti al suo celeberrimo armadio
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Un particolare dell’immenso guardaroba di Nan Kempner
Nan Kempner's dining room by Michael Taylor
La sala da pranzo di Nan Kempner, arredata da Michael Taylor
Nan Kempner's Library with L'Enfance d'Icare (1960), René Magritte, and Gabhan O'Keefe Sofa, New York City, March 1998.
Particolare dell’appartamento di Nan Kempner con L’Enfance d’Icare di René Magritte e divano di Gabhan O’Keefe, New York City, Marzo 1998
Nan Kempner in her master bedroom decorated by Michael Taylor. Photo by Derry Moore for Architectural Digest.jpg
Nan Kempner nella sua camera da letto arredata da Michael Taylor. Foto di Derry Moore per Architectural Digest
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Particolare dell’appartamento della socialite

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Nan Kempner è stata icona di stile e musa di Yves Saint Laurent. Foto Getty Images


Definita da Yves Saint Laurent ‘la plus chic du monde’, lo stile di Nan Kempner era improntato ad una grande ricercatezza e ad una certosina cura del dettaglio. Amante del mix & match, l’icona di stile si dilettava nel creare outfit bizzarri ed eccentrici, mixando tra loro pezzi variegati. Lo stile secondo Nan Kempner consisteva nel riuscire ad esprimere la propria individualità e nell’abilità di mixare i capi. Celebre la sua propensione allo styling e alle sovrapposizioni, anche le più audaci, come quando riusciva ad indossare mirabilmente il più classico dei tailleur Yves Saint Laurent con un paio di jeans boyfriend.

Nan Kempner fu tra le prime donne ad abbracciare il trend del menswear. Non particolarmente amante dei vezzi femminili, cercava sempre di aggiungere un tocco maschile anche alla mise più sexy. Emblema vivente della massima “less is more”, non era raro vederla indossare la domenica la sua uniforme tipica, composta da un paio di Levi’s 501, una camicia bianca e una maglia indossata sulle spalle. Presenza fissa della Hall of Fame dell’International Best-Dressed List ideata nel 1940 da Eleanor Lambert, in un’intervista a Town & Country del 1999, alla domanda postale da Annette Tapert su come avrebbe descritto il proprio stile, Nan Kempner rispose senza esitazioni “artificiosamente rilassato”. Lo shopping rimase sempre la sua passione più grande: fino alla veneranda età di 72 anni la socialite era solita acquistare delle minigonne, che indossava in spiaggia con bikini Etro e poncho. Casual e minimal-chic, l’icona fu tra le prime a sdoganare la chirurgia plastica. Vanitosa e primadonna nell’animo, adorava fare le sue entrate ad effetto, attirare l’attenzione ed essere fotografata. Perennemente in viaggio tra Londra, Parigi, Gstaad, Venezia, San Francisco e Los Angeles, non si perdeva una sfilata né un party, e adorava sciare e prendere il sole.

Spendeva in abiti “più di quanto avrebbe dovuto e meno di quanto avrebbe voluto”, perfettamente a suo agio nel suo fisico atletico, frutto di duri allenamenti che avevano luogo quotidianamente nella palestra che fece costruire all’interno del suo appartamento e che le permettevano di entrare perfettamente nei capi di sfilata, indossati dalle mannequin. Amante della bellezza in ogni sua forma, nel suo appartamento il lusso era la parola d’ordine: la vediamo indugiare dinanzi alla sua incredibile cabina armadio, che farebbe impallidire la fashion victim più sfegatata, oppure nei fasti dei saloni, impreziositi da una deliziosa carta da parati francese dipinta a mano, tra preziosissimi quadri di René Magritte, antichi bric-à-brac provenienti dalla Cina, collezioni di libri d’arte e bassorilievi in bronzo realizzati da Robert Graham.

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La socialite ha incarnato la quintessenza dello chic newyorkese
NEW YORK - 1985:  Socialite Nan Kempner attends Rizzoli Book party for Marella Agnelli in circa 1985 in New York City, New York. (Photo by Rose Hartman/Getty Images)
Nan Kempner a New York, 1985 (Foto di Rose Hartman/Getty Images)
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Lo stile di Nan Kempner prediligeva il mix & match e le sovrapposizioni
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Nan Kempner fu autrice di “R.S.V.P.: Menus for Entertaining From People Who Really Know How”, edito da Clarkson Potter
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Ironica ed eccentrica, Nan Kempner fu definita da Yves Saint Laurent “la donna più chic del mondo”
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La socialite in compagnia di Andy Warhol

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Nan Kempner e Bill Blass


Nan Kempner si è spenta il 3 luglio del 2005 all’età di 74 anni, per enfisema polmonare. Fumatrice incallita, trascorse gli ultimi anni della propria vita in condizioni critiche, respirando con l’aiuto di una bombola di ossigeno. Due mesi dopo la sua scomparsa la sua famiglia ha organizzato una commemorazione in suo onore presso la sede di Christie’s, a cui presero parte oltre 500 suoi amici. Nel dicembre 2006 il Costume Institute del Metropolitan Museum of Art ha inaugurato una mostra dedicata alla smisurata collezione di capi haute couture dell’icona di stile. Nan Kempner: American Chic era composta da oltre 75 outfit, tra cui capi Galliano per Dior, Lagerfeld per Fendi, Ungaro, Jean Paul Gaultier e Lanvin. La mostra si è poi spostata al Fine Arts Museums di San Francisco.

Tantissimi sono gli aneddoti che ci svelano una donna ironica e dalla personalità scoppiettante; a partire da quella volta in cui, nel corso degli anni Sessanta, Nan Kempner decise di indossare una tuta pantaloni per una cena al ristorante La Côte Basque, in barba al dresscode della serata, che vietava espressamente alle donne l’uso dei pantaloni. Quando le fu negato l’ingresso, lei tolse i pantaloni e disse sprezzante a Madame Henriette, “Spero che questo le piaccia di più”. Indossò quindi il top come un vestito e sfoderò una adorabile nonchalance. Audace e sofisticata, sfoggiava savoir faire e self-confidence, convinta com’era che “Non è cosa indossi, ma come lo indossi”. Una grande lezione di stile. Meditate.

