Mona von Bismarck: quando lo stile diviene leggenda

Ci sono donne la cui eleganza ha attraversato indenne i secoli, arrivando fino ai nostri giorni. Una straordinaria bellezza, una vita avventurosa e uno stile inimitabile sono gli ingredienti che hanno reso la contessa Mona von Bismarck un’autentica leggenda. La sua prodigiosa scalata sociale la portò a sposare uomini facoltosi e a condurre un’esistenza lussuosa, mentre la sua bellezza e la naturale eleganza la resero intramontabile icona di stile.

Presenza fissa dell’International Best Dressed List, musa di fotografi e pittori, socialite e protagonista del jet set internazionale, la vita patinata di Margaret Edmona Travis Strader Schlesinger Bush Williams von Bismarck-Schönhausen de Martini fu il vero capolavoro stilistico forgiato da lei stessa, caparbia e all’occorrenza spietata virago, che creò dal nulla un’immagine capace di attraversare i secoli.

Nata a Louisville, in Kentucky, il 5 febbraio 1897, Mona Travis Strader era di umili origini. Suo padre, Robert Sims Strader, era uno stalliere presso la fattoria Fairland, a Lexington, di proprietà di Henry James Schlesinger. L’infanzia della piccola Mona fu segnata dal divorzio dei suoi genitori, nel 1902. Lei e il fratello Robert andarono a vivere dapprima con la nonna materna e successivamente con la nonna paterna. Non furono giorni facili per i due fratellini: la nonna materna fu dichiarata pazza e mandata in manicomio, come anche un altro congiunto. Uno zio di Mona sparò ad una prostituta prima di suicidarsi, ed un altro morì durante una battuta di caccia.

Mona von Bismarck all'età di 59 anni in uno scatto di Cecil Beaton, 1956
Mona von Bismarck all’età di 59 anni in uno scatto di Cecil Beaton, 1956. Foto Condé Nast Archives


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Mona von Bismarck in uno scatto risalente al 1948 realizzato dall’amico Cecil Beaton


Ma Mona cresceva come una donna estremamente affascinante e coltivava in cuor suo un profondo senso di rivalsa. Tanto si è scritto sulla sua bellezza, quasi idolatrata da coloro che la ritrassero: dall’amico di una vita Cecil Beaton a Horst P. Horst, da Edward Steichen a George Platt Lynes, da Salvador Dalí fino a Leonor Fini e Bernard Boutet de Monvel. Si dice che nessun quadro e nessuno scatto riuscì mai a rendere giustizia alla bellezza dei suoi occhi di zaffiro e dei suoi capelli d’argento.

Appena diciottenne la fanciulla riuscì a far capitolare Henry James Schlesinger, il signore di Fairland, la fattoria in cui il padre di Mona lavorava come stalliere.

Mona von Bismarck in una foto di George Platt Lynes, 1940


Mona von Bismarck fotografata da Edward Steichen per Vogue, 3 gennaio 1933
Mona von Bismarck fotografata da Edward Steichen per Vogue, 3 gennaio 1933


La contessa ai tempi in cui era la signora Harrison Williams. Foto di Edward Steichen per Vogue, Novembre 1928
La contessa ai tempi in cui era la signora Williams. Foto di Edward Steichen per Vogue, Novembre 1928


Mona von Bismarck in un lungo abito Balenciaga nel suo Hôtel Particulier di Parigi. Foto di Cecil Beaton, 1955


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Ancora uno scatto che immortala Mona von Bismarck nel suo Hôtel Particulier di Parigi, 1955


Mona von Bismarck in un abito Balenciaga nel suo Hôtel Particulier di Parigi ritratta da Cecil Beaton, 1955
Mona von Bismarck appare altera nello sfarzoso abito Balenciaga tra i mobili rococò del suo Hôtel particulier


Mona Travis Strader nacque a Louisville, in Kentucky, il 5 febbraio 1897


Mona con il quarto marito Edward von Bismarck in uno scatto risalente agli anni Cinquanta


Sfidando le convenzioni sociali, nel 1917 la giovane convolò a nozze con Schlesinger, che aveva vent’anni più di lei ed era considerato all’epoca l’uomo più ricco del Wisconsin. Dalle stalle alle stelle, si potrebbe dire. Ma per Mona quello fu solo l’inizio di una clamorosa scalata sociale.

La coppia si divideva tra la tenuta a Milwaukee, il Wisconsin e Fairland. Ma il matrimonio fu breve: dopo soli tre anni, nel 1920, i due divorziarono. Mona, che da quell’unione partorì il figlio Robert Henry, rinunciò alla custodia di quest’ultimo in cambio dell’esorbitante cifra di mezzo milione di dollari. Non certo una madre esemplare, ma forse anche in quella mantide religiosa senza scrupoli qualche rimpianto per quel figlio mai amato deve pur esserci stato. Il piccolo Robert Henry sposerà poi Frederica Barker, sorella maggiore dell’attore Lex Barker.

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Occhi di zaffiro e capelli bianchi, la bellezza di Mona von Bismarck era leggendaria


New York, New York, USA --- 12/2/1940-New York, NY: Mrs. Harrison Williams, one of society's best dressed women, is shown in her box at the Metropolitan Opera here, at the opening performance of the 1940-41 season. --- Image by © Bettmann/CORBIS
Mona Harrison Williams al Metropolitan Opera, febbraio 1940. — Foto di © Bettmann/CORBIS


Mona von Bismarck posa per l’amico di una vita Cecil Beaton, 1932


Mona von Bismarck. Foto di Cecil Beaton. Vogue, 1 luglio 1939


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Mona von Bismarck è stata una socialite ed una icona di stile


Dopo il divorzio Mona si trasferì a New York. Non ci volle molto perché quella bellissima ragazza dagli occhi di ghiaccio trovasse un nuovo marito. Solo l’anno seguente, nel 1921, Mona convolò a nozze con il banchiere James Irving Bush, che aveva 14 anni più di lei ed era considerato all’unanimità uno degli uomini più attraenti del Paese. Ma il matrimonio durò appena tre anni e nel 1924 Mona ottenne il divorzio a Parigi.

Nel 1926 la futura icona di stile si getta in una nuova avventura, aprendo un negozio di abbigliamento nella Grande Mela, insieme alla sua amica Laura Merriam Curtis, figlia di William Rush “Spooky” Merriam, un vecchio Governatore del Minnesota. Laura era stata fidanzata con Harrison Williams, considerato l’uomo più ricco d’America, con una fortuna stimata intorno ai 680 milioni di dollari, equivalenti agli attuali 8 miliardi di dollari. Scaltra e consapevole del proprio fascino, Mona fiuta subito la succulenta occasione ed inizia a tessere una tela attorno a Williams. Lui, 24 anni di più, non può resistere: è così che il 2 luglio 1926 i due convolano a nozze. Per la luna di miele i novelli sposi si regalano una crociera sullo yacht di Williams, considerato la barca più costosa e più grande del mondo, dal nome quantomai appropriato: “Warrior”, il guerriero.

Mona sembra avere finalmente trovato la felicità: Williams la ricopre di regali costosi e di attenzioni. Durante la loro luna di miele la coppia fa scalo in numerosi porti tra Cina, Giappone e i Mari del Sud. Si ritiene che durante questo viaggio Williams acquistò per Mona il famigerato zaffiro, passato alla storia come lo zaffiro Bismarck, e poi donato dalla futura contessa alla Smithsonian Institution: pare che l’acquisto sia avvenuto nel porto di Colombo, in Sri Lanka. Inoltre i coniugi acquistarono molte perle nei Mari del Sud, e anche queste costituiscono oggi parte dell’eredità della socialite.

Mona von Bismarck by Cecil Beaton for Vogue, 1936
Mona von Bismarck ritratta da Cecil Beaton per Vogue, 1936


Mona von Bismarck by Cecil Beaton for Vogue, 1936
Un’altra foto di Cecil Beaton, Vogue, 1936


Mona von Bismarck amava i cani. Eccola immortalata qui con il suo Mickey


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Mona Bismarck con una collana di smeraldi firmata Cartier e il suo cagnolino. Foto di Cecil Beaton, 1938


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Eccentrica e sofisticata, Mona von Bismarck nel 1933 fu dichiarata la donna più elegante del mondo.


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Foto di Cecil Beaton, 1936


Durante quella crociera l’attenzione di Mona si concentrò su una dimora a picco sul mare che capeggiava la Marina Grande di Capri. La villa giaceva in stato di abbandono ma il fascino di quel rudere aveva radici assai lontane: nel 27 a.C. l’imperatore romano Tiberio aveva fatto costruire nel golfo di Capri 12 ville, ognuna dedicata a una divinità dell’Olimpo. Dove un tempo sorgeva una di queste ville si trova oggi Il Fortino: la villa, acquistata da Mona von Bismarck nel 1938, deve il suo nome al periodo dell’occupazione francese dell’isola di Capri, quando, sotto Gioacchino Murat, venne costruito un fortino di avvistamento. Originariamente costruito sulle rovine del palazzo imperiale di Cesare Augusto, poi ristrutturato sotto Tiberio e poi edificato dal pittore ungherese Hahn nel corso dell’800, il Fortino ha una vista mozzafiato sulla scogliera e un parco che si staglia su due livelli. Su tutto l’edificio si erge una torre medievale merlata. Costituita da quattro case indipendenti (Casina dei Fiori, la Palazzina degli Ospiti, la Palazzina dei Camerieri e Villa Mona), oggi la villa è considerata una tra le residenze più esclusive al mondo, meta del turismo più elitario.

Rientrati a New York, i coniugi acquistarono la residenza in stile georgiano sulla 94esima Strada e l’appartamento sulla Quinta Strada con l’interior design di Syrie Maugham. Inoltre possedevano una proprietà a Long Island chiamata Oak Point con interior design di Delano & Aldrich e una casa a Palm Beach, oltre alla villa di Capri, dove Mona si dilettava col giardinaggio, una tra le sue più grandi passioni.

L’ossessione di Mona per l’haute couture inizia durante il suo matrimonio con Harrison Williams. Il suo amore per il bello la portava a collezionare mobili risalenti al 18esimo secolo, mentre l’immensa disponibilità economica del marito le poteva finalmente garantire il tenore di vita che aveva sempre sognato. Anche dopo aver perso la maggior parte dei suoi investimenti durante il crollo del 1929, Williams resta un uomo ricchissimo e può offrire alla sua splendida consorte una vita da favola.

Mona von Bismarck and Randolph Churchill at El Morocco, 1950s
Mona von Bismarck e Randolph Churchill insieme nel club El Morocco, New York, anni Cinquanta


Mona von Bismarck and Jacques de la Beraudiere, 1938
Mona von Bismarck e Jacques de la Béraudière, 1938


Mona von Bismarck by Peter Stackpole, 1950s
Mona von Bismarck in uno scatto di Peter Stackpole, anni Cinquanta


Jo Davidson and Mrs. Harrison Williams (Mona von Bismarck) by Peter Stackpole, 1950s
Jo Davidson e Mona Williams immortalati da Peter Stackpole, anni Cinquanta, LIFE Magazine


Per Mona è la consacrazione ufficiale: accanto a Wlliams riesce finalmente a brillare. I due formano una coppia da copertina e lei è ricercatissima dalle riviste patinate, che se la contendono: appare diverse volte su Vogue e su Harper’s Bazaar, immortalata come la nuova dea del jet set statunitense. Bellissima, riesce a rendere sexy la sua canizie precoce; ha lineamenti aristocratici e il portamento è altero, ma l’espressione austera cede talvolta il posto al più amichevole dei sorrisi, specialmente quando Mona brilla in società. Nel circolo dei suoi amici figurano membri dell’aristocrazia europea e teste coronate, statisti, politici, artisti, designer, attori, scrittori e molto altro.

Nel 1933 Mona viene nominata “La donna meglio vestita del mondo” da una giuria che comprendeva couturier del calibro di Chanel, Molyneux, Vionnet, Lelong, e Lanvin. È la prima volta che un’americana ottiene questo prestigioso riconoscimento, seguita l’anno successivo dalla duchessa di Windsor e nel 1935 da Elsie de Wolfe. Inoltre nel 1958 Mona von Bismarck compare sulla Hall of Fame della International Best Dressed List.

