Come state?
Per qualcuno di noi le vacanze stanno per finire e per altri purtroppo lo sono già…
Oggi vorrei parlarvi del LBD (litlle black dress) che, come è già stato detto da tanti altri, ogni donna dovrebbe avere nel proprio armadio.
Il LBD è un passe partout, è adatto ad ogni occasione e dona quasi tutte.
Quando ho visto questo me ne sono subito innamorata: è classico ma originale grazie alla trasparenza e il pizzo davanti, e ovviamente di lunghezza diversa dai soliti.
Credo che questo tipo di vestito doni quasi a tutte noi ed è anche molto comodo da portare.
Lo puoi indossare con tacchi e una bella borsa per un’ occasione speciale, oppure con delle scarpe basse e un giubotto di pelle per un occasione un po’ meno formale.
Io l’ho portato ad un cocktail x lavoro e l’ho abbinato con dei tacchi alti e una borsa importante.
LBD is here to stay I say:)
Cosa ne pensate?
Hi my dear friends,
How are you doing?
For some the holidays are coming to an end and for others unfortunately they already did.
Today I wanted to talk to you about the LBD (little black dress), and as said by many every woman should have one in their closet…
I absolutely agree…It is a passe partout..
It works for almost every occasion and flatters most of us…
When i saw this LBD I immediately loved it, it classic but still a bit different, because of the transparancy and the lace in the front..and ofcourse the lenght..
I think this type of dress flatters most body types and is comfortable to wear..Dress it up or down to your own taste..with high heels for a special occasion or with flats and a leather jacket for a more casual occasion.
I choose to wear it for a cocktail for work and combined it with a pair of awesome heels and a shiny bag…
LBD is here to stay I say….
What do you think?
Dress/ vestito – PINKO
Pumps / Decollete -CERASELLA
Bag/ Borsa – GEDEBE
Earrings/ Orecchini -TIFFANY AND CO
Glasses/ occhiali- DSQUARED
Special thanks to La suite resort Procida
PH by Henrik Hansson
Il fascino dell’Oriente lo aveva nel DNA, essendo nata a Gerusalemme e cresciuta tra Siria e Libano. Una visione unica della moda, vissuta come uno dei più autentici piaceri della vita, unita ad un’esistenza trascorsa all’insegna del cosmopolitismo, Thea Porter è stata colei che ha introdotto lo stile boho-chic nell’Inghilterra degli anni Sessanta.
Dorothea Noelle Naomi Seale nasce il 24 dicembre 1927 a Gerusalemme, in una famiglia di missionari cristiani. Il padre Morris S. Seale è un teologo e la madre una missionaria franco-tunisina.
Cresciuta a Damasco, la giovane Thea sviluppa una predilezione per i tessuti preziosi, che costituiranno la cifra stilistica delle sue creazioni. È in buona parte a lei che dobbiamo le suggestioni orientali sfoggiate nella moda dell’Inghilterra degli anni Sessanta.
Thea Porter su Harper’s Bazaar Aprile 1969, foto di Barry LateganAnn Schaufuss in Thea Porter, Vogue UK dicembre 1970
Ann Schaufuss in Thea Porter
Mentre lavora nella biblioteca dell’ambasciata britannica a Beirut conosce Robert Porter, il suo futuro marito. I numerosi viaggi della coppia, tra Giordania, Iran, Italia e Francia, arricchiscono ulteriormente il patrimonio visivo e culturale della giovane Thea, che vive pienamente la rivoluzione di quegli anni, trascorrendo le sue serate nei night club e collezionando stuoli di abiti, come lei stessa ha dichiarato.
Amante della pittura e dell’interior design, dopo la separazione dal marito si trasferisce a Londra, nel maggio del 1964. Qui lavora come interior designer per Elizabeth Eaton e due anni più tardi, nel 1966, inaugura a Soho il suo primo negozio il Thea Porter Decorations Ltd., al numero 8 di Greek Street, indirizzo divenuto celebre grazie a lei.
Thea nel suo negozio vende decorazioni esotiche, monili antichi, tappeti e mobili in stile etnico, rivisitati dal suo gusto e avvolti in stoffe pregiate.
Vogue UK 1969Il fascino dell’Oriente nei broccati e nelle stoffe pregiateVogue UK 1969
Maudie James in Thea Porter, Vogue UK luglio 1969, foto di Norman Parkinson
Sono i favolosi Swinging Sixties e Londra, da sempre capitale del melting pot, sviluppa un particolare gusto per l’esotico. Il piccolo negozio di Thea appare quasi come un bazar delle meraviglie e diviene in breve meta prediletta di hippie, musicisti famosi, attori e curiosi di ogni genere.
Ben presto si impone la richiesta da parte della clientela femminile di poter vestire di quelle stoffe così raffinate e particolari, ed è così che Thea diviene designer. I tessuti damascati importati dall’Oriente, i broccati di seta, i velluti di tradizione ottomana, il gusto particolare nel confezionare i capi fanno di Thea Porter l’iniziatrice del boho-chic.
Il capo principe che la rende famosissima in appena un anno è il caftano. La particolare veste, di origine orientale, era stata sdoganata in Inghilterra da Elizabeth Taylor, che aveva indossato un abito di Gina Fratini simile a un caftano per il suo secondo matrimonio con Richard Burton.
Ma nelle creazioni di Thea Porter le suggestioni orientali si mixano ad un modo nuovo di concepire la moda: le stampe indiane, i materiali antichi che sanno di Mediterraneo, il mood gipsy sono elementi che affascinano la Swinging London, che ama vestire esotico e respirare un’aria internazionale. Già nel 1967 la sua attività cresce in modo esponenziale e arriva all’estero, fino alla Grande Mela, grazie all’opera di Diana Vreeland, celebre fashion editor di Harper’s Bazaar, che si innamora perdutamente delle sue creazioni e le dedica copertine e servizi di moda.
