Dior Haute Couture: il modernismo post Raf Simons

La prima sfilata di Dior senza Raf Simons mostra il volto di una maison forte, che apparentemente non risente del fulmineo abbandono del direttore creativo belga.

Si, solo in apparenza, perché sembra chiaro come il team creativo capeggiato da Lucie Meier e Serge Ruffieux si sia ispirato all’ultima collezione presentata dal designer, riproponendo le sovrapposizioni asimmetriche dei capi e, in linea generale, alla linea stessa degli abiti.

Avendo avuto abbastanza tempo per ricompattare il gruppo di lavoro, la collezione Haute Couture estate 2016 Christian Dior appare dunque un continuum del progetto di Simons, rielaborata in chiave più moderna  e audace. L’atteso cambio di rotta stilistico non è stato concretizzato, forse rimandato.

Il défilé, presentato al centro del Musée Rodin in una scenografia composta da giochi di specchi è giovane e porta il peso di una tradizione stilistica davvero onerosa.

La collezione è dedicata alla donna parigina dei nostri giorni, elegantemente naturale, sicura di sé, moderna.

Si parte dalla classica giacca Bar rivisitata nei volumi, rendendola attuale; portata chiusa o aperta, color cammello o semplicemente nera. Si veste di mughetti in3D. Ha una fisionomia couture, ma può essere indossata anche abbinata ad un semplice jeans. È la trasformazione della maison Dior, sempre più vicina al prêt-à-porter.

La superstizione di Monsieur Dior aleggia sui charm indossati su collane o molto semplicemente ricamati sugli abiti e, l’animalier tema tanto caro al couturier, viene dosato in piccole dosi come per omaggiare il ricordo del fondatore della maison.

Una spallina “scivolata” rende audace un abito dai volumi over con sexy scollo oblò sul dietro.

Le reti metalliche (già viste nella passata collezione autunno/inverno 15-16) vestono i seni nudi delle modelle e le ruches movimentano linee affusolate. Infine, Un vedo non vedo osé ci regala una diva anni venti esageratamente hot.

 

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Cronache Vintage – Riflessioni semiserie su un matrimonio immaginario

Ho detto a mia nonna che io non mi sposo con l’abito bianco:

– “E come ti sposi allora?”.

– “Non mi sposo “.

– “Ma che schifo di mondo è mai questooo? E dove andremo a finireee? E il corredo che cosa l’ho comprato a fareee?”.


Ebbene, questa è stata la conversazione avuta con “grandmother” qualche tempo fa. Effettivamente, io non penso al matrimonio nella maniera tradizionalmente concepita, non aspiro a percorrere la navata abbigliata da meringa, non riesco neppure ad immaginare il giorno in cui qualcuno mi chiederà, inginocchiandosi con BRILLANTE alla mano, di sposarlo, per trascorrere insieme il resto dei nostri giorni. Insomma, non so nemmeno se riuscirò a portare avanti fino alla settimana prossima la dieta appena cominciata! Sono sicura che fuggirei come Maggie aka Julia Roberts in RUNAWAY BRIDE, per lasciare il malcapitato all’altare. Dai, non è bello.


Ad ogni modo, nonna era seriamente turbata, la sua drammaticità mi ha fatto buttare giù il telefono che avevo ormai le palpitazioni. E allora ho respirato a pieni polmoni, mi sono tuffata sul letto fissando il soffitto e ho cominciato a fantasticare: “Chiara, sforzati di pensarti IN BIANCO!”.


Lady Diana buonanima indossò un abito in taffettà di seta color avorio e pizzi antichi, con uno strascico di 7,62 metri (dettaglio da non ignorare), valutato all’epoca per circa 9 mila euro. Presentava decorazioni con ricami fatti a mano, paillettes e nientepopodimeno che diecimila perle. Semplice, insomma. E siccome la coppia regale si presentò dinanzi al prete nel 1981, i designer, David ed Elizabeth Emanuel non poterono esimersi dall’aggiungere maniche a sbuffo e gonna balloon. L’abito passò alla storia, Diana era bellissima, ma quello scemo di Carlo si era già infiammato per Camilla e tutti quei metri non trattennero la principessa triste a corte…Il resto lo conosciamo e l’abito lo scartiamo.