Il suo stile prediligeva Chanel, Mainbocher, Lanvin, Vionnet, Molyneaux, Lelong, e soprattutto Balenciaga, di cui fu cliente storica e musa per ben trent’anni. La contessa trovò in Cristóbal Balenciaga un autentico mentore che la iniziò alle magie della moda. Tra i due nacque un vero e proprio sodalizio stilistico: lei musa e lui geniale interprete di creazioni che ancora oggi trovano spazio nei musei. Ma la decisione da parte del couturier di chiudere il suo atelier, nel 1968, getta Mona nella più nera disperazione. Si dice che l’icona di stile si chiuse nella sua camera, nella villa di Capri, per tre giorni, rifiutando di vedere anima viva. Diana Vreeland commentò la reazione della contessa con queste parole: “Voglio dire, era pur sempre la fine di una parte della sua vita!”. Per lei era davvero la fine di un’epoca. Dopo aver superato in spese folli l’ereditiera Barbara Button, acquistando ben 150 capi di Balenciaga dopo che un treno che trainava il suo guardaroba era deragliato, alla fine si consolò con Hubert de Givenchy.

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Nel 1958 Mona von Bismarck comparve sulla Hall of Fame della International Best Dressed List.


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La contessa fu musa di Cecil Beaton, Salvador Dalí e Cristóbal Balenciaga


Mona von Bismarck by Cecil Beaton, 1958
Mona von Bismarck in uno scatto di Cecil Beaton, 1958


Mona negli anni Cinquanta
Mona von Bismarck in uno scatto risalente agli anni Cinquanta


“Cosa mi importa se la signora Harrison Williams è la meglio vestita in città?”: cantava Cole Porter nel 1936 in Ridin’ High, mentre Truman Capote modellò a immagine e somiglianza della contessa il personaggio di Kate McCloud nel suo romanzo Preghiere esaudite, uscito postumo nel 1987. Nel 1943 Mona viene ritratta da Salvador Dalí. Il quadro desta scalpore in quanto la futura contessa viene dapprima ritratta nuda. Mona resta scandalizzata da cotanta audacia e si rifiuta di pagare l’artista finché non vengano aggiunti dei vestiti. Dopotutto era stata la donna meglio vestita al mondo per undici anni di fila! Alla fine lei fu una dei pochi estimatori di quel ritratto. Numerose le sue apparizioni su Vogue, la contessa viene ritratta soprattutto da Cecil Beaton, che trovò in lei la sua modella preferita ed una vera e propria musa: si tramanda che nelle sessioni fotografiche che la riguardavano, non vi era foto da scartare, data l’impressionante fotogenia della contessa. Eccentrica e sopra le righe, Mona von Bismarck aveva una vera e propria mania per i colori en pendant, e pretendeva che i suoi valletti indossassero uniformi blu quando la accompagnavano agli eventi mondani con la sua Rolls Royce blu.

Hubert de Givenchy disse di lei: “Era splendida, proprio come nel ritratto di Dalí, e aveva sedotto 5 mariti. Andava matta per le perle e ne comprò a chili durante la crociera nei mari del Sud. Nel suo appartamento di New York aveva due ascensori regolati a velocità diverse, il più veloce dei quali era riservato ai domestici, affinché potessero sempre precederla e aprire la porta al suo ingresso.

L’eccesso faceva parte di lei, mentre il suo stile può essere definito come un dandismo al femminile. Emily M. Banis, brillante studentessa presso il Fashion Institute of Technology di New York, ha dedicato alla celebre icona la sua tesi di laurea, intitolata “Mona: Portrait of a Female Dandy.” Mona era una dandy in gonnella, che modellò un’intera esistenza sul bello e su questo effimero ma potente ideale fondò il suo look e il suo lifestyle. Mona creò se stessa, sopravvivendo ad un’infanzia infelice. È vero, i detrattori sottolineano che, nonostante i suoi numerosi viaggi e le sue dimore principesche tra Parigi e Capri, non si preoccupò mai di imparare l’italiano né il francese, che non era solita leggere, e che le sue lettere probabilmente non sono un capolavoro di retorica. Ma sapeva scegliere con cura gli arredamenti, curava personalmente giardini lussureggianti, organizzava cene superbe e indossava abiti perfetti. La contessa amava nuotare, ricamare, coltivare tulipani e dedicarsi ai suoi amati cagnolini, tra i quali spicca Mickey, un bastardello che Mona adorava e che fu immortalato al suo fianco in alcuni scatti realizzati da Cecil Beaton.

Il matrimonio di Mona ed Harrison Williams durò ben 27 anni, fino alla morte di quest’ultimo, avvenuta nel 1953. All’indomani della dipartita di Williams, il New York Times recitava così: “L’unica ragione per cui gli Harrison Williams non vivevano come principi è che i principi non potevano permettersi di vivere come loro”.

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Oak Point, la residenza di Mona von Bismarck a Long Island


La contessa nella villa Il Fortino, Capri, anni Cinquanta


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Mona von Bismarck era contesa dalle riviste patinate e apparve numerose volte su Vogue


La socialite ebbe cinque mariti


Se i primi tre mariti le diedero il denaro, è col quarto che Mona ottiene anche il titolo nobiliare a cui anelava da sempre. Nel gennaio 1955 Mona sposa il suo amico di vecchia data e confidente Albrecht Edward Heinrich Karl, conte di Bismarck-Schönhausen, un decoratore di interni di discendenza aristocratica, figlio di Herbert von Bismarck e nipote del cancelliere tedesco Otto von Bismarck. I rumours dicono che Edward sia gay. Sebbene gli sia stato diagnosticato un cancro allo stomaco, il conte vive per altri 16 anni. Il matrimonio venne celebrato con rito civile nel New Jersey e poi con rito religioso a Roma, nel febbraio 1956. I coniugi Bismarck vissero per la maggior parte a Parigi, nel famoso appartamento presso l’Hôtel Lambert, e nelle residenze di Mona, tra New York e Capri. La vediamo ritratta dal fedele Cecil Beaton nel 1955 nel sontuoso abito Balenciaga, regale tra i mobili rococò del suo hôtel particulier e i capelli pettinati in stile Pompadour.

Nel 1970 il conte Edward von Bismarck muore. Alla vigilia dei 74 anni Mona è di nuovo vedova. L’anno seguente, nel 1971, sposa il fisico di Bismarck, Umberto de Martini, a cui ella stessa dona un titolo nobiliare ottenuto dal re Umberto II di Savoia. Lei, che aveva sempre prediletto uomini molto più grandi, ora si legava a un uomo più giovane di 14 anni, destando nuovamente scandalo. Credeva che Umberto avrebbe badato a lei, ma lui aveva un’amante in Inghilterra e non era animato da sentimenti onesti: de Martini prosciugò l’eredità di Mona, inventando clamorose bugie, come la prossima apertura di una clinica, alibi per depositare ben tre milioni di dollari in una banca svizzera. Dei 90 milioni di dollari ereditati da Mona alla morte di Williams ne restavano ora solo 25. Nel 1979 Umberto muore prematuramente a seguito di un incidente automobilistico. È in quel momento che Mona realizza che de Martini l’aveva sposata solo per interesse, esattamente come lei aveva fatto con Schlesinger, Bush e Williams. A quel punto torna ad usare il cognome di Bismarck. Ormai delusa e sfiorita, vive altri 4 anni, morendo a New York il 10 luglio 1983, all’età di 86 anni. Viene sepolta a Long Island, vestita con un abito Givenchy, accanto ai due mariti Harrison Williams ed Edward von Bismarck.

L’amico storico Cecil Beaton andò a trovarla a Capri durante la vecchiaia e restò spiazzato: in lei non vi era più traccia della proverbiale bellezza che da sempre era stato il suo segno distintivo. I capelli ora erano tinti di un banale castano, la figura appesantita, lo sguardo spento. “È un relitto”, commentò a malincuore Beaton. “Ha dipinta in volto una grottesca maschera che copre ciò che resta dei suoi lineamenti nobili. Le labbra sono ingrandite come quelle di un clown, le sopracciglia disegnate con un tratto sottile di nero”, descrisse Beaton, fino ad ammettere, commosso: “Il mio cuore piange per lei”. Era il tramonto di una stella. Ora toccava scendere dalla giostra, ora toccava fare il bilancio di una vita non sempre vissuta secondo la morale comune. Ma, certamente, vissuta al massimo.

Mona von Bismarck in her rose garden at Il Fortino, her estate on Capri. Photo by Cecil Beaton. Vogue, April 1, 1967
Mona von Bismarck nel suo roseto a Capri. Foto di Cecil Beaton. Vogue, 1 Aprile 1967


Mona von Bismarck by Horst P. Horst, ca. 1941
Mona von Bismarck immortalata da Horst P. Horst, ca. 1941


René Bouché, 1936
Mona von Bismarck vista da René Bouché, 1936


Leonor Fini
Un ritratto della contessa realizzato da Leonor Fini


Salvador Dali, Portrait of Mrs Harrison Williams (Mona von Bismarck), 1943, oil on canvas, 91.7 x 61.26 cm
Ritratto di Mona von Bismarck realizzato da Salvador Dalí, 1943, olio su tela, 91.7 x 61.26 cm


Poco prima della morte, Mona aveva fondato il Mona Bismarck American Center for Art and Culture, con sede a Parigi, istituito allo scopo di promuovere le relazioni culturali tra Francia e Stati Uniti. La fondazione a suo nome registrata a New York ha ancora oggi un centro culturale a Parigi e uno spazio espositivo sito di fronte alla Torre Eiffel. Nata allo scopo di promuovere attività artistiche, scientifiche, letterarie ed educative, la fondazione negli ultimi venti anni ha organizzato più di 70 mostre, aperte al pubblico e gratuite.

Ma alla morte della contessa, il figlio Robert Henry rivendica i suoi diritti sull’eredità della madre, di quella stessa madre rea di averlo abbandonato ancora bambino, barattandolo con una cospicua buonuscita. La villa di Capri dovette quindi essere venduta, per far fronte all’eredità ora contesa.

Inoltre la contessa aveva donato nel 1976 le sue foto e parte dei suoi scritti alla Filson Historical Society. Le lettere di Mona Strader Bismarck sono datate 1916-1994 e sono costituite perlopiù dalla corrispondenza personale della contessa, e includono missive della Duchessa di Windsor, di Diana Vreeland, Gore Vidal, Randolph Churchill, Constantin Alajalov, l’illustrazione di copertina per il New Yorker e il Saturday Evening Post, e, ancora, lettere a Jean Schlumberger, Hubert de Givenchy, Cecil Beaton e molti altri. Una lettera di Constantin Alajalov era indirizzata a Mickey, che era stato anche ritratto da Alajalov. Mona amava i suoi cagnolini e ne ebbe numerosi nel corso della sua vita. Alla morte di Mickey ricevette tante lettere di condoglianze quante ne riceverà per la dipartita del terzo marito, Harrison Williams. Le lettere offrono uno sguardo intimo sulla moda e sulla società dell’epoca, come anche sulle posizioni inglesi ed europee rispetto al secondo conflitto mondiale. Bettina Bergery è destinataria e mittente di molte delle missive: costei era la modella preferita di Givenchy e moglie di Gaston Bergery, ambasciatore del governo di Vichy nell’Unione Sovietica e in Turchia.

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Abito Balenciaga appartenuto alla contessa, 1955


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Una mostra dei capi Balenciaga indossati da Mona von Birmarck


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Il celebre zaffiro Bismarck donato dalla contessa al Museo di Storia Naturale della Smithsonian Institution


La Collezione Fotografica di Mona Strader Bismarck copre gli anni dal 1860 al 1979 e include i bellissimi scatti di Cecil Beaton, le foto di famiglia, dei numerosi mariti, degli amici e della contessa immortalata nel suo giardino a Capri e nel suo appartamento all’Hôtel Lambert a Parigi. Nel 1967 Mona von Bismarck aveva inoltre donato al Museo di Storia Naturale della Smithsonian Institution la collana con pendente che incorporava lo zaffiro blu dello Sri Lanka di 98.6 carati. L’istituzione rinominò in suo onore il gioiello come “La collana con zaffiro Bismarck”. Nel maggio 1986 la parte della sua eredità che comprendeva altri gioielli di valore fu battuta all’asta presso Sotheby’s a Ginevra: faceva parte di questa una sua famosa collana a due strati di perle, che fu venduta a più del doppio rispetto alla stima iniziale, per 410.000 dollari.