Ann Schaufuss in Thea PorterMaudie James in Thea Porter, Vogue UK ottobre 1969, foto di Guy Bourdin
Vogue UK luglio 1973, foto di Norman Parkinson
Tra i suoi clienti più affezionati ci sono esponenti del jet set internazionale e dell’intellighenzia, come anche teste coronate: da Talitha Getty, che adorava i suoi caftani, a Lauren Bacall, da Bianca Jagger e Mick Jagger a Cat Stevens e Pete Townshend, da Liz Taylor e Barbra Streisand a Baby Jane Holzer e Jutta Laing, da Lady Amanda Harlech alla scrittrice Edna O’Brien, da Veronique Peck alla Principessa Margaret fino alla principessa Inaara Aga Khan.
Maudie James in Thea Porter, foto di Patrick Hunt, 1970Lo stile boho-chic di Thea PorterAbito gipsy Thea Porter, 1969
Il mitico atelier di Thea Porter, al numero 8 di Greek Street, in una foto del 1976
Thea Porter veste i Beatles e i Pink Floyd e ottiene centinaia di migliaia di cover e di servizi, da Vogue ad Harper’s Bazaar, fino alla conquista di Hollywood.
Il successo è tale che nel 1971 il marchio Thea Porter apre uno store a New York, grazie ai finanziamenti di Michael Butler, il produttore del musical di Broadway “Hair”, e nel 1977 apre un secondo negozio a Parigi.
Ann Schaufuss in Thea Porter, Vogue UK ottobre 1971Sfilata Thea Porter
Un’altra immagine tratta da un défilé Thea Porter
Anche dopo la chiusura dello store londinese la designer continua ad ottenere consensi, e nel 1986 inizia un’attività con la principessa Dina di Giordania in un negozio più piccolo di nome Arabesque. Da lì in poi si perdono le sue tracce, non senza grande dispiacere da parte di coloro che ne avevano amato lo stile. La stilista muore a Londra il 24 luglio 2000 dopo aver combattuto a lungo con l’Ahlzeimer.
Caftani stampati e mood bohémienJoan Collins in Thea Porter, foto di Terry FincherVogue UK giugno 1971, foto di Barry Lategan
Capi suggestivi e moderni
Riconosciuta antesignana della moda hippie chic, venerata post-mortem per le sue creazioni bohémien, che includevano caftano, turbanti, pantaloni a zampa, i capi di Thea Porter costituiscono oggi un’importante fetta di mercato di moda vintage e sono tra i più ambiti dai collezionisti. Capi dal sapore antico e dalle suggestioni folk, amati da celebrities ed icone di stile, come Kate Moss, che ha indossato spesso creazioni vintage di Thea Porter.
Londra dicembre 1973Vogue UK dicembre 1972, foto di Norman ParkinsonVogue UK settembre 1961
Un modello Thea Porter, anni Settanta
Particolarmente costosi, anche in virtù della qualità pregiata dei materiali di fabbricazione, i capi di Thea Porter sono tra i più venduti nelle boutique specializzate in vintage. Inoltre il genio della designer è stato recentemente celebrato a Londra, con una mostra presso il Fashion and Textile Museum che si è conclusa lo scorso maggio.
Sharon Tate in Thea PorterL’Officiel 1976Moyra Swann in Thea Porter, Vogue UK novembre 1971, Turchia, foto di Barry LateganCaftano prezioso Thea PorterLe creazioni di Thea Porter sono ricercatissime dai collezionisti di moda vintageNicole Richie in Thea PorterIspirazione folk per il Thea Porter vintage scelto da Kate Moss
Nasino alla francese e bocca a cuore, grande fotogenia e personalità ribelle: Charlotte Casiraghi si è imposta sempre più come un’icona di stile tra le più ammirate.
La bellezza della mamma Carolina e il fascino senza tempo della mitica nonna Grace Kelly si incontrano in lei in modo mirabile. Ventinove anni compiuti lo scorso 3 agosto, una laurea in Filosofia alla Sorbona, Charlotte Marie Pomeline Casiraghi è la secondogenita della principessa Carolina di Monaco.
Charlotte Marie Pomeline Casiraghi è nata a Monaco il 3 agosto 1986
La principessina è stata il volto di Gucci
Blasonata it girl dallo stile copiatissimo, la principessina appena sedicenne è stata inclusa dalla rivista Vanity Fair nella Lista delle donne meglio vestite al mondo.
Seguitissima dai giornali di gossip per le sue vicende sentimentali, provetta amazzone e mamma di Raphaël, avuto dall’attore Gad Elmaleh, il viso pulito e la bellezza acqua e sapone hanno fatto della principessina un’icona di bellezza. Il suo stile piace e affascina, a partire dalle uscite ufficiali della giovane, che ammette che, sebbene ami cambiare spesso d’abito, non ne ha mai fatto un’ossessione.
La principessa sfoggia nella vita di tutti i giorni uno stile fresco e giovane. Suggestioni grunge in certe mise sfoggiate dalla Casiraghi in giro per Parigi si alternano a linee pulite ed essenziali. Uno stile sofisticato ed una grande femminilità messa in risalto dai tacchi vertiginosi e dai lunghi abiti da sera indossati nelle occasioni ufficiali, come il Ballo della Rosa, che la vede da anni protagonista indiscussa.
