Bonnie Cashin: in uscita un libro sulla designer americana

Il nome di Bonnie Cashin probabilmente ai più dirà poco. Ma non agli amanti del vintage, che ne venerano l’incommensurabile talento. Secondo gli storici della moda è stata la designer più innovativa d’America. Un talento senza precedenti, innumerevoli riconoscimenti, Bonnie Cashin vestì icone del calibro di Marlene Dietrich e il suo stile lasciò un’impronta indelebile nella storia del costume. Finalmente un libro edito da Rizzoli ne celebra la grandezza.

Bonnie Cashin: Chic Is Where You Find It è il titolo del volume, scritto dalla storica Stephanie Lake, una delle voci più autorevoli nella storia della moda, nonché intima amica della stilista statunitense, scomparsa nel 2000. Dalla sua morte, Stephanie Lake ha trascorso i successivi 15 anni a studiarne lo smisurato archivio cartaceo e fotografico, cercando di ricostruirne la vita. Un libro concepito nel corso delle conversazioni quotidiane che lei e la designer, ormai anziana, erano solite intrattenere. Innovatrice, futurista, proiettata nel futuro, Bonnie Cashin viene dipinta con tutta la sua carica vitale e le sue idee sulla vita e la moda, alquanto progressiste.

Una voce fuori dal coro, in tempi in cui la ribellione non era concepibile, Bonnie Cashin spiccava per il suo individualismo. Pragmatica e realista, aveva il piglio della capitalista e da sola riuscì a mettere in piedi un impero. Le sue idee erano antitetiche a certa frivolezza tipica degli anni Cinquanta, decennio che consacrò la sua fama a livello mondiale. Pochi sanno che Bonnie Cashin è forse la designer più copiata in assoluto: il suo stile ha influenzato nomi del calibro di Phoebe Philo per Céline, Tom Ford, Chloé, Nicolas Ghesquière per Balenciaga, solo per citarne alcuni.

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Bonnie Cashin nacque il 28 settembre 1908 a Oakland, California


Dorian Leigh con una cappa Bonnie Cashin
Dorian Leigh con una cappa Bonnie Cashin


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La sua carriera iniziò negli anni Trenta e si concluse negli anni Ottanta


Nata il 28 settembre 1908 a Oakland, California, figlia di Eunice, sarta, e Carl, fotografo. La giovane Bonnie studiò alla Hollywood High School, alla Chouinard School of Art di Pasadena e alla Art Students’ League di Manhattan, ma non riuscì a conseguire alcun attestato. Considerata pioniera del ready-to-wear e madre dello sportswear, il suo approccio alla moda era di tipo intellettuale: per lei la moda era un’arte cinetica. Il comfort era quindi la parola chiave per i suoi capi: dal poncho alle tuniche fino ai cappotti e ai kimono di chiara ispirazione cinese. Innovativa anche la scelta dei materiali usati, tra cui pelle, mohair, tweed, cashmere, lana e jersey. La sua carriera iniziò a Manhattan, dove si trasferì nel 1933. Qui iniziò a lavorare come costumista al Roxy Theatre. La mole di lavoro era enorme e Bonnie da sola creava migliaia di costumi. Ad appena 19 anni fece già parlare di sé, e venne proclamata la più giovane designer ad avere lasciato un segno a Broadway.

Nella primavera del 1937 i suoi abiti apparvero su Harper’s Bazaar. Nel 1940 Bonnie Cashin fu protagonista indiscussa del primo numero della rivista che non prevedeva capi provenienti da Parigi, a causa della guerra. Carmel Snow, all’epoca direttrice della prestigiosa rivista, famosa per essere una talent scout ante litteram, restò fortemente colpita da quei capi che anticipavano lo sportswear. Fu lei a credere per prima nelle capacità di Bonnie, che non aveva credenziali né titoli di studio. Carmel Snow la mise in contatto con Louis Adler, che aveva una linea di capi e capispalla prestigiosi. Da lì nacque la collaborazione tra i due: dal 1937 al 1942 Bonnie disegnò cappotti e abiti per Adler & Adler.


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Nel 1943, tornata in California, disegnò i costumi di oltre 60 film della Twentieth Century-Fox, tra cui Laura, con la splendida Gene Tierney (1944). Nel 1949 tornò a New York. L’anno seguente, nel 1950, fu insignita del Neiman Marcus Fashion Award e del Coty Fashion Critic’s Award. I prezzi dei suoi capi andavano dai 14.95 dollari per un impermeabile in plastica fino ai 2,000 dollari per un kimono di pelliccia. Nel 1953 creò una società con Philip Sills, che importava pellami. Bonnie Cashin fu pioniera nell’uso della pelle per l’alta moda. Il suo stile di vita globetrotter la indirizzò nella creazione di un guardaroba flessibile, all’insegna della praticità, per moderne nomadi. Spirito gipsy, al centro delle sue ispirazioni vi era l’Oriente. Nel 1962 la designer lanciò Coach, un brand di borse e accessori femminili, insieme a Miles e Lillian Cahn, che creavano portafogli maschili. Disegnò inoltre per American Airlines, Samsonite, Bergdorf Goodman, White Stag e Hermès. Fu la prima designer americana ad avere una boutique da Liberty, a Londra.

Nel corso della sua lunga carriera si cimentò con successo nella maglieria, nella creazione di guanti, biancheria per la casa, ombrelli, impermeabili, cappelli e pellicce. Fu premiata con il Coty Award (precursore del CFDA Award) per ben cinque volte, entrando nella loro Hall of Fame nel 1972. Adorata tra gli altri da Diana Vreeland, che ne ammirava l’audacia, Bonnie Cashin creò un’azienda da sola, la cui unica dipendente fu la madre. Animata da grande integrità morale e da un carattere granitico; femminista anche litteram, era felicemente single, in un’epoca in cui chi non era sposata veniva guardata con sospetto.

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(Foto Harper’s Bazaar)


Cappa Bonnie Cashin, foto di Francesco Scavullo, 1966
Cappa Bonnie Cashin, foto di Francesco Scavullo, 1966


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Bonnie Cashin fu scoperta da Carmel Snow, direttrice di Harper’s Bazaar, che per prima ne intuì il talento


Dopo una lunga attività, iniziata negli anni Trenta, nel 1985 arrivò il ritiro, per dedicarsi alla pittura e alla filantropia. La stilista morì a New York il 3 febbraio 2000 per complicanze durante un intervento chirurgico al cuore. Una Fondazione ne conserva lo smisurato archivio: ed è proprio Stephanie Lake la persona designata per preservarne l’eredità. I capi di Bonnie Cashin sono conservati anche in alcuni musei, come il FIT, il Metropolitan Museum of Art e lo Smithsonian.

Bonnie Cashin: Chic Is Where You Find It è la prima monografia dedicata alla designer. Stephanie Lake ci accompagna in un viaggio attraverso la mente della stilista. Diretta, onesta, outsider nel fashion biz, iconoclasta. Attraverso materiale inedito ne riscopriamo l’immenso talento. 300 pagine ricche di aneddoti di vita vissuta tracciano un adorabile ritratto di una donna dalla personalità scoppiettante. “La moda è adesso. La moda è accettazione. La moda è popolarità. Buona parte del mio lavoro è anti-fashion. È il futuro. Non è stato ancora accettato”: così la stessa Cashin definiva il suo lavoro. Aspettiamo con ansia che il volume esca anche in Italia.

