Ci sono donne che con la propria forza sono riuscite a vincere anche contro le peggiori avversità che la vita può riservarti. Questa è la parabola della vita di Gabrielle Coco Chanel.
Un’infanzia difficile trascorsa a Courpière, la madre, cagionevole di salute, muore quando Gabrielle è solo una bambina, il padre assente, tra infedeltà coniugali e sperpero di denaro.
Gabrielle Bonheur Chanel nasce a Saumur il 19 agosto 1883. La piccola cresce in fretta perché la vita le impone di fare così e quel che resta della sua infanzia lo trascorre presso l’orfanotrofio di Aubazine tra le umiliazioni che le suore riservano agli orfani meno abbienti.
Maglia nera e immancabile filo di perle: la classe di Gabrielle Coco Chanel in un ritratto di Boris Lipnitzki, 1936
Ribelle nello scatto di Man Ray, 1935
“Se sei nato senza ali, non fare nulla per impedire loro di crescere”: un simile monito non può che venire da chi le difficoltà le ha vissute sulla propria pelle. Fino a quel primo impiego presso la sartoria di Madame Desboutins, a Moulins. Un impiego modesto, in un atelier del quale la giovane Gabrielle non condivide minimamente lo stile, da lei giudicato pacchiano e volgare; ma lì, dove quella ragazza bruna e dal gusto minimal viene additata come la peggiore delle provinciali, avviene la prima rivoluzione firmata Coco Chanel.
Una giovanissima Gabrielle, foto di Alex Stewart Sasha 1929
La stilista fotografata nel suo appartamento da Cecil Beaton, 1965
Foto di Douglas Kirkland, 1962
Ancora uno scatto di Douglas Kirkland: la sequenza si intitola “Three Weeks/1962”
Prima l’incontro con Étienne Balsan, ricco giocatore di polo dell’alta borghesia francese, poi l’addio a Madame Desboutins, la burbera titolare. Non un gesto di ubris ma una dichiarazione di stile e di assoluta coerenza con se stessa, per la giovane Gabrielle, che diviene in quel momento Coco. L’amore che Étienne prova per lei le porterà un solido aiuto materiale, ponendosi come deus ex machina per una donna geniale, che meritava per diritto divino di avere un posto nella storia.
Battagliera come nessuna, granitica, leonessa astrologicamente e non solo, Chanel è stata forse la sola designer ad avere attraversato due crisi fortissime ma ad essere riuscita a rialzarsi ambedue le volte.
La classe di Chanel
Parigi sullo sfondo
Il secondo amore è forse quello della vita e viene dalla grigia Inghilterra: scandaloso e proibito, perché spesso è così che iniziano le storie migliori. Anche Boy Capel aiuterà Coco, divenuta ormai forse troppo sicura di sé e troppo poco gestibile dal più insicuro Balsan, migliore amico di Capel. Quest’ultimo la aiuterà ad aprire il suo primo atelier a Parigi, al fatidico numero 31 di rue Cambon. Da lì è storia. Ma Coco restituirà all’amante l’intera somma ricevuta in prestito e offrirà per tutta la vita aiuto alla sorella Adrienne.
Durante l’occupazione tedesca Chanel fu la sola ad esser tollerata all’Hôtel Ritz, che restò la sua residenza anche in quegli anni. Generosa anche col nipote e con i suoi numerosi amanti più giovani, durante la vecchiaia, la sua vita ci insegna a non smettere mai di lottare e ad indossare sempre un girocollo di perle, of course.
Coco Chanel nel suo atelier al 31 rue Cambon, Parigi 1937, foto di Boris Lipnitzki
Uno dei maestri della fotografia del Novecento, precursore dell’emancipazione della donna e autore di scatti passati alla storia: tutto questo è stato Henry Clarke, uno tra i fotografi più prolifici e longevi, le cui foto sono state testimoni di quattro decenni, dagli anni Cinquanta fino ai primi anni Ottanta.
Tanti i generi sperimentati dal genio di Clarke: miriadi di scatti di moda e ritratti di personaggi celebri, il fotografo americano è stato arbiter elegantiae della moda italiana, francese e americana.
Nato nel 1918 in California, a Los Angeles, da immigrati irlandesi, Clarke cresce in un periodo attraversato da numerose correnti culturali. L’esperienza della guerra fa da spartiacque tra il vecchio e il nuovo. Il giovane Henry si avvicina alla fotografia di moda nel 1948, dapprima a New York e poi trasferendosi a Parigi.
Marina Schiano, 1968
Ancora la Schiano, 1968
Editha Dussler in Paulina Trige, 1966
L’immaginario collettivo di quegli anni era dominato dai due fotografi di Vogue Cecil Beaton e Horst P. Horst, entrambi fautori di un’estetica quantomai radicata nella tradizione. Ma si avvertiva sempre più l’esigenza di un cambio di prospettiva, che auspicava un ritorno ad una fotografia più radicata nella realtà. Lo stesso Clarke studiò le foto di Beaton, Horst ed Irving Penn, ma familiarizzò con una macchina fotografica più piccola, la Rolleiflex, a suo avviso capace di portare l’auspicato cambiamento di prospettiva.
Lauren Hutton in un caftano dorato Thea Porter, Vogue UK, dicembre 1969
Simone d’Aillencourt, 1966
Wilhelmina Cooper davanti alla dea Maishasur Mardini in un abito Madame Grès, Jodhour, India, dicembre 1964
La modella Samantha Jones in un caftano dalle stampe optical Livio de Simone, India, giugno 1967
La modella Samantha Jones davanti al tempio dei guerrieri Chichén Itzá, Messico, 1968
Modelle davanti le rovine di Xochicalco, fuori da Guernavaca, in abiti che ricordano i pepli greci, 1968
Samantha Jones in Emilio Pucci, 1967
Clarke fu allievo del vero rivoluzionario della fotografia di quegli anni, Alexey Brodovitch, presso la New School for Social Research. Fu qui che Clarke imparò forse la lezione più importante: come unire la fantasia che serve alla moda con l’energia tipica del reportage. Nel Dopoguerra imperversava uno stile ancora classico e fortemente radicato nella tradizione. Erano gli anni del New Look di Christian Dior, ma si avvertiva sempre più l’esigenza di dare voce ad un nuovo tipo di donna. Life Magazine aveva tristemente testimoniato il conflitto belli o con drammatici reportage fotografici dalle zone di guerra, ma Vogue continuava a commissionare lavori brillanti a Cecil Beaton, relegando la moda in un mondo che appariva talvolta ovattato e lontano dalla realtà.