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Quindi mi è venuto in mente un altro sposalizio celebre, quello di Jacqueline Lee Bouvier con il futuro Presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy. Correva l’anno ’53, i due erano giovani, belli e aristocratici, tutti ne parlavano, tutti ne avrebbero straparlato! Jacqueline doveva essere stratosferica, confermando la sua eleganza:  Ann Lowe, stilista afro-americana, già in voga ai tempi nell’aristocrazia di New York, realizzò per lei un vestito in taffetà di seta color avorio, con un’ampia gonna e il corpetto drappeggiato con scollo a cuore. Particolarità della gonna furono le applicazioni di stoffa a formare ampi fiori concentrici e piccoli petali in cera nella parte inferiore. A completare il vestito, il velo in tulle fissato ai capelli con boccioli d’arancio. Sublime. Poi Marilyn Monroe si mise a cantare Happy Birthday Mr. President e le fuitine non si contarono più su una mano sola. E Jacqueline comprese che la classe non  trattiene un fedifrago!


 

Non mi rimane che ispirarmi a quella donna anticonformista che fu Wallis Simpson. Nel 1934 era l’amante di Edoardo di Windsor, principe di Galles ed erede al trono britannico. Aveva un divorzio alle spalle e uno in corso. E non le scorreva sangue blu. Edoardo divenne re e poi abdicò per sposarla. Che moderno! Il giorno delle loro nozze Wallis si mise sù un abito pensato per lei da Mainbocher, in un color carta da zucchero inventato appositamente dallo stilista come omaggio ai suoi occhi (e infatti fu rinominato Wallis Blue). Le arrivava fino ai piedi, con maniche lunghe, un drappeggio davanti e una fila di bottoni sul il busto. Contemporaneo, raffinato, perfetto. Duca e Duchessa, so glamourous, condussero una vita mondana, furono immortalati sui giornali, non badarono a spese per godersela molto.


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Voglio quel vestito e quel marito. E corro a dirlo a mia nonna!

Buon compleanno, Paul Newman

Avrebbe compiuto gli anni oggi, l’indimenticabile Paul Leonard Newman da tutti conosciuto come Paul Newman. L’attore hollywoodiano  figlio di una donna slovacca e padre commerciante di articoli sportivi, nacque  infatti a Shaker Heights, il 26 gennaio 1925.

Strappato dalla vita militare a causa del suo daltonismo, il giovane Paul riuscì comunque a partecipare all’azione bellica sopra i cieli del Pacifico meridionale durante la seconda guerra mondiale. I suoi magnifici occhi blu furono testimoni di uno degli accadimenti più gravi che la storia mondiale abbia mai dovuto raccontare: il terribile fungo atomico sprigionato dalla bomba nucleare sganciata su Hiroshima.

È nel secondo dopoguerra che Paul Newman inizia a muovere i primi passi nel cinema dopo essersi iscritto all’Actor’s Studio di New York  e aver sposato nel 1949 la moglie Jacqueline E. Witte dalla quale ebbe tre figli: Scott Allan (morto a 28 anni per overdose), Susan Kendall e Stephanie.

 

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La sua prima interpretazione nel film “Il calice d’argento” fu ritenuta dalla critica un vero fiasco. Il The New Yorker giudicò con queste parole la sua performance: “Recita la sua parte con il fervore emotivo di un autista di autobus che annuncia le fermate locali.

Fu in quell’occasione che l’attore si espose con consapevolezza  e con una devastante umiltà chiedendo scusa pubblicamente per la deludente prestazione .

Archiviato il matrimonio con Jacqueline, il 29 gennaio 1958, a Las Vegas, convola in seconde nozze con l’attrice e produttrice televisiva e cinematografica  Joanne Woodward. Dalla protagonista di “La donna dei tre volti” ebbe a sua volta tre figlie: Elinor “Nell” Teresa, Melissa “Lissy” Stewart e Claire “Clea” Olivia.

 

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I due siglarono anche un’importante sodalizio lavorativo. Assieme interpretarono “Dalla terrazza”, “Paris Blues”, “Il mio amore con Samantha”, ”Un uomo oggi” (solo per citarne alcuni).

Ma è con pellicole come “La gatta sul tetto che scotta”, “Intrigo a Stoccolma”, “L’inferno di cristallo”, “ La stangata” e “Lo spaccone” che Paul Newman viene consacrato come “Leggenda del cinema.”