Lo stile di Anna Wintour

Il suo è il caschetto più celebre della moda, la posizione che occupa è la più ambita e prestigiosa per antonomasia e lei incarna da sempre il personaggio più amato e temuto del fashion biz. Il proverbiale sguardo obliquo che incuterebbe soggezione anche alla fashion editor più navigata, quel sarcasmo al vetriolo, l’alone che la circonda è quello di una diva patinata: sì, perché su Anna Wintour sono stati scritti anche dei libri, a partire da quello che è poi divenuto il film cult Il diavolo veste Prada.

Nata a Londra il 3 novembre 1949, dal 1988 Anna Wintour è alla direzione della Bibbia della moda, Vogue America. Una carriera nel giornalismo di moda iniziata ad appena sedici anni: furono questi gli esordi di una donna che il successo lo aveva scritto nel DNA o, più semplicemente, nel carattere, ambizioso e freddo come pochi. Si racconta che quando Anna Wintour si presentò al colloquio per essere assunta da Vogue, Grace Mirabella, all’epoca direttrice della celebre testata, le chiese a quale posto ambisse. Lei rispose gelida, “il suo”. Già, perché le doti che occorrono per fare una simile carriera partono da qui: occorre essere all’occorrenza spietati, calcolatori e disciplinati, parola chiave che in molti tendono a dimenticare. Simbolo della moda a livello mondiale, dopo i fasti di Diana Vreeland si è aperta ufficialmente l’era di Anna Wintour.

Temuta e riverita, odiata e venerata, presenza fissa dei front-row delle sfilate, la Wintour è molto amica di Franca Sozzani, direttrice di Vogue Italia. Il carattere della giornalista britannica ha ispirato alla sua ex assistente Lauren Weisberger (sebbene quest’ultima non abbia mai dato conferma ufficiale) il bestseller Il diavolo veste Prada, scritto nel 2003 e poi diventato un film cult. Celebre l’interpretazione di Meryl Streep nei panni di Miranda Priestley, personaggio modellato ad immagine e somiglianza di Anna Wintour. Impossibile dimenticare le maniere brusche e il tono saccente con cui si rivolgeva alla timida ed insicura assistente Andrea Sachs, interpretata da Anne Hathaway. Secondo rumours il direttore di Vogue America non avrebbe assolutamente gradito il film incentrato sul romanzo della Weisberger e avrebbe addirittura intimato molti designer di non prendervi parte. Inoltre è chiaramente ispirato alla Wintour il look del personaggio di Fey Sommers nella serie televisiva Ugly Betty.

Anna Wintour ritratta da Ellen von Unwerth per Interview,1993
Anna Wintour ritratta da Ellen von Unwerth per Interview, 1993
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Anna Wintour è nata a Londra il 3 novembre 1949

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Dal 1988 la giornalista britannica è alla direzione di Vogue America


La direttrice di Vogue America è da sempre al centro di infinite polemiche: nota per favorire gli stilisti americani, tra i suoi protetti spiccano John Galliano, Marc Jacobs e Plum Sykes, un’assistente di Vogue diventata poi scrittrice di successo, contesa dall’élite modaiola di New York. Nella sua lista dei magnifici sette del fashion system spicca solo un nome italiano ed è quello di Miuccia Prada: vediamo spesso la Wintour indossare le sue creazioni.

Anna Wintour è protagonista del documentario The September Issue, che descrive il lavoro che sta dietro la pubblicazione del numero di settembre di Vogue, considerato il più importante dell’anno. Il documentario è opera del regista R. J. Cutler ed è stato premiato al Sundance Film Festival.

Spietata nei confronti delle persone in sovrappeso, la Wintour è spesso attaccata per le sue posizioni ferme e rigide. Pare che anche la celebre Ophrah Winfrey sia stata costretta a perdere ben venti chili per apparire sulla copertina di Vogue America. La stessa Grace Coddington, fashion editor sottoposta alla Wintour nella redazione del magazine, avrebbe ammesso che i canoni estetici della sua direttrice nel selezionare modelle e celebrities da fotografare sono obiettivamente estremi.


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Ma le polemiche non finiscono qui: la Wintour non ha mai nascosto il suo amore per le pellicce, attirandosi il malcontento di numerosi gruppi di animalisti, che più volte le hanno lanciato addosso vernice, uova e quant’altro. Accusata da molti stilisti italiani di privilegiare sfacciatamente la moda americana a danno di quella italiana, la Wintour ha più volte preteso (e spesso ottenuto) che i giorni della settimana della moda milanese venissero ridotti da sette a cinque. Ma ogni guerra ha i suoi combattenti: dichiaratamente schierati contro lo strapotere della Wintour sono stati Roberto Cavalli e Krizia, recentemente scomparsa, ma anche Giorgio Armani.

Apparentemente rigida e snob, nella vita privata la Wintour ha alle spalle un matrimonio fallito, con lo psichiatra David Shaffer, da cui sono nati i due figli Charles e Katherine (detta Bee), che la giornalista ha più volte tentato invano di convincere a lavorare nell’ambito moda. Intima amica di Ralph Lauren e Diane von Fürstenberg, pare che la giornalista conduca una routine giornaliera molto metodica, che prevede sveglia prestissimo al mattino, pasti estremamente ridotti e una passione per i cappuccini bollenti. La Wintour, per contratto dalla Condé Nast (la casa editrice che gestisce Vogue), ha uno stipendio annuo che supera i 2.000.000 di dollari, oltre ad avere un autista personale e –dulcis in fundo– un budget annuale di 200.000 dollari interamente destinato a coprire le spese di abbigliamento. Il sogno di ogni fashion victim, insomma.