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Tweed, lana, mohair, jersey tra i materiali usati dalla stilista statunitense


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Femminista ante litteram, outsider nel fashion biz, Bonnie Cashin rivive nella monografia di Stephanie Lake


(Foto Harper's Bazaar)
(Foto Harper’s Bazaar)


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Bonnie Cashin è scomparsa nel 2000



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Milano Vintage Week: il passato che non va mai fuori moda

Come in un lontano pomeriggio assolato, avvolti in un inebriante odore di tè verde e di biscotti appena sfornati, a Milano si rivive il tempo che fu, tra abiti vintage, cimeli in ottone dorato e borse che se potessero parlare, racconterebbero di episodi lasciati rinchiusi in un armadio come amanti diventati ormai polvere.

 

Cappelli e turbanti vintage (fonte milanovintageweek.com)
Cappelli e turbanti vintage (fonte milanovintageweek.com)

 

Cimeli e borse vintage esposte durante l'edizione di novembre di MIlano Vintage Week (fonte milanovintageweek.com)
Cimeli e borse vintage esposte durante l’edizione di novembre della Milano Vintage Week (fonte milanovintageweek.com)

 

 

Non c’è prologo più azzeccato quando da raccontare, è l’evento vintage per eccellenza che la città meneghina ospita due volte l’anno. A Milano, infatti, dal 15 al 17 aprile 2016, si terrà la Milano Vintage Week ormai giunta alla sua quinta edizione.

Un tuffo nella moda degli ultimi settant’anni, con turbanti che lasciano immaginare donne eleganti all’ombra di un bistrot a chiacchierare senza tener conto del mondo che le circonda, con in mano bocchini per sigaretta, per non macchiarsi di nicotina le dita affusolate rese brillanti da uno smalto rosso acceso e sensuale.

 

Milano Vintage Week ed. novembre 2015 (fonte milanovintageweek.com)
Milano Vintage Week ed. novembre 2015 (fonte milanovintageweek.com)

 

Milano Vintage Week prima edizione aprile 2014 (foto  Valerio Giannetti)
Milano Vintage Week prima edizione aprile 2014 (foto Valerio Giannetti)

 

 

Vistosi bijoux smaltati accompagnano crinoline, pizzi ingialliti e fantastici oggetti retrò, come un libro invecchiato o vecchi giochi desueti, che fanno da cornice ad un passato che non mostra alcuna intenzione di invecchiare.

Dischi in vinile, cappelli, stole e suppellettili: la Milano Vintage Week, è un contenitore di magnificenze che non solo possono essere ammirate, ma anche acquistate.

Durante la kermesse, per altro, sarà possibile visitare la mostra Flower Power nella quale verranno esibiti abiti presi in prestito dall’archivio A.N.G.E.L.O con l’intento di raccontare quel senso di libertà e la voglia di emancipazione che le donne vivevano negli anni settanta.

 

Milano Vintage Week: Il vintage non va mai fuori moda  (foto Valerio Giannetti)
Milano Vintage Week: Il vintage non va mai fuori moda (foto Valerio Giannetti)

 

Un tuffo nel passato per recuperare il futuro. (fonte SIIOLTRE)
Un tuffo nel passato fra bijoux e pochette (fonte SIIOLTRE)

 

 

L’evento, inoltre, strizza l’occhio alla beneficenza, con la collaborazione di Fondazione Francesca Rava – NPH Italia Onlus che devolverà tutti i proventi ricavati dai prodotti venduti all’interno del suo stand, a sostegno del programma Borse di Studio per i ragazzi delle case-orfanotrofio di Haiti.

La moda, dimostra di essere sempre più vicina alle tematiche sociali e la Milano Vintage Week ne è fortunatamente una conferma.

Lasciatevi coinvolgere da una tre giorni di shopping, workshop e coccole beauty dal sapore retrò: Milano non è mai stata così magica.

Per maggiori informazioni sull’evento, visitate il sito www.milanovintageweek.com

 

Il vintage secondo Carole Tanenbaum

Il fascino e l’opulenza di pietre preziose e antichi monili, che raccontano di mondi lontani e storie arcaiche, il lusso e lo sfarzo di pezzi unici rubati alle insidie del tempo: Carole Tanenbaum è oggi una vera autorità tra i collezionisti di bigiotteria vintage, vantando un archivio immenso e rinomato.

Nata e cresciuta a New York e attualmente residente a Toronto, la carriera di Carole Tanenbaum è iniziata vent’anni fa. Una formazione a trecentosessanta gradi, che spazia dall’arte alla moda, strizzando l’occhio in particolare alla bigiotteria vintage. La sua collezione è un vero patrimonio per intenditori, il sogno di ogni fashion victim che si rispetti: un archivio immenso, con una selezione di oltre 20.000 pezzi, che includono maison storiche, da Dior a Chanel, da Lanvin a Sherman.

La passione di Carole Tanenbaum per la bigiotteria vintage è iniziata per caso, 35 anni fa, quando si imbatté a Londra in una bellissima collezione di gioielli vintage. Rimasta fortemente colpita dalla creatività di quei pezzi, dai colori accesi e dal design ardito, decise che quella sarebbe divenuta la sua più grande passione. Ma non aveva ancora considerato una carriera nel settore, almeno finché non acquistò oltre 3500 pezzi per la sua collezione privata. Ma, resasi conto che non avrebbe mai potuto indossare quella mole immensa di gioielli, neanche nell’arco di una vita intera, decise quindi di condividere la sua collezione col pubblico.

Carole Tanenbaum
Carole Tanenbaum
Vintage Chanel
Vintage Chanel nella collezione di Carole Tanenbaum (foto Thecoveteur.com)
Collana Robert Sorrell
Collana Robert Sorrell (foto Thecoveteur.com)

Bangles Chanel vintage
Bangles Chanel vintage (foto Thecoveteur.com)


Un occhio esperto e vigile, sempre pronto a carpire le nuove tendenze e soprattutto, la bellezza, in ogni sua forma, Carole Tanenbaum è un’attenta critica della moda contemporanea, attiva sui social network, dove è seguitissima, e da dove non perde occasione di dare i suoi consigli di stile, sempre azzeccatissimi. Il suo sito, caroletanenbaum.com, è fonte inesauribile di bellezza e stile. Fondamentali nel suo guardaroba i pezzi della collezione: lei stessa ha dichiarato di scegliere prima il gioiello da indossare, e, in base a questo, l’outfit.

La collezione include edizioni limitate, pezzi unici realizzati a mano, che sono apparsi su pubblicazioni prestigiose, dalle riviste patinate più famose, in primis Vogue ed Elle, fino a film e serie tv di successo, a partire da Sex & the City. Collane, orecchini, bracciali, spille, anelli dal design glamour e dalle linee originali, ma anche accessori per capelli e altri pezzi unici, per maison storiche quali Trifari, Haskell, Schiapparelli, Hobe, Boucher e molte altre. Disponibili su Moda Operandi, da Seedhouse a New York ed in molte altre boutique online, tra le fan di Carole Tanenbaum spiccano nomi del calibro di Sarah Jessica Parker e Michelle Obama.