Dopo molteplici fatiche, negli anni ottanta giungono i primi riconoscimenti. Nel 1986 vinse il primo Oscar alla carriera e l’anno successivo, con “Il colore dei soldi”, fu premiato come migliore attore protagonista.

Insieme allo scrittore Aaron Edward Hotchner, nel 1982 fonda la “Newman’s Own”: un’azienda eretta per produrre beni alimentari biologici il cui ricavato viene tutt’ora devoluto per scopi umanitari ed educativi.

Sei anni più tardi fonda l’Associazione “Hole in The Wall Camps”. Il progetto che realizza programmi di terapia ricreativa per bambini gravemente malati, oltrepassa i confini americani fino ad approdare in Europa e in Africa. Un impegno umanitario talmente sentito che lo porta a ricevere il suo terzo ed ultimo Oscar con il premio umanitario Jean Hersholt.

 

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Paul Newman era un uomo diviso fra due grandi passioni: le donne e le automobili.

Infatti, divenuto un discreto pilota dopo aver interpretato “Indianapolis pista infernale”, disputò le prime gare nel 1972 nel Campionato organizzato dallo Sport Car Club of America . Il gentleman delle corse riuscì perfino a trionfare in diverse competizioni.

Dopo alcuni anni di assenza, nel 1994 torna sulle scene cinematografiche con “Mister Hula Hoop” dei fratelli Coen. L’anno successivo, nel 1995, viene premiato al Festival di Berlino con l’Orso d’Argento per il film “La vita a modo mio” di Robert Benton.

Il 25 maggio del 2007 annunciò il suo ritiro dalle scene perché “troppo vecchio per recitare”.

Morirà all’età di 83 anni, il 26 settembre del 2008, dopo una breve ma dolorosa battaglia contro un tumore ai polmoni.

 

 

Un astro nascente

Un fiore dal profumo inebriante sbocciato immediatamente. Questa potrebbe essere una delle definizioni più calzanti per la famosa attrice statunitense Jennifer Lawrence. In occasione dell’uscita nelle sale cinematografiche del nuovo film intitolato Joy, a partire da giovedì 28 gennaio, ripercorriamo le tappe fondamentali della breve, ma già intensa carriera di uno dei talenti più puri della scuderia hollywoodiana.

Jennifer Lawrence nasce a Louisville (Kentucky) il 15 agosto 1990. All’età di 14 anni convince i suoi genitori, Karen e Gray Lawrence, a condurla a New York per trovarle un agente ed intraprendere così la carriera di attrice.

L’esordio assoluto avviene con le serie tv TBS The Bill Engvall Show, grazie alla quale, per il ruolo interpretato, ottenne uno Young Artist Awards, e Cold Case – Delitti irrisolti.

Il 2008, invece, segna il debutto ufficiale sul grande schermo con le pellicole Garden Party e The Burning Plain – Il confine della solitudine, con Kim Basinger e Charlize Theron. In virtù di quest’ultima opera, la Lawrence riuscì ad aggiudicarsi il Premio Marcello Mastroianni in occasione della 65° Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Nello stesso anno comparve nel film The Poker House ed anche in questa circostanza fu premiata ai Los Angeles Film Festival.

Il successo è dietro l’angolo ed arriva puntuale a partire dal 2010. Il film Un gelido inverno consacra definitivamente il talento cristallino di un astro nascente del cinema in procinto di spiccare il volo nell’olimpo di Hollywood.

Jennifer Lawrence in una scena tratta dal film Un gelido inverno
Jennifer Lawrence in una scena tratta dal film Un gelido inverno


Per aver ricoperto il ruolo della protagonista Ree Dolly, Jennifer Lawrence conseguì numerosi riconoscimenti dalla critica, tra cui il National Board of Review Award per la miglior performance rivelazione femminile, nonché una nomination all’Academy Award nella categoria “miglior attrice protagonista” nel gennaio 2011.

Il 23 marzo 2012 esce nelle sale Hunger Games, tratto dall’omonimo romanzo best-seller di Suzanne Collins, in cui la Lawrence recita al fianco di Josh Hutcherson, Liam Hemsworth e del cantante rock Lenny Kravitz.