Nonostante gli scandali e gli eccessi, la bellezza e la vita glamour di Mona von Bismarck non sembrano essere sopravvissute alla morte di quest’ultima. Pochi scrivono di lei, sebbene sia stata una figura fondamentale in termini di stile ed eleganza; manca una biografia completa e l’unico testo degno di nota che la riguarda sembra essere “Kentucky Countess: Mona Bismarck in Art & Fashion” di James D. Birchfield. Resta la parabola di una donna che ottenne dalla vita tutto ciò che voleva, ma il cui sguardo appare triste e malinconico nella maggior parte delle foto che la ritraggono.


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Pauline de Rothschild: l’incarnazione dello stile

Lo stile di Lauren Santo Domingo

Se l’eleganza avesse un corpo, sarebbe sicuramente il suo: sottile ed eterea, la figura slanciata capace di esaltare qualsiasi mise, i lunghi capelli biondi che incorniciano un volto dai lineamenti squadrati. Emblema dello stile wasp americano, Lauren Santo Domingo è uno dei volti più celebri del fashion biz.

Una carriera sfolgorante ed uno stile imitatissimo l’hanno consacrata influencer e trendsetter, mentre la sua eleganza l’ha portata ad apparire sulla Hall of Fame dell’International Best Dressed List stilata dalla rivista Vanity Fair lo scorso 2015.

Figlia di un imprenditore e filantropo americano, all’anagrafe Lauren Davis, la bionda imprenditrice ha sposato lo scorso 2008 il famoso discografico colombiano Andrés Santo Domingo, divenendo cognata di Tatiana Santo Domingo e Andrea Casiraghi. Il matrimonio, atteso come l’evento più glamour dell’anno, ha tenuto banco per mesi sui tabloid di mezzo mondo. Quarant’anni il prossimo 28 febbraio, cresciuta a Greenwich, in Connecticut, Lauren, algida e bionda, sarebbe piaciuta ad Alfred Hitchcock, con quella sua eleganza un po’ gelida.

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Lauren Santo Domingo è nata il 28 febbraio 1976
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All’anagrafe Lauren Davis, nel 2008 l’imprenditrice ha sposato Andrés Santo Domingo
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Lauren Santo Domingo è contributing editor di Vogue e co-fondatrice del sito Moda Operandi

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Cresciuta a Greenwich, in Connecticut, la bionda Lauren ha sempre amato la moda


Una carriera iniziata come modella per Sassy, magazine per teenager molto in voga negli anni Novanta. L’imprenditrice ha ammesso più volte di aver desiderato da sempre di lavorare nel mondo della moda. Dopo gli studi la bionda Lauren ha messo in curriculum anche un’esperienza come PR per Oscar de la Renta, tra i suoi designer preferiti. Poi la fondazione di Moda Operandi, nel 2010, in collaborazione con Aslaug Magnusdottir, e, da lì, la consacrazione a guru della moda.

Moda Operandi si è imposto in breve come uno tra i siti web più amati dai fashion addicted di tutto il mondo: l’idea le venne guardando le sfilate di moda e sognando, da fashionista che si rispetti, di poter indossare al più presto i capi visti sulle passerelle. Il sito si distingue infatti in quanto offre la possibilità di fare acquisti senza dover aspettare i lunghi tempi di consegna normalmente previsti. M’O ha aperto diverse sedi nelle principali capitali europee, a partire da Londra. Il sito offre un’ampia selezione di capi, accessori di lusso, come la celebre Birkin Bag di Hermès, e numerose collezioni di gioielli.

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Lauren Santo Domingo è un’imprenditrice, un’influencer ed un’icona di stile
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L’imprenditrice è stata inserita dal New York Observer tra le 100 newyorkesi più influenti degli ultimi venticinque anni
Lauren Santo Domingo in pelliccia Marco de Vincenzo
Lauren Santo Domingo in pelliccia Marco de Vincenzo
Lauren Santo Domingo indossa un top Johanna Ortiz
Lauren Santo Domingo indossa un top Johanna Ortiz
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Nel 2010 Lauren Santo Domingo ha fondato Moda Operandi insieme ad Aslaug Magnusdottir

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Trench, jeans e ballerine: la quintessenza dello stile


Nel 2005 la bionda Lauren torna a far parte della redazione di Vogue, dove aveva iniziato anni prima a lavorare come editor: con la sua rubrica “APT with LSD” entra negli appartamenti delle donne più influenti del fashion biz, affermandosi anche come una delle firme più seguite e apprezzate della celebre testata.

Presenza fissa sulle riviste patinate come anche nei front row delle sfilate e nel parterre degli eventi più glamour ed esclusivi, Lauren Santo Domingo secondo il New York Observer è una delle cento newyorkesi più influenti degli ultimi venticinque anni. La bionda fashion editor e il marito Andrés formano una coppia molto glamour e sono spesso paparazzati negli eventi mondani, come illustri esponenti di quel jet set internazionale che forse oggi apparirebbe annacquato senza icone della portata di Lauren. Il suo nome, divenuto celebre -quasi un logo vivente- viene spesso abbreviato come LSD.

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Lauren Santo Domingo è musa di stilisti del calibro di Proenza Schouler, Nina Ricci ed Eddie Borgo
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La bionda fashion editor è amante delle pencil skirt e degli abiti scultura
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Lauren Santo Domingo è considerata l’ultima icona wasp
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Gonna Derek Lam e giacca paillettata Salvatore Ferragamo

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La carriera di Lauren Santo Domingo è iniziata con uno stage come PR presso Oscar de la Renta


Da anni considerata tra le donne più eleganti del mondo, musa di stilisti del calibro di Proenza Schouler, Nina Ricci e Alexander Wang, Lauren Santo Domingo è una brillante trendsetter, capace di anticipare le tendenze e fiutare i futuri talenti, tra cui Delpozo, di cui ha spesso indossato le creazioni. Fotografata da nomi del calibro di Annie Leibovitz e Mario Testino, non c’è rivista patinata in cui Lauren Santo Domingo non sia apparsa, da Vogue Paris a Vogue Spagna, da Elle a Town & Country, da W a Vanity Fair.

La bionda editor viaggia spesso tra Londra, New York, Cartagena, in Colombia -paese di origine del marito- e Parigi, dove vive nel quartiere Saint Germain, in un lussuoso hôtel particulier. Mamma di due bambini, sublime incarnazione della più autentica lady dell’alta società americana, l’editor è da sempre in prima linea nel valorizzare i nuovi talenti. Tra i suoi designer preferiti spiccano Giambattista Valli, Oscar de la Renta, Charlotte Olympia, Dries Van Noten, Dolce & Gabbana e Josep Font di Delpozo. Il suo stile tradisce la sua vita cosmopolita e la sua indole raffinata e sofisticata. Icona di stile contemporanea dalle mise sempre apprezzate, Lauren Santo Domingo sfoggia uno stile sempre impeccabile, che indossi capi sartoriali o abiti da gran soirée. Una predilezione per le pencil skirt e per gli abiti scultura, dal sapore couture, il suo stile è tutto da imitare.

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Uno dei look più iconici dell’imprenditrice
Lauren Santo Domingo in Oscar de la Renta ai Met Gala 2014
Lauren Santo Domingo in Oscar de la Renta ai Met Gala 2014
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Lauren Santo Domingo in John Galliano vintage

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Lauren Santo Domingo in Giambattista Valli Couture



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Chi sono i meglio vestiti del 2015

Creata nel lontano 1940 da Eleanor Lambert, l’International Best Dressed List è da allora l’appuntamento annuale più prestigioso per decretare i meglio vestiti di ogni anno. Nella celebre Hall of Fame della lista, ceduta al magazine Vanity Fair dalla stessa Lambert poco prima di morire, sono comparsi nel corso degli anni nomi illustri di icone di stile irraggiungibili ed eteree, da Marella Agnelli a Babe Paley, celebre cigno di Truman Capote, da Jackie Kennedy a Gloria Guinness fino a C. Z. Guest e, ancora, Jacqueline de Ribes e molti altri.

Ma andiamo a scoprire chi sono i meglio vestiti dell’anno che sta per concludersi. Il 2015 vede in pole position la principessina Charlotte Casiraghi, musa di Gucci e icona di bellezza, adesso al centro delle cronache mondane anche per il nuovo amore, il regista italiano di nobili ascendenze Lamberto Sanfelice. Lo stile sempre impeccabile della principessa non smette di affascinare. Piace molto anche Letizia Ortiz, dalla figura sottile e dal grande charme. Stile evergreen per Francesca Amfitheatrof, direttore creativo di Tiffany & Co. La First Lady britannica Samantha Cameron piace a molti per le sue mise colorate e dal gusto classico. Restiamo in Gran Bretagna con la Sophie Rhys-Jones, contessa del Wessex, amata per la sua eleganza aristocratica.

Premiato anche lo stile della ballerina Misty Copeland e la grande personalità di Mellody Hobson, la donna d’affari protagonista del Pirelli 2016. Immancabile la presenza di Amal Clooney, che si è imposta all’attenzione dei media per la sua classe, rara e molto apprezzata. Nella lista delle meglio vestite del 2015 compaiono anche le cantanti Rihanna e Taylor Swift.





Tra gli uomini in pole position l’architetto Robert Couturier, seguito dal principe Harry, da Stavros Niarchos III e dal Principe Carl Philip di Svezia. Inoltre compaiono nella lista anche Sir Jonathan Ive e il costume designer William Ivey Long.

Ad Hollywood promosse a pieni voti Diane Kruger, Emma Stone, Sienna Miller, Emma Watson e la bellissima Charlize Theron. Tra le coppie più amate e più eleganti spiccano Pierre Casiraghi e Beatrice Borromeo, freschi di matrimonio e in attesa del primo figlio.

Nella categoria dedicata agli addetti ai lavori del settore moda troviamo la fashion editor Giovanna Battaglia, Zac Posen, Victoria Beckham, Caroline Issa e Lauren Santo Domingo. Nella Hall of Fame immancabile la presenza anche quest’anno di Sheikha Mozah bint Nasser al-Missned, seconda delle tre mogli di Hamad bin Khalifa al-Thani, emiro del Qatar.

Slim Keith: il fascino dell’imperfezione

La giacca maschile cade a pennello sui fianchi stretti; i capelli schiariti dal sole delle spiagge californiane sono raccolti con nonchalance in una coda da cui sbucano ciocche ribelli; la sigaretta tra le dita affusolate lascia il posto ad un sorriso che si allarga gioviale su un volto dai lineamenti marcati e dalla rara bellezza. Slim Keith è stata una socialite ed una tra le più sublimi icone di stile a cavallo tra gli anni Quaranta e Sessanta. Perfetta incarnazione della California girl, la sua leggendaria eleganza impresse un segno indelebile nella moda degli anni Quaranta e la rese iniziatrice del tomboy style.

Nancy “Slim” Keith nasce a Salinas, in California, il 15 luglio 1917. All’anagrafe Mary Raye Gross, la madre le cambia il nome in Nancy. Bionda e abbronzata, la figura snella forgiata dallo sport, le spalle larghe e il fisico atletico: Nancy cresce in salute e bellezza assaporando il sole della California. Ma la giovane è sempre più insofferente rispetto ai ristretti orizzonti culturali che respira nell’ambiente domestico. Il padre è un uomo d’affari di origine tedesca, bigotto e privo di amore, la madre un angelo del focolare senza alcuna ambizione personale. Quando i suoi genitori divorziano, la piccola Nancy sceglie di andare a vivere con la madre.

Iscritta ad una scuola cattolica, lascia gli studi un semestre prima del diploma. Affamata di vita e sicura di sé, la giovane fugge in moto nel deserto. L’istinto le dice di fermarsi in un resort situato nella Valle della Morte: è qui che inizia la sua scalata sociale, grazie all’incontro con William Powell. Vedendola emergere dalle acque di una piscina col suo fisico scultoreo, l’attore le dà il soprannome che la accompagnerà per tutta la vita, Slim, ovvero “snella”.