Bracciali Sherman
Bracciali Sherman (foto Thecoveteur.com)
Bracciali di designer vari, nella collezione di Carole Tanenbaum
Bracciali di designer vari, nella collezione di Carole Tanenbaum (foto Thecoveteur.com)
Sarah Jessica Parker con gioielli vintage della collezione di Carole Tanenbaum
Sarah Jessica Parker con gioielli vintage della collezione di Carole Tanenbaum

Sarah Jessica Parker in Sex & the City con bracciale vintage Carole Tanenbaum
Sarah Jessica Parker in Sex & the City con bracciale vintage Carole Tanenbaum Vintage Collection


Rinomata e famosa in tutto il mondo, Carole Tanenbaum ha dato lezioni sulla storia della bigiotteria vintage presso il Royal Ontario Museum e l’International Society of Appraisers ed è spesso chiamata in causa come una delle maggiori esperte mondiali nel campo. Il suo libro, Fabulous Fakes: A Passion for Vintage Costume Jewelry, disponibile su Amazon, traccia una storia dei pezzi più belli della bigiotteria vintage, dall’età Vittoriana fino ad oggi. Carole Tanenbaum ci accompagna in un indimenticabile viaggio nella sua collezione privata, corredato da splendide fotografie e da un’attenta critica sulla storia del costume e della moda. Il suo smisurato archivio è oggi una delle collezioni più rinomate del Nord America, con gioielli collezionati nel corso di oltre venticinque anni di attività, per un totale di oltre 20.000 pezzi, dall’età Vittoriana fino agli anni Ottanta. Stili, design e forme differenti per una collezione ricca di fascino e charme. Con tre figli e dodici nipoti, Carole Tanenbaum è anche una nonna felice, che condivide col marito Howard la sua passione per il collezionismo.

(Foto copertina tratta da Hello Magazine)


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I migliori backstage di Milano Moda Donna: Vivetta

L’orientalismo e gli anni 20 incontrano l’estro della designer che per la prossima stagione si ispira ad Ertè


Gli anni Venti e Trenta e il trionfo dell’Art Decò contestualizzano la prossima collezione della designer umbra Vivetta, oramai catapultata sulle passerelle milanesi. Uno show, il cui styling è curato dall’editor di fama internazionale Leith Clark, tributo ad Ertè, artista noto per le sue illustrazioni come quelle presenti sulle cover di Harper’s Bazaar.



L’Oriente e il military, ispirazioni e temi cari ad Ertè, si riconoscono nelle lunghe vestaglie stampate e negli alamari presenti sugli abiti, senza disdegnare la fusione con l’arte surrealista di Vivetta.
I colletti e gli abiti bon ton, core business della designer, si arricchiscono di minuscoli bouquet ispirati alle tappezzerie di un tempo.
Con un salto di cinquanta anni si approda agli anni ’70 grazie alle lunghezze mini e midi e alle silhouette smilze.
L’organza, il tulle di seta, il velluto di cotone e il delicato frisottino sono i tessuti scelti per la collezione che vanta cromie messe a contrasto: il cammello, il nero, il celeste “Ertè” e il rosso intenso incontrano i colori pastello, l’oro, il bianco e il verde inglese.
Uscita da ritratti e illustrazioni d’epoca vezzose e opulente la donna Vivetta della prossima stagione è destinata all’eleganza senza tempo.


Fashion editor: Alessia Caliendo
Video: Christian Michele Michelsanti
Photo: Matteo Di Pippo


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Viaggio nello stile parigino: Krasnova, modista tra vintage e futuro

Parigi, la capitale della moda, da sempre crocevia di artisti e fucina di talenti provenienti da tutto il mondo; Parigi con il suo charme ed una storia di couturier che hanno reso la moda francese unica nel mondo. Eccomi qui, ad assaporare le intrinseche contraddizioni dello stile parisien, attraverso le sfilate del pret-à-porter, nostalgica di tempi d’oro forse ormai andati.

È una giornata uggiosa, con una pioggerellina che non vuole saperne di smettere, la settimana della moda si è appena conclusa e progetto un nuovo tour de force alla scoperta di atelier che sappiano ancora stupirmi. A Parigi può anche capitare di restare chiusi fuori di casa, ritrovandosi ad osservare la realtà circostante con occhi nuovi e curiosi, ripercorrendo gli itinerari delle foto di Doisneau o perdendosi dentro i bouquinistes, sfiorando la carta invecchiata di antiche stampe e volumi a due passi dalla Senna.

La incontro così, in una via tipicamente parigina, tra il profumo di una boulangerie e il romanticismo dei tetti bianchi delle case: il viso pulito, lunghi capelli castani e il passo svelto di chi nella Ville Lumière a neanche 30 anni ha già costruito un proprio business, partendo dallo studio e da una severa disciplina. Io, notoriamente appassionata di vintage, probabilmente avrei fatto carte false per scoprire le sue creazioni, le velette dall’aria retrò, i cappellini in stile deliziosamente Fifties, l’allure misteriosa e sofisticata che profuma di antiche tradizioni sartoriali, di laboratori e retrobottega nascosti in mezzo al lusso delle strade parigine. Piccole fucine in cui anziane modiste francesi tramandano ancora oggi le loro tecniche segrete, perse dietro manichini e stoffe da confezionare.

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Modello “Patchouli” in feltro di pelo di coniglio e ricami realizzati a mano
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Un particolare della collezione Autunno/Inverno 2016
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Dietro Krasnova c’è l’estro creativo di Evgeniya Guilhot Fomina, nata in Russia
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Charme, femminilità e suggestioni vintage nelle creazioni Krasnova
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Fascia per capelli in pelle e velluto con veletta di ispirazione retrò

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Allure ricca di mistero per la donna Krasnova, tra velette e pregiate decorazioni artigianali


Dietro Krasnova e le sue collezioni accattivanti c’è l’estro creativo di una giovane ragazza: si chiama Evgeniya Guilhot Fomina e viene da lontano. Nata a Soči, nel sud della Russia, trasferitasi a Parigi nel 2007, appena terminati gli studi, da sempre appassionata della cultura francese in toto, con il suo savoir-vivre, l’arte e la moda. Evgeniya si specializza presso la scuola privata di moda e design Creapole, situata nel cuore di Parigi. Qui studia per 5 anni Art Design: la sua formazione comprende scenografia, bozzetti di moda, interior design, scultura e altri progetti. Solo al quarto anno del corso si rende conto che il suo cuore batte per gli accessori, in particolare i cappellini, i cosiddetti couvre-chef, meglio se dalle forme bizzarre e particolari.

Dopo due stage presso i brand di bijoux haute couture Coralie de Seynes e Garnazelle, Evgeniya capisce che Parigi le può offrire una preparazione invidiabile, se solo andrà alla riscoperta delle tradizioni sartoriali più antiche. Inizia pertanto a prendere lezioni da una vecchia modista francese, maestra nella confezione di cappellini. Sempre più innamorata di quell’arte antica eppure quantomai attuale, frequenta un tirocinio presso l’Opéra Garnier: qui si respira magia allo stato puro, tra lo sfarzo dei costumi e le costruzioni ardite e scenografiche dei copricapi che le sarte e le modiste confezionano per i balletti e le opere liriche. Sicura di sé e della propria formazione, Evgeniya si sente ormai matura per creare il proprio brand: nasce così Krasnova, la linea con cui la modista cerca un proprio posto nel mondo del fashion biz, riportando in auge il fascino della creazione artigianale e le tecniche sartoriali della tradizione francese. Dopo vendite private ed eventi esclusivi con una clientela già entusiasta per quei cappellini così chic, la giovane creativa si sente finalmente pronta per mostrare ad un pubblico più vasto le proprie creazioni, che comprendono cappelli dall’appeal contemporaneo, fedora, borsalino in feltro di lana dai dettagli realizzati interamente a mano, come ricami e passamanerie preziose, e lavorazioni artigianali.