Tanti i look bon ton sfoggiati da Charlotte, che veste spesso Chanel: indimenticabile è la mise rosa baby con veletta nera sfoggiata al matrimonio di Alberto di Monaco e Charlene Wittstock.
Veletta nera su abito rosa Chanel, al matrimonio dello zio Alberto con CharleneAllure da diva in Giambattista Valli
Versione amazzone per Gucci
Mood sporty chic in Gucci, che ha reso omaggio all’equitazione, la passione preferita di Charlotte, amazzone a livello agonistico. Bella anche senza un filo di trucco addosso, la gravidanza non ha cambiato il suo fisico atletico, messo in evidenza anche in un outfit semplice come jeans e camicia.
Un volto dai tratti fanciulleschi e dalla sensualità appena accennata che Gucci ha saputo mirabilmente mettere in evidenza, volendola a tutti i costi come testimonial.
Labbra carnose e viso pulitoVogue Paris, Aprile 2015Charlotte in MissoniLaureata in Filosofia alla Sorbona, Charlotte ha una passione per l’editoria e il giornalismo
Grande passione per l’equazione, Charlotte è una provetta amazzone
Apparsa più volte sulla cover di Vogue, fotografata -tra gli altri- da Mario Testino e Peter Lindbergh, Charlotte è camaleontica e versatile: quasi una diva per l’obiettivo di Testino, che ne immortala lo charme blasonato, intellettuale e sofisticata nelle foto che la ritraggono per Vogue UK di luglio 2013.
Una preferenza per i look bohémien, come il lungo abito Zara sfoggiato recentemente alle isole Borromee, location scelta dal fratello Pierre per il suo matrimonio con Beatrice Borromeo, la Casiraghi ha gusto e personalità da vendere. Eclettica e glamour in Missoni, sempre per il matrimonio del fratello, ha incantato tutti indossando per il ricevimento un lungo abito floreale. Uno stile da copiare.
Vogue Paris, settembre 2011, foto di Mario TestinoVogue UK luglio 2013, foto di Alasdair McLellanAcqua e sapone ancora per Vogue UK luglio 2013In Zara all’arrivo alle isole Borromee, per il matrimonio del fratello PierreTotal look in denim e neanche un filo di make up
Raramente un personaggio è entrato tanto nella cultura visiva e popolare di un’epoca da diventarne icona inimitabile. Ma Bettie Page, prima modella pin-up, antesignana del bondage, emblema della femminilità anni Cinquanta, ha sicuramente influenzato forse come nessun altro la cultura pop del Novecento.
L’icona viene ora celebrata, a sette anni dalla scomparsa, in una mostra organizzata dalla galleria ONO di Bologna, che apre i battenti il prossimo 29 agosto.
Bettie Mae Page nasce a Nashville il 22 aprile 1923. Dopo un’infanzia trascorsa in una famiglia poverissima con un padre che abusava di lei e delle sue due sorelle, Bettie viene lasciata in orfanotrofio dalla madre. Tutto ciò non ferma la brillante personalità della ragazza: gli ottimi voti che consegue le permettono di laurearsi in Arte nel 1943, dopo aver mancato per appena un quarto di punto una prestigiosa borsa di studio per la prestigiosa Vanderbilt University.
Dopo il matrimonio fallito con Billy Neal, suo compagno al liceo arruolatosi durante la Seconda Guerra Mondiale, la giovane Bettie decide di trasferirsi a New York. Qui inizia a lavorare come segretaria, ma questa routine le sta stretta. Bettie sa bene di avere una grande fotogenia ma la sua bassa statura e le curve esplosive non sono in linea con le tendenze della moda, che esige mannequin assai più eteree. Tuttavia la ragazza mostra una grande consapevolezza del proprio fisico e una straordinaria spontaneità davanti l’obiettivo. Felicemente curvilinea, Bettie sfodera sorrisi ed un’irresistibile innocenza.
Sarà in una spiaggia di Coney Island che la sua vita cambierà per sempre: l’incontro con il fotografo Jerry Tibbs segna l’inizio dell’epopea Bettie Page. Tibbs nota per primo la carica sensuale della giovane e le consiglia di adottare un nuovo taglio di capelli con la particolarissima frangetta corta, che diverrà emblema della pin-up. Come lei stessa ha dichiarato, rispetto al suo nuovo lavoro: “Guadagnavo in un giorno quello che come segretaria guadagnavo in una settimana”.
Nel 1951 Bettie posa per Irving Klaw insieme ad altre modelle. Le foto ritraggono giovani fanciulle intente a maneggiare languidamente corde e frustini: nessuno lo sa ma è l’inizio del bondage.
Nel 1954, durante un viaggio a Miami, in Florida, Bettie conosce Bunny Yeager, ex modella nonché famosa pin-up di New York, ora aspirante fotografa. Bunny intende realizzare uno shoot ambientato nelle spiagge bianche della Florida e in particolare nel parco naturale africano di Boca Raton, location perfettamente en pendant con gli outfit animalier usati da Bettie. Le foto sono l’apice della sensualità con una Bettie versione wild che posa felina nella giungla. Ben conscia del potenziale della giovane che ha davanti, Bunny manda le foto a Playboy. La freschezza di Bettie conquista subito il patron della rivista Hugh Hefner, che la sceglie come Playmate del mese e come modella protagonista del poster per l’anniversario dei due anni del magazine, nel gennaio del 1955.
La frangetta nera, gli outfit maculati, le scarpe a punta tonda, i look alla marinaretta sono tutti elementi salienti di una subcultura anni Cinquanta, che ha stravolto e ampliato i confini della moda ufficiale allora vigente. La cultura Rockabilly in toto deve moltissimo a Bettie Page. Quel particolare filone della moda Fifties, ancora oggi seguitissimo e redditizio per le aziende di tutto il mondo, rende interamente omaggio a questa donna e ai suoi look femminili e freschi. Ed è forse un unicum nella storia che una subcultura venga ideata ex novo da un singolo individuo.