Slim Keith ritratta da Horst P. Horst per Vogue, Febbraio 1949
Slim Keith ritratta da Horst P. Horst per Vogue, Febbraio 1949
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Slim Keith a casa con un outfit disegnato da lei stessa. Foto di John Engsteadt per Harper’s Bazaar, 1945

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Alta e tonica, Slim Keith incarnò la tipica bellezza californiana


Grazie all’amicizia con Powell la ragazza incontra William Randolph Hearst e la sua compagna Marion Davies, per merito dei quali riesce ad affermarsi in pochissimo tempo come una delle socialite più famose di Hollywood: non vi è party a cui non presenzi, bella come una diva patinata la vediamo sorridere al fianco di divi del calibro di Gary Cooper e Cary Grant. La socialite diviene regina incontrastata del jet set internazionale, adorata tra gli altri da Clark Gable ed Ernest Hemingway. Ma l’ambizione di Slim non è soltanto quella di realizzarsi a livello lavorativo. Femme fatale spregiudicata e passionale, la futura icona di stile ha un debole per gli uomini.

Nel 1938 avviene l’incontro con quello che sarà il suo primo marito, il famoso regista Howard Hawks. Per lui è il classico colpo di fulmine: Hawks si invaghisce immediatamente di lei e fa di tutto per convincerla a sposarlo, sebbene egli sia già sposato da molti anni. Nella sua autobiografia, intitolata “Slim: Memorie di una vita ricca ed imperfetta“, la socialite racconta che nonappena la vide, Howard Hawks le disse “Sei la cosa più che straordinaria che abbia mai visto. Mi sposerai“. Quello che più piaceva in lei era il fatto che, sebbene fosse una gran bellezza, non nutriva alcun interesse per la carriera cinematografica. Ironica e divertente, le sue osservazioni erano acute e taglienti. Coraggiosa come nessuna, nelle sue memorie ammette candidamente che i suoi tre mariti furono un mezzo per avviare la sua portentosa scalata sociale: Slim Keith descrive Hawks dicendo che “Non era solo bello, affascinante e di successo, era esattamente il pacchetto che volevo. La carriera, la casa, le quattro auto, lo yacht —questa era la vita per me.” Nel 1941 i due convolano a nozze.

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Slim Keith, all’anagrafe Mary Raye Gross, nasce a Salinas, in California, il 15 luglio 1917
Slim Keith ritratta da Man Ray
Slim Keith ritratta da Man Ray
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Lo stile di Slim Keith, minimale e sobrio
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La socialite fu protagonista del jet set internazionale ed icona di stile

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Slim Keith fu presenza fissa della International Best Dressed List


Slim Keith fu anche talent scout ante litteram: fresca di matrimonio col regista hollywoodiano, sfogliando un numero della celebre rivista Harper’s Bazaar si imbatté nel volto di una giovane modella, ritratta da Louise Dahl-Wolfe: trattasi di Lauren Bacall, ultima scoperta della celebre fashion editor Diana Vreeland. Il fiuto di Slim le fa comprendere immediatamente il potenziale espressivo di quel viso; ne parla subito al marito e in pochissimo tempo la bella Lauren viene convocata per un provino e ottiene così il suo primo ruolo come attrice, nel film “Acque del Sud“, diretto da Hawks. Nella pellicola la Bacall flirta con Bogart —con cui nascerà una lunga storia d’amore— indossando i tailleur maschili di Slim, che le suggerisce anche molte delle battute, forgiando un personaggio a propria immagine e somiglianza. Ne viene fuori un capolavoro: lo charme di quella donna così a proprio agio nell’indossare abiti da uomo e nel fumare una sigaretta dopo l’altra diverrà emblema della bellezza anni Quaranta.

Malgrado la sua acuta intelligenza, la socialite dichiarerà di non essere stata altro che una specie di soprammobile per Hawks, una presenza prettamente decorativa. Il matrimonio non si rivelò affatto facile, anche a causa delle numerose infedeltà di lui. Poco dopo la nascita della loro figlia Kitty Hawks (oggi apprezzata interior designer), Slim si rifugia a L’Avana, dove chiede ospitalità all’amico di sempre, lo scrittore Ernest Hemingway. Ma la solitudine dura poco: qui incontra Leland Hayward, che sarà il suo secondo marito. Ricordato dalla socialite come l’unico grande amore della sua vita, Hayward e Slim si innamorano all’istante ma per convolare a nozze devono attendere il divorzio che li renderà liberi dalle rispettive unioni precedenti. La relazione tra i due dura ben dodici anni. E se per la socialite trovare un marito, possibilmente milionario e piacente, sembra essere facile come bere un bicchiere d’acqua, stavolta deve fare i conti con una pericolosa rivale: Pamela Churchill, socialite che le porta via in un battibaleno il cuore di Hayward. È un duro colpo per Slim: quell’uomo lei lo ha amato davvero. Ma tocca rialzarsi e asciugarsi le lacrime.

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Nel 1990 la socialite ha ultimato la sua autobiografia dal titolo “Slim: Memorie di una vita ricca e imperfetta”
Slim Keith in un abito in rayon di Adrian
Slim Keith in un abito in rayon di Adrian
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Lo stile di Slim Keith era innovativo per l’epoca: giacche maschili, capi sartoriali e linee pulite
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La socialite in un abito Charles James

Slim Keith, foto di Tony Frissell per Harper's Bazaar, 1947
Slim Keith, foto di Toni Frissell per Harper’s Bazaar, 1947


Passa poco tempo e si profila all’orizzonte una nuova conoscenza: trattasi stavolta del banchiere britannico Sir Kenneth Keith. Con lui la socialite convola a nozze ottenendo anche il titolo di Lady Keith. Un’unione di puro interesse, ritenuta da entrambi vantaggiosa: agli occhi di Kenneth —ricco ma sprovvisto del savoir faire dei due precedenti mariti di Slim— appare molto conveniente sposare una donna bella, economicamente indipendente e dalle conoscenze altolocate. Lady Slim Kenneth dal canto suo si accontenta di dividersi tra l’appartamento londinese e l’enorme tenuta in campagna risalente al diciottesimo secolo, chiamata The Wicken: qui Slim non smette di risplendere tra un party e un altro. Ma le feste leggendarie e il lusso sembrano non essere sufficienti a tenere in piedi quest’unione in cui manca l’elemento fondamentale, l’amore. Dopo dieci anni anche questo matrimonio naufraga inesorabilmente.

Slim si rifugia nella sua sfera di amicizie, tra cui spiccano Babe Paley, socialite anche lei ed indimenticabile icona di stile nonché cigno prediletto da Truman Capote, Diana Vreeland e lo stesso Capote, che la chiama affettuosamente Big Mama. Ma l’amicizia che lega i due viene bruscamente interrotta a seguito di alcune indiscrezioni sul romanzo scritto da Capote “Preghiere esaudite“: nel volume, rimasto poi incompiuto, lo scrittore avrebbe tratto ispirazione da Slim per il personaggio di Lady Coolbirth.

La socialite è furiosa e bandisce per sempre dalle sue conoscenze Capote, sebbene alcune fonti sostengono che fu in realtà Pamela Harriman ad ispirare a Capote la figura di Lady Coolbirth. Inoltre nel romanzo compare anche Babe Paley, amica di lunga data di Slim. È quando quest’ultima muore di cancro che l’universo patinato su cui si fonda l’intera esistenza di Slim inizia a vacillare in modo spaventoso. Lei continua a viaggiare e a trarre diletto dalle sue attività come socialite, che hanno sede principalmente a New York, da lei definita “una città troppo piccola per poter evitare qualcuno“. Anziana e leggermente appesantita, l’icona di stile non perde un evento, presentandosi sempre armata del consueto sorriso.

Uno scatto del 1947
Uno scatto del 1947
Sigaretta in bocca, anni Quaranta
Sigaretta in bocca, Slim Keith incarnò l’emblema dello charme anni Quaranta
Slim Hayward Keith in Spain. Photo taken by Leland Hayward
Slim Keith in Spagna, in una foto scattata dal suo secondo marito, Leland Hayward
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Slim Keith con la figlia Kitty, ora apprezzata interior designer
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La socialite in uno scatto del 1948

Slim Keith e James Stewart al Waldorf Asroeia, 1948. Foto di Bettmann/CORBIS
Slim Keith e James Stewart al Waldorf Astoria, 1948


Data la sua voce argentina e squillante considera per un istante anche la possibilità di darsi al bel canto, iniziando una carriera come cantante lirica. Ma in breve abbandona questo proposito. Grande fumatrice, Slim Keith muore di cancro ai polmoni il 6 aprile del 1990.

Il suo stile leggendario la rese icona indimenticabile, tanto che sono ancora in molti a ricordarla, a partire dal film di Douglas McGratInfamous – Una pessima reputazione” (2006), in cui Slim Keith è interpretata da Hope Davis. La socialite ci ha lasciato la sua autobiografia, scritta nel 1990 e avente titolo emblematico: “Slim: Memorie di una vita ricca e imperfetta“. Nel libro l’icona di stile ripercorre con la consueta ironia alcuni aneddoti della sua vita, come la cartolina ricevuta da Clark Gable dall’Europa, nel 1947, dove il divo le scriveva solo “Sei meravigliosa“. Allorché il secondo marito Leland Hayward le chiese cosa mai avesse fatto così per essere così meravigliosa, lei rispose: “Riuscivo ad essere meravigliosa in modo meraviglioso“.

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Slim Keith col secondo marito, Leland Hayward
Slim Keith con Diana e Reed Vreeland al party organizzato da Kitty Miller per la vigilia di Capodanno, 1952
Slim Keith con Diana e Reed Vreeland al party organizzato da Kitty Miller per la vigilia di Capodanno, 1952
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Slim Keith mentre riceve il prestigioso Neiman Marcus Fashion Award, 1946
Lady Keith a Lyford Cay, aprile 1974. (Foto di Slim Aarons, Hulton Archive, Getty Images)
Lady Keith a Lyford Cay, Bahamas, aprile 1974 (Foto di Slim Aarons, Hulton Archive, Getty Images)
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La socialite ritratta da Horst P. Horst in uno dei suoi appartamenti

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Slim Keith morì il 6 aprile 1990


Presenza fissa della International Best Dressed List creata nel 1940 da Eleanor Lambert, nel 1946 Slim Keith fu insignita del prestigioso Neiman Marcus Fashion Award. Immortalata da fotografi del calibro di Man Ray, Horst P. Horst e Toni Frissell, ad appena 22 anni la bella Slim posa già come una diva consumata per Harper’s Bazaar, di cui ottiene anche la cover. Irriverente e moderna, il suo stile segna l’avvento di un nuovo concetto di eleganza che si discosta moltissimo dal passato: Slim Keith è assai lontana dall’ideale di perfezione tanto in voga in quegli anni. La sua personalità scoppiettante non ambisce di certo ad uniformarsi alla fredda perfezione dei celeberrimi cigni di Truman Capote. Altera e sofisticata, non è tuttavia glaciale come le bionde eroine dei film di Hitchcock. La sua vita è stata la parabola di una donna forse imperfetta ma certamente autentica e forse proprio in virtù di questo di un’eleganza genuina.

Nel suo guardaroba spiccano capi che potremmo definire sportswear ante litteram. La socialite era solita indossare abiti comodi e sporty-chic, come giacche da fantino e pantaloni, gonne in lana, dolcevita a collo alto e occhiali da sole che le conferivano un appeal da diva. Estimatrice del minimalismo chic, prediligeva linee essenziali e pulite anche per la sera. Ma la sua incontenibile personalità è il cardine della sua eleganza evergreen.


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C. Z. Guest: icona dell’American style

I riflessi che i raggi del sole disegnano su una piscina, capelli biondi mossi dal vento e dalla brezza del mare, poco distante, sorrisi bianchi illuminano labbra di un rosa appena accennato. È questo lo sfondo su cui si stagliava la vita di C. Z. Guest, socialite ed indimenticabile icona di stile. Emblema dell’American style, presenza fissa dell’International Best Dressed List, C. Z. Guest incarnò la quintessenza dello chic, col suo stile acqua e sapone, tra polo e bermuda. La bionda icona fu anche attrice, giornalista, autrice, guru del giardinaggio, provetta cavallerizza e fashion designer.