La giornalista nel front row della sfilata Erdem
La giornalista nel front row della sfilata Erdem

Anna Wintour alla New York Fashion Week 2016
Anna Wintour alla New York Fashion Week 2016


Lo stile prediletto dall’algida giornalista prevede cappottini e tailleur dall’appeal bon ton; e se da giovane la celebre direttrice di Vogue non lesinava in lustrini e paillettes, oggi appare più sobria. Largo a stampe all over e gonne plissettate passepartout, sotto gli occhiali da sole e il caschetto d’ordinanza. Spesso in pelliccia -rigorosamente Fendi, Dior o Chanel– la Wintour sfoggia spesso capi firmati Prada, come nel titolo del film a lei dedicato. Ça va sans dire.


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Chi sono i meglio vestiti del 2015

Creata nel lontano 1940 da Eleanor Lambert, l’International Best Dressed List è da allora l’appuntamento annuale più prestigioso per decretare i meglio vestiti di ogni anno. Nella celebre Hall of Fame della lista, ceduta al magazine Vanity Fair dalla stessa Lambert poco prima di morire, sono comparsi nel corso degli anni nomi illustri di icone di stile irraggiungibili ed eteree, da Marella Agnelli a Babe Paley, celebre cigno di Truman Capote, da Jackie Kennedy a Gloria Guinness fino a C. Z. Guest e, ancora, Jacqueline de Ribes e molti altri.

Ma andiamo a scoprire chi sono i meglio vestiti dell’anno che sta per concludersi. Il 2015 vede in pole position la principessina Charlotte Casiraghi, musa di Gucci e icona di bellezza, adesso al centro delle cronache mondane anche per il nuovo amore, il regista italiano di nobili ascendenze Lamberto Sanfelice. Lo stile sempre impeccabile della principessa non smette di affascinare. Piace molto anche Letizia Ortiz, dalla figura sottile e dal grande charme. Stile evergreen per Francesca Amfitheatrof, direttore creativo di Tiffany & Co. La First Lady britannica Samantha Cameron piace a molti per le sue mise colorate e dal gusto classico. Restiamo in Gran Bretagna con la Sophie Rhys-Jones, contessa del Wessex, amata per la sua eleganza aristocratica.

Premiato anche lo stile della ballerina Misty Copeland e la grande personalità di Mellody Hobson, la donna d’affari protagonista del Pirelli 2016. Immancabile la presenza di Amal Clooney, che si è imposta all’attenzione dei media per la sua classe, rara e molto apprezzata. Nella lista delle meglio vestite del 2015 compaiono anche le cantanti Rihanna e Taylor Swift.





Tra gli uomini in pole position l’architetto Robert Couturier, seguito dal principe Harry, da Stavros Niarchos III e dal Principe Carl Philip di Svezia. Inoltre compaiono nella lista anche Sir Jonathan Ive e il costume designer William Ivey Long.

Ad Hollywood promosse a pieni voti Diane Kruger, Emma Stone, Sienna Miller, Emma Watson e la bellissima Charlize Theron. Tra le coppie più amate e più eleganti spiccano Pierre Casiraghi e Beatrice Borromeo, freschi di matrimonio e in attesa del primo figlio.

Nella categoria dedicata agli addetti ai lavori del settore moda troviamo la fashion editor Giovanna Battaglia, Zac Posen, Victoria Beckham, Caroline Issa e Lauren Santo Domingo. Nella Hall of Fame immancabile la presenza anche quest’anno di Sheikha Mozah bint Nasser al-Missned, seconda delle tre mogli di Hamad bin Khalifa al-Thani, emiro del Qatar.

Auguri, Carla Bruni

Compie oggi 48 anni Carla Bruni. Ex Première Dame della Repubblica francese, top model e cantautrice di successo. Impossibile dimenticare la sua falcata altera, presenza immancabile delle passerelle anni Novanta. Gli occhi da gatta, gli zigomi pronunciati e quell’aria aristocratica: Carla Bruni è stata una delle modelle più famose in assoluto. Sono gli anni in cui le supermodelle sono regine assolute della moda, vere e proprie dive venerate da stilisti e media: lei sfila per tutti, da Chanel a Versace all’amico Yves Saint Laurent, di cui chiude i défilé, posa accanto a Naomi Campbell e Linda Evangelista, colleziona cover e uomini. Sempre con quell’aria un po’ così, la proverbiale puzza sotto il naso è l’elemento che la caratterizza, ma sotto la gelida facciata ribolle un vulcano.

Carla Gilberta Bruni Tedeschi è nata a Torino il 23 dicembre 1967 in una ricca famiglia di origine ebraica da tempo convertitasi al cattolicesimo. La futura Première Dame trascorre la sua infanzia in un castello: è il maniero di Castagneto Po, recentemente venduto dalla mannequin allo sceicco arabo Al-Walid bin Talal.

La bella Carla ha una sorella, Valeria Bruni Tedeschi, che diventerà attrice impegnata, e un fratello, Virginio, morto di AIDS. Quando Carla ha appena sette anni, la famiglia si trasferisce a Parigi: sono gli anni di piombo, e il timore di un rapimento da parte delle Brigate Rosse appare fondato, dal momento che il nonno di Carla, Vittorio Bruni Tedeschi, era stato il fondatore della CEAT, la seconda industria italiana della gomma dopo la Pirelli.