Prima fotomodella della storia, iniziatrice del BDSM e del Burlesque, grazie ad un fisico a clessidra dalle proporzioni degne delle statue greche, Bettie quando posa sfoggia un entusiasmo da bambina che contagia tutti. Donna concreta e misurata, dalla professionalità svizzera e dalla rara integrità morale, ha dichiarato fieramente di non essere mai uscita con un fotografo o con altre persone del settore. Numerosi però sono stati i suoi amanti, semplicemente estasiati dalla sua carica sessuale, a partire dal designer Richard Arbib, con cui viene colta in flagrante durante un focoso amplesso.
Brillante manager della sua carriera, fu designer dei suoi celebri costumi, che disegnava da sola: peccò però di ingenuità la giovane Bettie, quando la società a suo nome se ne impadronì senza mai versarle i dovuti diritti d’autore. Idolatrato oggetto del desiderio, si dice sia stata amante anche di Katharine Hepburn, che la sedusse in una stanza d’albergo. Modella richiestissima anche oltre i trent’anni, lavorò fino al 1957.
Le sue foto scandalo suscitarono rivolte popolari e fu varato persino un provvedimento dalla sottocommissione sulla delinquenza giovanile del Senato -la cosiddetta audizione Kefauver-, che vietò le sue foto a tema sadomaso, come quelle scattate da Irving Klaw, incolpando indirettamente l’ignara pin-up di aver contribuito a causare la morte di un giovane durante un tentativo di emulazione finito tragicamente.
Temuta dalla puritana America perbenista degli anni Cinquanta, dopo il ritiro si convertì al protestantesimo nel 1958 e si trasferì in Florida. Fervente religiosa, nel tentativo di praticare la parola dei Cristiani Rinati arrivò a risposare il primo marito, che per tutta risposta cercò di ucciderla.
Alle prese con uomini che tentano invano di dominarla, Bettie è insieme tenera e ribelle nel difendere la propria indipendenza. La cifra della sua intera esistenza sta tutta nel comprendere il paradosso Bettie Page, per cui una donna divenuta per sua scelta iconica figurina del sesso è stata in realtà icona ante litteram del femminismo ed emblema dell’emancipazione femminile.
Segnata dalla vita, la vecchiaia la vede poverissima e ricoverata per schizofrenia per ben otto anni in un ospedale psichiatrico della California. Sarà Hugh Hefner ad aiutarla: Bettie è un marchio vivente e, sebbene lei non ne sia consapevole, per risollevare le sue sorti economiche basta far sì che le vengano finalmente pagati i diritti degli innumerevoli gadget o prodotti culturali recanti il suo nome.
Idolatrata da stuoli di aspiranti modelle, sono tantissime le celebrities che continuano ad ispirarsi a lei, da Dita von Teese, odierna paladina del burlesque, a Katy Perry, da Beyoncé a Madonna.
Scomparsa l’11 dicembre del 2008, oggi l’Italia celebra il mito di Bettie Page con una mostra organizzata presso il museo ONO Arte contemporanea di Bologna. Il vernissage(29 agosto-29 settembre 2015) è composto da 55 scatti provenienti dalla collezione di Michael Fornitz e da 20 immagini a tiratura limitata: si tratta del patrimonio personale che la stessa Page donò ad un amico in punto di morte. Immagini che ritraggono una giovanissima Bettie di fronte alla macchina fotografica, ancora acerba ma già entusiasta. Il ritratto di una donna che ha avuto il coraggio di essere profondamente libera.
Spegne 45 candeline Claudia Schiffer. Supermodella tra le più famose degli anni Novanta, apparsa in oltre 700 copertine, la Schiffer è nata a Rheinberg il 25 agosto del 1970.
Da giovane Claudia non sogna il mondo della moda, ma vuole seguire le orme del padre, avvocato. Nel 1987 viene notata da Michel Levaton, capo della Metropolitan, importantissima agenzia di moda, e da lì inizia una carriera a dir poco sfolgorante.
Celebre supermodella, Claudia Schiffer è nata a Rheinberg il 25 agosto del 1970Notata nel 1987, in pochi anni diviene una delle più famose top model al mondo
La carriera della Schiffer è iniziata grazie anche alla sua somiglianza con Brigitte Bardot
Broncio che ricorda Brigitte Bardot, altezza svettante su un fisico atletico ma burroso, la modella teutonica ottiene in breve la fama internazionale.
Se nel decennio precedente le modelle erano atletiche valchirie dai nomi perlopiù sconosciuti, negli anni Novanta diventano invece dei personaggi. La Schiffer, come anche Naomi Campbell, Linda Evangelista, Christy Turlington ed Helena Christensen, diventano delle icone: acclamate, invidiate, copiate, osannate, sono l’emblema di una generazione.
Claudia Schiffer ritratta da Ellen von Unwerth per GuessClaudia Schiffer è alta 1,80 m e le sue misure sono 94-62-92Un altro scatto della campagna pubblicitaria Guess 1989, foto di Ellen von Unwerth
La Schiffer è stata testimonial di brand come Valentino, Versace e Chanel
Divenuta celebre come volto di Chanel, Claudia Schiffer sfila per le maison più importanti, da Jil Sander a Versace a Dolce & Gabbana.
Volto di Valentino in una Roma da Dolce Vita per una campagna indimenticabile in cui Arthur Elgort la immortala come una novella Anita Ekberg, Claudia Schiffer incarna il prototipo della bambola vivente pur essendo dotata di grande intelligenza.