Fotografie come opere d’arte
Henry Clarke viaggiò in moltissime parti del mondo per il suo lavoro, come l’Iran
I bellissimi paesaggi dell’Iran ritratti da Henry Clarke in foto suggestive
Scatti unici a metà tra moda e reportage
Marisa Berenson spicca in una foto scattata in Iran
Editha Dussler ritratta come una dea tra le rovine romane di Palmira, Siria
Isfahan, Iran, Vogue dicembre 1969
Marisa Berenson in un caftano dorato Tina Leser, 1967
Ancora la Berenson in caftano Halston, 1969
Le meravigliose stampe Emilio Pucci, 1966
Editha Dussler, Vogue giugno 1966
Veruschka, Vogue 1 Dicembre 1966
Editha Dussler su una spiaggia deserta, Vogue 1 Dicembre 1966
Sempre la Dussler, Vogue 1 dicembre 1966
Veruschka in tunica Pauline Trigére, Marocco 1964
La suggestiva location di Petra, 1965
Isa Stoppi per Vogue UK 1966
Una prima rivoluzione iniziò con Irving Penn e Richard Avedon, che portarono il reportage all’interno della fotografia di moda. Clarke iniziò a scattare foto per stilisti celebri, tra cui Dior, Fath, Balenciaga e Chanel. Le sue foto degli anni Cinquanta sono state spesso paragonate al lavoro di Irving Penn per quanto concerne il concetto di eleganza femminile; ma in Clarke manca quel particolare rigore formale e tecnico, come sostenne Nancy Hall-Duncan. In quel periodo egli stesso si fece promotore del risveglio culturale e stilistico dell’America e dell’Europa, coi suoi celebri scatti per riviste del calibro di Femina, Harper’s Bazaar e Vogue, e coi suoi ritratti di personaggi celebri, come Anna Magnani, Coco Chanel, Truman Capote, Cary Grant, Monica Vitti e Sophia Loren.
Veruschka in Jean Louis, 1965
Veruschka posa per Vogue, 2 aprile 1972
Barbara Carrera, foto del 1971
Castello San Nicola L’Arena, vicino Palermo, Vogue 1 dicembre 1967
La modella Barbara Bach fotografata a Villa Trabia, Palermo, in un abito Leslie Fay, Vogue 1 dicembre 1967
Veruschka in Valentino, 1 novembre 1966
Dalla metà degli anni Cinquanta firmò per David Libermann un contratto di esclusiva per le edizioni francese, americana e britannica di Vogue e iniziò a fare numerosi viaggi che lo portarono in giro per il mondo: Messico, Brasile, Spagna, Portogallo, Turchia, India, Iran, Siria ed Italia.
Ma è il decennio successivo che lo consacra al mito: grazie a Diana Vreeland, editor di Vogue, in questi anni Clarke ha ritratto magistralmente la donna moderna. Questa è la parte forse più interessante e più sottovalutata del suo lavoro, ossia l’essere riuscito, per primo, a ritrarre e testimoniare la portata storica della rivoluzione dei costumi sessuali che stava per avere luogo in quegli stessi anni.
Veruschka in Emilio Pucci in un editoriale voluto da Diana Vreeland, ambientato sulle rive del Tanganica, Tanzania, Vogue 1 gennaio 1965
Veruschka in una villa a sud di Roma, con un caftano giallo e una pashmina Ken Scott, novembre 1965
Istanbul, Turchia, Vogue dicembre 1966
Cherry Nelms in top e gonna Brigance fotografata in Portogallo, Vogue giugno 1952
Ancora Sherry “Cherry” Nelms a Olhao, Portogallo, con un bikini Calypso, Vogue giugno 1952
Cherry Nelms a Palermo, gennaio 1955
Abito in seta Bonnie Cashin, 1952
Moyra Swan in total look Anne Klein e cappello Cerruti, Spagna, 1969
Abito gipsy di Donald Brooks, Spagna 1969
Editha Dussler a Göreme, Turchia, abito di Chester Weinberg, dicembre 1966
Viviane, 1974
Altro scatto ambientato in Cappadocia, Göreme, Vogue 1 dicembre 1966
Le foto di Clarke degli anni Sessanta hanno per protagonista una donna moderna, che viaggia in tutto il mondo, indipendente, autosufficiente, sicura di sé. Scatti a colori ricchi di suggestioni etniche, con location mozzafiato. La sua donna è una dea indiana vestita di sari e caftani preziosi, una sacerdotessa che danza per raccogliere il favore degli dei. Cosmopolitismo ante litteram nelle sue foto che ritraggono donne gipsy, vestite secondo i costumi e le tradizioni dei singoli Paesi. Styling elaborati per nuove dee del sole, o zingare extra lusso che girano il mondo cavalcando un mulo, o ancora donne dall’eleganza moderna e rivoluzionaria, ritratte in costumi da bagno Emilio Pucci. Amante del barocco siciliano, celebri sono i suoi scatti ambientati a Palermo, Monreale e Bagheria. Su consiglio della contessa Consuelo Crespi, editor di Vogue US, scattò spesso in antichi palazzi della Capitale, come in quello di Cy Twombly. Suggestive le sue foto all’Eur, ad Ostia, ma anche in Turchia, Iran, tra le rovine di Argira, in Messico tra i templi maya ed aztechi e in Portogallo. Foto come reportage etnografici, con una partecipazione talvolta attiva della popolazione locale, come nello scatto con Isa Stoppi tra gli indios. Capolavori di una modernità impensabile per l’epoca.
L’arte azteca e amerindia, suggestioni indios e rovine di templi induisti diventano protagoniste e si rivelano le location più idonee per dar vita ad insuperabili capolavori di stile. In questo periodo Clarke ritrae modelle del calibro di Veruschka, Marisa Berenson, Benedetta Barzini, Marina Schiano, Isa Stoppi, Simone d’Aillencourt. Un cambio generazionale notevole, per un fotografo che aveva iniziato invece negli anni Cinquanta, ritraendo una femminilità assolutamente diversa. Proporzioni, set, outfits e location: tutto è in mirabile equilibrio nei suoi scatti, vere e proprie opere d’arte.
La modella Isa Stoppi
Marisa Berenson in Sardegna indossa un costume Pucci, 1967
Un altro scatto con la Berenson nelle coste della Sardegna, 1967
Benedetta Barzini in Emilio Pucci, 1968
Veruschka in Givenchy, 1966
Marisa Berenson e Benedetta Barzini nella casa romana di Cy Twombly in abiti Valentino, 1968
Nonostante i numerosissimi viaggi, Clarke restò per tutta la vita residente a Parigi, e morì nel sud della Francia nel 1996. Una retrospettiva sul suo lavoro fu allestita al Musée Galliera di Parigi tra l’ottobre 2002 e il marzo del 2003.
È la pop star che ha maggiormente influenzato la cultura visiva e musicale nonché la moda degli ultimi trent’anni. Simbolo di trasgressione ma anche raro esempio di come si possa gestire con intelligenza un successo senza precedenti, quando si ha faticosamente lavorato per raggiungerlo.