All’anagrafe Lucy Douglas Cochrane, la futura icona di eleganza nacque a Boston, in Massachusetts, il 19 febbraio del 1920, in una famiglia dell’alta borghesia. Il padre, Alexander Lynde Cochrane, è un banchiere. Il nome di C. Z. deriva dal soprannome Sissy: era questo il suono che il fratello emetteva quando la chiamava “sister”. C. Z. cresce come una splendida ragazza: impressionante è la somiglianza giovanile con Grace Kelly. Durante una fase d ribellione giovanile, durante i suoi vent’anni, la bionda C. Z. si trasferisce ad Hollywood, dove inizia una carriera come attrice. Successivamente si sposta in Messico, dove posa in déshabillé per Diego Rivera: il dipinto che la ritrae nuda venne poi appeso al bar dell’Hotel Reforma. Quando il futuro marito di C. Z., il giocatore di polo Winston Frederick Churchill Guest, venne a conoscenza del ritratto, esclamò: “Oh no, sei stata una cattiva ragazza, tesoro”.

Il matrimonio tra i due venne celebrato l’8 marzo 1947. Winston Frederick Churchill Guest era figlio di Frederick Guest, a sua volta figlio di Ivor Bertie Guest, primo Barone Wimborne, e di Lady Cornelia Henrietta Maria Spencer-Churchill (figlia di John Spencer-Churchill, settimo duca di Marlborough), e per discendenza materna era cugino primo di Sir Winston Churchill. Le nozze ebbero luogo nella casa del celebre scrittore Ernest Hemingway, all’Avana, Cuba. La coppia ebbe due figli, Alexander e Cornelia Guest.

C.Z. Guest in Mainbocher, foto di  Irving Penn
C.Z. Guest in un tailleur Mainbocher, foto di Irving Penn


C.Z. Guest ritratta da Cecil Beaton per Vogue, aprile 1953


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C. Z. Guest, all’anagrafe Lucy Douglas Cochrane, nacque a Boston il 19 febbraio del 1920


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C.Z.Guest in un abito Mainbocher, 1950


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C. Z. Guest fu antesignana dello stile preppy


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La socialite fu anche provetta cavallerizza, esperta di giardinaggio, attrice e fashion designer


La classe innata di C. Z Guest ottenne numerosi riconoscimenti: giovanissima aveva già posato per Harper’s Bazaar per l’obiettivo di Louise Dahl-Wolfe; successivamente posò per Irving Penn e Cecil Beaton, prima di ottenere la copertina di Town & Country, nel novembre 1957. Ritratta anche da Salvador Dalí, Kenneth Paul Block e Andy Warhol, la sua vita lussuosa, tra party a bordo piscina e residenze principesche, la rese musa indiscussa del fotografo Slim Aarons. Inoltre nel luglio del 1962 ottenne la cover di TIME magazine e fu protagonista di un articolo che ritraeva l’alta società americana. Nel 1959 fu inserita nella Hall of Fame dell’International Best Dressed List creata da Eleanor Lambert nel 1940.

La socialite amava vestire in modo essenziale e semplice: antesignana dello stile preppy, che incarnò brillantemente, tra polo, bermuda, tutine e prendisole, C. Z. Guest fu l’emblema di quell’eleganza tipicamente americana a cui oggi guardano designer come Ralph Lauren e Tommy Hilfiger. Adorata per i suoi look iconici, promosse strenuamente i designer americani, come il couturier Mainbocher, ma anche Oscar de la Renta, che fu suo intimo amico e che dichiarò più volte di essere stato ispirato da lei.

C.Z. Guest su Harper’s Bazaar, gennaio 1950. Abito Mainbocher, foto diLouise Dahl-Wolfe
C.Z. Guest su Harper’s Bazaar, gennaio 1950. Abito Mainbocher, foto diLouise Dahl-Wolfe


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La socialite a Villa Artemis, ritratta da Slim Aarons


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Un velo di abbronzatura, un fiocco tra i capelli e pochissimo make up: queste erano le regole di stile di C. Z. Guest


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Rosa pastello e linee pulite: lo stile preppy deve moltissimo a C. Z. Guest


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C.Z. Guest con Joanne Connelly a Palm Beach, 1955, foto di Slim Aarons


Una bellezza classica e naturale ed una predilezione per outfit sporty-chic, C. Z. Guest boicottava il make up, puntando ad un’eleganza casual. Potremmo definirlo effortlessy chic: poche ma preziose regole erano i pilastri su cui si basava la sua eleganza, come indossare una semplice t-shirt di colore bianco, illuminata da labbra colorate di rosa e da un filo di abbronzatura, o legare i biondissimi capelli con un fiocco di seta, o, ancora, indossare l’immancabile filo di perle bon ton, unico vezzo che si concedeva, nella sua proverbiale avversione per i gioielli. Il suo stile oh so preppy le aprì con facilità le porte dei più esclusivi circoli fashion, e il suo matrimonio la rese protagonista indiscussa del jet set internazionale. C. Z. Guest teneva molto al suo ruolo di socialite e si divertiva a posare per le cover e a rilasciare interviste. Lo stile per lei era qualcosa di innato, parte integrante della sua stessa essenza. D’altronde nella sua sfera di amicizie figuravano icone del calibro di Babe Paley, la duchessa di Windsor, Diana Vreeland, Barbara Hutton, Gloria Guinness, Joan Rivers e Diane von Fürstenberg. Inoltre fu uno dei cigni della corte di Truman Capote. Sopravvissuta al cancro, definì lo stile “questione di sopravvivenza, l’avere affrontato tante avversità senza darlo a vedere”.

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Il bianco era il colore prediletto dall’icona di stile


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C. Z. Guest a Villa Artemis, costruita sulla falsariga dei templi greci


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C.Z. Guest davanti la piscina di Villa Artemis, Palm Beach, 1955. Foto di Michael Mundy


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Foto di Slim Aarons, circa 1955


Premium Rates Apply. circa 1955:  Mrs F C Winston Guest (1920 - 2003) (aka Cee Zee Guest) with her dogs in front of the Grecian temple pool on her ocean-front estate, Villa Artemis, Palm Beach, Florida.  (Photo by Slim Aarons/Getty Images)
Villa Artemis, Palm Beach, Florida. Foto di Slim Aarons, 1955


Con la duchessa di Windsor
Con la duchessa di Windsor


In un libro a lei dedicato, dal titolo “C.Z. Guest, American Style Icon”, edito da Rizzoli, Susanna Salk traccia un ritratto intimo della trendsetter americana. C.Z. Guest amava stare all’aria aperta e il suo look acqua e sapone testimonia in primis le sue passioni, come andare a cavallo, giocare a tennis e occuparsi dei suoi amati giardini. La socialite divenne grande esperta di giardinaggio, scrisse rubriche su numerose riviste e fu autrice di ben tre testi sull’argomento, creando anche dei guanti che andarono a ruba, rendendola anche genio ante litteram delle strategie di marketing. Nonostante la vita lussuosa non era una snob, ma riteneva le buone maniere e la gentilezza vincenti in ogni campo. Come scrive William Norwich nell’introduzione al volume di Susanna Salk, C. Z. Guest fu “campionessa di meritocrazia”. Una vera e propria avversione nei confronti dei privilegi, la socialite riteneva doveroso cercare di elevarsi e primeggiare in qualcosa, fosse lo sport o altro, indipendentemente dall’appartenenza all’élite. A differenza della maggior parte delle donne del suo rango, C. Z. Guest non temeva di avventurarsi fuori dai ristretti confini tracciati dalla scala sociale: ce la descrivono sempre pronta ad abbracciare il nuovo, l’ignoto, il suo indomito spirito ribelle le faceva amare l’avventura e l’esotico, facendole preferire gli stivali da cavallerizza al filo di perle. La sua ricchezza non pesava su chi le stava accanto: il suo sorriso faceva sentire chiunque a proprio agio. Perché, si sa, la vera eleganza non ha bisogno di ostentare alcunché.

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C. Z. Guest col marito Winston Frederick Churchill Guest in una foto di Slim Aarons


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C. Z. Guest nella sua residenza di Templeton: la socialite fu provetta cavallerizza


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Uno scorcio della residenza di C. Z. Guest a Templeton


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Ancora interiors della tenuta di Templeton


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Il celebre ritratto di C. Z. Guest eseguito da Salvador Dalí


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C.Z. Guest con la figlia Cornelia nel 1986. Foto di Helmut Newton


Uno scatto del 1959
Uno scatto del 1959


La sua grande passione per il giardinaggio iniziò un po’ per caso: dopo una rovinosa caduta da cavallo, nel 1976, le venne chiesto dal New York Post di scrivere una rubrica sul tema. Nacque così il materiale che raccolse nel suo primo libro, First Garden, che fu illustrato dal suo amico Cecil Beaton.

D’inverno C. Z. Guest viveva nella sua residenza a Palm Beach, la celebre Villa Artemis, mentre nei mesi caldi si divideva tra il suo appartamento di Manhattan e Templeton, la sua proprietà nel Connecticut. Come ella stessa dichiarò nel corso di un’intervista rilasciata a Vogue, fu proprio a Templeton che la socialite trovò la propria dimensione più autentica, dedicandosi alla caccia e prendendosi cura dei suoi giardini e dei suoi cani. Tantissimi -si stima 10 o 15- i suoi fidati amici a quattro zampe furono immortalati anche nei quadri delle sue residenze e talvolta comparivano nelle foto in braccio alla bionda padrona. L’interior design di Templeton venne curato da Stephane Boudin e Maisin Janson con mobilio e arredi di grande valore artistico -come il celebre ritratto realizzato da Salvador Dalí– che la resero più simile ad un museo. Villa Artemis, la residenza di Long Island, comprendeva invece 28 camere: la piscina in marmo bianco, set iconico delle indimenticabili foto di Slim Aarons, e l’architettura che ricalcava fedelmente i templi greci resero la villa con vista sull’oceano emblema della bella vita.

C. Z. Guest fu anche fashion designer: la sua prima linea comprendeva prevalentemente maglioni di cashmere dalle linee essenziali. La collezione fu presentata nel 1985, durante una sfilata del celebre Adolfo Domínguez. L’anno seguente, nel 1986, la socialite mise a punto una collezione di sportswear in limited edition. Nel 1990 brevettò un repellente contro gli insetti e altro materiale per il giardinaggio, ottenendo anche lì grande successo.

C.Z.Guest in una foto di Peter Stackpole, ottobre 1947
C.Z.Guest in una foto di Peter Stackpole, ottobre 1947


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C. Z. Guest fu socialite di cui si ricorda la gentilezza d’animo, come testimoniato dai suoi amici storici, come Diane von Furstenberg


C.Z. Guest e Peter Lawford, 1961
C.Z. Guest e Peter Lawford, 1961


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C.Z.Guest sulla copertina di Town & Country, Novembre 1957


L’icona di stile morì l’8 novembre del 2003 a New York, all’età di 83 anni, a causa di difficoltà respiratorie. Truman Capote, l’amico di una vita, tracciò un ritratto di C. Z. Guest che ce la restituisce nella sua struggente spontaneità: “I suoi capelli, divisi al centro e più chiari del Dom Pérignon, erano più scuri di una gradazione rispetto all’abito che indossava, un Mainbocher bianco in crêpe de Chine. Nessun gioiello, pochissimo trucco; solo la perfezione del bianco su bianco… Chi l’avrebbe mai detto che dentro questa signora che sapeva di fresca vaniglia si celava un autentico maschiaccio?”

Diane von Fürstenberg ne ricordò la semplicità, la gentilezza e la generosità. “Nulla in lei appariva falso o costruito”– disse la stilista. “Era una donna autentica, di una naturale bellezza e dalla classe innata”. La classe di una vera bellezza americana.

(Foto cover Slim Aarons)


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Lee Radziwill: vita di un’icona di stile

A volte anche chi ha vissuto di luce riflessa può iniziare a brillare di luce propria. È il caso di Lee Radziwill: la sorella minore dell’indimenticabile Jackie Kennedy è stata protagonista indiscussa del jet set internazionale a cavallo tra gli anni Sessanta ed Ottanta.

Socialite, PR di successo, interior designer e attrice, una personalità poliedrica e uno stile invidiabile, Caroline Lee Bouvier nasce a Southampton, New York, il 3 marzo del 1933. Le sorelle Bouvier trascorrono un’infanzia agiata, tra party esclusivi, lezioni di tennis e corse a cavallo.

Le chiamano “the whispering sisters”, per quel loro modo -un po’ infantile e complice- di appartarsi in un angolo ad ogni festa e chiacchierare tra loro. Ancora ignare del proprio destino, che porterà Jackie Lennedy Onassis ad entrare nel mito e Caroline Lee Bouvier a divenire principessa Radziwill nel 1959, le due appaiono inseparabili.