Carla Bruni è stata una delle supermodelle più pagate degli anni Novanta
Carla Bruni è stata una delle supermodelle più pagate degli anni Novanta
Carla Bruni è nata a Torino il 23 dicembre 1967
Carla Bruni è nata a Torino il 23 dicembre 1967

La top model è ex Première Dame della Repubblica francese e cantautrice di successo
La top model è ex Première Dame della Repubblica francese e cantautrice di successo


Carla riceve un’educazione da alto-borghese: gli studi nella scuola privata in Svizzera, poi la Sorbona, dove si studia architettura. Ma nella metà degli anni Ottanta la ragazza inizia a sfilare come modella. Sempre più richiesta, negli anni Novanta entra nell’Olimpo delle supermodelle più pagate al mondo. Sfila per nomi del calibro di Christian Dior, Paco Rabanne, Sonia Rykiel, Christian Lacroix, Karl Lagerfeld, John Galliano, Yves Saint-Laurent, Chanel, Versace, e arriva a guadagnare 7,5 milioni di dollari all’anno. Nel 1997 mette da parte l’attività di modella per iniziare una carriera come cantautrice. Il primo album Quelqu’un m’a dit è del 2002: chitarra e voce suadente, la nuova Carla ottiene il favore del pubblico che sembra adorare quel suo stile bohémien e quelle ballate dal piglio malinconico ed intimista. La classe non le manca neppure quando appare struccata con la chitarra sottobraccio nei concerti dal vivo.

La sua vita privata è da sempre al centro del gossip: definita spesso alla stregua di una glaciale arrampicatrice, le sue relazioni hanno fatto scandalo, a partire dalla storia con il filosofo francese Raphaël Enthoven, conosciuto quando la Bruni frequenta il padre di quest’ultimo, Jean-Paul Enthoven: Raphaël, all’epoca sposato con la scrittrice Justine Lévy, figlia del noto filosofo Bernard-Henri Lévy, perse la testa per la top model e pose fine al proprio matrimonio. La relazione ispirò alla Lévy il libro Rien de grave, dove la scrittrice traccia un ritratto al vetriolo della Bruni, che le ispira il personaggio di Paula, modella priva di scrupoli e più volte ricorsa al bisturi per migliorare la propria immagine. Da Raphaël Enthoven Carla Bruni ha avuto nel 2001 il primo figlio, Aurélien.


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Il 2007 è l’anno del coupe de foudre per Nicolas Sarkozy: questa volta la top model ha fatto centro, facendo capitolare nientepopodimenoché il Presidente della Repubblica francese. I due vengono paparazzati su tutti i giornali come la nuova coppia da sogno, fino al matrimonio, celebrato il 2 febbraio 2008 al Palazzo dell’Eliseo. Per lui sono le terze nozze, per lei è la vera svolta, perché Carla il potere lo ama da sempre. L’ex top model appare semplicemente perfetta nel nuovo ruolo di Première Dame: impeccabile ad ogni evento ufficiale, dagli incontri con Michelle Obama e la Regina Elisabetta II, evento in cui la top model sfoggia un’indimenticabile mise firmata Christian Dior che ci ha riportati indietro ad un glorioso passato in cui l’eleganza era all’ordine del giorno. Carla Bruni appare raggiante nella sua nuova veste, per cui sembra essersi preparata per tutta una vita, come affermano i maligni. Da Nicolas Sarkozy nel 2011 ha la figlia Giulia.

Su Carla Bruni sono stati scritti numerosi libri, nei quali ad essere maggiormente indagato è proprio il suo rapporto con gli uomini. Definita spesso una mantide religiosa, descritta come una donna fredda e calcolatrice, la top model per sua stessa ammissione è una materialista ipercontrollata che studia a tavolino la propria immagin: il ritratto di una donna cui certamente manca ogni margine di spontaneità. Ma ella stessa nasce in una famiglia altolocata ed intellettuale, ragione questa che spiega molto bene l’intima corrispondenza amorosa verso uomini di un certo spessore.

Carla Bruni in uno scatto di Ellen von Unwerth
Carla Bruni in uno scatto di Ellen von Unwerth

La top model in passerella per Yves Saint Laurent
La top model in passerella per Yves Saint Laurent


Impegnata politicamente, dopo essersi dichiarata di sinistra per una vita ammette con deliziosa nonchalance di aver cambiato idea; nominata nel 2008 ambasciatrice mondiale dell’Unicef per la protezione delle madri e dei neonati contro l’Aids, l’anno seguente crea la Fondation Carla Bruni-Sarkozy, nata per promuovere il sapere anche tra le persone svantaggiate. Particolarmente sensibile al tema della lotta all’AIDS data la prematura scomparsa del fratello Virginio, morto nel 2006 a causa del virus, la top model nel 2010 lancia la campagna internazionale Born HIV Free, per sensibilizzare l’opinione pubblica circa la possibilità di eliminare la trasmissione del virus HIV da madre a figlio entro il 2015. Sempre nel 2010 viene inserita dalla rivista Forbes al 35º posto nella lista delle donne più potenti del mondo. Glaciale e al tempo stesso sensuale, lei non perde occasione di vantarsi del proprio lato b, che a suo dire rasenterebbe la perfezione.

Amata ed odiata, è stata perfino fatta oggetto di insulti ed incitazioni ad ucciderla a seguito della sua campagna a favore di Sakineh Mohammadi Ashtiani, condannata alla lapidazione per adulterio e omicidio in Iran. Mentre la sua carriera di cantautrice prosegue con grande successo, partecipa con un cameo al film di Woody Allen Midnight in Paris. Circolano nello stesso periodo rumours insistenti secondo i quali la ex top model avrebbe avuto un ruolo nell’estradizione del famoso terrorista Cesare Battisti, dopo essersi impegnata attivamente, secondo il Time, per impedire l’estradizione dalla Francia all’Italia della brigatista Marina Petrella, già condannata in Italia all’ergastolo per un omicidio e vari attentati. Nessuno è profeta in patria, si sa: e se la Bruni dichiara di essere felice di aver lasciato l’Italia, Cossiga ribatte dicendo che anche gli italiani sono felici di essersi liberati di lei. Resta la deliziosa imitazione di Fiorello e il testo di una canzone che canta più o meno così: “Meno male che c’è Carla Bruni”.


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Lo stile di Emmanuelle Alt

Editor-in-chief della Bibbia della moda, Vogue Paris, stylist di successo ed icona di stile di fama mondiale: Emmanuelle Alt è uno dei nomi più influenti del fashion biz. Perfetta incarnazione del Parisian chic contemporaneo, la sua è stata una scalata inarrestabile che l’ha portata ad assumere in pochissimi anni uno degli incarichi più prestigiosi al mondo, quale è la direzione dell’edizione francese di Vogue.