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Suggestioni urban per lo stile parisienne di Krasnova
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Decorazioni in pelle per il cappello modello fedora
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Eleganza contemporanea nei modelli firmati Krasnova
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Cura per il dettaglio e selezione di materiali di pregio
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Bijoux con nappina e dettagli glitterati su feltro di lana
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Appeal futurista che si sposa con l’antica tradizione artigianale degli atelier parigini

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La tradizione delle modiste francesi si coniuga ad ispirazioni fortemente contemporanee


Nel dicembre 2015 il lancio della prima capsule collection per l’Inverno 2016. Di impronta fortemente parisienne, lo stile Krasnova è personalissimo e ricco di suggestioni: lo charme del glorioso passato si sposa mirabilmente a dettagli attuali e ispirazioni urban, per una donna sofisticata. Nappine e gioielli scendono giù dai cappelli fedora, ad impreziosire linee classiche con dettagli moderni che tradiscono una grande ricerca stilistica. Ricami realizzati interamente a mano e grande cura per la scelta dei materiali usati, provenienti dalla Francia, con forme in legno realizzate da scultori e feltro di pelo di coniglio proveniente da allevamenti francesi.

Accanto ai modelli per il giorno, ecco il coup de théâtre di deliziosi couvre-chef di ispirazione vintage, hatinator e velette che, come un déjà-vu, ci riportano indietro nel tempo, ad una Parigi imperiale ricca di sfarzo rococò. Tutti i processi di creazione si rifanno ad antiche tradizioni, palpabile è la precisione e la massima cura per il dettaglio, per un lusso contemporaneo ed un’eleganza evergreen. Sta per uscire la collezione Primavera/Estate 2016, che sarà caratterizzata da un mood più romantico, tra motivi floreali e leggerezza. Intanto per acquistare i capi su misura Krasnova basta ordinarli. Per veri hatlovers.

Manuela Pavesi: l’addio ad una grande icona della moda italiana

Icona fashion ed esteta. Eclettica ed estrosa. Il volto unanime del fashion system e della fotografia di genere.

Manuela Pavesi, con la sua dipartita a soli 65 anni e dopo una dolorosa malattia, ha lasciato un vuoto enorme e difficile da colmare nel mondo della moda italiana ed internazionale.

 

Manuela Pavesi ritratta sorridente in una mise eccentrica
Manuela Pavesi ritratta sorridente in una mise eccentrica

 

 

Redattrice di moda per Vogue Italia, braccio destro di Miuccia Prada (le due donne s’incontrarono per la prima volta nel 1968 durante un corteo studentesco vestite elegantemente in Yves Saint Laurent), ossessionata dagli abiti vintage tanto da divenire collezionista di quest’ultimi.

Sobria nel suo chignon biondo, Manuela si scagliava contro la sciatteria definendo lo stile una “costruzione e modo di essere”.

Era ossessionata dalla moda fin dai primi anni della sua vita, definendola una “perversione, deviazione e patologia”.

 

Manuela Pavesi in compagnia dell'amica Miuccia Prada
Manuela Pavesi in compagnia dell’amica Miuccia Prada

 

 

Idolatrava il maestro couturier Yves Saint Laurent come raccontò in un’intervista “L’incontro che mi ha cambiato è stato quello, simbolico, con Yves Saint-Laurent, il primo a portare la sensibilità della strada nella moda. Mi sono vestita quasi solo Yves Saint Laurent per almeno tutti gli anni ’70. Abiti incedibili, che conservo ancora gelosamente tutti. Come il famoso vestito “Belle de jour”, nero con il colletto bianco, a cui sono legatissima e che mi ha sempre affascinato per l’interpretazione alla Buñuel dell’eleganza femminile, che lo ha ispirato […]Vestirmi YSL e condividere così il suo stesso punto di vista è stato per me più che frequentare un’università della moda. Ha influenzato profondamente la mia estetica.”

Ribelle, severa nel suo essere donna e lavoratrice. Colta e raffinata, indubbiamente pioniera delle nuove tendenze.

Il suo sorriso, sempre splendente e i suoi abbinamenti  sopra le righe, mancheranno al sistema, come ai suoi estimatori e agli amanti in genere della moda.

 

 

Per la copertina fonte Vanity Fair

 

Roberto Cavalli: vintage e barocco contaminano la collezione di Peter Dundas

Esotica e selvaggia. Vintage e barocca. Tante ispirazioni, un unico obiettivo: riconfermare l’immagine della maison Roberto Cavalli pur affidando la direzione creativa a Peter Dundas.

Silhouette anni settanta invadono maxi capispalla con manicotti e revers in pelliccia, trousers a vita alta e pellicce multicolor voluminose.

Lunghe cappe austere ricamate con fili d’oro che rilevano eleganti segni barocchi. Immancabile il jeans: tessuto tanto amato da Roberto Cavalli e riproposto per la collezione autunno/inverno 16-17 con pantaloni, over coats e camicie.

Abiti caftano in velluto abbinate a stivali in pitone, lunghe sciarpe che fluttuano generosamente nell’aria che nascondo appena le generose e sensuali scollature degli abiti e delle camicie lasciate sbottonate.

Ruches, plissettature, trasparenze audaci che mostrano una lingerie casta. Abiti da sera leggeri come piuma, impalpabili e couture, elaborati ma allo stesso tempo semplici da abbinare.

La rivalutazione del velluto, presente ovunque: su abiti, pantaloni, tailleur, cappotti over, blousons.

La palette di colori è variopinta, forte, importante. Non manca il gold su dettagli ed abiti da sera fascianti, il viola accesso, il verde, il nero. Nessun romanticismo, tanta avventura.

Peter Dundas, al suo ritorno nella maison italiana, ha elaborato una collezione vera, androgina, sontuosa, incarnando totalmente l’estro creativo di Cavalli.

 

(fonte Madame Figaro)
(fonte Madame Figaro)

 

(fonte Madame Figaro)
(fonte Madame Figaro)

 

(fonte Madame Figaro)
(fonte Madame Figaro)

 

(fonte Madame Figaro)
(fonte Madame Figaro)

 

(fonte Madame Figaro)
(fonte Madame Figaro)

 

(fonte Madame Figaro)
(fonte Madame Figaro)

 

(fonte Madame Figaro)
(fonte Madame Figaro)

 

(fonte Madame Figaro)
(fonte Madame Figaro)

 

(fonte Madame Figaro)
(fonte Madame Figaro)

 

(fonte Madame Figaro)
(fonte Madame Figaro)

 

 

Mary Katrantzou: “esplosione” pop a Londra

Fascino  anni cinquanta e allure vintage reso moderno da pattern vivaci colmi di messaggi.

Il cuore, simbolo di romanticismo e la farfalla, l’unione perfetta tra libertà e bellezza. Segni grafici coloratissimi e pop.