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Lee Radziwill con la figlia Tina in una stanza del loro appartamento londinese, con l’interior design curato da Renzo Mongiardino, 1966


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Lee Radziwill in uno scatto di Mark Shaw, Londra, 1962


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Lee Radziwill in un abito Nina Ricci, foto di Mark Shaw, Parigi 1962


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Lee Radziwill in Lanvin, foto di Mark Shaw, Londra, 1962


Il soprannome Lee viene dal cognome da nubile della loro madre, Janet Lee, che proveniva da una famiglia povera di immigrati irlandesi. Ma agli occhi dell’aristocrazia newyorchese le umili origini erano assolutamente da nascondere e pertanto le due sorelle non persero mai occasione per millantare discendenze aristocratiche. Il padre John Bouvier, broker di successo, soprannominato Black Jack per la sua carnagione perennemente abbronzata, amava trascorrere le sue notti tra alcol e scommesse. Fu così che il matrimonio dei genitori delle due sorelle Bouvier naufragò, fino al divorzio, arrivato nel giugno del 1940 e vissuto all’epoca come un’ombra infamante.

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Lee Radziwill in abito Christian Dior, foto di Mark Shaw, Londra, 1962


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Ancora in un abitino a trapezio Christian Dior


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Caroline Lee Bouvier è nata il 3 marzo 1933 a Southampton, New York


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La principessa Radziwill fotografata da Henry Clarke per Vogue, 1960


Jackie e Lee, cresciute in un ambiente iperprotetto, sono competitive, ambiziose ed amanti della bella vita. Entrambe aspirano ad avere amicizie influenti e a far parte dell’élite. La piccola Lee si sente meno amata rispetto alla sorella Jackie, più posata e riservata e considerata più bella esteticamente. Inoltre Jackie è più diligente a scuola e consegue ottimi risultati nello studio. Man mano nell’animo della sorella minore si fa strada un sentimento di gelosia forse mai dichiarata nei confronti di quella sorella così perfetta, sentimento che diverrà visibile anni dopo, come lo stesso Truman Capote dichiarerà apertamente. Lee al contempo viene descritta come una testa vuota arrogante e non particolarmente brillante negli studi. Appena ventenne la ragazza decide di convolare a nozze con Michael Temple Canfield. Il matrimonio viene celebrato nell’aprile 1953. Ma cinque mesi dopo Jackie le ruba ancora la scena, sposando John Fitzgerald Kennedy, bel senatore del Massachusetts nonché futuro Presidente degli Stati Uniti d’America. È l’inizio di una rivalità che durerà per tutta la vita.

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Caroline Lee Bouvier nel corso della sua vita è stata socialite, PR, interior designer ed attrice


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Uno scatto di Dennis Oulds, 1967


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Icona di stile dalla raffinata eleganza, la principessa Radziwill ha posato diverse volte per Vogue


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Germania, 1968


Il matrimonio di Lee si conclude con un divorzio, nel 1959, ma nello stesso anno la fanciulla sposa il principe Stanisław Albrecht Radziwiłł, più vecchio di lei di 19 anni. Inizia così un lungo momento di celebrità per Caroline Lee Bouvier. Nessuna è più acclamata di lei, nessun party può iniziare senza la sua presenza. La volgare definizione di arrampicatrice sociale a volte è solo questione di circostanze particolari che possono portare una donna ad interessarsi ad un certo tipo di uomo. Lee Radziwill certamente non avrebbe potuto accontentarsi di un uomo diverso: le amicizie influenti del marito fanno parte integrante della loro unione e ne costituiscono l’aspetto più eclatante. Ma Lee non si accontenta, il suo animo perennemente alla ricerca di qualcosa di più non riesce a farle vivere serenamente neanche quel matrimonio blasonato.

Icona di stile idolatrata, le viene chiesto da molti magazine di scrivere di moda, ma lei pretende cifre esorbitanti, mentre tenta senza grande successo la carriera di attrice. Intanto si profila all’orizzonte una nuova rivalità tra le due sorelle Bouvier: Jackie, ormai vedova del Presidente Kennedy, si appresta a sposare Aristotele Onassis, che sarà al centro di un inedito triangolo amoroso tra le due. Ben presto anche il secondo matrimonio di Lee naufraga, e nel 1974 arriva il divorzio dal principe Radziwill.

Celebrata da Vogue con foto patinate, la principessa vive tra viaggi in giro per il mondo ed amicizie famose, tra cui spiccano Rudolf Nureyev, Andy Warhol e Truman Capote. Indebitata fino al collo per i suoi vizi, in primis l’alcol, prova senza successo a sposare il magnate californiano degli hotel Newton Cope, ma un’ora prima della cerimonia gli amici di lui lo dissuadono dall’idea: sposare quella donna non sembra affatto una mossa intelligente. Lee si ritrova ancora una volta sola e con il bicchiere in mano. Nel 1988 sposa in terze nozze il produttore Herbert Ross, ma anche questo matrimonio culminerà in un divorzio.

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Jackie Kennedy e Lee Radziwill alla Casa Bianca, anni Sessanta


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Caroline Lee Bouvier ritratta da Andy Warhol, 1972


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Figura di spicco del jet set internazionale


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Lee Radziwill è stata inclusa nella Hall of Fame dell’International Best Dressed List


L’icona Lee Radziwill vive male, soffre di alcolismo ed è preda di demoni che neppure la vita patinata riesce a sconfiggere. Abituata a stare sotto i riflettori, nel jet set internazionale è il personaggio forse più discusso, mentre la sua bellezza fuori dai canoni vigenti affascina praticamente tutti, a partire da fotografi del calibro di Henry Clarke e Andy Warhol, suo grande amico.

Tante sono le testimonianze che la descrivono come una donna sostanzialmente arida e senza scrupoli, che seleziona gli eventuali partner solo in base allo status sociale e alla disponibilità economica. Di certo Lee Radziwill sotto i riflettori si è sempre trovata a proprio agio. Lo vediamo dalle foto in cui sorride gioiosa, tra lo sfarzo e l’opulenza di location da favola. La massima “less is more” certamente non sembrava appartenere alle sorelle Bouvier. Celebre la foto della principessa Radziwill con la figlia Tina nel suo appartamento londinese, arredato secondo il gusto ottomano dall’estro di Renzo Mongiardino. Confinata nella torre d’avorio dei suoi sorrisi perfetti e dei suoi abiti di lusso, la donna trascorre una vita spesso dura e paga sulla propria pelle il peso delle proprie scelte.

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Jackie e Lee a Londra, 1965


by Cecil Beaton, bromide print, January 1951
Una giovane Lee ritratta da Cecil Beaton, gennaio 1951


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Lee Radziwill ritratta da Marilyn Silverstone, 1962


Lee Bouvier ha incarnato la quintessenza della classe con il suo stile e le sue mise semplicemente perfette. In bilico tra il glamour e i fasti di certi abiti da gran soirée e il minimalismo di mise semplici, come i pantaloni Capri, sdoganati dalla sorella Jackie, il suo stile è eclettico e versatile. Allure intramontabile nella figura esile, ma anche nelle imperfezioni, come gli occhi distanti e la bocca che si allarga in sorrisi forse troppo ampi rispetto ai canoni tradizionali. La sua eleganza la porta nel 1996 ad entrare nella Hall of Fame della celebre International Best Dressed List creata da Eleanor Lambert. Ma noi la preferiamo versione acqua e sapone, in spiaggia, col vento tra i capelli e il sorriso genuino.


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Auguri, Catherine Deneuve

Jacqueline de Ribes: l’ultima regina di Parigi

Ci sono donne che nascono con’aura particolare e che per un particolare mix di bellezza, eleganza e circostanze divengono indimenticabili icone. La viscontessa Jacqueline de Ribes ha incarnato per decenni la quintessenza del glamour parigino.

Socialite della Parigi più chic, filantropa, produttrice e designer di successo, è stata musa di stilisti del calibro di Yves Saint Laurent, Valentino e Guy Laroche.

Un fascino esotico, zigomi pronunciati e lunghissimi capelli d’ebano spesso legati in acconciature di stampo etnico, il profilo severo, il taglio orientale degli occhi, sapientemente rimarcato con un filo di eyeliner: Jaqueline de Ribes è un’icona di stile tra le più famose al mondo.

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Jacqueline de Ribes circondata dalle sue creazioni
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La contessa Jacqueline de Ribes è nata a Parigi il 14 luglio 1929
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Jacqueline de Ribes indossa un suo abito da sera in uno scatto del 1986
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La contessa ritratta da David Lees per LIFE Magazine, 1985

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Fotografata da Horst P. Horst, 1953


Aristocratica da generazioni, presenza fissa dell’International Best Dressed List a partire dal 1962, la contessa Jacqueline Bonnin de La Bonninière de Beaumont nasce a Parigi in una data emblematica per la Francia: il 14 luglio del 1929. “Ero già una piccola rivoluzionaria”– ironizzerà lei stessa a questo proposito. Figlia di Jean, conte Bonnin de la Bonninière de Beaumont, esponente di spicco dell’aristocrazia francese, e della contessa Paule de Rivaud de La Raffinière, traduttrice di Ernest Hemingway, Jacqueline cresce nella Francia più ricca e glamour.

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Una giovane Jacqueline, 1959
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La contessa in Yves Saint Laurent in una foto di Mark Shaw, 1959
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Jacqueline de Ribes è un’icona di stile, socialite, fashion designer, businesswoman e produttrice

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La contessa indossa una sua creazione, foto di Victor Skrebneski, 1983


La giovane -lunghe gambe e portamento altero- coltiva il sogno di diventare una ballerina, ma la sua infanzia è caratterizzata da una profonda solitudine: la freddezza che i suoi genitori le dimostrano fa sì che la piccola si affezioni moltissimo al nonno. Amante della bella vita, il nonno non lesina in spese folli e vive tra yacht di lusso, automobili sportive e belle donne. La giovane è già una sognatrice, come dichiarerà lei stessa più avanti. Ma alla morte del nonno, la piccola Jacqueline, che non ha ancora 10 anni, avverte un vuoto affettivo talmente forte che lo scoppio della guerra la lascia quasi indifferente. Durante l’occupazione viene mandata ad Hendaye, sui Pirenei, insieme alla sua nanny scozzese. Poco lontano da qui, quando la ragazza ha da poco compiuto diciotto anni, avviene l’incontro della sua vita: durante un party a Saint-Jean-de-Luz la giovane nota un ragazzo bruno in tenuta da tennis. È il visconte Édouard de Ribes, eroe di guerra appartenente alla Legion d’Onore, all’epoca 24enne. “Vidi questa gazzella e me ne innamorai all’istante”, dirà di lei.

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Jacqueline de Ribes in un abito Dior e copricapo di Raymundo de Larrain per il Bal de Têtes di Alexis de Redé, 1957
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Jacqueline de Ribes al Ballo orientale, 1969
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Ancora modella per se stessa, foto di Victor Skrebneski, 1983
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In un abito da sera delle sue collezioni, foto di Victor Skrebneski, 1983

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In Christian Dior nella sua casa di Parigi, foto di Mark Shaw, 1959


I visconti appartengono all’élite di Parigi: sono i tempi dell’haute couture e dei balli di lusso e la splendida Jacqueline risplende dall’alto del suo stile. Soprannominata “la De Gaulle della moda”, nella Parigi del Folies Bèrgere Jacqueline de Ribes diviene un’icona ammirata e dallo stile imitatissimo. “Elegante fino a farti distrarre”, dirà di lei Oleg Cassini, l’altera eleganza si unisce in lei ad una forte carnalità: il mix ideale in ogni donna, si potrebbe dire. Iniziata alla moda durante un ballo a Venezia, a cui la giovane si presenta con un abito da sera creato da lei, durante un viaggio a New York la sua bellezza esotica conquista la più grande talent scout dell’epoca, Mrs. Diana Vreeland, che la fa immortalare da Richard Avedon.