Madonna Louise Veronica Ciccone compie 57 anni il 16 agosto, ma non è invecchiata affatto dai suoi esordi. La stessa sfrontata esuberanza di Holiday, il suo primo grande successo del 1983 e la stessa sensualità di Like a Virgin, canzone che l’ha resa un mito.
Madonna ha creato un nuovo modo di concepire la bellezza: non particolarmente alta, l’origine italiana appariva chiara nei suoi lineamenti marcati e nelle curve, ha costruito un’immagine di sé sofisticata e glamour, mirabile manager di se stessa ed esempio vivente di come una grande self-confidence possa tradursi in reale bellezza fisica.
È il carisma a fare la differenza e lei ne ha sempre avuto da vendere. Icona del post femminismo e della fratellanza universale, dell’amore gay e promoter dichiarata di valori come il rispetto e l’amore per il prossimo, Madonna è un’artista da record, entrata anche nel Guinness dei Primati come la donna ad aver venduto di più nella storia della musica.
Arrivata a New York nel 1977, appena diciannovenne, compare in Born to be alive di Patrick Hernandez. Sensualità prorompente, ironia e autoironia, nel 1985 recita da protagonista in Cercasi Susan disperatamente. Nello stesso anno, ancora acerba ma perfettamente consapevole, posa nuda per Playboy e Penthouse e cita la Marilyn de “Gli uomini preferiscono le bionde” nel video di Material Girl. Indimenticabili le sue performance, come il tour scandalo in cui si fa crocifiggere. Capace di trasformare in arte la più sfrontata ma mai sterile provocazione: in Like a Prayer fa scandalo con un video giudicato sacrilego dal Vaticano, in cui simula amplessi con una statua sacra e riceve le stigmate. Tra le suggestioni mediterranee e blasfeme del videoclip, censurato in Italia, la diva anticipa anche lo stile tipico di Dolce & Gabbana, di cui sarà per molti anni musa iconica e testimonial.
Ape regina per vocazione ed indole, influencer e trendsetter, Madonna ha rivendicato sempre valori quali l’autonomia e la fratellanza. Splendida musa di Jean Paul Gaultier, lo stilista creò per lei il corpetto a cono nel 1990, protagonista indiscusso del tour Blonde Ambition Tour.
Nel 1995 arriva la memorabile interpretazione di Evita Perón per la regia di Alan Parker, che si rivela un inaspettato successo di pubblico e critica. Nello stesso anno posa per le celebri foto di Mario Testino e poi di Steven Meisel, che la immortala come una biondissima dea in abiti peplo firmati Gianni Versace, per la campagna pubblicitaria di quest’ultimo. Una diva patinata dalle forme esplosive e dalla vita costantemente sotto i riflettori: un’immagine non molto diversa dalla realtà.
Il 1996 è l’anno della maternità: nasce la prima figlia, Lourdes Maria, avuta dal personal trainer Carlos Leon. Nel 1998 arriva l’amore per il regista inglese Guy Ritchie, presentatole da Sting. Ritchie nell’agosto del 2000 la renderà nuovamente madre, con la nascita del secondo figlio, Rocco.
Arriva il Duemila e se tante sono le meteore che si succeguono nel mondo della musica senza lasciare traccia di sé, Madonna è ancora lì, granitica e più che mai in auge, capace come nessuna di reinventarsi, in una perenne trasformazione. Confessions on a Dance Floor, album del 2005, ce la ripropone tonica come non mai, strizzata in body rosa shocking dalle suggestioni glam anni settanta. In bilico tra un viscerale bisogno di trasgredire e un desiderio di meditazione spirituale, dopo il divorzio da Ritchie ha sdoganato i toy boy. Oggi è musa di Givenchy di Riccardo Tisci e di Fausto Puglisi.
Bellissima anche nella maturità, continua a regalarci emozioni con il suo ultimo album dal titolo evocativo, Rebel Heart. Profetica iniziatrice di un nuovo mondo, negli scenari post atomici proposti nel video di Ghosttown, e giocosa nel duetto con Nicki Minaj, Madonna continua ad essere la Regina indiscussa del pop.
Il suo nome è associato a serie TV di enorme successo, in primisSex & the City. Alzi la mano chi non ha invidiato il guardaroba di Carrie Bradshaw. L’artefice di tutto ciò è Patricia Field.
Folti capelli rosso fuoco e un sorriso di una simpatia travolgente, è in buona parte grazie al suo contributo come stylist che Sex & the City è diventato un cult. Le avventure delle quattro protagoniste in outfit semplicemente favolosi hanno fatto sognare il pubblico femminile di tutto il mondo.
Audace nel mixare capi classici ad elementi forti, la Field ha dichiarato più volte la sua predilezione per outfit altamente scenografici. In nomination per gli Academy Award e vincitrice del prestigioso Emmy Award per i costumi della celebre serie dell’HBO, la sua boutique a New York è stata per oltre 50 anni meta del turismo per veri gourmet della moda.
Capelli rosso fuoco e stile da venderePatricia Field è diventata un’icona della moda mondiale grazie a “Sex & the City”Proporzioni oversize tipiche degni anni Novanta, quando è stata lanciata la celebre serie
Carrie in Oscar de la Renta
Nata a New York nel 1941 da genitori di origine greca e armena, Patricia Field ha vissuto a lungo nel Queens. Nel 1966 ha inaugurato il suo store al Greenwich Village, Manhattan. Nel 1970 la designer ha rivendicato l’invenzione dei leggings, capo evergreen della moda fino ai nostri giorni. Nel 1995 il primo incontro con Sarah Jessica Parker, sul set di Miami Rhapsody, fino al successivo Sex & the City, con cui la Field ottiene la consacrazione a guru della moda mondiale.
Il tutù con una maglia sporty: il gusto nel mixare è tipico della FieldPatricia Field ha curato i costumi di “Sex & the City”, “Ugly Betty” e “Il Diavolo veste Prada”Un celebre look di Sarah Jessica Parker nei panni di Carrie BradshawOrigini greche e armene per Patricia Field
Turbanti glitterati e un pieno di colore per le protagoniste del celebre telefilm della HBO
Celebri i tutù in tulle e le adorate Manolo Blahnik con cui Carrie saltella agilmente per le vie di New York. Altrettanto famosa l’ossessione per Oscar de la Renta e i suoi abiti da principessa. Dolce & Gabbana, Fendi e la sua celebre baguette, Chanel, Gucci e Ralph Lauren sono solo alcuni dei brand che figurano nella mitica serie tv. “All’inizio, quando chiedevamo di avere in prestito i capi, gli uffici stampa ci chiudevano il telefono in faccia”, ha dichiarato recentemente in un’intervista la Field. Incredibile ma vero, il successo arriva sempre così, in modo inaspettato.