Classe 1967, Emmanuelle nasce a Parigi sotto il segno del Toro. La piccola respira stile ed eleganza già nell’ambito familiare: la madre Françoise era una mannequin molto in voga a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, volto di maison del calibro di Lanvin e Nina Ricci, mentre il padre era un coreografo noto in ambito artistico e teatrale.

La carriera di Emmanuelle Alt inizia giovanissima: subito dopo il diploma conseguito presso l’Institut de l’Assomption di Parigi, non ancora diciottenne, nel 1984 Emmanuelle ottiene un impiego come assistente stylist per Elle France.

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Emmanuelle Alt è nata a Parigi il 18 maggio 1967
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Dal 2011 la Alt è editor-in-chief di Vogue Paris

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Pochissimo trucco e minimalismo per la fashion editor


Stylist molto richiesta, collabora come fashion consultant per Isabel Marant. Nel 1998 assume la direzione del magazine Mixte. Ma è nel 2001 che arriva la svolta, quando viene ingaggiata come style editor di Vogue Paris pochi mesi prima dell’arrivo di Carine Roitfeld. Emmanuelle diventa in breve tempo il braccio destro della Roitfeld e tra le due nasce un sodalizio artistico che sforna alcuni tra i redazionali più celebri e controversi mai realizzati dalla testata Condé Nast. Con la collaborazione di nomi del calibro di Mario Testino e Patrick Demarchelier il duo segna una pagina nuova della moda francese, ispirandosi ad un’estetica patinata coniugata ad un immaginario erotico. Gli editoriali firmati Roitfeld-Alt destano scalpore e non lesinano in nudi e allusioni sadomaso.

Alla fine degli anni Duemila, Emmanuelle firma il rilancio di Balmain, assieme allo stilista Christophe Decarnin. È all’estro creativo della stylist parigina che dobbiamo alcuni dei fashion trend che hanno segnato il ritorno in auge della celebre maison francese: ribelle e moderna, forte della propria personalità, la nuova donna Balmain veste in giacche biker di pelle, skinny jeans ricamati con Swarowski e blazer dall’appeal grintoso. Il successo è assicurato e molti dei pezzi del brand diventano must have adorati dalle fashion victim.

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Emanuelle Alt predilige il total black e la sobrietà
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Camicia bianca e jeans skinny sono l’uniforme adottata dalla stylist
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La carriera nella moda di Emmanuelle Alt è iniziata a soli 17 anni

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Il look minimal-chic adottato dalla stylist ha rivoluzionato lo streetstyle


Il 2011 è l’anno della consacrazione per la fashion editor, che assume la direzione di Vogue Paris dopo le dimissioni di Carine Roitfeld. Sobria ma decisa, al Telegraph che le chiede di definire la futura linea editoriale del magazine più chic per antonomasia, lei risponde che tutto sarà “uguale ma diverso”. Poche sibilline parole che riassumono perfettamente la linea che la celebre rivista assumerà sotto la sua direzione: uno stile sofisticato e sensuale ma a tinte più sobrie rispetto al passato. Protagonista resta lo charme tipico della donna francese contemporanea, per un’estetica che non teme la sensualità ma solo se funzionale allo stile. Fashion shoot firmati da nomi del calibro di Testino, Mert & Marcus, ancora Demarchelier, ma ora accanto a top del calibro di Kate Moss, Daria Werbowy e Lara Stone troviamo icone come Sophie Marceau e Charlotte Casiraghi.

Il fil rouge del manifesto stilistico di Emmanuelle Alt è uno: ricercatezza. “Non voglio essere un’immagine”, ha dichiarato sempre al Telegraph la nuova direttrice di Vogue Paris. Una delle poche editor-in-chief a firmare lo styling del servizio portante di ogni issue del magazine. Stakanovista come poche, grande professionista della moda, Emmanuelle Alt ha fatto dell’effortless chic la propria cifra stilistica. Frangetta scura e avversione per il make-up, la Alt non ama ostentare: discreta e riservata, sappiamo in verità molto poco della sua vita privata.

Sublime incarnazione del minimalismo-chic e dello stile parisien, la vediamo spesso in camicia, skinny jeans, blazer e cappotti dal taglio sartoriale. Sfegatata amante del total black, la sua altezza svettante (sfiora il metro e ottantasette centimetri) le permette flat e ballerine dallo charme francese, che sovente preferisce ai tacchi alti. Il suo è uno stile pulito ed essenziale: jeans skinny e camicia sono divenuti quasi uniforme iconica della Alt, che ha rivoluzionato lo streetstyle con la sua garbata eleganza.

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Altezza svettante per la Alt, che sfiora il metro e ottantasette centimetri
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Approdata alla redazione di Vogue Paris nel 2001, la Alt è stata per anni braccio destro di Carine Roitfeld
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Emmanuelle Alt è mamma di due bambini ed è sposata con Franck Durand, direttore creativo di Isabel Marant

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Lo stile rock-chic di Emmanuelle Alt predilige skinny jeans e giubbotti di pelle


Emmanuelle Alt piace perché non è una fashionista in senso stretto, non ostenta loghi e aborre gli outfit esagerati tipici invece di molte sue colleghe fashion editor. Banditi assolutamente dal suo guardaroba abiti e gonne, la stylist ha dichiarato che la donna più elegante “è quella sicura di sé” e che “la naturalezza è sinonimo di sicurezza in se stessi”. Linee pulite ed essenziali si sposano in lei a suggestioni rock-chic e ad un’anima grintosa: amante della velocità e dei motori, la stylist è anche una mamma. Sposata con Franck Durand, direttore creativo di Isabel Marant, la Alt ha due figli, Antonin and Françoise. Un blog intitolato “I want to be an ALT” segue ogni passo della vita dell’icona parisienne. Umile e acqua e sapone, il suo salario annuale alla direzione di Vogue Francia non arriva neanche minimamente a sfiorare quello di Anna Wintour, editor-in-chief dell’edizione americana del magazine. Less is more, è proprio il caso di dirlo.