Hunger Games
Hunger Games


Per interpretare al meglio la parte della protagonista Katniss Everdeen ,l’attrice americana si prodigò in un duro allenamento che prevedeva esercizi acrobatici, tiro con l’arco, arrampicate sugli alberi e le rocce, combattimenti, corsa, parkour, pilates e yoga. La pellicola fu un vero successo ed incassò ben 152,5 milioni di dollari in soli tre giorni.

La scalata verso la gloria continua con il ruolo di Mystica nel film X – Men – L’inizio, il prequel della celebre saga degli eroi mutanti degli X – Men, coadiuvata, tra gli altri, da James McAvoy e Michael Fassbender.

Jennifer Lawrence nel ruolo di Mystica per il film X - men - L'inizio
Jennifer Lawrence nel ruolo di Mystica per il film X – Men – L’inizio

 

Coppia fissa

Nel corso della sua brillante e vincente carriera, Jennifer Lawrence ha recitato più volte a fianco del noto attore statunitense Bradley Cooper.

Bradley Cooper e Jennifer Lawrence
Bradley Cooper e Jennifer Lawrence


È il caso, per esempio, dell’opera intitolata Una folle passione, uscita nelle nostre sale cinematografiche il 30 ottobre 2014 e tratta dal romanzo omonimo di Ron Rash, con la regia di Susanne Bier.

Scena tratta dal film Una folle passione
Scena tratta dal film Una folle passione


La fama internazionale, tuttavia, giunge nel novembre 2012 con Il lato positivo, grazie al quale si aggiudicò un Oscar, un Golden Globe e altri riconoscimenti come miglior attrice.

Bradley Cooper e Jennifer Lawrence in una scena del film Il lato positivo
Bradley Cooper e Jennifer Lawrence in una scena del film Il lato positivo


Il suo sodalizio professionale con Bradley Cooper si rafforza e ne viene inaugurato un altro, quello con il regista David Owen Russell.

Il terzo film in compagnia di Bradley Cooper e il secondo con Russell in cabina di regia è American Hustle – L’apparenza inganna, con Christian Bale, Amy Adams e Jeremy Renner. La pellicola è uscita nelle sale italiane il 1° gennaio 2014.

Il cast di American Hustle
Il cast di American Hustle

 

Joy

A partire da giovedì 28 gennaio, grazie alla 20th Century Fox, sarà possibile prendere visione dell’ultimo film con protagonista Jennifer Lawrence, Joy, affiancata da Robert De Niro e, ovviamente, da Bradley Cooper e dalla regia di David O. Russell.

Jennifer Lawrence nel nuovo film di David O. Russell "Joy"
Jennifer Lawrence nel nuovo film di David O. Russell “Joy”. Sullo sfondo Robert De Niro


La pellicola racconta la storia di Joy Mangano, una sorta di Cenerentola moderna sognatrice. Alle prese con la superba e prepotente sorellastra, la ragazza trascorre le sue giornate a pulire casa con uno straccio. Tuttavia, incredibilmente, sarà proprio il brevetto di un semplice e banale panno per pavimenti che condurrà Joy fuori dalla sua insignificante esistenza. Ma la strada per il successo si rivelerà irta d’ostacoli e problemi da superare, un costante slalom tra tradimenti, delusioni ed umiliazioni…

Joy è una commedia drammatica a tinte fiabesche caratterizzata da una voce fuori campo che accompagna lo spettatore nei meandri della vicenda. Se qualcuno dovesse etichettare la nuova fatica di David O. Russell come una soap opera non andrebbe molto lontano dalla realtà. Il linguaggio tipicamente televisivo, infatti, regna sovrano e la scena in cui il producer Neil Walker (Bradley Cooper) spiega a Joy (Jennifer Lawrence) il controverso mondo delle televendite funge da testimonianza principale.

Per questo motivo l’amalgama tra la favola della ragazza che non ha mai smesso di sognare e che riesce a costruire dal nulla un impero imprenditoriale, e l’immaginario collettivo cinematografico non trova una sostanziale coesione strutturale. Nonostante ciò, la prova attoriale di Jennifer Lawrence risulta, come sempre, di ottima fattura.