Patricia Field ha recentemente dichiarato che inizialmente i brand non erano disposti a prestare i loro capi per la serieUn fotogramma del film di Sex & the CityLa boutique di Patricia Field a Manhattan è da 50 anni meta privilegiata del turismo dei fashion addicted
Un look bon ton di Charlotte York
Probabilmente nel nostro inconscio resteranno impresse per sempre le giacche di Miranda, i tailleur super sexy di Samantha, lo stile bon ton prediletto da Charlotte, e la scena in cui Carrie attraversa una New York notturna, immersa da una fitta coltre di neve, indossando una pelliccia sopra il pigiama e dei sandali gioiello sopra i calzettoni di lana: i look creati da Patricia Field sono dei capolavori di avanguardia stilistica.
La sua boutique nell’East Village è un crogiolo di capi colorati, vintage e stravaganti. Ciò che rende i suoi styling unici è il suo talento nel mixareartigianato e capi da passerella, accessori acquistati a poco prezzo ai mercatini e outfit haute couture. Non solo Sex & the City ma anche anche Ugly Betty e Il Diavolo veste Prada figurano nel curriculum di Patricia Field. Una guru della moda che ha regalato sogni a tante donne nel mondo.
Chi ha vissuto negli anni Settanta non può non ricordare i suoi capi. Linee pulite ed essenziali si uniscono al glam tipico degli anni Settanta, per capi che divengono emblema di un’epoca. Roy Halston Frowick nasce nel 1932 a Des Moines, Iowa. Già nella prima infanzia crea abiti per la madre e la sorella e ben presto inizia a disegnare cappelli.
Nel 1952 si trasferisce a Chicago, dove frequenta un corso serale presso la School of the Art Institute e contemporaneamente lavora come visual merchandiser per mantenersi agli studi.
Farrah Fawcett in Halston
L’anno seguente, nel 1953, inizia la sua attività di creatore di cappelli, riscuotendo grande clamore: Kim Novak, Deborah Kerr e Gloria Swanson sono solo alcune delle star che indossano le sue creazioni. Nel 1957, dopo avere inaugurato la sua prima boutique, si trasferisce a New York, dove inizia a lavorare per la celebre stilista Lilly Daché. Nel giro di un anno viene nominato co-designer della maison, incarico che lascia per passare alla Bergdorf Goodman.
Jerry Hall in Halston
Halston balzò agli onori della cronaca per aver disegnato il cappellino indossato da Jackie Kennedy alla cerimonia di insediamento alla Casa Bianca del marito, nel 1961. Inoltre amarono i suoi cappelli personalità del calibro di Rita Hayworth, Diana Vreeland e Marlene Dietrich.
Pat Cleveland in passerella per Halston
Definito da Newsweek come il designer più interessante d’America, nel 1966 passò dalla creazione di cappelli alla creazione di abiti, inaugurando la sua prima boutique in Madison Avenue nel 1968. L’anno seguente, nel 1969, lanciò la sua prima linea di prêt-à-porter, Halston Limited.
Ancora Pat Cleveland per Halston
Come egli stesso dichiarò in un’intervista rilasciata a Vogue, ciò che più gli stava a cuore, nella creazione dei capi, era la funzionalità. Odiava tutto ciò che non fosse funzionale, come fiocchi o cuciture inutili; le sue collezioni fin dal principio si distinsero per un minimalismo funzionale. Si trattava di capi eleganti e sexy ma dalle linee semplici e pulite.
Halston su Vogue US 1973, foto di Richard Avedon
Nel 1972 brevettò l’Ultra suede, un particolare tessuto facilmente lavabile anche in lavatrice, comodo e perfettamente adattabile alla silhouette. Il suo halter dress, ideato due anni più tardi, è entrato nei dizionari di moda: quando parliamo di scollatura all’americana, parliamo di Halston, che ne fu l’inventore. La sua donna era una sirena della disco glam di fine anni Settanta. I suoi abiti, perfetti per un party in piscina, erano la perfetta incarnazione del mito americano. Colori caldi come il bronzo, l’oro, l’argento, il fucsia, il blu elettrico e tessuti come il cachemire, il jersey e la seta.
Elsa Peretti in passerella per Halston
Il jet set internazionale cadde ai suoi piedi. Tra le sue più fedeli clienti troviamo Anjelica Huston, Lauren Bacall, Margaux Hemingway, Elizabeth Taylor, Bianca Jagger e Liza Minnelli.
Jerry Hall in Halston per Vogue US, 1975
Dal 1968 al 1973 il fatturato del brand si stima intorno ai 30 milioni di dollari. Nel 1975 Max Factor realizzò la prima fragranza col nome della maison. Secondo Vogue, Halston contribuì a rendere popolare il caftano, disegnando diversi modelli per Jackie Kennedy.
Campagna pubblicitaria Halston, anni Settanta
Personalità emblematica di quegli anni, Roy Halston fu assiduo frequentatore dello Studio 54 ed intimo amico di Liza Minnelli ed Andy Wahrol. Dopo una vita di eccessi, si ritirò a metà degli anni Ottanta. Nel 1988 risultò positivo al test dell’HIV e morì due anni dopo, nel 1990, per complicanze legate al virus.
Le Halstonettes -come venivano chiamate le sue modelle- tra le quali spicca Anjelica Huston
Oggi resta la sua eredità. Il marchio, dopo diverse vicissitudini legate a scelte sbagliate, è stato acquistato nel 2011 da Ben Malka, già presidente del gruppo BCBG Max Azria. Halston continua ad essere sinonimo di stile e si contraddistingue ancora oggi come uno dei marchi più venduti negli Stati Uniti.
Lo stile ce l’ha nel sangue, non solo per il lavoro che svolge ma come modus vivendi. Uno charme che sembra essere stato catapultato nel nostro tempo direttamente dagli anni Trenta e un viso che ricorda le dive del cinema muto e la divina Greta Garbo. Catherine Baba è in assoluto una delle stylist più affascinanti del fashion biz.
Sulla sua vita privata regna il massimo riserbo: nessuno conosce di preciso la sua età e su di lei si sa pochissimo.
Nata in Australia, Catherine Baba vive a Parigi dal 1996
Può capitare di vederla passare in sella alla sua bicicletta per le vie di Parigi, rigorosamente in turbante anni Venti e tacco a stiletto.
Una stylist unica con il suo stile che omaggia gli anni Venti e TrentaMaglione Diane von Fürstenberg, cappa Vivienne Westwood Gold Label, leggings Leonard Paris, orecchini Catherine Baba pour Nouvelle Affair, gioielli Elsa Peretti per Tiffany & Co., anello Boucheron, scarpe Christian LouboutinTop, gonna e cintura Balmain, scarpe Christian Louboutin, occhiali da sole Chloe, turbante Studmuffin NYC at Patricia Field, gioielli Elsa Peretti per Tiffany & Co, rossetto Yves Saint Laurent, Foto di Stéphane FeugereA metà tra una zarina e un’attrice di film muti, lo stile di Carherine Baba la rende unica
Gioielli importanti su capi fluidi e l’immancabile turbante anni Trenta
Trasferitasi a Parigi dall’Australia nel 1996, ha dichiarato a Vogue dell’aprile del 2010 di indossare solo pellicce vintage e pare sia solita rivolgersi praticamente a chiunque con l’appellativo di “darling”.