Mai sopra le righe, mirabile imprenditrice di se stessa, viene immortalata come una sexy cowgirl dall’occhio di Ellen von Unwerth, per una celebre campagna Guess.
Claudia Schiffer è una supermodella anni Novanta, insieme a Naomi Campbell, Christy Turlington, Helena Christensen, Carla Bruni, Linda EvangelistaCome una diva della Dolce Vita nella campagna pubblicitaria per Valentino, P/E 1995Bellezza nordica ma fisico burroso
Un altro scatto della celebre campagna pubblicitaria Valentino P/E 1995 ambientata a Roma, foto di Arthur Elgort
Claudia Schiffer incarna perfettamente la bellezza anni Novanta: tantissime le cover, innumerevoli i servizi fotografici, fino al 6 ottobre del 2009, quando annuncia il suo ritiro dalle passerelle, all’età di 39 anni. Tuttavia continua a collezionare contratti come testimonial per i brand più famosi al mondo e nel 2012 torna a posare per Guess, per i trent’anni del marchio. Presente anche in numerosi film e videoclip, spesso nel ruolo di se stessa, Claudia Schiffer è ambasciatrice UNICEF.
Suggestioni felliniane per la campagna Valentino Garavani, foto di Arthur Elgort, 1995
Claudia Schiffer fotografata da Mario Testino per Vogue Germania, giugno 2008
Nella vita privata, dopo un lungo fidanzamento con l’illusionista David Copperfield, relazione che è stata al centro del gossip di fine anni Novanta, nel 2002 è convolata a nozze col produttore cinematografico Matthew Vaughn, dal quale ha avuto tre figli.
Lungi dall’essere dimenticate, le supermodelle degli anni Novanta sono recentemente tornate in auge, conquistando copertine e campagne pubblicitarie. Poche le possibili eredi, come la stessa Schiffer ha dichiarato: l’unico nome, a questo proposito, è stato quello di Gisele Bündchen.
Il nome di Janice Wainwright forse ai più dirà poco ma le sue creazioni rappresentano un tassello fondamentale nella storia della moda inglese degli anni Sessanta.
Ancora oggi tra i più venduti nelle boutique specializzate in vintage e tra i più ricercati dai collezionisti, i capi di Janice Wainwright sono estremamente suggestivi: stampe più che mai attuali, incredibilmente in linea con le tendenze di oggi, e dalle proporzioni perfette per qualsiasi tipo di fisico.
Nata a Chesterfield nel 1940, la formazione di Janice Wainwright è avvenuta nelle più prestigiose scuole di moda, dalla Wimbledon School of Art alla Kingston School of Art fino alla specializzazione al Royal College of Art di Londra. Dopo la laurea, grazie al supporto finanziario garantitole dalla compagnia di Simon Massey, la stilista poté iniziare a disegnare e produrre la propria linea di abbigliamento.
Creazioni Janice Wainwright, foto del 1969Janice Wainwright è nata a Chesterfield nel 1940
Jean Shrimpton in Janice Wainwright
Il suo stile si distingueva per essere giovane, elegante e femminile. La Wainwright era molto stimata dai suoi colleghi, in primis da Ossie Clark, che le diede il permesso di usare le splendide stampe della moglie Celia Birtwell per il suo lavoro. La Wainwright fu l’unica a godere di tale privilegio all’epoca.
Nel 1968 Janice iniziò a lavorare come freelance e in questo periodo collaborò con Sheridan Barnett. Maturata una notevole esperienza, insieme alla padronanza delle tecniche di marketing, la stilista due anni più tardi, nel 1970, fondò il proprio marchio. Fu così che aprì i battenti la “Janice Wainwright at Forty Seven Poland Street” nei pressi di Oxford Street.
Janice Wainwright fu l’unica designer alla quale Ossie Clark permise di utilizzare le stampe della moglie Celia Birtwell
Abito rosso in jersey, Nova Magazine, dicembre 1972
Creazioni in jersey, chiffon e crêpes di seta, vestiti dai tagli sartoriali e glamour. Nel 1974 il nome del marchio venne abbreviato in Janice Wainwright. Durante gli anni Settanta e Ottanta le sue creazioni iniziarono a mostrare dei ricami più intricati e particolari: si trattava perlopiù di abiti lunghi e fluidi, dalle stampe audaci.
Suggestioni etniche e romanticismo nelle trame dei ricami e nei modelli, in cui si respira un gusto retrò di grande impatto visivo. Celebri le foto che ritraggono la mitica Twiggy mentre indossa dei modelli Janice Wainwright. Quasi una visione eterea ed onirica, la modella sembra una ninfa silvestre immersa in un paesaggio fatato.
Twiggy in Janice Wainwright, foto di Justin de Villeneuve, Vogue luglio 1969Tuta Janice Wainwright per Simon Massey
Abito disegnato da Janice Wainwright per Simon Massey
Le creazioni della Wainwright all’epoca spopolarono e furono esposte al Fashion Museum di Bath e al prestigioso Victoria & Albert Museum di Londra. Capi che, collezione dopo collezione, diventavano più sontuosi e dal design estremamente interessante. Notevole anche la qualità dei materiali usati, che tradisce la ricercatezza e la cura estrema con cui la stilista selezionava le pregiate stoffe in Europa e fino all’Estremo Oriente.
La maison chiuse i battenti nel 1990, ma ancora oggi i capi di Janice Wainwright sono molto ricercati e caratterizzano una fascia importante nel mercato del vintage online. Tanti sono i modelli ancora in vendita nei siti specializzati, da Etsy a 1stdibs a Farfetch e Bonhams. Perché il vintage è evergreen.