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Ritratta da Slim Aarons nella sua casa a Ibiza, 1978
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A Cervinia, foto di Victor Skrebneski, anni Cinquanta
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Jacqueline de Ribes col logo della sua collezione

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Ritratta da Martine Franck, 1989


Dal 1956 il suo stile raffinato e barocco entra a far parte dell’International Best Dressed List, ideata nel 1940 da Eleanor Lambert e, a partire dal 1962, Jacqueline divenne presenza fissa nella Hall of Fame. Nel 1983 venne nominata “la donna più elegante del mondo” da Town and Country. Intima amica di Oleg Cassini, era la “giraffina” prediletta da Emilio Pucci, mentre Valentino Garavani la soprannominò “L’ultima regina di Parigi”.

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Tratti orientali e bellezza esotica, Jacqueline de Ribes fu musa di Yves Saint Laurent, Valentino e Guy Laroche
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La viscontessa ritratta con Raymund de Larrain, 1961
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Jacqueline de Ribes e Raymundo de Larrain ritratti da Richard Avedon, 1961
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Jacqueline de Ribes ritratta da Pierluigi Praturlon per Vogue, 1969
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Il fascino esotico di Jacqueline de Ribes immortalato da Richard Avedon, 1955

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Ancora per Richard Avedon, 1955


Al compimento dei 53 anni, nel 1982, la viscontessa organizzò un meeting familiare per annunciare a suo marito e ai loro figli la sua improrogabile decisione di iniziare una carriera come fashion designer. Caparbia e temeraria, Jacqueline dichiarò fermamente che niente e nessuno avrebbe mai potuto farle cambiare idea. Gli stessi Yves Saint Laurent e Pierre Bergé, suoi confidenti, si dichiararono fortemente preoccupati per la sua scelta: erano tanti gli ostacoli che la contessa doveva superare, in primis il suo stesso status sociale, che poteva suscitare facilmente pregiudizi nel pubblico.

La sua prima collezione sfilò nella regale location di casa sua nell’ambito della Fashion week di Parigi del 1983. Una linea sontuosa -pur trattandosi di prêt-à-porter– che si rivelò subito un grande successo: negli Stati Uniti Saks Fifth Avenue le offrì un contratto di tre anni. Nel 1984 la contessa creò anche una linea di gioielli. Jacqueline continuò a disegnare le sue collezioni fino al 1995. Tra le sue clienti più affezionate troviamo Joan Collins, Raquel Welch, Barbara Walters, Cher, Danielle Steel, la baronessa von Thyssen e Olympia de Rothschild.

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La viscontessa de Ribes in uno scatto di Richard Avedon, 1955
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Jacqueline de Ribes ritratta da Pierluigi Praturlon per Vogue, 1969
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Un altro scatto di Pierluigi Praturlon per Vogue, 1969
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Uno scatto del 1966

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Ritratta da Bill King, anni Ottanta


Le sue creazioni ottennero i favori del pubblico e della stampa: l’International Herald Tribune e il Women’s Wear Daily scrissero recensioni entusiastiche sulle sue collezioni. La contessa fu costretta da problemi di salute a chiudere la sua linea di abbigliamento nel 1995. Nel 1999 Jean-Paul Gaultier le dedicò una sua collezione. Insignita nel 2010 del prestigioso titolo di Cavaliere della Legion d’Onore, Jacqueline de Ribes non è stata soltanto un’icona di stile: produttrice teatrale, televisiva e cinematografica, ha finanziato alcune delle attività culturali più importanti del teatro e della televisione francesi, dalla metà degli anni Cinquanta. Inoltre è stata ecologista, filantropa, mercenario per diversi musei ed istituzioni nonché accanita sostenitrice di cause umanitarie. Nel 1980 ha vinto il Women of Achievement Award.

La bellezza e l’intramontabile eleganza di Jacqueline de Ribes saranno celebrate con una mostra organizzata presso il Metropolitan Museum of Art di New York in cui saranno esposti 60 pezzi, tra haute couture e ready-to-wear — da Giorgio Armani a Pierre Balmain, Bill Blass, Marc Bohan per Dior, Roberto Cavalli, John Galliano, Madame Grès, Valentino Garavani e creazioni della linea della viscontessa —dal 1959 fino ai giorni nostri. “Jacqueline de Ribes: The Art of Style” sarà esposta all’Anna Wintour Costume Center del MET dal 19 Novembre 2015 fino al 21 Febbraio 2016. Per veri gourmet dello stile.


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Eleanor Lambert: una vita per la moda

Eleanor Lambert: una vita per la moda

Fashionista ante litteram, un senso innato per lo stile e la capacità di captare il gusto nel raggio di un miglio. Eleanor Lambert è stata una vera maestra nello stile e nel fashion biz: PR ante litteram, è stata anche colei che ha inventato la più famosa lista delle “meglio vestite al mondo”.

Lo sguardo della ragazza che, eterea e giovanissima, posa per Cecil Beaton, tradisce una smisurata ambizione. Già all’epoca, quando Eleanor è ancora una perfetta sconosciuta nel mondo della moda, le si legge negli occhi la voglia di arrivare. Genio pubblicitario che rese New York la capitale del fashion e creatrice della prima fashion week della Grande Mela, la vita di Eleanor Lambert è stata la parabola di una visionaria che ha osato là dove nessuno aveva il coraggio di osare ed ha vinto.

Originaria dell’Indiana, nata a Crawfordsville il 10 agosto del 1903, Eleanor Lambert frequenta corsi di scultura al John Herron Art Institute di Indianapolis e nel frattempo scrive di shopping per l’Indianapolis Star. Qui conosce lo studente di architettura Willis Connor, con cui intraprende un rapporto sentimentale. La giovane Eleanor, desiderosa di evadere da quella realtà per lei troppo angusta, dichiarerà più avanti che quella relazione fu per lei come “un biglietto di sola andata per uscire da quella città” . Insieme la coppia si iscrive all’Art Institute di Chicago, dove la giovane Eleanor studia moda. Messo da parte un discreto gruzzolo, la coppia si trasferisce a New York. Connor non possiede assolutamente i requisiti necessari per essere la persona giusta per Eleanor, determinata ad eccellere in qualsiasi campo e intenzionata persino ad inventarsi ex novo una nuova professione pur di affermarsi lavorativamente.

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Eleanor Lambert nacque a Crawfordsville, Indiana, il 10 agosto 1903

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PR ante litteram, la Lambert ideò nel 1940 la famosa International Best Dressed List


La giovane si stabilisce quindi ad Astoria, nel Queens, e si mantiene con due lavoretti part-time, rispettivamente all’interno della redazione di un notiziario di moda, il Breath of the Avenue, e come designer di copertine di libri per una casa editrice. Qui il suo capo nota immediatamente il talento della ragazza, come anche il sagace sensazionalismo che la giovane Eleanor riesce ad adoperare a suo piacimento, ottenendo discreti successi. L’uomo le consiglia quindi di mettersi in proprio e di aprire una sua attività. Eleanor è ancora poco più che una ragazzina e la vita non è sempre facile per lei. Un episodio in particolare, divenuto assai famoso, vede Eleanor fare un brutto incontro: una notte si imbatte in un gruppo di scrittori ubriachi, tra cui la celebre Dorothy Parker, che la portano a sua insaputa nello studio di un tatuatore. Fu così che la giovane si ritrovò tatuata una piccola stella blu sulla caviglia.

Il padre intanto vuole riportarla a casa a tutti i costi, convinto che New York non sia il luogo adatto ad una giovane donna sola. Ma Eleanor resiste. Dopo aver avviato un’agenzia di pubblicità a Manhattan occupandosi principalmente di gallerie d’arte, a metà degli anni Trenta diviene uno dei primi uffici stampa per il Whitney Museum of American Art. Numerosi sono gli artisti da lei rappresentati, tra i quali spiccano Isamu Noguchi, Jacob Epstein e Jackson Pollock. Dopo essere convolata a nozze con Seymour Berkson abbandona la sua brillante carriera di PR per passare alla moda. Risale al 1932 il suo primo lavoro per la designer Annette Simpson: impressionata dalla copertura mediatica che la Lambert aveva garantito agli artisti da lei rappresentati, la designer la assunse. Tuttavia, come più tardi dichiarato da lei stessa, la Lambert non venne mai retribuita per quella sua prima prestazione lavorativa nel settore moda.

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Un ritratto di Eleanor Lambert
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Gloria Guinness, definita dalla Lambert “la donna più elegante al mondo”

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Eleanor Lambert ritratta da Cecil Beaton negli anni Trenta


Eleanor fu pioniera nel considerare la moda alla stregua di una forma d’arte tra le più nobili: cominciò ben presto a chiedersi perché non pubblicizzare anche la moda americana, proprio come aveva fatto con l’arte. Si confida quindi con l’amica Diana Vreeland, celebre fashion editor di Harper’s Bazaar. Ma nemmeno la Vreeland -che pure fu visionaria scopritrice di immensi talenti- crede in lei, reputando le sue idee troppo naïf. Ma la Lambert persiste e nel 1940 cambia il corso della moda, creando la sua celebre International Best Dressed List. È una rivoluzione epocale: per la prima volta nella storia venivano dati i voti ai look sfoggiati dalle celebrities del tempo. Come spesso accade nel patinato sistema del fashion biz, improvvisamente tutti sono pazzi di lei; tutti la corteggiano; tutti sgomitano per entrare a far parte della sua Hall of Fame. Nel 1958 invia telegrammi a Babe Paley, Elisabetta II, alla duchessa di Windsor e alla contessa Mona von Bismarck, annunciando loro che erano entrate a far parte della sua Hall of Fame. Apparvero nella sua lista anche la viscontessa Jacqueline de Ribes, Marisa Berenson, Lauren Bacall, Marella Agnelli, Gloria Guinness, Cary Grant e molti altri.

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La Lambert ideò nel lontano 1943 una fashion week newyorchese ante litteram denominata “Press Week”

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Una giovane Eleanor Lambert posa per Cecil Beaton, suo amico e cliente, all’inizio della sua carriera


Nel 1943 la Lambert entra nuovamente nel mito, creando la prima settimana della moda mai conosciuta al mondo e quella che è a tutti gli effetti la New York Fashion Week che noi tutti conosciamo. La prima settimana della moda della Grande Mela viene creata dal New York Dress Institute, di cui la Lambert era PR. Questa era la prima organizzazione promozionale nell’industria della moda americana e la settimana della moda venne inizialmente denominata “Press week”. Creata allo scopo di distogliere l’attenzione dei media americani dalla moda parigina durante la Seconda Guerra Mondiale, la fashion week ideata dalla Lambert vuole promuovere il buon gusto e lo stile made in the USA. Pochissimi erano infatti coloro che potevano viaggiare fino a Parigi in quel periodo, e si temeva che la moda americana potesse restare indietro. La Press Week si rivelò un successo clamoroso. Grazie ad essa, magazine come Vogue iniziarono a parlare dei designer americani. La settimana della moda della Grande Mela a metà degli anni Cinquanta cambiò nome in “Press Week of New York” e solo nel 1993 assunse il nome attuale di “New York Fashion Week”.

Reduce da questi successi di portata storica, la Lambert venne incaricata per ben due volte, nel 1959 e nel 1967, di rappresentare e promuovere la moda americana in Russia, Germania, Italia, Australia, Svizzera, Giappone e Brasile, incarico conferitole direttamente dal governo degli Stati Uniti d’America.

Nel 1965 fu designata al Collegio nazionale delle arti del National Endowment for the Arts e nel 1962 organizzò il Council of Fashion Designers of America (CFDA) e vi rimase come membro onorario fino al 2003. Nel 2001 il CFDA istituì l’Eleanor Lambert Award, assegnato per contributi unici al mondo della moda e/o meriti speciali nel settore. Pochi mesi prima della sua morte, avvenuta il 7 ottobre del 2003, la Lambert aveva affidato a quattro editor di Vanity Fair i diritti della sua lista, la International Best Dressed List, nata di fatto nel 1940. La sua ultima apparizione pubblica fu in grande stile, durante la settimana della moda di NY nel settembre del 2003, pochi giorni prima di morire, all’età di cento anni. Il nipote Moses Berkson dopo la sua morte ha girato un documentario a lei dedicato.


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Babe Paley: luci e ombre di un’icona di stile

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Il suo volto è impresso nella memoria di intere generazioni. Il suo stile ha rappresentato per tutto il Novecento la somma eleganza. Una vita vissuta tra copertine patinate e abiti extralusso: ma di Babe Paley, a distanza di un secolo dalla sua nascita e di quasi quarant’anni dalla sua scomparsa, non resta solo questo. La parabola di una donna che ha modellato tutta la sua esistenza all’insegna dell’eleganza e della bellezza, scontando sulla propria pelle le conseguenze delle proprie scelte.