Catherine Baba non rinuncia ai tacchi neanche quando pedala la sua inseparabile biciAbito Moschino, occhiali da sole Thierry Lasry, collana Lanvin, bracciale Louis Vuitton, anelli di cristallo BaccaratCatherine Baba ha lavorato anche nel cinema, creando i costumi di film come “I am Love” di Luca Guadagnino e “My Little Princess” di Eva Ionesco
Colori caldi e tacco a stiletto
Misteriosa, affascinante, camaleontica, il suo stile è un faro nella nebbia per chi temeva che la classe fosse una prerogativa del passato, ormai estinta. Suggestioni Art Déco e barocche contraddistinguono il suo stile, revival anni Trenta nell’uso spasmodico del turbante, una passione per i tacchi alti, che indossa anche quando pedala la sua inseparabile bici.
La stylist ha dichiarato a Vogue dell’aprile 2010 di indossare esclusivamente pellicce vintageCatherine Baba ha alle spalle una collaborazione con Nouvelle AffaireCatherine Baba è originaria dell’Australia e si è trasferita a Parigi nel 1996
Uno stile da femme fatale
Pellicce vintage ton sur ton, nappine, gioielli etnici elaborati e sontuosi come opere d’arte, sovrapposizioni strutturate, kimono con frange sopra pantaloni neri e cuissard: una cura maniacale del più piccolo dettaglio è ciò che contraddistingue i suoi splendidi outfit, quasi barocchi per colori e stampe pregiate.
Misteriosa ed eclettica, la stylist indossa spesso capi vintageCatherine Baba ha disegnato una linea di orecchini per Gripoix
Catherine Baba indossa spesso kimono con stampe di ispirazione Art Déco
Broccato di seta, velluto e una fantasia che mixa in un mirabile gioco suggestioni da bazar etnico e capi haute couture, i Roarin’ Twenties sembrano rivivere in questa giovane professionista della moda internazionale. Genialità assoluta nel suo mixare, in Catherine Baba si respira un’eleganza senza tempo ed una femminilità delicata e vintage che lascia talvolta il posto ad una femme fataleante litteram.
Suggestioni anni Trenta nel suo stileSovrapposizioni e sapiente mix di stili diversi
Catherine Baba ad una serata di gala
Come stylist vanta un curriculum di tutto rispetto: ha collaborato con maison del calibro di Givenchy, Ungaro, Balmain e Chanel. I suoi lavori sono stati pubblicati su Dazed & Confused, Vanity Fair e Vogue. Suoi sono i costumi del film My Little Princess di Eva Ionesco e di I am Love di Luca Guadagnino. Inoltre ha collaborato con Gripoix come creatrice di orecchini e con il brand Nouvelle Affaire creando una collezione ispirata all’artista Gordon Flores. Della serie, la classe non è acqua.
Foto di Ellen von Unwerth, Styling di Catherine BabaUn altro scatto di Ellen von Unwerth con lo Styling di Catherine Baba
L’incubo di ogni donna è non sapere cosa indossare pur avendo l’armadio pieno di capi. Ci sono donne, invece, che con un solo abito hanno fatto la storia. Non si tratta della favola di Cenerentola, sebbene anche questa potrebbe assomigliare ad una fiaba. È la storia di Diane von Fürstenberg, incarnazione della Pop Art, designer sulla cresta dell’onda da oltre mezzo secolo e businesswoman di successo.
Belga, nata Diane Simone Michelle Halfin, classe 1945, la favola per lei è iniziata a partire dal matrimonio blasonato con il principe Egon von Fürstenberg, celebratosi nel 1969 ma seguito dal divorzio appena tre anni dopo.
La stilista nel suo studio con alle spalle uno dei ritratti eseguiti da Andy Warhol
Diane e Egon von Fürstenberg in uno scatto di Horst P. Horst, 1972
Nel 1970 la giovane Diane, all’epoca appena venticinquenne, investe la cifra di 30.000 dollari nella creazione di una linea di abbigliamento femminile. È un successo clamoroso e senza precedenti. Le idee della giovane piacciono oltre ogni aspettativa. È in particolare un abito dal taglio molto semplice ed essenziale, a conquistare centinaia di migliaia di donne: è il wrap dress, l’abito a portafoglio. Uno chemisier stampato molto pratico dalla linea pulita e dalle stampe sofisticate, che lo rendono molto versatile e adatto a qualsiasi occasione.
“Il wrap dress mi rese la donna che volevo essere“, ha dichiarato la designer in una recente intervista. Suggestioni bohémien nelle stampe optical, il suo celebre vestito ha rivoluzionato la moda dei primi anni Settanta, imponendo come nuovo must have la comodità. Diane von Fürstenberg entra così nel mito e diviene brillante businesswoman nel gestire la sua mirabile carriera.
In copertina su Newsweek DVF indossa il famoso wrap dress, marzo 1976Danielle Zinaic posa per la campagna pubblicitaria Diane von Fürstenberg, 1998La designer ancora con il wrap dress, “l’abito a portafoglio” che la rese famosaUna giovanissima Diane von Fürstenberg
DVF fotografata da Elliott Erwitt per Vogue, 1976
Alcune sue creazioni vengono esposte più tardi al Costume Institute del Metropolitan Museum of Art. Creatrice di una linea di cosmetici e pioniera dello shopping postale, che iniziò ad usare nel lontano 1991, Diane nel 1985 si trasferisce a Parigi, dove fonda una casa editrice in lingua francese di nome Salvy. Nel 1993 acquista il monumentale studio che fu dell’artista Lowell Nesbitt, adibendolo a proprio studio nonché abitazione.
Del 1997 è la sua prima autobiografia, “A Signature Life”. Nel 2001 convola in seconde nozze con Barry Diller, magnate della Paramount e della Fox. Nel 2005 le viene conferita un’onorificenza dal CFDA, Consiglio degli stilisti d’America, di cui diviene lei stessa presidentessa nel 2006.
Belga, classe 1945, Diane ha sposato nel 1969 il principe Egon von FürstenbergIn passerella un modello di wrap dress, dalle stampe opticalIcona della Pop Art, DVF è entrata nella moda nei primi anni Settanta
Diane von Fürstenberg fotografata allo Studio 54 da Ron Galella, 1978
Leggenda vivente, regina del jet set internazionale, DVF è amica di Oprah Winfrey ed Anna Wintour. Presenza storica dello Studio 54, è stata grande amica di Andy Warhol, per cui ha posato nel 1973. Curiosi gli aneddoti che si celano dietro quel celebre ritratto. Diane desidera uno sfondo bianco, ma casa sua aveva le pareti tappezzate di colori vivaci, e l’unico spazio bianco si trovava nella cucina. Qui però non c’era abbastanza spazio per posare in piedi: da qui la mano sopra la testa con cui è stata ritratta. Non un vezzo, quindi, ma un’esigenza di natura pratica.