Il fiore del Kentucky continua a sbocciare…

I migliori backstage di Milano Moda Uomo: Richmond

Il backstage della sfilata evento, tributo a David Bowie, che documenta la nuova era della casa di moda, oramai diretta da Saverio Moschillo,


E’ la forte creatività pronta a unire miti e icone per una collezione in grado di segnare la storia, parola di Saverio Moschillo, nuovo direttore creativo della Maison. E lo stesso mito di David Bowie accompagna l’ultima sfilata Richmondche gli rende omaggio attraverso la selezione musicale.
China girl per le fantasie geometriche dal sapore asiatico che inaugurano la nuova identità del brand sempre più proiettato a rivisitare i capi essenziali del guardaroba donando loro l’intramontabilità.
E’ una collezione che cromaticamente vive nella Space Oddity grazie alla palette di colori composta dal blu navy, burgundy, rosso denso nero e grigio melange. La fusione della materia avviene grazie alle combinazioni contrastanti presenti negli accessori, come gli stivali e le stringate rinforzati in cuoio naturale con cuciture a vista.
Quello di Richmond è uno Starman che non disdegna il suo lato rock prestando, però, sempre attenzione a uno stile di vita rigoroso, intuitivo e eclettico proprio come quello dell’artista recentemente scomparso.


Scatti in esclusiva di Matteo di Pippo.


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Le migliori presentazioni di Milano Moda Uomo: Z Zegna

Gli streetstyler di Z Zegna si esibiscono nelle piazze e nelle strade delle grandi metropoli pronti a scalare le vette più ambite


Lo streetdummer Dario Rossi, famoso per le sue performance musicali con oggetti di uso comune, in grado di produrre ritmi travolgenti, insieme a ballerini di bond, break dance e beatbox danno vita a una performance mozzafiato per accompagnare la presentazione della nuova collezione AI 2016/17 di Z Zegna.
La maestria del brand nel fondere la sartoria tecnologica con l’ autentico sportswear viene riconfermata ispirandosi al trekking d’alta quota, per un climber pronto a scalare le vette più importanti.
En plein air pe i motivi grafici che rimandano al mondo della montagna dove le cromie sono perfettamente in linea con quelle delle rocce e degli alberi da vivere indossando scaldamuscoli tricot, scarpe da trekking e zaini rivestiti in montone e lana merino.
Le silhouette allungate dei cappotti in tweed, del tailoring e della maglieria si incontrano con la tecnologia dei i raincoat gommati e termosaldati e dei kagool metallizzati tagliati a laser.
Le innovazioni di Z Zegna non si fermano qui, due le grandi novità presentate per l’occasione: l’ “Icon Warmer”, il primo capospalla progettato per offrire una protezione termica personalizzata, grazie a un avanzato pannello generatore di calore integrato, alimentato da un sistema di carica wireless e l’esclusivo “Techmerino”, un tessuto ad alte prestazioni 100% in fibra naturale.
Accompagnando il tutto con uno styling disinvolto e sofisticato Z Zegna riesce ancora una volta a esprimere al meglio il suo approccio con la moda urbana.


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Parigi Moda Uomo: l’effortlessy-chic di Hermès

Pulizia, il consueto stile effortlessy-chic e un tocco futurista hanno caratterizzato la sfilata di moda maschile Hermès per la prossima stagione invernale. Véronique Nichanian ha presentato una collezione caratterizzata da un’eleganza disinvolta e rilassata, in linea con lo spirito della storica maison francese. Stile vincente non si cambia, recita un vecchio motto: e in effetti il carattere tipico del brand non viene assolutamente alterato nonostante la designer francese osi, mixando nuance ardite e sperimentando con materiali insoliti.

Nonchalance sembra essere la parola d’ordine per un uomo che, in tempi frenetici e convulsi, sceglie invece di andare controcorrente e rallentare i ritmi: i modelli che si alternano sulla passerella hanno le mani in tasca e indossano comodi pantaloni con elastico in vita. L’uomo Hermès per l’Autunno/Inverno 2016-2017 predilige il parka e i capispalla in pelle. Le silhouette sono gentili, abbondano i colli alti e le sciarpe e la palette cromatica varia dal turchese al mostarda fino al crema, al grigio e al rosa pallido, senza dimenticare l’arancione simbolo della maison, e il cammello. Il nero la fa da padrone, mentre i modelli sfoggiano borse che impreziosiscono la classicità di capispalla come il trench, insolitamente declinati in pelle.