Mary Katrantzou si diletta ad immaginare una donna in tutto il suo meraviglioso garbo ma allo stesso tempo in tutta la sua sconveniente severità. La collezione autunno/inverno 16-17 della stilista greca presentata a Londra, è un esplosione di colore e di effetti grafici sorprendenti. È casta. È pudica.

La sensualità della donna va incontrandosi nelle gonne longuette fascianti e, sorprendentemente nel foulard che le cinge il capo come in segno di rispetto prima verso sé stessa, poi negli altri.

La donna immaginata dalla stilista  ellenica, siede garbatamente  in sella su di una vespa o si lascia baciare dal vento in una cabriolet decappottata. Ecco, la libertà: una missiva importante che vede come destinataria una donna emancipata.

Pantaloni attillati, abiti longuette fascianti, spolverini eleganti, lunghe vesti in tulle leggere e sensuali. La collezione di Katrantzou è variopinta e multiforme e si compone di pelle, tulle e chiffon  e di magnifici disegnii, pois e dettagli animalier.

 

(fonte Madame Figaro)
(fonte Madame Figaro)

 

(fonte Madame Figaro)
(fonte Madame Figaro)

 

(fonte Madame Figaro)
(fonte Madame Figaro)

 

(fonte Madame Figaro)
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(fonte Madame Figaro)
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(fonte Madame Figaro)
(fonte Madame Figaro)

 

(fonte Madame Figaro)
(fonte Madame Figaro)

 

(fonte Madame Figaro)
(fonte Madame Figaro)

 

(fonte Madame Figaro)
(fonte Madame Figaro)

 

 

Cronache Vintage – Riflessioni semiserie su un matrimonio immaginario

Ho detto a mia nonna che io non mi sposo con l’abito bianco:

– “E come ti sposi allora?”.

– “Non mi sposo “.

– “Ma che schifo di mondo è mai questooo? E dove andremo a finireee? E il corredo che cosa l’ho comprato a fareee?”.


Ebbene, questa è stata la conversazione avuta con “grandmother” qualche tempo fa. Effettivamente, io non penso al matrimonio nella maniera tradizionalmente concepita, non aspiro a percorrere la navata abbigliata da meringa, non riesco neppure ad immaginare il giorno in cui qualcuno mi chiederà, inginocchiandosi con BRILLANTE alla mano, di sposarlo, per trascorrere insieme il resto dei nostri giorni. Insomma, non so nemmeno se riuscirò a portare avanti fino alla settimana prossima la dieta appena cominciata! Sono sicura che fuggirei come Maggie aka Julia Roberts in RUNAWAY BRIDE, per lasciare il malcapitato all’altare. Dai, non è bello.


Ad ogni modo, nonna era seriamente turbata, la sua drammaticità mi ha fatto buttare giù il telefono che avevo ormai le palpitazioni. E allora ho respirato a pieni polmoni, mi sono tuffata sul letto fissando il soffitto e ho cominciato a fantasticare: “Chiara, sforzati di pensarti IN BIANCO!”.


Lady Diana buonanima indossò un abito in taffettà di seta color avorio e pizzi antichi, con uno strascico di 7,62 metri (dettaglio da non ignorare), valutato all’epoca per circa 9 mila euro. Presentava decorazioni con ricami fatti a mano, paillettes e nientepopodimeno che diecimila perle. Semplice, insomma. E siccome la coppia regale si presentò dinanzi al prete nel 1981, i designer, David ed Elizabeth Emanuel non poterono esimersi dall’aggiungere maniche a sbuffo e gonna balloon. L’abito passò alla storia, Diana era bellissima, ma quello scemo di Carlo si era già infiammato per Camilla e tutti quei metri non trattennero la principessa triste a corte…Il resto lo conosciamo e l’abito lo scartiamo.


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Quindi mi è venuto in mente un altro sposalizio celebre, quello di Jacqueline Lee Bouvier con il futuro Presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy. Correva l’anno ’53, i due erano giovani, belli e aristocratici, tutti ne parlavano, tutti ne avrebbero straparlato! Jacqueline doveva essere stratosferica, confermando la sua eleganza:  Ann Lowe, stilista afro-americana, già in voga ai tempi nell’aristocrazia di New York, realizzò per lei un vestito in taffetà di seta color avorio, con un’ampia gonna e il corpetto drappeggiato con scollo a cuore. Particolarità della gonna furono le applicazioni di stoffa a formare ampi fiori concentrici e piccoli petali in cera nella parte inferiore. A completare il vestito, il velo in tulle fissato ai capelli con boccioli d’arancio. Sublime. Poi Marilyn Monroe si mise a cantare Happy Birthday Mr. President e le fuitine non si contarono più su una mano sola. E Jacqueline comprese che la classe non  trattiene un fedifrago!


 

Non mi rimane che ispirarmi a quella donna anticonformista che fu Wallis Simpson. Nel 1934 era l’amante di Edoardo di Windsor, principe di Galles ed erede al trono britannico. Aveva un divorzio alle spalle e uno in corso. E non le scorreva sangue blu. Edoardo divenne re e poi abdicò per sposarla. Che moderno! Il giorno delle loro nozze Wallis si mise sù un abito pensato per lei da Mainbocher, in un color carta da zucchero inventato appositamente dallo stilista come omaggio ai suoi occhi (e infatti fu rinominato Wallis Blue). Le arrivava fino ai piedi, con maniche lunghe, un drappeggio davanti e una fila di bottoni sul il busto. Contemporaneo, raffinato, perfetto. Duca e Duchessa, so glamourous, condussero una vita mondana, furono immortalati sui giornali, non badarono a spese per godersela molto.


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Voglio quel vestito e quel marito. E corro a dirlo a mia nonna!

Millicent Rogers: una vita alla ricerca della bellezza

Crinoline e sete preziose alternate a strati di tulle fanno capolino nei sontuosi abiti da sera dal sapore vittoriano, sullo sfondo dell’età del jazz e di una giovinezza scandita dall’ultimo party esclusivo. Una vita fieramente sopra le righe, seguendo il monito di lorenziana memoria di vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo. E Millicent Rogers scelse di vivere la propria vita al massimo. Nota come l’ereditiera della Standard Oil, fondata dal nonno H.H.Rogers e da John D.Rockefeller, Millicent Rogers è stata una brillante socialite, un’icona di stile di squisita eleganza ed una collezionista d’arte.

All’anagrafe Mary Millicent Abigail Rogers, più conosciuta come Millicent Rogers, la futura icona di stile nacque a New York il primo febbraio 1902. Nipote di Henry Huttleston Rogers, magnate della Standard Oil, ereditò quest’impero, divenendo proprietaria in giovanissima età di un’immensa fortuna. La piccola Millicent crebbe tra Manhattan, Tuxedo Park e Southampton, New York, tra lusso e ricchezze. Ma ancora bambina contrasse una febbre reumatica: secondo i medici che la visitarono, la piccola non sarebbe arrivata all’età di dieci anni. La realtà fu fortunatamente ben diversa, ma per tutta la vita l’ereditiera fu cagionevole di salute: ebbe infatti numerosi attacchi di cuore, una grave forma di polmonite e un’artrite che le lasciò il braccio sinistro quasi totalmente paralizzato prima del compimento dei 40 anni.