Ali Kay, campagna Diane von Fürstenberg 2009Kate Middleton indossa il wrap dressSarah Jessica Parker è una grande ammiratrice di Diane von Fürstenberg
La top model Cara Delevingne in passerella per Diane von Fürstenberg
Protagonista indiscussa della Pop art, DVF ha avuto davvero tutto dalla vita: apparsa sulla copertina di Newsweek a meno di 30 anni, travolta ad appena 25 anni da un successo inaspettato, il suo brand oggi consta di 85 stores sparsi per il mondo. Inoltre la stilista ha festeggiato lo scorso anno a Los Angeles il quarantesimo anniversario dalla creazione del wrap dress con la mostra “Journey of a Dress”.
Campagna DVF P/E 1983
Cybil Shephard indossa un wrap dress DVF nel celebre film di Martin Scorsese “Taxi Driver”, 1975
“La cosa bella dell’invecchiare è che hai un passato”, sostiene Diane, che deve tutto al suo wrap dress: dal suo appartamento sulla Fifth Avenue all’educazione dei suoi figli alla sua indipendenza, la cosa a cui tiene maggiormente.
Eppure la designer ha dichiarato di non indossarlo più, il wrap dress: “Non ho più il punto vita”, ha ironizzato in un’intervista dello scorso anno. Gambe favolose, viso che mostra fieramente qualche ruga, DVF si dichiara apertamente contraria alla chirurgia plastica. Carismatica e dalla personalità granitica, la stilista è molto impegnata nel sociale: da anni è membro di VitalVoices, un’organizzazione che si batte per i diritti delle donne.
Sfilata DVF, A/I 1975
Jerry Hall in passerella per DVF, 1973
Inoltre DVF è grande amante dell’high-tech e ha scritto un articolo per il New York Times in cui ha esaltato le potenzialità offerte dalla rivoluzione digitale e dalle nuove tecnologie. Dichiara felicemente di saper usare l’iPad e l’iPhone e si dice “vecchia abbastanza da aver ballato allo Studio 54 ma giovane da saper mandare una email”. La degna protagonista di una vita da favola.
Spegne 58 candeline Inès de la Fressange. Iconica musa di Karl Lagerfeld, volto storico di Chanel per tutti gli anni Ottanta, Inès Marie Laetitia Églantine Isabelle de Seignard de la Fressange nasce a Gassin l’11 agosto del 1957, figlia del marchese André de Seignard de la Fressange e della modella argentina Cecilia Sánchez Cirez. Aristocratica eleganza, Inès incarna la quintessenza dell’allure parigina.
Tra le più famose mannequin al mondo, adorata da Karl Lagerfeld, discendente di una famiglia dell’antica nobiltà francese imparentata con i celebri banchieri Lazard, Inès dal 1980 al 1989 lavora in esclusiva per Chanel, in un sodalizio storico con Lagerfeld. I rumours sostengono che l’armonia tra i due si sia rotta in seguito alla decisione della modella di accettare di prestare il proprio volto come Marianna della Repubblica Francese, decisione che sarebbe stata sgradita allo snob Lagerfeld, che riteneva questo un simbolo di provincialismo.
Volto storico di Chanel e icona di stileLa modella è stata il volto storico di Chanel dal 1980 al 1989
Uno stile minimal-chic per la ex modella, ora designer di successo
Nel 1990 Inès sposa l’imprenditore italiano Luigi D’Urso, da cui ha due figlie. Rimasta vedova nel 2006, dopo ha lavorato come designer e consulente per Jean-Paul Gaultier e come ambasciatrice per Roger Vivier, mette su un suo atelier al numero 24 di rue de Grenelle, nella celebre Rive Gauche di Parigi: qui vende le sue creazioni come anche opere di amici o di persone conosciute durante i suoi viaggi. I suoi capi -biancheria da notte e costumi da bagno, in primis– rivelano una delicata eleganza di ispirazione provenzale.
In passerella per Chanel A/I 1989-1990Musa di Lagerfeld, Inès de la Fressange è nata a Gassin l’11 agosto 1957Ancora in passerella per ChanelImpeccabile lo stile della storica maison fondata da Gabrielle ChanelCampagna vintage Chanel anni OttantaAlta 1,80 m e dal fisico sottile e longilineo, Inès de la Fressange è stata una delle mannequin più famose al mondoChanel Adv, 1987
Inès de la Fressange in Chanel, Elle ottobre 1986
La modella, sottile e splendida anche in pantaloni a sigaretta e mocassini, si è dichiarata fortemente contraria alla chirurgia plastica. Emblema di un minimalismo chic dal gusto fortemente francese, è ancora oggi una donna bellissima e affascinante. Che dire, très chic.
Inès de la Fressange posa come Coco Chanel nell’appartamento di quest’ultima, 1981. Foto di Jean-Claude SauerInès de la Fressange ha inaugurato il suo atelier suo atelier al numero 24 di rue de Grenelle, nella celebre Rive Gauche di Parigi
Quando parliamo degli anni Novanta tante sono le immagini che tornano alla mente. I ragazzi nati in quel decennio -come anche chi era già adulto- sono tutti concordi nel provare una certa nostalgia per quel periodo.
Una spensieratezza iniziata nel decennio precedente, con un boom economico che era degenerato in consumismo, i Novanta sono stati anni cult fatti di abiti a fiorellini e di una innocenza forse irrimediabilmente perduta. La TV che viene privatizzata, le serie americane che spopolano e quel quid che chiunque nato in quel decennio saprebbe riconoscere ad occhi chiusi.
Crop top, leggings, denim e tanto colore: questo è il look anni NovantaProporzioni oversize si mixano a top attillati e corti
Anni patinati che ci hanno fatto sognare
Spartiacque tra i mitici Ottanta e la rivoluzione del Duemila, anche lo stile degli anni Novanta si pone come un crogiolo di tendenze diverse, per una moda che appariva a tratti molto lontana da ciò che si vedeva sulle passerelle e che viveva di vita propria traendo continua ispirazione da ciò che si vedeva sulle strade. Potremmo definirlo uno street style ante litteram, per cui la moda “ufficiale” veniva soppiantata da tendenze autonome che sfociavano nel grunge style.
Linda Evangelista, Christy Turlington e Helena Christensen per Versace, A/I 1991Cindy Crawford, celebre supermodella anni Novanta
Tyra Banks e Susan Holmes in Oldham, NYC 1993
Uno stile fatto di crop top, camicioni a scacchi, jeans a vita alta e salopette, scarpe con zeppa, audaci minigonne. E ancora le indimenticabili Dr. Martens, i capelli pettinati con la frangia e la riga laterale, i costumi interi sgambatissimi, eredità degli anni Ottanta. A metà tra lo stile grunge e l’eleganza colorata di Barbie, gli anni Novanta ci hanno fatto sognare.