Veronique Nichanian, definita “la sacerdotessa della moda maschile”, coniuga mirabilmente comfort e stile, conferendo all’uomo un tocco di charme moderno e avanguardistico, che non stravolge l’identità del brand. I modelli indossano il consueto foulard d’ordinanza, simbolo per antonomasia della maison francese, mentre ardito risulta a volte il mix & match, specie per quanto concerne la palette cromatica. Inoltre, sempre nel corso della sfilata, è stato presentato il lancio dell’Apple Watch Hermès: dallo scorso 22 gennaio sono disponibili i primi dieci modelli del nuovo nato, con prezzi che variano da 1.300 a 1.780 euro.

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Balmain omaggia la Francia e Napoleone

Una tempesta di cristalli Swarowski e dettagli preziosi invade la passerella Balmain per la collezione Autunno/Inverno 2016-2017. Un omaggio alla Torre Eiffel e a Parigi, per un défilé ricco di suggestioni. La capitale francese, definita da Olivier Rousteing come “la città della luce”, viene rappresentata in una collezione maestosa e principesca. A calcare la passerella è un vero principe, tra giacche impreziosite da cristalli, arabeschi e bomber dorati.

L’uomo Balmain indossa lunghi guanti in pelle e stivali da fantino, tra stampe e nero all over. Tartan, righe, paisley e rombi esaltano il total black delle uscite. Sulla passerella si alternano modelli del calibro di Jon Kortajarena e Lucky Blue Smith, mentre non mancano top model come Alessandra Ambrosio e Lily Donaldson, che indossano la pre-collezione femminile per il prossimo autunno/inverno.

Opulenza e suggestioni sovietiche caratterizzano la sfilata maschile di prêt-à-porter: tra pantaloni in jersey o suede e giacche che ricordano i kimono, abbondano i ricami e i dettagli preziosi. Il principe della Ville Lumière sfila con fusciacca rigida in vita impreziosita da nappine e stivali e giacche in pieno stile military-chic. La personalità di Rousteing segna un altro colpo, per una collezione altamente evocativa, che intende restituire speranza alla Parigi martoriata dal terrorismo, dopo gli attacchi dello scorso novembre. La palette cromatica omaggia la bandiera francese, mentre certe uscite ricordano molto da vicino Napoleone Bonaparte e i fasti del suo impero. Opulenza è la parola chiave, per un uomo che, come un condottiero, affronta la stagione invernale in uniforme simil militare.

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Sfila a Parigi l’esistenzialista bohémien di Valentino

Si è appena conclusa a Parigi la settimana della moda maschile, che ha visto sfilare le proposte moda per il prossimo autunno/inverno. Una collezione all’insegna della libertà, quella presentata da Valentino. Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli si confermano ancora una volta indiscussi maestri di stile, in un défilé caratterizzato da tendenze eterogenee. Dettagli etnici si sposano al grunge anni Novanta, fino a sfiorare il folk tipicamente Seventies.

Un po’ metropolitano e un po’ bohémien l’uomo Valentino per l’Autunno/Inverno 2016/2017: dal classico vestito nero con cappotto dal taglio sartoriale e dagli ampi revers si passa al denim, per giubbotti impreziositi da decorazioni. Le prime uscite rasentano lo stile gotico: nero all over per capispalla dal respiro classico, per un uomo che sembra incarnare il dandy più autentico. Si continua con loden e giubbotti biker, impreziositi da borchie e decorazioni.

Ma l’uomo che ha calcato la passerella ha un animo folk, è fiero della propria libertà e non teme il contatto con la natura, fosse anche un viaggio on the road, sulla falsariga di Jack Kerouac. Il denim e il tartan ricordano un cowboy, come anche le camicie. Una full immersion tra i nativi americani per le mantelle stampate con motivi aztechi. Stampe simili a coperte Navajo si alternano sulla passerella a giubbotti borchiati, mentre viene sdoganato il poncho come capo principe del guardaroba maschile per la prossima stagione invernale. Suggestioni etniche nei dettagli piumati e nel patchwork di fantasie tribali. La precarietà e l’incertezza che caratterizza i tempi odierni sono state le principali fonti di ispirazione di una collezione che i due stilisti hanno definito esistenzialista. Il mix di stili e tendenze diverse rispecchierebbero infatti un nuovo stimolo per rinnovarsi e trasformarsi. Tra i materiali usati spiccano il cashmere e il camoscio, ma anche la seta e la pelle la fanno da padrone, in una collezione variegata e ricca di fascino. Per un uomo dalle mille sfaccettature.