Suggestioni contemporanee e charme senza tempo in una creazione vintage Janice Wainwright in vendita su internetAbito Janice Wainwright esposto da Bergdorf Goodman, New York
Vi trasportiamo nella teatralità di cinque sfilate di Haute Couture che, grazie all’estro di Galliano, resteranno per sempre impresse nella Storia della Maison.
Mentre nel 2015 si annuncia la fine dello stile normcore, l’avvento del genderless e un vago ricordo della tendenza hipster, a suon di condivisioni su Instagram e estemporanei video su Snapchat, il ricordo vola all’enfasi e all’aura che circondavano l’universo moda appena qualche decennio fa.
La democratizzazione è in atto e la visualizzazione delle sfilate in HD rende la virtualità un effettivo passepartout per il sistema.
Facendo un passo indietro nel tempo riaccendiamo insieme la tv sintonizzata sui notiziari che ci trasportavano nel fantasmagorico mondo delle sfilate di Haute Couture parigine,legate indissolubilmente all’immaginario iconico di John Galliano per Christian Dior.
Misticismo teatrale e coinvolgimento dei sensi, davanti allo schermo si veniva trasportati in un mondo parallelo fatto di mirabolanti creature in passerella, talvolta grottesche, senza riuscire a distinguere la linea di confine tra effettiva realtà e finzione. Sin dalla produzione scolastica , presso la Central Saint Martins School di Londra,il designer si è ispirato alle arti e alla storia, tanto da ideare, come progetto di tesi, una collezione dedicata agli Incroyables, passata oramai agli annali.
Un imprinting fatto di amore per il costume trasmesso dalla madre, insegnante di flamenco, che amava fargli indossare gli abiti più stravaganti.
Tradizione che Galliano non ha perso nel corso degli anni, infatti, la ciliegina sulla torta di ogni fashion show era la sua uscita in abito da scena.
Annoverato più volte tra i migliori designer britannici, espatriato da Londra a Parigi, prima di approdare a Dior, dal 1997 al 2012, ebbe un’esperienza da Givenchy. La fine della sua carriera presso la Maison francese venne segnata da un video in cui rivelava affinità con l’antisemitismo. Collaborazione troncata e ritorno sulle passerelle solo nel gennaio di quest’anno, con la firma delle nuove collezioni Martin Margiela.
Per rivivere le emozioni epidermiche, di quelle che configureranno per l’eternità come memorabili passerelle di Alta Moda, ecco un excursus esplicativo da portare impresso nella mente:
Il Dior Express attraversa la Cina e il Giappone per un viaggio attraverso le meraviglie dell’Asia e i suoi broccati.
Ispirato dall’ Antico Egitto il couturier porta in passerella il lusso estremo della Valle dei Re estrapolato dai geroglifici e dagli affreschi tombali.
In un giardino in cui rivive l’era edoardiana, tra ricami e trasparenze, si racconta la storia del centenario di Christian Dior reincarnato nella sensualità di suadenti dive.
Trasportati in un feudo medievale, con tanto di labirinto nel castello, Galliano si perde tra moderne Giovanna d’Arco e Carmina Burana.
Un salto in Oriente per raccontare la triste storia d’amore tra Madame Butterfly e il Capitano Pinkerton. Così il New Look di Christian Dior si incastra perfettamente alla tradizione giapponese fatta di origami.
Un viso dai lineamenti particolarissimi, una bellezza che ridisegnò i canoni allora vigenti: Penelope Tree è stata una modella unica nel suo genere.
It girl della Swinging London e musa di fotografi del calibro di Diane Arbus e David Bailey (che fu anche suo compagno di vita per 6 anni), Penelope Tree ha un volto che non si dimentica facilmente.
Due occhi enormi dallo sguardo curioso e vivace, tratti fanciulleschi che la rendono simile ad un folletto ed una personalità sfolgorante ne hanno fatta un’indimenticabile icona.
Viso dai lineamenti particolari ed occhi enormi, Penelope Tree ridisegnò i canoni di bellezza
Icona della Swinging London e musa di David Bailey
Innumerevoli gli scatti pubblicati su Vogue, fotografie piene di pathos e poesia, interpretate da una icona geniale della moda mondiale.
Penelope Tree nacque il 2 dicembre 1949
La sua carriera nella moda venne inizialmente ostacolata dai genitori
Classe 1949, Penelope è nata a New York in una ricca famiglia di origine inglese dell’Upper East Side. Il padre Ronald è un politico e giornalista e la madre un’attivista e una socialite. Il conservatorismo della famiglia ostacola la carriera di Penelope nella moda, tanto che il padre, quando la vede ritratta per la prima volta in uno scatto di Diane Arbus, minaccia di portarla in tribunale.
Look gipsy per Penelope TreeLa modella fu fotografata da Diane Arbus, Cecil Beaton e David Bailey, di cui fu compagna nella vita
Foto di Patrick Liechfield, 1969
Il debutto in società di Penelope avvenne durante il Ballo Bianco e Nero di Truman Capote: all’evento erano presenti oltre cinquecento persone, tutto il jet set newyorkese, personalità come Marella e Gianni Agnelli, Mia Farrow e Frank Sinatra e la madre di Penelope, la socialiteMarietta Peabody Tree. Il dress code della serata imponeva outfit optical rigorosamente in bianco e nero, in linea con le tendenze dei Sixties. Protagonista indiscussa della serata fu la allora diciassettenne Penelope, la cui eterea bellezza incantò gli ospiti.