Negli anni Venti Millicent Rogers divenne famose come socialite, ottenendo servizi e copertine sulle principali riviste patinate, da Vogue a Harper’s Bazaar. Inoltre la sua vita sentimentale costituì per decenni uno dei temi più ghiotti per i tabloid. Sì, perché Millicent Rogers è stata una donna leggendaria: aveva un animo ribelle, quella bionda dai capelli perfetti e dallo sguardo altero, che viaggiava con 35 valigie e 7 bassotti e che non lesinava in capricci, come quando, nel 1937, pretese che la tappezzeria della sua coupé Delage D8-120 Aerosport venisse tinta in una nuance che fosse en pendant con il suo rossetto rosso lacca; lei che ballò il tango nei nightclub europei mentre la perbenista America frugava nei dettagli più scabrosi della sua burrascosa vita sentimentale; lei che, dietro al guardaroba principesco e all’invidiabile vita mondana, nascondeva una grande sensibilità.

Scatto di Millicent Rogers esposto al museo di Taos realizzato da Louise Dahl-Wolfe per Harper's Bazaar, 1948
Scatto di Millicent Rogers esposto al museo di Taos realizzato da Louise Dahl-Wolfe per Harper’s Bazaar, 1948
Millicent Rogers, foto di Richard Rutledge per Vogue America, 15 marzo 1945
Millicent Rogers, foto di Richard Rutledge per Vogue America, 15 marzo 1945

Millicent Rogers ritratta da Horst P. Horst nel 1938
Millicent Rogers ritratta da Horst P. Horst nel 1938


Millicent Rogers mostrò fin dall’infanzia grandi doti artistiche, che la madre non perse occasione di incoraggiare. Dopo il suo debutto in società, avvenuto nel 1919 al Ritz di Manhattan, Millicent si affermò per il suo stile, divenendo un’icona immortale. Presenza fissa delle liste delle donne meglio vestite al mondo, inizialmente la sua immagine non aveva ancora l’appeal sofisticato che oggi tutti noi conosciamo, attraverso le foto patinate che la immortalano. Fu quando decise di cambiare la forma delle sue sopracciglia, arcuandole alla maniera in voga negli anni Trenta, che la bionda Millicent iniziò ad essere una vera diva. Statuaria dall’alto del suo metro e settantacinque centimetri, pelle di alabastro e classe inimitabile, Millicent Rogers sembrava avere avuto tutto dalla vita: bellezza, intelligenza, ironia, savoir faire e una valanga di soldi. Ci guarda altera, dall’alto della sua perfezione, nelle foto celebri che la ritraggono. Sempre impeccabile nelle sue mise, Millicent Rogers posò, tra gli altri, per Louise Dahl-Wolfe e Horst P. Horst, oltre che per il pittore Bernard Boutet de Monvel. Tra i suoi designer preferiti vi erano Mainbocher, Adrian, Elsa Schiaparelli e Valentina. Ma un posto speciale occupava Charles James, di cui la bionda ereditiera fu musa incontrastata. Del couturier Millicent Rogers amava l’opulenza, mentre lui dal canto suo trovò in lei la perfetta incarnazione del suo stile. Nessuna sapeva indossare i sontuosi abiti-scultura di James con altrettanto charme.

Esteta e amante della bellezza in ogni sua forma, Millicent Rogers non era né un’oca né una ragazzaccia. Il suo humour mordente era forse ciò che gli uomini più adoravano in lei. “Gli uomini erano solo oggetti che collezionava”: scrive così Cherie Burns, a proposito di Millicent Rogers. “In cerca della bellezza”: si intitola così il volume che la Burns ha dedicato all’icona di stile. Searching for Beauty: The Life of Millicent Rogers, the American Heiress Who Taught the World About Style, edito da Paperback, è una tra le biografie più autorevoli della celebre ereditiera. Vera leggenda americana dalla vita avventurosa e glamour, filantropa e collezionista d’arte, in un’epoca costellata da Hilton e Kardashian si avverte profondamente la mancanza di icone del calibro di Millicent Rogers. Il volume curato da Cherie Burns testimonia la sua incessante ricerca di perfezione tanto nel suo stile personale quanto nella sua esistenza.

Millicent Rogers in Charles James, 1948
Millicent Rogers in Charles James, 1948
Ritratto di Millicent Rogers realizzato da Bernard Boutet de Monvel, 1948
Ritratto di Millicent Rogers realizzato da Bernard Boutet de Monvel, 1948
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Millicent Rogers nacque a New York il primo febbraio 1902
Millicent Rogers in un abito da sera Charles James, foto di Horst P. Horst per Vogue, 1 febbraio 1949
Millicent Rogers in un abito da sera Charles James, foto di Horst P. Horst per Vogue, 1 febbraio 1949

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Millicent Rogers ereditò l’impero della Standard Oil, fondata da suo nonno H. H. Rogers e da John D. Rockefeller


La vita sentimentale di Millicent Rogers fu parecchio avventurosa: l’icona si sposò per tre volte e collezionò numerosi flirt, tra cui spiccano l’autore Roald Dahl, lo scrittore Ian Fleming, il principe del Galles e il principe Serge Obolensky. L’ereditiera sposò in prime nozze, nel gennaio del 1924, il conte austriaco Ludwig von Salm-Hoogstraeten, più vecchio di lei di venti anni. Lui era un nobile decaduto e squattrinato, descritto dal New York Times come “un morto di fame”. Il matrimonio fu duramente osteggiato dalla famiglia Rogers. La coppia ebbe un figlio, Peter Salm, prima di divorziare, nell’aprile 1927. Nel novembre dello stesso anno l’ereditiera convolò a nozze con Arturo Peralta-Ramos, playboy e sportivo, proveniente da una ricca famiglia argentina. Dalla loro unione nacquero due figli, Paul Jaime e Arturo Henry Peralta-Ramos Jr. Il matrimonio fu celebrato nella chiesa cattolica del Sacro cuore di Gesù e Maria di Southampton, Long Island, alla presenza dei genitori dell’ereditiera. Il padre diede alla coppia un fondo fiduciario di 500.000 dollari, con la promessa che Peralta-Ramos “non avanzasse alcun diritto futuro sull’eredità di Millicent”, stimata in circa 40.000.000 di dollari. Nei primi anni Trenta Millicent e Arturo costruirono uno chalet a St. Anton, un’esclusiva località sciistica, arredandolo in ricercato stile Biedermeier. Vestiva alla tirolese Millicent in quel periodo, con i costumi tipici e il caratteristico grembiule, che lei mixava con adorabile nonchalance ad abiti Schiaparelli e Mainbocher, stile che fu più tardi ripreso, forse non con altrettanta classe, da Wallis Simpson. Tuttavia anche questo matrimonio naufragò, e la coppia divorziò nel 1935. Il terzo ed ultimo marito dell’icona di stile fu Ronald Balcom, un agente di cambio americano, sposato a Vienna nel febbraio 1936, da cui divorziò nel 1941. La coppia non ebbe figli. L’ereditiera visse in Svizzera fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, ma nel corso della sua vita collezionò appartamenti come si fa con le figurine: da New York alla Virginia al Nuovo Messico, fino all’Austria e alla Giamaica: le dimore dell’ereditiera rispecchiavano il suo gusto, sofisticato e ricercato.