I jeans a vita alta e le camicie a scacchi, trend anni NovantaI codini, un’esplosione di colore e il tipico mood NinetiesStreet style tipicamente grungeAncora mood grunge in uno Street style recenteDrew Barrymore, icona anni ’90
Il cast di “Beverly Hills 90210”, celebre serie ideata da Aaron Spelling
Chi non ricorda i ciucci di plastica con cui si facevano collanine, il Cioè, le avventure dei ragazzi di Beverly Hills 90210, Friends e Baywatch, e ancora le Spice Girls e il fenomeno tutto italiano di “Non è la rai”? Anni di cartoon stampati sui vestiti, ora riproposti in passerella da Moschino, che ha fatto sfilare felpe con i Looney Tunes. Anni di scarpe che ancora oggi fanno discutere: la famosa zeppa con la suola a forma di carro armato continua a far parlare i fashion addicted, divisi tra amanti sfegatati del look e haters dichiarati.
Pamela Anderson in “Baywatch”Le mitiche Dr. MartensGli anni Novanta sono famosi per il look grunge e il mix di stili diversi nella modaI celebri Mini ponyI ciucci di plastica con cui si potevano creare delle collanineLe Spice Girls, pop star dei primi anni NovantaTiffani-Amber ThiessenLa Barbie era la bambola più amata dalle bambine degli anni Novanta
Ambra Angiolini, star di “Non è la Rai” di Gianni Boncompagni
Il ritorno ai Nineties era già iniziato nel 2013/2014, con la mise vintageDolce & Gabbana indossata da Miley Cyrus agli MTV Music Awards e con il video Hideaway di Kiesza, in cui non c’era un solo dettaglio fuori posto, rispetto allo stile anni Novanta. Top corti a scoprire l’ombelico indossati sopra pantaloni della tuta, leggings in colori fluo, codini in testa e un pieno di energia.
Codini, crop top e Dr. Martens: il perfetto look NinetiesKiesza nel video di “Hideaway”, di chiara ispirazione anni NovantaAriana Grande in MoschinoLook anni ’90 per Ariana Grande nel video di “Baby I”Katy Perry in un outfit anni NovantaCharli XCX si ispira quasi sempre al grunge anni NovantaMiley Cyrus in vintage Dolce & Gabbana anni Novanta agli MTV Video Music Awards 2013Da Moschino felpe con stampa cartoon
Capelli tinti di azzurro, un retaggio dello stile grunge
Tante le celebrities convertitesi al trend nostalgico, da Charli XCX ad Ariana Grande a Katy Perry. Ma anche nello street style molti sono i rimandi a quegli anni, a partire dal trend che vede i capelli colorati di romantiche tinte pastello, come rosa, azzurro o grigio. Il grunge piace e affascina ancora oggi ed è protagonista indiscusso anche dell’estate 2015. Tanti i brand che continuano a proporre capi di ispirazione 90s: da ASOS vasta scelta di costumi interi sgambatissimi con richiami al decennio in questione; da Missguided suggestioni Nineties nel taglio dei mini abiti. Tanti i look tipicamente anni Novanta proposti da Topshop. Per veri nostalgici.
Barbie style per il costume intero WILDFOXStampe anni Novanta da Jaded LondonSlogan inequivocabile per il costume firmato Banana MoonAncora suggestioni Nineties da WILDFOXBeach Vibes da MissguidedBeach Riot propone look anni NovantaStile Nineties da MissguidedO’Mighty ci riporta direttamente nell’atmosfera anni NovantaMini kilt O’MightySalopette anni ’90 da ASOSTipico abito anni ’90 con cut-out, MIssguidedFantasie floreali e suola a carro armato per i sandali ASOSSuggestioni Nineties per i sandali Monki
Suggestioni etniche e charme evergreen contraddistinguono un capo principe del guardaroba estivo (e non solo): il caftano.
Dietro a questa veste c’è una storia antichissima che ha origine nella Mesopotamia intorno al 600 a.C. Da qui il caftano si sarebbe poi diffuso in tutta la Persia.
Ampiamente utilizzato sotto l’Impero ottomano, divenne la veste classica dei sultani.
Presente in diverse culture e tramandato fino ai nostri giorni, il caftano è una lunga tunica, da indossare singolarmente o sopra ad altri capi. Di lunghezza variabile, la versione classica arriva fino ai piedi, ed è caratterizzata da una profonda scollatura e dalle maniche svasate che si aprono a pipistrello.
Vogue UK, dicembre 1966Donna Mitchell in una foto di Helmut NewtonIl caftano nasce in Persia nel 600 a. C.Caftano Valentino, foto di Henry Clark, Sicilia, 1967
Foto di Henry Clarke, 1966
Per tutto l’Ottocento venne considerato un abito di corte, considerata anche l’opulenza di certi modelli, impreziositi da ricami o gioielli, che lo rendono ancora oggi un capo sfarzoso. I colori predominanti con cui veniva confezionata questa veste così particolare erano il rosso, il bordeaux, l’ocra e il viola, colori caldi e dal gusto mediterraneo. Di superba raffinatezza sono le stampe che vengono solitamente utilizzate nella creazione del capo: si tratta di stampe paisley, chiaro retaggio anni Settanta, o stampe floreali o psichedeliche, omaggio dei Sixties.
Inoltre fin dagli albori grande è la varietà dei tessuti usati. Stoffe finemente lavorate, come tessuti damascati, broccato di seta arricchito di inserti preziosi o ancora chiffon di seta, per un effetto fluido e svolazzante. Ma non solo: non di rado oltre al semplice cotone si adoperano cachemire o lana. Un capo fresco e leggero che dona libertà unendo in modo magistrale comfort e stile.
Il caftano era usato fin dall’OttocentoMarina Schiano in uno scatto di Gian Paolo BarbieriPenelope Tree, foto di David Bailey, 1969Suggestioni orientali per un capo must have del guardaroba femminileIsa Stoppi per Henry Clarke, Vogue UK 1966Veruschka in un caftano dalle stampe optical, foto di Henry ClarkeCaftani Valentino, foto di Barry Lategan, anni SettantaMoyra Swan indossa un caftano Thea Porter, Turchia, Vogue UK 1971, foto di Barry LateganTalitha Getty, icona hippie chic, col marito Paul, Marrakech, 1969Marisa Berenson fotografata da Henry Clarke, Vogue UK Novembre 1967Jerry Hall, foto di Steve Horn, Vogue Patterns Maggio/Giugno 1975Capo sdoganato da Diana Vreeland, il caftano dona un’allure particolare. Foto del 1969Vogue Italia 1971
Vogue settembre 1973, foto di Barry Lategan
È solo a partire dagli anni Cinquanta che il caftano ha fatto la sua comparsa sulle riviste di moda e sulle passerelle. E fu ancora una volta Diana Vreeland, incontrastata regina della moda di quegli anni, la prima a intuirne la sofisticata eleganza. Dopo averlo notato durante un viaggio in Marocco, fu lei a sdoganarlo in Europa e in America, attraverso le pagine di Vogue.