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Buon compleanno, Jane Birkin!

Spegne oggi 69 candeline Jane Birkin. Bellezza iconica degli anni Sessanta e Settanta, spregiudicata, maliziosa come nessuna, l’attrice e cantante britannica non ha perso assolutamente il suo celebre fascino.

La caratteristica frangetta, il sedere rotondo immortalato in foto scandalose al fianco di Serge Gainsbourg: non c’è dettaglio della vita di Jane Birkin che non sia divenuto iconico, dai suoi amori ai suoi film. Incarnazione dello stile fresco eppure sofisticato tipicamente anni Sessanta, l’attrice è uno dei volti più noti e più chiacchierati degli ultimi cinquant’anni.

Nata a Londra il 14 dicembre 1946, Jane Mallory Birkin discende da una famiglia che ha fatto fortuna con l’industria del merletto nel Nottinghamshire. Il fascino doveva essere nel DNA, dal momento che una sua prozia, Winifred (Freda) May Birkin, poi sposata con William Dudley Ward, fu amante del Principe di Galles (il futuro Edoardo VIII del Regno Unito, nonché Duca di Windsor). Il padre della bella Jane, il maggiore David Birkin, era stato comandante della Royal Navy ed eroe della seconda guerra mondiale e fu coinvolto anche in vicende di spionaggio; la madre era l’attrice e cantante Judy Campbell (pseudonimo di Judy Gamble), famosa per le sue interpretazioni nei musical di Noël Coward.

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Jane Birkin è nata a Londra il 14 dicembre 1946

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L’attrice ha raggiunto la fama mondiale con il film “Blow-up” di Michelangelo Antonioni


Occhi da cerbiatto e fascino torbido che fa capolino dietro l’aria innocente, Jane comincia la carriera di attrice teatrale all’età di 17 anni: siamo nella Swinging London e il suo stile ammalia un nome storico della moda made in UK del calibro di Ossie Clark. Successivamente Jane fa il suo esordio come cantante in un musical: è in questo contesto che conosce il compositore inglese John Barry (autore anche di alcune musiche per i film di James Bond): tra i due nasce una relazione che sfocia in un matrimonio celebrato quando Jane ha appena 19 anni. Dalle nozze nasce la prima figlia della futura icona di stile, Kate Barry, nata nel 1967 (scomparsa prematuramente a Parigi, probabilmente suicida, l’11 dicembre 2013, dopo essere precipitata dal quarto piano del suo appartamento nel XVI Arrondissement).


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L’esordio cinematografico di Jane Birkin avviene con il film “Non tutti ce l’hanno” (The Knack …and How to Get It) di Richard Lester, ma è con la pellicola successiva, l’indimenticabile Blow-up di Michelangelo Antonioni, che l’attrice ottiene la fama. Una scena la immortala in topless: la bellezza acqua e sapone la rende immediatamente un’icona della scena londinese. Nel 1968 l’attrice si trasferisce in Francia: qui avviene l’incontro della vita, con il cantante e musicista Serge Gainsbourg, con cui intraprende una relazione che durerà fino al 1980. Una coppia inimitabile, il fascino di lui capace di sposarsi così bene con la bellezza di lei, musa quasi forgiata dalle mani esperte e dalla fantasia del grande cantautore francese. Nel 1969 arriva la canzone scandalo, con tanto di gemiti e sospiri, Je t’aime…moi non plus, originariamente incisa da Gainsbourg insieme a Brigitte Bardot e poi cantata invece con la Birkin. Due anni più tardi, nel 1971, nasce Charlotte Gainsbourg, che diventerà anche lei attrice e cantante.

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La bellezza acqua e sapone di Jane Birkin l’ha resa una grande icona di stile

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L’attrice ne “La piscina” del 1969


Al termine della relazione con Gainsbourg, Jane Birkin ha continuato con grande successo la carriera di attrice. Inoltre la diva ha trovato un nuovo amore nel regista francese Jacques Doillon, da cui ha avuto la figlia Lou, nata nel 1982 e divenuta famosa come modella. Una carriera sfolgorante nel cinema e nel teatro, un’immagine che le ha permesso di divenire una vera e propria icona, un’esperienza anche come fashion designer al fianco della figlia Lou (le due hanno firmato insieme una collezione per il brand La Redoute), Jane Birkin ha anche una borsa a suo nome, la mitica Birkin firmata Hermès, che la diva ha recentemente rinnegato per motivi ambientalisti. Vero e proprio oggetto di culto, It Bag tra le più costose al mondo (il prezzo varia dai 6.000 ai 120.000 euro), la celebre borsa porta il nome dell’attrice, che però lo scorso luglio ne ha disconosciuto la paternità.

Oggi la diva compie 69 anni: bellezza naturale, fieramente contraria alla chirurgia estetica, gli anni non ne hanno minimamente scalfito la classe e il grande fascino.


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C. Z. Guest: icona dell’American style

C. Z. Guest: icona dell’American style

I riflessi che i raggi del sole disegnano su una piscina, capelli biondi mossi dal vento e dalla brezza del mare, poco distante, sorrisi bianchi illuminano labbra di un rosa appena accennato. È questo lo sfondo su cui si stagliava la vita di C. Z. Guest, socialite ed indimenticabile icona di stile. Emblema dell’American style, presenza fissa dell’International Best Dressed List, C. Z. Guest incarnò la quintessenza dello chic, col suo stile acqua e sapone, tra polo e bermuda. La bionda icona fu anche attrice, giornalista, autrice, guru del giardinaggio, provetta cavallerizza e fashion designer.