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Cyber Jihad

It was the end of February last year when I published the first in depth report in Italy of ISIS communication techniques. Europe really only noticed the Islamic State and how dangerous it was during the Charlie Hebdo attack. It was at that moment that we realized this was a new phenomena and in the very heart of Europe. Apart from the numerous instant books which came out one after the other to satisfy our (presumed) desire to know, in other countries all of this had already been investigated for some time and in a serious scientific way.
That first work owes and owed much to the years of research and analysis undertaken by many people, particularly in northern Europe and North America. I specifically described it as a “collective” work and cited, among others, Oliver Roy, Dietrich Doner, Eben Moglen, Jeff Pietra, J:M: Berger, Scott Sanford, the generous Will McCants and Clint Watts, the extraordinary Nico Prucha, Rudiger Lohlker, Leah Farrall, Aaron Y Zelin and Peter Neumannal.


The report ended with a quotation by Elham Manea, one of the most courageous and brilliant voices of contemporary Islam who wrote, “ The truth that cannot be denied is that ISIS has studied in our schools, prayed in our mosques, heard our media and the sermons of our religious leaders, read our books and our sources and has followed the fatwa that we have produced. It would be easy to continue to insist that ISIS doesn’t follow the correct precepts of Islam. It would be very easy. Yet, I am convinced that Islam is what we humans make it to be. Every religion can be a message of love or a sword of hatred in the hands of the people who believe in it”.
Since that first report research has gone on and while one group of people has worked to keep track of and analyze the mass of constantly growing propaganda materials, others have concentrated on the study of particular aspects which, with last month’s Paris attacks , have become tragically central and relevant.
This e-book begins with four sections updating ISIS online (but not only) communications in the light of the military and geopolitical developments of recent months and many newly revealed and collected documents.
The next question we posed is relatively simple and based on certain facts: the extraordinary network system of activists and supporters, the existence of a real global network, their knowledge of sophisticated cryptographic systems, the know-how of the Syrian Electronic Army(one of the world’s best hacker networks) and the many connected networks we have tried to map.


We wondered how, propaganda apart, this network could be used for specific purposes such as financing overseas cells, moving money and logistical organization.
The enquiry which follows recounts what I discovered and the significant links which exist with counterfeiting and money laundering at a global level.
As I specified, “ in this public version of my enquiry I have deliberately omitted certain passages. The aim of my investigation is to describe and help to explain a phenomena and a method (one of the methods) of financing and above all of transferring money which is difficult to trace. In no sense do I want it to be a manual, or an invitation to “do it yourself”. The other reason for omission is to protect certain information and active contacts and to preserve the investigative work of those responsible for national and international security who have been given full access to the unabridged results.
For these reasons the contacts, email exchanges, accounts and phone numbers are not given, just as they are obscured in the images attached.


1. ISIS, from liquid state to territorial organization


2. A battle for fundamentalist identity hegemony


3. Blitzkrieg 2.0


4. Global propaganda


5. ISIS cyber-soldiers networks


6. The connection with the Nigerian scammers network


7. Internet and the financing of ISIS


8. An untraceable money transfer chain


9. The fake identity network


At the beginning of this report, when referring to the conclusion of “ISIS”, the global communication of terror, I quoted Elham Manea when he said“ The truth that cannot be denied is that ISIS has studied in our schools, prayed in our mosques, heard our media and the sermons of our religious leaders, read our books and our sources and has followed the fatwa that we have produced”. It is undeniable that having enrolled Western sympathizers and fighters, ISIS knows our systems, social networks, payment systems and the limits of our research and analysis. It exploits the weaknesses and vulnerabilities of Western societies with a western mindset. We have created a money transfer system which earns commission on the money that immigrants send to their families in poor countries. With first-hand knowledge of how the system works and its limits, they use this system as a weapon against us. We have invented anonymous pre-paid cards and offshore accounts to favor trade but also as a means of exporting currency and tax evasion and they exploit the system’s weaknesses in ways we couldn’t have imagined. We have created social networks aimed at social interaction and membership groups and they, part of the social network generation, have invented a compartmentalized system which evades the social mapping planned by marketers and neutralized by a digital war. (I have written an entire chapter on this with reference to the jihadist article “invading facebook”).