Il compagno David Bailey definì Penelope Tree “un grillo parlante”Penelope Tree in Yves Saint Laurent
La bellezza fuori dagli schemi di Penelope Tree
Poco dopo la ragazza, lottando contro il volere dei genitori, decise di trasferirsi a Londra, dove iniziò a lavorare come modella. Posò, tra gli altri, per Cecil Beaton, Richard Avedon e David Bailey. Dopo aver iniziato una relazione sentimentale con quest’ultimo, nel 1967 si trasferì nel suo appartamento a Primrose Hill. La genialità di David Bailey, che la definì “un grillo parlante”, contribuì a trasformare la sua bizzarra bellezza in un mito.
Foto di David Bailey, 1968
Scatto di David Bailey
La comparsa di un’acne tardiva pose fine alla carriera di Penelope Tree nei primissimi anni Settanta
Il suo clamore negli anni Sessanta fu tale che venne spesso paragonata ai Beatles. Celebri, a questo proposito, le tre semplici parole con cui John Lennon la descriveva: “Hot hot hot, Smart Smart Smart”. Intelligente e sexy, Penelope lo era davvero, come testimonia la sua carriera nella moda, breve ma sfolgorante.
Penelope Tree in uno scatto di John Cowan per Vogue, novembre 1969
Look boho-chic tipico degli anni Sessanta
La Tree era figlia di un giornalista ex deputato e di una socialite di origine inglese
Ancora uno scatto di David Bailey
Penelope Tree fotografata da David Bailey per Vogue 1969
Foto di David Bailey, Vogue 1 agosto 1968
Penelope Tree in India, foto di David Bailey, Vogue UK, gennaio 1968
Vogue UK ottobre 1968, foto di David Bailey
Negli anni Settanta dovette abbandonare la sua attività a causa di un’acne tardiva. Fu il crollo di un mito. Passata in breve dagli albori delle cronache al dimenticatoio, nel 1972 fu arrestata per possesso di cocaina e due anni più tardi, nel 1974, si trasferì a Sydney dopo la fine della sua storia con Bailey.
Uno scatto per Vogue, 1969
Foto di David Bailey per Vogue, 1 gennaio 1969
Pochi anni dopo convolò a nozze con il musicista sudafricano Ricky Fataar, già membro di gruppi storici degli anni Settanta/Ottanta, come The Flames e i Beach Boys, da cui ebbe una figlia di nome Paloma. Dalla relazione con uno psichiatra australiano, Stuart MacFerlane, ebbe invece un figlio di nome Micheal.
Ancora uno shoot ambientato in India, foto di David Bailey
Mood bohémien
Foto di David Bailey
Impegnata nel sociale e sul fronte umanitario, oggi l’ex modella è presidentessa di Lotus Outreach, un’organizzazione che si batte per il diritto allo studio delle ragazze della Cambogia. Il mito Penelope Tree è tornato a posare nel 2012 per il genio di Tim Walker, che ne ha colto l’essenza più intima. Inoltre ha preso parte ad un video di Mario Testino ed è stata testimonial per Barneys New York.
La notizia è di quelle clamorose ed è destinata a suscitare uno stuolo di polemiche. Cara Delevingne, una delle modelle più famose al mondo, ha dichiarato di voler ritirarsi dalle passerelle ad appena 23 anni.
Volto storico di maison come Yves Saint Laurent e Burberry, la top model inglese, classe 1992, si è detta vittima di un forte stress causato dalla vita frenetica a cui sono sottoposte le modelle. La grave forma di stress le avrebbe addirittura causato una forma di psoriasi.
Sguardo felino ed inconfondibile, folte sopracciglia che hanno fatto tendenza, la modella britannica è uno dei volti chiave del fashion biz. Una carriera iniziata nel 2009, a soli 17 anni, la Delevingne ha calcato le passerelle di Chanel, Fendi, Versace, Burberry, Victoria’s Secret ed è da molti ritenuta l’erede legittima di Kate Moss. Apparsa sulle copertine delle riviste più prestigiose, ritratta dai fotografi più famosi al mondo, Cara Delevingne è la modella che guadagna di più in assoluto.
Blasonata quanto basta, discendente dei baroni Faudel-Phillips, la top model non teme di apparire politically uncorrect con le sue dichiarazioni rilasciate in un’intervista al Times, secondo cui le pressioni imposte dal lavoro di modella l’avrebbero portata ad odiare il proprio corpo.
Cara Delevingne su Vogue, luglio 2015
Vogue UK, gennaio 2014
Niente peli sulla lingua per Cara, che si è sentita a suo dire a lungo sfruttata: femminista convinta, la top model britannica ha definito disgustoso il modo in cui ragazzine giovanissime siano costrette a posare in modo ammiccante, in un mondo fatto di enormi pressioni, competizione e sacrifici. Una vera e propria stigmatizzazione del fashion biz, mondo che l’avrebbe costretta a crescere troppo in fretta.
Vogue Australia, ottobre 2013
Foto di Peter Lindbergh, Vogue, maggio 2013
Espressività unica, bellezza anticonvenzionale ed un carattere ribelle, la Delevingne ha dichiarato la sua intenzione di volersi dedicare unicamente al lavoro di attrice. Già diversi film all’attivo, il suo è sicuramente un volto che buca lo schermo.
Una donna di rara bellezza, icona hippie chic ed incarnazione dello spirito bohémien degli anni Sessanta. Talitha Getty è stata protagonista di quegli anni. Le foto che la ritraggono insieme al marito Paul, vestiti con caftani damascati sul tetto di un elegante palazzo di Marrakech, sono diventate simbolo di un’epoca. Una rivoluzione all’insegna del mood gipsy.