All’anagrafe Lucy Douglas Cochrane, la futura icona di eleganza nacque a Boston, in Massachusetts, il 19 febbraio del 1920, in una famiglia dell’alta borghesia. Il padre, Alexander Lynde Cochrane, è un banchiere. Il nome di C. Z. deriva dal soprannome Sissy: era questo il suono che il fratello emetteva quando la chiamava “sister”. C. Z. cresce come una splendida ragazza: impressionante è la somiglianza giovanile con Grace Kelly. Durante una fase d ribellione giovanile, durante i suoi vent’anni, la bionda C. Z. si trasferisce ad Hollywood, dove inizia una carriera come attrice. Successivamente si sposta in Messico, dove posa in déshabillé per Diego Rivera: il dipinto che la ritrae nuda venne poi appeso al bar dell’Hotel Reforma. Quando il futuro marito di C. Z., il giocatore di polo Winston Frederick Churchill Guest, venne a conoscenza del ritratto, esclamò: “Oh no, sei stata una cattiva ragazza, tesoro”.

Il matrimonio tra i due venne celebrato l’8 marzo 1947. Winston Frederick Churchill Guest era figlio di Frederick Guest, a sua volta figlio di Ivor Bertie Guest, primo Barone Wimborne, e di Lady Cornelia Henrietta Maria Spencer-Churchill (figlia di John Spencer-Churchill, settimo duca di Marlborough), e per discendenza materna era cugino primo di Sir Winston Churchill. Le nozze ebbero luogo nella casa del celebre scrittore Ernest Hemingway, all’Avana, Cuba. La coppia ebbe due figli, Alexander e Cornelia Guest.

C.Z. Guest in Mainbocher, foto di  Irving Penn
C.Z. Guest in un tailleur Mainbocher, foto di Irving Penn


C.Z. Guest ritratta da Cecil Beaton per Vogue, aprile 1953


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C. Z. Guest, all’anagrafe Lucy Douglas Cochrane, nacque a Boston il 19 febbraio del 1920


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C.Z.Guest in un abito Mainbocher, 1950


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C. Z. Guest fu antesignana dello stile preppy


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La socialite fu anche provetta cavallerizza, esperta di giardinaggio, attrice e fashion designer


La classe innata di C. Z Guest ottenne numerosi riconoscimenti: giovanissima aveva già posato per Harper’s Bazaar per l’obiettivo di Louise Dahl-Wolfe; successivamente posò per Irving Penn e Cecil Beaton, prima di ottenere la copertina di Town & Country, nel novembre 1957. Ritratta anche da Salvador Dalí, Kenneth Paul Block e Andy Warhol, la sua vita lussuosa, tra party a bordo piscina e residenze principesche, la rese musa indiscussa del fotografo Slim Aarons. Inoltre nel luglio del 1962 ottenne la cover di TIME magazine e fu protagonista di un articolo che ritraeva l’alta società americana. Nel 1959 fu inserita nella Hall of Fame dell’International Best Dressed List creata da Eleanor Lambert nel 1940.

La socialite amava vestire in modo essenziale e semplice: antesignana dello stile preppy, che incarnò brillantemente, tra polo, bermuda, tutine e prendisole, C. Z. Guest fu l’emblema di quell’eleganza tipicamente americana a cui oggi guardano designer come Ralph Lauren e Tommy Hilfiger. Adorata per i suoi look iconici, promosse strenuamente i designer americani, come il couturier Mainbocher, ma anche Oscar de la Renta, che fu suo intimo amico e che dichiarò più volte di essere stato ispirato da lei.

C.Z. Guest su Harper’s Bazaar, gennaio 1950. Abito Mainbocher, foto diLouise Dahl-Wolfe
C.Z. Guest su Harper’s Bazaar, gennaio 1950. Abito Mainbocher, foto diLouise Dahl-Wolfe


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La socialite a Villa Artemis, ritratta da Slim Aarons


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Un velo di abbronzatura, un fiocco tra i capelli e pochissimo make up: queste erano le regole di stile di C. Z. Guest


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Rosa pastello e linee pulite: lo stile preppy deve moltissimo a C. Z. Guest


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C.Z. Guest con Joanne Connelly a Palm Beach, 1955, foto di Slim Aarons


Una bellezza classica e naturale ed una predilezione per outfit sporty-chic, C. Z. Guest boicottava il make up, puntando ad un’eleganza casual. Potremmo definirlo effortlessy chic: poche ma preziose regole erano i pilastri su cui si basava la sua eleganza, come indossare una semplice t-shirt di colore bianco, illuminata da labbra colorate di rosa e da un filo di abbronzatura, o legare i biondissimi capelli con un fiocco di seta, o, ancora, indossare l’immancabile filo di perle bon ton, unico vezzo che si concedeva, nella sua proverbiale avversione per i gioielli. Il suo stile oh so preppy le aprì con facilità le porte dei più esclusivi circoli fashion, e il suo matrimonio la rese protagonista indiscussa del jet set internazionale. C. Z. Guest teneva molto al suo ruolo di socialite e si divertiva a posare per le cover e a rilasciare interviste. Lo stile per lei era qualcosa di innato, parte integrante della sua stessa essenza. D’altronde nella sua sfera di amicizie figuravano icone del calibro di Babe Paley, la duchessa di Windsor, Diana Vreeland, Barbara Hutton, Gloria Guinness, Joan Rivers e Diane von Fürstenberg. Inoltre fu uno dei cigni della corte di Truman Capote. Sopravvissuta al cancro, definì lo stile “questione di sopravvivenza, l’avere affrontato tante avversità senza darlo a vedere”.