The use of networks by ISIS shows just how wrong the cyber-utopians are and how western legislation based on the liberalist belief in the freedom of internet communications have turned out to be a Trojan horse. The idea that internet “is a weapon for freedom” which could bring down dictatorships and regimes was already undermined during the “Arab Spring” but it continued due to its supporters’ reluctance to admit they were wrong.


Today this idea clearly shows all its contradictions. In reality the idea of internet as an all powerful one-way system to export democracy and freedom was useful to the companies of Silicon Valley when they wanted “few rules and large funds” for the development of their projects. These included anonymous blogging systems to protect democratic activists, direct and private messaging systems and the export of unlimited encryption systems. ISIS is now using these systems with a western mindset against the West.
Not that this should lead people to believe “the web is evil” or “the web should be banned” or that total control could be an effective solution. Exactly the opposite is true. Alongside these distortions in the use of internet, it is often the internet itself which supplies the antidote by providing otherwise impossible solutions, including the use of counter- intelligence. Falling into the banning trap would be like saying that “since kitchen knives can be used in domestic violence, they have to be banned”.


We are afraid of what we do not know, what we are unable to control or dominate, but there are two antidotes to this fear. The first is a solid knowledge of the means and the tool. The other is to be aware that no means or tool is in itself a universal instrument of salvation, just as plain kitchen knives can become an instrument of horror, death and propaganda in the hands of a cutthroat assassin.
However, greater recognition of the potentially dangerous, dark side of new technologies is vital to structural and legislative action against them. Such increased awareness can help us to make cyberspace a safer place with fewer risks. Internet is neither all powerful in the hands of jihadist groups nor in the hands of counter- intelligence forces. It is simply a means for both. Among the countless positive
messages it transmits there are also messages of terror and terrorist recruitment. What really makes a difference are the people and, like all messages, the most effective take root where there is a fertile human terrain. This terrain is made up of segregated poor neighborhoods, subculture, isolation and alienation due to a lack of social integration. Internet did not create these social and cultural ills though it could contribute towards their alleviation. But it is elsewhere that choices and decisions have to made in order to tackle the problems that generate converts and conquest.

The fake identity network

Clearly I was willing to continue but I didn’t want anyone running any risks. It was too risky to keep on using “my name” so at this point I needed another fake identity. I was hoping that in some way I would be directly supplied with false documents but in a certain sense this turned out to be a vain hope. After a few days I received the details of a contact who sold authentic documents. Basically I had to pay and the
documents would arrive from Cameroon via UPS. Yet again there was no direct way of connecting the transaction, seller or documents to the Caliphate. The entire cost of the operation was financed by a “money transfer” (once again blocked two days later after verifying, as in the first case, that it was highly unlikely the sender had any direct links to ISIS).


The fake identity network


My document contact proposed an American passport and a French identity card but I pretended to be a little skeptical, not because I doubted him of course but because the European police carry out such detailed checks and I couldn’t afford to take any risks. So, to convince me of the products’ quality he sent me a video via email showing a newly counterfeited US passport and a security card claiming that these were officially registered documents which would pass any checks.


Inchiesta ISIS from D-ART on Vimeo.



According to an expert who I have worked with in the past, there could be two ways these documents were “registered”. First, the photograph could simply have been replaced on a stolen document which is otherwise original, although this is no longer possible on modern passports. Alternatively, since it would be impossible to penetrate all the national databases, the fake passport could have been inserted into the central database for airport security which contains the entire world’s documents. In his view, and I believe him, this second method would be the most effective, though it would require massive resources and would run a high risk of being intercepted even if some country’s officials were personally involved.


I didn’t check out their quality myself, mainly because in order to receive them I could have risked revealing my true identity in some way. But also because ordering and holding a counterfeit document is a criminal offence. However, although the quality of these documents may not be good enough to pass airport controls, they might easily pass the more superficial checks of a hotel booking, a quick road check or a frontier without computerized systems which are very common in eastern Europe, especially at a time of intense migration. They could also be used to purchase a mobile phone (though in the UK no document is required to buy a sim card), register at an internet point, “demonstrate” the validity of a cloned credit card, send and receive money transfers through MoneyGram or Western Union or receive goods from a delivery service.