Barbara Cushing detta Babe nasce a Boston, in Massachusetts, il 5 luglio 1915. Figlia di un rinomato neurologo, cresce in un ambiente raffinato. Babe fa il suo debutto in società nel 1934, durante la grande depressione. Inizia così per la giovane, dotata di grande fascino, una clamorosa scalata sociale. Le sue due sorelle sposano uomini molto facoltosi, tra cui il figlio del presidente Roosevelt, ma per Babe, socialite ante litteram dalla bellezza altera, si prospetta una vita ancora più brillante.

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Babe Paley ritratta da Richard Avedon
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Babe Paley in abito Paquin e gioielli Van Cleef & Arpels, foto di John Rawlings, Vogue 15 novembre 1946

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Foto di Erwin Blumenfeld, 1947


Nel 1938 Babe inizia a lavorare come fashion editor per la Bibbia della moda: Vogue America. Qui conosce l’ereditiere Stanley Grifton Mortimer Jr., con cui convola a nozze nel 1940. Ma è il 1941 l’anno in cui Babe Paley entra nel mito: viene assunta dal Times nell’olimpo dell’eleganza, seconda solo a Wallis Simpson. Nel 1945 e nel 1946 viene invece collocata al primo posto della classifica delle Best Dressed Women, divenendo a tutti gli effetti un modello di eleganza.

Grazie al suo lavoro per Vogue, Babe è corteggiatissima dai designer dei brand più lussuosi, che spesso le prestano le loro ultime creazioni, data la visibilità di cui gode la fashion editor. Impeccabile in ogni occasione, Babe predilige Chanel, Balenciaga, Givenchy, Valentino, Charles James e i gioielli di Fulco di Verdura e Jean Schlumberger.

Viso lungo e sottile, collo da cigno e classe senza precedenti fanno di lei una vera icona. Un’immagine che incanta, nessun dettaglio lasciato al caso, ogni outfit è un successo per Babe. “Aveva un solo difetto: era perfetta”-dirà di lei Truman Capote, che la incluse tra i cosiddetti “cigni” dell’alta società, insieme a Gloria Guinness, Marella Agnelli e C. Z. Guest. Forse la prima fashion icon nel vero senso del termine, Babe ha un gusto innato nel vestire ed è in grado di mixare i capi in modo fantastico. Tutto ciò che indossa diviene immediatamente oggetto di culto. Capace di abbinare pezzi di haute couture ad accessori economici, Babe diviene una trendsetter ammirata a livello internazionale. Sarà anche la prima donna famosa a dichiarare guerra alle tinture, perfetta anche nel suo tentativo di sdoganare i capelli bianchi come nuovo fashion trend.

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Babe Paley in un abito da sera Charles James fotografata da Serge Balkin, Vogue 15 ottobre 1948
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Foto di John Rawlings, febbraio 1946
Babe Paley in un abito Traina-Norell fotografata da Horst P. Horst per Vogue America febbraio 1946

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Barbara “Babe” Cushing Mortimer Paley nacque a Boston il 5 luglio 1915


I lustrini della vita pubblica di Babe lasciano però il posto a numerose delusioni nella sfera privata. Dopo aver dato alla luce due figli, Amanda Jay Mortimer e Stanley Grafton Mortimer III, Babe decide di separarsi dal marito. Tante sono le indiscrezioni che svelano un rapporto praticamente inesistente tra i due, e tante sono le voci che dipingono Babe come un’avida arrampicatrice sociale, totalmente dipendente dal marito dal punto di vista economico e troppo a suo agio in un certo stile di vita per non proseguire la sua ricerca di un secondo buon partito che potesse garantirle quegli stessi standard.

La ricerca durò poco: nel 1946, appena dopo la separazione da Mortimer, Babe incontra William S. Paley, fondatore della CBS. Segni particolari: milionario. La donna, esponente di spicco dell’alta società newyorchese grazie anche al suo prestigioso lavoro nel fashion biz, può offrire a Paley l’opportunità concreta di far parte di quella élite da cui finora l’uomo si è sempre sentito escluso. Lui dall’altra parte può offrire a Babe una sicurezza materiale vissuta dalla donna come un’esigenza fondamentale. La coppia convola a nozze nel 1947 e ha due figli, Kate e Bill Jr.

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Babe Paley fu una socialite ed icona di stile tra le più imitate
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Babe Paley al St. Regis in abito Givenchy, 1963
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Ammirata per il suo stile, Babe Paley fu a lungo inclusa nella International Best Dressed List
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Babe Paley in Givenchy, 1963
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Modella per Horst P. Horst, 1939

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Sul set di Erwin Blumenfeld per Vogue America, 15 settembre 1946


Babe e il nuovo marito Bill Paley formano una coppia semplicemente perfetta: mondani, eleganti e pieni di charme, i due non si perdono un evento e si fanno fotografare nelle occasioni ufficiali più disparate, raccogliendo favori per il loro stile. Inoltre acquistano un sontuoso appartamento all’Hotel St. Regis e affidano il compito di arredarlo secondo il loro gusto al famoso interior designer Billy Baldwin. Contemporaneamente la coppia acquista una tenuta principesca a Long Island: Kiluna Farm si estende per una superficie immensa e comprende un giardino curato dai più famosi architetti paesaggisti. Una sorta di Eden di lusso, il ritiro più lontano –Kiluna Nord, nel New Hampshire– divenne meta del jet-set internazionale, ospitato dalla coppia, nonché location per film di fama mondiale come “Sul lago dorato”, del 1981.

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Babe Paley nel 1963
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New York City, 1955
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Babe Paley ritratta da Richard Avedon, 1960
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Babe Paley ritratta da Clifford Coffin per Vogue UK, dicembre 1946
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Babe Paley all’Hotel St. Regis, foto di Lord Snowden, 1958

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Babe Paley col marito William Paley nel loro cottage in Giamaica, foto di Slim Aarons, 1959


Tuttavia anche il secondo matrimonio si rivela infelice e le numerose relazioni extraconiugali di Paley gettano Babe nell’occhio del ciclone mediatico: lei, che della perfezione aveva fatto uno stile di vita, si vede ora pubblicamente tradita ed umiliata. Costretta a mantenere il suo status di icona della moda, Babe si ritrova a vivere una vita che non è quella che desiderava. Lontana da quel paradiso di cartone mirabilmente documentato dalle foto di Slim Aarons, che la immortala spesso a bordo piscina intenta a sorseggiare drink, confinata nella torre d’avorio che lei stessa si è costruita, Babe accumula forti tensioni che la spingono a fumare due pacchetti di sigarette al giorno. Presto arriva la diagnosi più terribile: nel 1974 le viene diagnosticato un cancro ai polmoni.

Il suo bisogno di controllare tutto -ennesimo tentativo di conferire ordine e bellezza alla realtà circostante- non la abbandona nemmeno negli ultimi giorni, quando Babe pianifica con sconcertante lucidità ogni particolare del proprio funerale, arrivando a scegliere persino i piatti che sarebbero stati usati per il servizio funebre. Inoltre la fashion editor elabora un codice quasi segreto per stabilire a chi dovesse toccare la sua eredità: numerosissimi i gioielli e gli oggetti personali che amici e parenti dovettero distribuire dopo la sua morte.

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Foto di John Rawlings, 1947
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Babe Paley ritratta da Clifford Coffin per Vogue UK, 1946
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Barbara “Babe” Paley, foto di Horst P. Horst, 1964
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Babe Paley fu la prima donna del fashion biz a rinunciare alle tinture, sdoganando i capelli grigi come fashion trend
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La Paley morì il 6 luglio 1978 per un cancro ai polmoni.

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Babe e Bill Paley in uno scatto del 1965


Babe Paley si spegne il 6 luglio del 1978, il giorno dopo il suo sessantatreesimo compleanno. Ancora oggi la sua figura leggiadra continua ad ispirare generazioni di designer e registi. Ricordata anche nel celebre film “Colazione da Tiffany” come la musa di Truman Capote, la moda rende ancora omaggio a questa donna tanto perfetta quanto infelice.



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Gloria Guinness: la donna più elegante del mondo

Gloria Guinness: la donna più elegante del mondo

Nasceva il 27 agosto Gloria Guinness, icona di stile mai dimenticata. Il buon gusto innato e la vita alquanto avventurosa ne fecero un mito che ancora oggi non smette di affascinare.

Socialite, icona d’eleganza e contributing editor di Harper’s Bazaar dal 1963 al 1971, Gloria Rubio Alatorre nacque a Veracruz, Messico, il 27 agosto 1912.

Un’aura di mistero avvolge molte fasi della sua vita: si dice che da giovanissima lavorò in un night club, prima di sposarsi, per ben quattro volte.

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Gloria Guinness nel 1970
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La Guinness fotografata da Cecil Beaton per Harper’s Bazaar, 1966
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Gloria Rubio Alatorre nacque il 27 agosto 1912 a Veracruz

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La Guinness fu socialite, icona di stile ed editor di Harper’s Bazaar


Affascinanti i suoi matrimoni, rigorosamente blasonati: dal conte Franz-Egon von Fürstenberg-Herdringen nacque la figlia Dolores; successivamente convolò a nozze col principe Ahmed Abdel-Fettouh Fakhry e in quarte nozze con il capitano Thomas Loel Guinness, magnate dell’omonima birra ed appartenente ad una ricchissima famiglia di origine irlandese. Tra i suoi amanti vi furono l’ammiraglio David Beatty e il politico britannico Duff Cooper, che la descrisse come una donna dalla passionalità indomabile.

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Gloria Guinness a Palm Beach, 1972
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Gloria Guinness ritratta nella sua villa sulla spiaggia di Acapulco, Messico, febbraio 1975
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Secondo Eleanor Lambert, Gloria Guinness era la donna più elegante al mondo
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Gloria Guinness apparve nella International Best Dressed List dal 1959 al 1963

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Una vita avventurosa, quattro matrimoni e uno stile unico


Definita da Eleanor Lambert la donna più elegante al mondo, dal 1959 al 1963 Gloria Guinness fu presenza fissa nella International Best Dressed List, ideata dalla Lambert nel 1940. E dal 1964 conquistò il podio, superando, in fatto di stile, teste coronate e stelle del cinema.

Predilesse abiti Balenciaga, Elsa Schiaparelli, Yves Saint Laurent, Hubert de Givenchy, Chanel, Christian Dior, Valentino Garavani, Antonio del Castillo, Halston e Roger Vivier per le scarpe. Fu tra le prime ad indossare i pantaloni capri proposti da Emilio Pucci e poi sdoganati da Jackie Kennedy. Apparve in riviste come Vogue e Harper’s Bazaar, di cui fu editor; posò per Cecil Beaton, Richard Avedon, Horst P. Horst, John Rawlings, Toni Frissell, Henry Clarke e fu ritratta da artisti del calibro di René Bouché, Kenneth Paul Block e Alejo Vidal-Quadras.

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Gloria Guinness ritratta con la figlia Dolores
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Contributing editor per Harper’s Bazaar, numerose sono le donazioni fatte da Gloria Guinness a vari musei

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Secondo diversi rumours, Gloria Guinness fu una spia durante la Seconda Guerra Mondiale


Numerose le sue donazioni al Victoria & Albert Museum, che comprendono diversi abiti da sera: capi di Cristóbal Balenciaga, Jeanne Lafaurie, Marcelle Chaumont, Antonio del Castillo, Hubert de Givenchy, Yves Saint Laurent, André Courrèges, Christian Dior. Altri capi di Balenciaga ed Elsa Schiaparelli vennero invece donati al Costume Institute del Metropolitan Museum of Art di New York.

Brillante editor per Harper’s Bazaar, celebre è un suo aforisma apparso nel numero di luglio 1963 del celebre magazine, in cui afferma che “l’eleganza risiede nel cervello, nel corpo e nell’anima. Gesù Cristo è l’unico esempio che abbiamo di un uomo che le possedeva tutte e tre nello stesso tempo”.

Gloria Guinness si spense nella sua casa in Svizzera nel 1980, all’età di 68 anni. Ma il suo stile rimarrà per sempre come un mirabile esempio di eleganza.