Il flower power ha trovato una splendida rappresentante in Talitha Dina Pol. Nata nel 1940 a Giava, all’epoca facente parte delle Indie Orientali Olandesi, Talitha trascorre i suoi primi cinque anni di vita in un campo di prigionia giapponese insieme alla madre, per poi trasferirsi con lei a Londra nel 1945.
Talitha Dina Pol nacque a Giava nel 1940
Uno scatto di Elisabetta Catalano
La giovane ha il dono della bellezza e sogna di diventare un’attrice. Per questo si iscrive alla Royal Academy of Dramatical Art. Sangue misto nelle vene, un viso da copertina ed una bellezza selvaggia, Talitha incanta icone del calibro di Diana Vreeland, Rudolf Nureyev e Yves Saint Laurent, che ne fa la sua musa. Nureyev, dichiaratamente omosessuale, prova per lei una fortissima attrazione erotica, al punto che dichiara di aver pensato di sposarla. Il giornalista Jonathan Meades la definisce “la donna più bella che abbia mai visto”.
La bellezza di Talitha Getty incantò Diana Vreeland , Rudolf Nureyev e Yves Saint Laurent
Foto di Elisabetta Catalano, 1968
Nel 1965 avviene l’incontro che segna la vita della bellissima Talitha: ad un party organizzato da Claus von Bülow la ragazza conosce John Paul Getty Jr., magnate americano che sposerà l’anno seguente in Campidoglio, a Roma, indossando una minigonna in velluto bianco bordata di visone. La sua carriera di attrice è decollata qualche anno prima, e la giovane prende parte a sette film. Ma è il suo stile unico a destare l’attenzione dei media.
Talitha visse a Roma dal suo matrimonio fino alla morte, avvenuta nel 1971Il caftano è il simbolo del suo look boho-chicSuggestioni folk in questo outfitTalitha Getty in uno scatto a Marrakech, Vogue gennaio 1970
Kimono floreale per Talitha e camicia en pendant per il marito Paul Getty
Emblema dello stile wild degli anni Sessanta, Talitha mixa perfettamente il mood boho-chic con le suggestioni della Swinging London. Un look che privilegia caftani coloratissimi e preziosi e fiori tra i capelli e contaminazioni stilistiche. Frequenti sono i viaggi dei coniugi Getty a Marrakech: proprio questa diviene la location per il celebre servizio fotografico realizzato nel 1969 da Patrick Liechfield, che li immortala sul tetto del Pleasure Palace in caftani e gioielli etnici. Una coppia perfettamente assortita anche nel look.
Sul tetto del Pleasure Palace, 1969Talitha e Paul Getty fotografati da Patrick Lichfield per Vogue, 15 gennaio 1970Talitha Getty a Roma
Talitha in posa per Elisabetta Catalano
Nel 1968 Talitha ha una figlia da Getty e poco dopo decide di ritirarsi dal cinema. Una vita fatta di eccessi e finita tragicamente. Nel 1971 Talitha Getty muore nel suo appartamento a piazza d’Aracoeli a Roma, a soli trent’anni, per un’overdose di eroina e barbiturici. Ma il suo charme non smette di affascinare.
Sarà Luisa Ranieri a portare sul piccolo schermo la vita della creativa che può essere definita uno dei pilastri dell’imprenditoria nel nostro Paese. A febbraio 2016, infatti, in occasione di San Valentino, andrà in onda la mini serie Rai dedicata a Luisa Spagnoli.
Amore e genialità i capisaldi della sua vita. Prima moglie di Annibale Spagnoli, sposato in giovane età, poi amante di Giovanni Buitoni, suo partner nella vita professionale, divenuto in seguito amante. A lei l’Italia deve due grandi esempi di imprenditorialità: laPerugina, fondata insieme al marito e a Buitoni, e la griffe di moda omonima. Fu appunto l’excursus della Perugina a fornire le basi, anche finanziarie, per la nascita della Luisa Spagnoli.
Concreta e testarda, nella drogheria aperta nel centro di Perugia, all’inizio della sua carriera, venne prodotto il primo “cazzotto”, cioccolatino meglio noto a tutti come il Bacio. Non contenta dei traguardi raggiunti, a seguito di un folgorante viaggio parigino, ebbe l’idea di impiantare nella sua terra la produzione della lana d’Angora, ricavata pettinando soffici conigli.
Intorno a tale piglio creativo si sviluppava, inoltre, un nuovo modello industriale. Con la Perugina e la Spagnoli, infatti, il centro produttivo diventava una vera e propria comunità autosufficiente dotata di asili nido, doposcuola, chiesa, strutture sportive e ricreative, a vantaggio delle madri lavoratrici. Tanto che il gruppo industriale divenne ben presto “benefattore” della cittadina umbra.
Sophia Loren, Tza Tza Gabor, Dalida, Elsa Martinelli e Veruska, le dive che, negli anni 60, non potevano fare a meno dei golfini Luisa Spagnoli.Come documentato nel museo allestito in un’ala dell’azienda, dove tuttora il 90 per cento dei 600 lavoratori sono donne, vero esempio industriale “in rosa”. Attraverso le quattro sale dello stesso è possibile rivivere lo sviluppo della realtà, dagli albori fino ai giorni nostri, grazie a una raccolta di documenti cartacei, oggetti, capi e macchinari atti a evocare la rivoluzione operata dal marchio, che dal 1986 è portato avanti da Nicoletta Spagnoli in veste di amministratore delegato e presidente dell’azienda.
La visita alla struttura (su appuntamento) è consigliata per documentarsi nell’attesa della fiction che appassionerà le nuove generazioni e arricchirà il patrimonio culturale di quelle che riconoscono la stessa come esempio di passione e imprenditorialità tipiche degli italiani.