Spilla di Verdura
L’icona di stile indossa una preziosa spilla di Fulco di Verdura
L'appartamento di Millicent Rogers a Claremont Manor
L’appartamento di Millicent Rogers a Claremont Manor
Il salotto dell'appartamento di Millicent Rogers a Claremont Manor, Virginia
Il salotto dell’appartamento di Millicent Rogers a Claremont Manor, Virginia

Virginia
Ancora un particolare della tenuta di Millicent Rogers in Virginia


Millicent Rogers sapeva perfettamente come gestire la stampa, verso la quale alternava momenti di amore e odio, come sostiene Gwendolyn Smith, curatrice della mostra “Millicent Rogers: Heiress, Fashion Icon & Her World” . “Conosceva le persone giuste e tutti conoscevano lei”, da buona socialite. Artista, creatrice di interessanti gioielli in oro ed argento, questo fu per lei più un hobby creativo da praticare per la salute delle sue mani affette da artrite, che una vera attività. D’altronde aveva i mezzi per finanziare le proprie opere artistiche. I suoi gioielli rivelano suggestioni arcaiche: il firmamento e le costellazioni sembrano essere la principale fonte di ispirazione per Millicent Rogers, le cui creazioni artigianali ricordano lune e stelle. Collezionista d’arte, spiccano nelle sue collezioni private almeno una dozzina di quadri di Henri de Toulouse-Lautrec, oltre a pezzi di Claude Monet e Paul Cezanne. L’icona di stile amava i quadri di Van Gogh, Degas e Jacob Epstein ma anche l’arte africana e le teiere cinesi. A Manhattan adorava le creazioni di Fabergé.

Colta, elegante ironica, Millicent Rogers parlava correntemente sette lingue, che studiò da autodidatta, durante i suoi famigerati attacchi di febbre reumatica. Si dice che tradusse da sola Rilke solo per divertimento, e che era solita conversare in latino. Non edonismo sfrenato, non mero esibizionismo, ma un viscerale amore per la bellezza, declinata in ogni forma. Oggi il botox sembra essere la parola chiave per le celebrities di ogni parte del mondo, tutte uguali nella loro ricerca di uno stereotipato ideale di bellezza: ma una volta ci voleva almeno un po’ di classe per monopolizzare l’attenzione della cronaca rosa. Bionda, bella, incredibilmente ricca e dotata di un carattere passionale, Millicent Rogers fu molto più di un personaggio da giornale scandalistico: fine esteta dal gusto raffinato, combatté la disabilità con il suo amore per l’arte. Elsa Schiaparelli, sua amica e tra i suoi couturier preferiti, disse di lei: “Se non fosse stata così ricca, con il suo incredibile talento e la sua smisurata generosità sarebbe diventata una grande artista”. I tre mariti e l’intensa vita sentimentale costituiscono solo una delle tante sfaccettature di questa icona di stile dallo charme immortale.

L’eccesso non faceva parte di lei, sebbene l’apparenza talvolta sembrava suggerire il contrario. Millicent Rogers era in realtà una sopravvissuta, e tale si sentì durante tutto il corso della sua vita. “Quando trovi la felicità, acchiappala. Non fare troppe domande” , diceva così Millicent. E la felicità la trovò accanto ad uno dei divi più amati di Hollywood, Clark Gable, che fu forse l’uomo della sua vita. L’ereditiera riuscì ad attirare l’attenzione dell’attore presentandosi ad un party con una scimmietta sulla spalla. L’idillio fu da romanzo rosa. Ma, come tutte le storie d’amore, l’ereditiera soffrì indicibilmente quando il sentimento finì. La proverbiale fama di sciupafemmine non era solo una leggenda metropolitana, nel caso di Clark Gable: quando la Rogers lo colse in flagrante in compagnia di un’altra donna, gli scrisse una lettera d’addio che mandò ad Hedda Hopper affinché quest’ultima la pubblicasse sulla sua rubrica all’interno dell’L.A. Times. La lettera iniziava così: “Ti ho seguito la notte scorsa mentre portavi a casa la tua giovane amica. Sono felice di averti visto mentre la baciavi, perché ora so che hai qualcuno vicino a te…. Spero di averti fatto sorridere ogni tanto; […] di averti dato, quando mi stringevi, tutto ciò che un uomo possa desiderare.”

Millicent Rogers in Mainbocher
Millicent Rogers in Mainbocher
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Tra i designer preferiti dall’icona di stile Mainbocher, Adrian, Schiaparelli, Charles James e Valentina
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Millicent Rogers posò per le riviste più autorevoli, da Vogue ad Harper’s Bazaar
Millicent Rogers su Vogue, 1937
Millicent Rogers su Vogue, 1937

Circa January 1939 --- Millicent Rogers, hat in hand, wearing moleskin cape and large ring. She rests her arm on the back of a chaise lounge. --- Image by © Condé Nast Archive/Corbis
Millicent Rogers, gennaio 1939. Foto © Condé Nast Archive/Corbis


Nel corso della Seconda Guerra Mondiale l’icona di stile acquistò Claremont Manor, una tenuta risalente al 1750 circa, situata sulle rive del fiume James, in Virginia, a 170 miglia da Washington. Qui la Rogers tentò di ricreare l’atmosfera che aveva respirato in Austria. Lavorò all’interior design di quella casa al fianco di Billy Baldwin, dell’architetto William Lawrence Bottomley e di Van Day Truex, amico di famiglia nonché futuro presidente della prestigiosa Parsons School of Design e design director per Tiffany & Co. Una scrivania un tempo appartenuta al poeta Schiller e ricercati pezzi di antiquariato Biedermeier costituivano i pezzi forti dell’interior design di Claremont. Alle pareti spiccavano quadri di Watteau, Fragonard e Boucher, in una cornice di lussuosa formalità, tra tende damascate e un’eleganza antica. Nel 1946 l’ereditiera si trasferì ad Hollywood, dove abitò nella casa che era appartenuta un tempo a Rodolfo Valentino, la celebre Falcon’s Lair.

Più tardi, nel 1947, la diva decise di ritirarsi a Taos, in Nuovo Messico, dove sperava di contrastare i sintomi della febbre reumatica di cui soffriva fin da bambina. Qui andò a vivere in una tenuta che ribattezzò Turtle Walk. A curare l’interior design della sua nuova dimora non vi fu alcuna figura professionale. Turtle Walk era una vecchia fortezza situata nel deserto di Taos, caratterizzata da un mobilio di stampo coloniale e da una tappezzeria raffigurante elementi tipici della cultura dei nativi americani, la cui arte compariva in abbondanza in quella casa, tra ceramiche, gioielli, quadri. Taos, nel Nuovo Messico, era un’oasi di pace, buen retiro ideale per artisti ed intellettuali delusi dalla vita e alla ricerca di nuovi stimoli. Millicent, col cuore spezzato dopo la fine della sua tormentata love story con Clark Gable, fu invitata qui da Mabel Dodge Luhan. L’ereditiera strinse una profonda amicizia con la pittrice Dorothy Brett, da tempo ivi residente, trasferitasi lì su invito di D. H. Lawrence. Entrambe ricche ed eleganti, le due donne avevano molto in comune. Taos era una località molto gettonata soprattutto da quando, all’inizio del secolo, era stata scelta come nuova patria da nomi del calibro di Mabel Dodge Luhan e Georgia O’Keeffe.