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Il bianco era il colore prediletto dall’icona di stile


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C. Z. Guest a Villa Artemis, costruita sulla falsariga dei templi greci


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C.Z. Guest davanti la piscina di Villa Artemis, Palm Beach, 1955. Foto di Michael Mundy


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Foto di Slim Aarons, circa 1955


Premium Rates Apply. circa 1955:  Mrs F C Winston Guest (1920 - 2003) (aka Cee Zee Guest) with her dogs in front of the Grecian temple pool on her ocean-front estate, Villa Artemis, Palm Beach, Florida.  (Photo by Slim Aarons/Getty Images)
Villa Artemis, Palm Beach, Florida. Foto di Slim Aarons, 1955


Con la duchessa di Windsor
Con la duchessa di Windsor


In un libro a lei dedicato, dal titolo “C.Z. Guest, American Style Icon”, edito da Rizzoli, Susanna Salk traccia un ritratto intimo della trendsetter americana. C.Z. Guest amava stare all’aria aperta e il suo look acqua e sapone testimonia in primis le sue passioni, come andare a cavallo, giocare a tennis e occuparsi dei suoi amati giardini. La socialite divenne grande esperta di giardinaggio, scrisse rubriche su numerose riviste e fu autrice di ben tre testi sull’argomento, creando anche dei guanti che andarono a ruba, rendendola anche genio ante litteram delle strategie di marketing. Nonostante la vita lussuosa non era una snob, ma riteneva le buone maniere e la gentilezza vincenti in ogni campo. Come scrive William Norwich nell’introduzione al volume di Susanna Salk, C. Z. Guest fu “campionessa di meritocrazia”. Una vera e propria avversione nei confronti dei privilegi, la socialite riteneva doveroso cercare di elevarsi e primeggiare in qualcosa, fosse lo sport o altro, indipendentemente dall’appartenenza all’élite. A differenza della maggior parte delle donne del suo rango, C. Z. Guest non temeva di avventurarsi fuori dai ristretti confini tracciati dalla scala sociale: ce la descrivono sempre pronta ad abbracciare il nuovo, l’ignoto, il suo indomito spirito ribelle le faceva amare l’avventura e l’esotico, facendole preferire gli stivali da cavallerizza al filo di perle. La sua ricchezza non pesava su chi le stava accanto: il suo sorriso faceva sentire chiunque a proprio agio. Perché, si sa, la vera eleganza non ha bisogno di ostentare alcunché.

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C. Z. Guest col marito Winston Frederick Churchill Guest in una foto di Slim Aarons


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C. Z. Guest nella sua residenza di Templeton: la socialite fu provetta cavallerizza


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Uno scorcio della residenza di C. Z. Guest a Templeton


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Ancora interiors della tenuta di Templeton


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Il celebre ritratto di C. Z. Guest eseguito da Salvador Dalí


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C.Z. Guest con la figlia Cornelia nel 1986. Foto di Helmut Newton


Uno scatto del 1959
Uno scatto del 1959


La sua grande passione per il giardinaggio iniziò un po’ per caso: dopo una rovinosa caduta da cavallo, nel 1976, le venne chiesto dal New York Post di scrivere una rubrica sul tema. Nacque così il materiale che raccolse nel suo primo libro, First Garden, che fu illustrato dal suo amico Cecil Beaton.

D’inverno C. Z. Guest viveva nella sua residenza a Palm Beach, la celebre Villa Artemis, mentre nei mesi caldi si divideva tra il suo appartamento di Manhattan e Templeton, la sua proprietà nel Connecticut. Come ella stessa dichiarò nel corso di un’intervista rilasciata a Vogue, fu proprio a Templeton che la socialite trovò la propria dimensione più autentica, dedicandosi alla caccia e prendendosi cura dei suoi giardini e dei suoi cani. Tantissimi -si stima 10 o 15- i suoi fidati amici a quattro zampe furono immortalati anche nei quadri delle sue residenze e talvolta comparivano nelle foto in braccio alla bionda padrona. L’interior design di Templeton venne curato da Stephane Boudin e Maisin Janson con mobilio e arredi di grande valore artistico -come il celebre ritratto realizzato da Salvador Dalí– che la resero più simile ad un museo. Villa Artemis, la residenza di Long Island, comprendeva invece 28 camere: la piscina in marmo bianco, set iconico delle indimenticabili foto di Slim Aarons, e l’architettura che ricalcava fedelmente i templi greci resero la villa con vista sull’oceano emblema della bella vita.

C. Z. Guest fu anche fashion designer: la sua prima linea comprendeva prevalentemente maglioni di cashmere dalle linee essenziali. La collezione fu presentata nel 1985, durante una sfilata del celebre Adolfo Domínguez. L’anno seguente, nel 1986, la socialite mise a punto una collezione di sportswear in limited edition. Nel 1990 brevettò un repellente contro gli insetti e altro materiale per il giardinaggio, ottenendo anche lì grande successo.

C.Z.Guest in una foto di Peter Stackpole, ottobre 1947
C.Z.Guest in una foto di Peter Stackpole, ottobre 1947


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C. Z. Guest fu socialite di cui si ricorda la gentilezza d’animo, come testimoniato dai suoi amici storici, come Diane von Furstenberg


C.Z. Guest e Peter Lawford, 1961
C.Z. Guest e Peter Lawford, 1961


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C.Z.Guest sulla copertina di Town & Country, Novembre 1957


L’icona di stile morì l’8 novembre del 2003 a New York, all’età di 83 anni, a causa di difficoltà respiratorie. Truman Capote, l’amico di una vita, tracciò un ritratto di C. Z. Guest che ce la restituisce nella sua struggente spontaneità: “I suoi capelli, divisi al centro e più chiari del Dom Pérignon, erano più scuri di una gradazione rispetto all’abito che indossava, un Mainbocher bianco in crêpe de Chine. Nessun gioiello, pochissimo trucco; solo la perfezione del bianco su bianco… Chi l’avrebbe mai detto che dentro questa signora che sapeva di fresca vaniglia si celava un autentico maschiaccio?”

Diane von Fürstenberg ne ricordò la semplicità, la gentilezza e la generosità. “Nulla in lei appariva falso o costruito”– disse la stilista. “Era una donna autentica, di una naturale bellezza e dalla classe innata”. La classe di una vera bellezza americana.

(Foto cover Slim Aarons)


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