Simbolo del mood boho-chic che ha caratterizzato la seconda metà degli anni Sessanta ed emblema del decennio successivo, questa mise, così antica e pregiata, conferisce un appeal particolare ad ogni donna che lo indossi. La cultura hippie ma anche l’intellighenzia dell’epoca, furono caratterizzate da una massiccia riscoperta dell’Oriente, e fu allora che l’uso di lunghe tuniche divenne un must have del guardaroba, maschile e femminile.
Caftano e turbante dorati, Agosto 1969Doris Duke in un caftano damascatoTotal white per un outfit che profuma d’Oriente
Barry Lategan, Vogue Italia ottobre 1973
Numerosissimi furono i designer che si cimentarono con la creazione di caftani, fin dalla metà degli anni Sessanta. Valentino Garavani fu uno dei primi a confezionare splendidi modelli dalle suggestioni optical, in perfetto stile Swinging Sixties; poi fu la volta di Emilio Pucci, che creò dei piccoli capolavori dalle stampe variopinte; e ancora Missoni, Yves Saint Laurent, Lanvin, Ossie Clark, Zandra Rhodes, Thea Porter, Biba e, nei primi anni Settanta, Halston. Oggi il caftano rappresenta un pezzo irrinunciabile delle collezioni di Roberto Cavalli, Issa London e di tanti altri nomi del panorama della moda internazionale.
Da usare per andare in spiaggia, con sandali rasoterra o allacciati alla schiava, o con tacchi o zeppe svettanti per la sera, vincente è l’uso di gioielli etnici, anche importanti. Fantastica è l’unione con il turbante, altro capo dalle seducenti atmosfere etniche, valida alternativa alle acconciature dal mood arabeggiante, con chignon e trecce.
Caftano con pantaloni, BibaLee Radziwill nel suo appartamento londinese, in stile ottomanoFantasie paisley, floreali o optical per il caftano. Foto di Barry Lategan
Simone d’Aillencourt posa per Henry Clarke in Emilio Pucci, Udaipur, India, 1967
Tantissime le celebrities che hanno adorato il caftano: da Liz Taylor a Jackie Kennedy, da Joan Baez a Mia Farrow. Talitha Getty, icona hippie chic, ne fece l’emblema del suo stile: celebri sono le sue foto a Marrakech nel 1960, in compagnia del marito Paul, anch’egli in total look boho-chic. Altrettanto suggestive sono le foto che ritraggono la socialiteLee Radziwill nella sua casa londinese arredata in perfetto stile ottomano: nulla è lasciato al caso e il caftano che indossa riprende le suggestive decorazioni delle pareti. Tutto il jet set internazionale di quegli anni si convertì al caftano, dalla designer Diane von Furstenberg all’attrice Jaqueline Bisset, da Marella Agnelli e Donna Allegra Caracciolo di Castagneto: celebri le foto scattate a quest’ultima da Henry Clarke per Vogue del 1965. Bellissimi anche alcuni scatti di Barry Lategan per Valentino.
Liz Taylor amava indossare caftano coloratissimi. Qui in posa per Henry Clarke, 1967Caftano da sera con inserti preziosiCaftano Nat Kaplan, Vogue US Febbraio 1976Jacqueline BissetProfumo d’OrienteDonna Allegra Caracciolo di Castagneto fotografata da Henry Clarke per Vogue Novembre 1965
Gioielli etnici a completare il look
Oggi questo capo è tornato prepotentemente alla ribalta, grazie anche ad alcuni festival musicali di ispirazione bohémien, come il celebre Coachella Festival, dove si è riscontrato un boom di caftani e capi in stile etnico.
Inoltre il mercato del vintage regna incontrastato: su siti come Etsy, portale web dedicato alla compravendita di capi vintage autentici, si trovano pezzi di brand come Thea Porter, Ossie Clark, Zandra Rhodes e Biba che possono arrivare a costare fino a 5.000€. Ma in questo caso vengono in aiuto i brand low cost, come H&M, che ha proposto una collezione estiva con caftani variopinti, Topshop o ancora Asos, che propone capi ispirati ai Seventies o capi vintage, nella sezione Marketplace.
Il caftano è un evergreen irrinunciabile, anche in tempo di crisi.
Caftano corto AsosVestito caftano lungo stile anni Settanta, AsosFantasia paisley per AsosDoutzen Kroes indossa un bellissimo modello da spiaggia H&MDecorazioni laminate da H&MSuggestioni etno-chic da Topshop
Federico Verdiani e il Team Verba puntano su un “monoprodotto” confermando il potere delle SLIP-ON come Must-have, sia in versione maschile che femminile.
Il progetto lanciato da Verba pone in primo piano l’aspetto estetico, combinando il fascino di una forma classica con la progettualità contemporanea, lavorando su un design essenziale che trasforma tutto in un look di grande personalità.
E’ cosi che sono nate le Slippers e Slip-On realizzate interamente in Pluriball (il materiale a bolle d’aria comunemente usato per gli imballaggi), studiato e realizzato in una consistenza particolare e ideale per la realizzazione di questo non convenzionale tipo di calzatura; mixando il massimo comfort alla qualità e al design.
Ideato, progettato e realizzato interamente in Italia, per uno stile deciso che non passa inosservato.
Un modello estremamente Chic quello di Verba, dalla forma lineare e sobria, ma abbinata ad un fondo gomma Extra Light leggermente rialzato.
L’utilizzo di concetti forti e mirati è totalmente riuscito, in un gioco di tonalità Shocking tradotto e rielaborato perfettamente dal brand per la creazione di un prodotto “unico”.
Una Slip-On fuori dagli schemi che propone una visione creativa con uno spiccato twist concettuale, valorizzata dalla semplicità di alcuni dettagli che rispecchiano una personalità del nostro “customer”.
“Ogni collezione – afferma Federico Verdiani, designer Verba- parte dal colore e dagli abbinamenti tra materiale e trattamenti che posso sviluppare insieme agli artigiani che lavorano per me. Le mie slippers sono prima di tutto italiane, 100% made in Italy. Era questo che volevo prima di tutto, portare nelle mie collezioni un twist raffinato, italiano da tutti i punti di vista, per questo motivo le slippers Verba hanno un design riconoscibile”
Le slippers Verba oggi sono indossate da molti fashion addict e grazie a loro sono diventate dei veri passepartout dello stile urban-chic.
Il marchio è distribuito nei migliori concept store italiani ed all’estero in Francia, Belgio, Paesi Bassi, Austria, Germania, in Giappone ed in Corea del Sud