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Millicent Rogers ebbe tre mariti e numerose storie d’amore: la più famosa fu quella con l’attore Clark Gable
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Durante i suoi attacchi di febbre reumatica, l’ereditiera imparò da autodidatta sette lingue e tradusse l’opera di Rilke
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L’ereditiera nel tipico costume austriaco, che mixava a capi haute couture di Schiaparelli e Mainbocher
Millicent Rogers col figlio Paul Peralta Ramos a Taos
Millicent Rogers col figlio Paul Peralta Ramos a Taos

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Millicent Rogers nel 1947 si ritirò a Taos, Nuovo Messico


Millicent Rogers si innamorò all’istante di quel cielo blu cobalto, ma anche dei nativi del luogo. Della cultura pueblo adorava le tradizioni e i manufatti. Attraverso le testimonianze che sono giunte a noi sappiamo quanto l’icona di stile trovasse belli i lunghi capelli neri degli uomini e lo stile delle donne. Tra memorie coloniali ispaniche e citazioni del vecchio West si ergeva maestosa la natura, principale fonte di ispirazione artistica. In una lettera al figlio Paul Peralta-Ramos, l’icona racconta del suo amore per Taos. Si sentiva parte della Terra, Millicent Rogers, giunta in Nuovo Messico. L’ereditiera racconta con trasporto di una vicinanza mai provata prima con gli elementi della natura: il sole che brucia sulla pelle, l’odore della pioggia, l’emozione di guardare le stelle e il cielo notturno. Sembra di vederla, questa dama algida e bionda in abiti sartoriali, intenta ad osservare, con interesse quasi etnografico, gli usi e costumi locali, le suggestive cerimonie intertribali, con i danzatori, i cantanti, e, ancora, i mercati tipici, con gli artisti che mettono in vendita le loro creazioni artigianali.

La signora venuta da lontano si sofferma su alcuni gioielli con turchesi. Quelle insolite forme artistiche catturano il suo occhio, così acuto nello scorgere ovunque bellezza. È un vero e proprio colpo di fulmine per quegli orecchini, quei bracciali in onice e madreperla, ma anche per le cinture, le stoffe stampate, i coralli. Mai sottovalutare l’amore di una donna per la moda e per gli accessori: Millicent Rogers adorava i gioielli locali e sviluppò un’autentica passione per i turchesi Navajo, passione che la portò successivamente a svolgere un ruolo predominante nel preservare i capolavori dell’arte amerindia. Millicent Rogers prese molto a cuore la causa dei nativi ispanici e americani che abitavano il Nuovo Messico, ergendosi come paladina della battaglia per il riconoscimento dei loro diritti. Dopo aver collezionato oltre duemila opere realizzate dai nativi americani, con alcuni suoi amici, tra cui gli autori Frank Waters, Oliver Lafarge e Lucius Beebe, contattò dei legali per portare all’attenzione della Casa Bianca il tema dei diritti dei nativi americani.

Millicent Rogers in giacca di velluto Schiaparelli in uno scatto risalente al 1939. Foto Condé Nast Archive/Corbis
Millicent Rogers in giacca di velluto Schiaparelli in uno scatto risalente al 1939. Foto Condé Nast Archive/Corbis
Millicent Rogers in un abito da sera in taffetà e piume firmato Adriam, 1947. Foto di Condé Nast Archive/Corbis
Millicent Rogers in un abito da sera in taffetà e piume firmato Adriam, 1947. Foto di Condé Nast Archive/Corbis
Millicent Rogers a Claremont Manor, Virginia, in un abito drappeggiato in broccato di Valentina, 1947

Il salotto dell'appartamento di Millicent Rogers a Taos, New Mexico
Il salotto dell’appartamento di Millicent Rogers a Taos, Nuovo Messico


Lo stile che l’ereditiera adottò dopo il suo ritiro a Taos comprendeva una blusa con le stampe originali Navajo che alternava a una camicia bianca, una gonna a ruota indossata sopra diverse sottogonne che alternava a maxi gonne etniche, uno scialle e piedi rigorosamente scalzi o mocassini di pelle di daino. Questo divenne il look più iconico dell’ereditiera, nonché l’emblema del suo stile. Nel Nuovo Messico la Rogers adottò anche un nuovo stile di vita. “Non era una snob, avrebbe trascorso con i creatori di gioielli locali lo stesso tempo che avrebbe speso ad Hollywood”, scrive la Burns. “Credo che si divertisse nel Nuovo Messico, sperimentando una libertà forse mai provata prima. Aveva un grande spirito di adattamento.”

Millicent Rogers, avventuriera vestita in capi haute couture, morì nel 1953, un mese prima del suo 51esimo compleanno, lasciando debiti per tre milioni di dollari. Poco dopo la sua scomparsa, nel 1956, uno dei suoi tre figli fondò a Taos un museo locale a suo nome, il Millicent Rogers Museum. Il museo conserva un’ampia collezione di arte nativo americana, ispano americana ed euro americana. Dapprima sito in una location temporanea, alla fine degli anni Sessanta il museo venne trasferito in una casa costruita da Claude J. K. ed Elizabeth Anderson, successivamente ristrutturata dall’architetto Nathaniel A. Owings. Millicent Rogers è stata protagonista della mostra American Women of Style, organizzata da Diana Vreeland e Stella Blum nel 1975. Il suo stile continua ad essere inesauribile fonte di ispirazione nella moda: John Galliano ha dichiarato di essersi ispirato a lei per la collezione disegnata per Dior nella Primavera/Estate del 2010. Un nome che resterà immortale nella moda.


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Cavalli: il ritorno di Dundas tra vintage e rock

Fantasie animalier, paillettes e lamé per un effetto rock del tutto inaspettato.

Il ritorno di Peter Dundas in Roberto Cavalli non poteva che portare ad esiti davvero sorprendenti.

Una collezione contaminata, quella dello stilista norvegese che è riuscito a creare un filo conduttore tra wild, rock e vintage senza cadere nella banalità di tale scelta.

Nel prossimo autunno/inverno 16-17 il glam rock degli anni settanta rivive nei jeans leggermente scampanati sul fondo e nelle pellicce over in stampa animalier.

Il velluto è il tessuto principe della collezione seguito dalla pelle, dal popeline, dalla pelliccia, lane e seta.

Cosa dire dei ricami? I fili d’oro disegnano libellule, stelle e fiori di cardi su maglioni e bluse leggere come nuvole.

Abuso di dolcevita e giacche dalla linea slim abbinate sapientemente a maxi sciarpe jacquard: questa è la strada percorsa da Dundas  per un perfetto stile old school dal risultato davvero sorprendente.

Immancabili le giacche in pelle con inserti in pelliccia di leopardo  e i maxi coats con revers in vello di animale.

Gli accessori si presentano in linea con il mood della collezione. Avvincenti risultano le sneakers proposte in velluto ricamato e in patchwork di pelle. Gli zaini in cavallino e gli occhiali squadrati conferiscono un tocco di contemporaneità al lavoro di Dundas.

 

 

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Italy Fashion Roberto Cavalli
Roberto Cavalli by Luca Bruno Ph

 

A model wears a creation for Roberto Cavalli men's Fall-Winter 2016-2017 collection, part of the Milan Fashion Week, unveiled in Milan, Italy, Friday, Jan. 15, 2016. (AP Photo/Luca Bruno)
Roberto Cavalli by Luca Bruno Ph

 

Peter Dundas by Luca Bruno Ph
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